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Autore: Natalja_Aljona    09/09/2011    1 recensioni
Ungheria, 1848.
Dùnja, ungherese di origini slovacche, per la selvaggia periferia di Debrecen "a lánya a Duna", la figlia del Danubio.
Csónakos, giovane "forradalmi", rivoluzionario di Buda, la città antica di Budapest.
Sullo sfondo c'è Duna Sugárút, il vicolo dei teppistelli ungheresi tra cui Dùnja è cresciuta, il regno dei sognatori, dei rivoluzionari e dei ragazzi di strada.
C'è la Stamperia, che per i ragazzi di Duna Sugárút è tutto, è un angolo di paradiso, una manciata di misericordia, il mondo dei sogni.
E nel cuore, negli occhi e nel sorriso del ragazzo della città dei ponti c'è Budapest, troppo bella per rimanere in mano agli Asburgo.
Genere: Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Storico
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Due

A Nyomda - La Stamperia


Se c'era qualcosa di cui i ragazzi di Duna Sugárút davvero non potevano fare a meno, quello era la Stamperia.

L'Antica Stamperia di Debrecen, che un po' cadeva a pezzi e certi giorni era tenuta in piedi soltanto da loro, i piccoli eroi che ci trovavano un mondo, tra le mura di quello che -nessuno ricordava con esattezza da quando, così preferivano pensare che non ci fosse stato un inizio vero e proprio, ma una storia destinata a sfidare l'eternità- era da sempre il loro Quartier Generale.

Quando era nata Dùnja era già stata "liberata", la Stamperia, ma Fëdor, che era più grande di lei di sei anni, un giorno le aveva fatto leggere il Diario di Guerra di Isaakij Rájk, suo fratello maggiore, il primo documento che i ragazzi di Duna Sugárút avessero mai stampato.

Isaakij adesso lavorava tutto il giorno giù alla miniera, e quando tornava a casa aveva giusto la forza di tirare giù dalla sua stellina un po' triste un sorriso stanco che, con quella curva un po' amara nel bel viso stravolto, riempiva sempre tutti di malinconia.

Una volta gliel'aveva chiesto, Dùnja, perché, se il lavoro in miniera lo rendeva tanto triste, continuasse ad andarci.

Aveva riso, quel giorno, Isaakij, e Dùnjetshka, al pensiero che ridesse di lei, che la stesse prendendo in giro, s'era tanto dispiaciuta che l'aveva lasciato lì, con i piedi in ammollo nel Danubio e la sua canna da pesca in mano, che le aveva riportato Fëdor il giorno dopo.

Ma forse era davvero troppo triste e stanco, Isaakij Rájk, quel giorno, per risponderle.

Forse non poteva davvero fare a meno di lavorare in miniera, e lei non l'aveva capito.

"Del resto, tu sei la figlia di Jànos Geréb, l'astronomo a tempo perso. Lui fa così, per difendersi, per star meglio, per non disimparare a sognare. Ma lo sai, tu, che laggiù in Russia, dove lavora, scende anche lui in miniera, che è per questo che ha sempre le mani nere di fumo, quando torna a casa, ed è per questo che tua madre lo abbraccia così forte, quelle sere? Lei non vorrebbe vederlo andare via e lui, se potesse, resterebbe!

Ma non lo sai, tu, perché non può restare, perché poi ci torna sempre, laggiù nelle miniere dei Carpazi, perché quando ti bacia ti fa sempre il solletico con quella barba ch'è grigia come il carbone per cui scava, e quanti anni ha, tuo padre? Come dici? Non sai ancora contare? Ma certo. Sei una bambina, tu. Ne deve fare ventisette? Ecco: l'hai visto. Io non sono come lui, però. E' coraggioso, tuo padre. Io non ce la faccio".

No, lui non ce la faceva.

Anche lei ce l'aveva, una stellina a cui aggrapparsi, ma era un po' acerba, la sua, ma ci trovava la forza di scherzare con Fëdor e gli altri, di ricacciare indietro le lacrime, e le bastava, le bastava.

Ad ogni modo, Isaakij Rájk era stato il primo a scrivere per la Stamperia, uno dei pochi che sapeva scrivere, tra i ragazzi di Duna Sugárút.

Lui, nel suo Diario di Guerra del 1833, aveva raccontato della loro lotta contro chi la Stamperia la voleva buttare giù, contro chi diceva che, tanto, ormai non serviva più a niente.

Poi era arrivato il 1837, Isaakij aveva compiuto tredici anni ed era sceso in miniera per la prima volta, e alla Stamperia un po' aveva dovuto dire addio, ma ogni volta che riusciva a tornarci, anche solo a fermarsi per un attimo a guardarla da lontano, gli brillavano gli occhi.

I ragazzi di Duna Sugárút non avrebbero saputo dove andare, se, tutt'un tratto, non ci fosse più stata la Stamperia.

Alla Stamperia, gli undici anni di Dùnja si confondevano un po' con i ventitré di Isaakij, nessuno pensava più all'età, tra le mura della Stamperia.

Ognuno aveva qualcosa da dire, all'Antica Stamperia di Debrecen.

C'era Isaakij che parlava della miniera, quando poteva, e Mitrej che un giorno aveva levato un pugno al cielo, gridando: "qui bisogna fare qualcosa!" e Fëdor che gli aveva messo una mano sulla spalla ed aveva lasciato cadere nell'aria una domanda, un triste: "e cosa, amico?", con quel suo sorriso che spezzava il cuore.

Qualche volta si stampava anche, alla Stamperia, ma solo quando c'erano Isaakij e i ragazzi più grandi, che in genere lavoravano tutto il giorno, che sapevano leggere e scrivere e provavano a insegnarlo agli ultimi arrivati, con risultati così buffi che si finiva per ridere sempre tanto, alla Stamperia.

Un giorno Fëdor era arrivato con un sorriso strano, ed era cambiato tutto, alla Stamperia.

Avevano parlato del ragazzo della città dei ponti e degli Asburgo che occupavano Budapest.

Era finita con un pugno battuto sul tavolo e coi capelli biondi di Fëdor che, un poco scomposti dal vento che entrava dalla porta miseramente ridotta, gli davano quell'aria da patriota settecentesco ch'era proprio quello che serviva.

Era meraviglioso il modo in cui Fëdor, Isaakij ed i Rájk avevano preso a cuore l'Ungheria, pur essendo piuttosto fieri delle loro origini polacche.

Era finita con un "chi è con me metta una firma qui!" e con il respiro mozzato di Dùnja e l'aria di lacrime trattenute, perché lei la firma proprio non la sapeva fare.

Era finita con Fëdor che aveva guidato la sua mano sul foglio un po' ingiallito dal tempo che non perdonava e poi le aveva sorriso in quel certo modo un po' speciale che era come una specie di solletico al cuore, era finita che il tempo non poteva certo aspettare loro, che un po' non sapevano scrivere e un po' non capivano dove dovessero firmare, e che alla fine era bastata la parola, ad una sola voce, dei ragazzi di Duna Sugárút, era finita ch'era cominciata la Forradalom.

Ora bisognava dirlo al ragazzo della città dei ponti, però!

Fëdor era troppo orgoglioso, Aleksej era peggio ancora ed entrambi avevano preso a dare tante di quelle gomitate a Dmitrij che il povero ragazzo era ormai lì lì per acconsentire, giusto per non divenire tutto un livido.

Eppure era stato il ragazzo della città dei ponti, alla fine, ad andare da loro.

Per una questione di cavalleria, sarebbe stato suo dovere presentarsi subito a Fëdor, ch'era il capo, ma forse nella città dei ponti la cavalleria era relativa, perché Csónakos aveva preferito incontrarli in gruppo.

Li aveva colti di sorpresa, aspettandoli appena fuori dalla Stamperia.

E questo, forse per una questione d'orgoglio, di rispetto o, appunto, di cavalleria, ai ragazzi di Duna Sugárút non era piaciuto affatto.


-Conoscete i piani di Lajos Kossuth?-

Il ragazzo della città dei ponti era lì, davanti all'insegna consumata dagli anni.

Fëdor Rájk teneva una mano sulla porta, su quel "Régi Nyomda Debrecenben" che si leggeva ancora per miracolo, in un istintivo gesto di difesa della loro cara Stamperia.

Dalla compatta schiera dei ragazzi di Duna Sugárút si levava un leggero brusio, la confusione e l'agitazione di essere stati "scovati" proprio nell'uscire dal loro Quartier Generale.

La domanda di Csónakos era rimasta nell'aria, e a Fëdor ancora pareva d'udire l'inflessione della voce, impassibile proprio come il ragazzo, che lo sfidava apertamente con lo sguardo, come a prendersi gioco di lui.

In un moto d'incontrollabile ira e frustrazione, forse solo per non rimanersene lì, immobile, con le mani in tasca e lo sguardo d'un tordo cascato dal ramo, afferrò Dùnja per la treccia e le tirò uno schiaffo.

-Perché gliel'hai detto?-

-Non gliel'ho detto!- protestò la ragazzina, strofinandosi la guancia con il dorso della mano, con il cuore che ancora le batteva forte per la reazione inaspettata del suo amico.

-Nessuno ci ha parlato a lungo quanto te-

-Ma non gli ho parlato di questo- replicò, testarda -E tu...-

-Sta zitta, Dùnja, per carità-

-Tu sai ragionare solo con la violenza- continuò lei, sprezzante.

-C'è un altro modo, forse? Dùnja, qui si muore di fame. Se scopro che mi si vuole portare via l'unico che posto in cui c'è un po'...un po' d'umanità...-

-Lui non ci vuole portare via niente, Fëdor!-

-Sei stata tu?-

Il giovane polacco ripeté la domanda con estrema lentezza, ed una voce così bassa che le fece quasi paura, da tanto che era irreale.

-No!-

Negli occhi chiari di Fëdor, in cui aveva visto passare, un tempo, anche la dolcezza, ora c'era solo una grande tristezza.

Oh, ma era così...esagerato!

Come poteva...?

Si era sempre fidato di lei, Fëdor.

Anche lei ci teneva tanto, troppo, alla Stamperia.

E lo sapeva, lui.

Quanto al ragazzo della città dei ponti, non lo conosceva affatto.

Doveva averli seguiti, ma non sembrava avere cattive intenzioni.

-Mi dispiace, Dùnjetshka-

Fëdor Rájk la salutò con una tenerezza insperata, un buffetto sulla guancia e un sorriso un po' mesto e un po' severo, poi fece un cenno ad Aleksej, che incominciò a guidare i ragazzi alle porte di Duna Sugárút, alle spalle della Stamperia.

-Ma qual è il problema?- gli gridò dietro Dùnja, ma oltre a quel sorriso triste non ottenne niente, dal suo vecchio amico polacco, dal suo Fëdor Rájk, sempre così irragionevole e impulsivo, sempre così, sempre così...

Il ragazzo della città dei ponti, ch'era rimasto in silenzio fino a quel momento, la osservava con occhi dispiaciuti.

-Mi hanno scambiato per un invasore, vero?-

Dùnja scosse la testa, un po' sbuffando un po' ferita.

-Sei così strano, tu... Così diverso da Fëdor, che le cose te le dice in faccia, così... A volte fai quasi paura-

Csónakos spalancò gli occhi, un po' sorpreso un po' divertito.

-Io?-

-Perché sei venuto qua? Non ci viene mai nessuno, alla Stamperia. Saremmo venuti a cercarti noi, stavamo per venire a cercarti noi... Adesso ti vedono come un nemico, loro, e prima di domani li avrai tutti contro, li conosco, io... Non ci viene mai nessuno, qui, se non per dichiarare guerra a noi... E noi non possiamo permetterci di perderla un'altra volta, la Stamperia-

Il ragazzo della città dei ponti pareva seguire il discorso, ma come Dùnja terminò, strappandosi il nastro dai capelli con un gesto di rabbia, se ne uscì con una domanda del tutto incoerente con l'argomento, che lasciò la piccola Geréb ancora più perplessa.

-Quanti anni hai?-

Gliel'aveva chiesto con una curiosità un poco sfociante nell'impertinenza, a cui Dùnjetshka rispose con uno sguardo di sfida.

-Dodici-

Csónakos parve sospettoso.

-Li hai già compiuti?-

Dùnja sospirò.

Compiere gli anni la notte del 31 Dicembre non era una cosa particolarmente simpatica.

Scosse la testa, ma di abbassare lo sguardo non se lo sognava nemmeno.

-Io ne ho sedici-

La piccola Geréb si morse il labbro inferiore, non troppo entusiasta della scoperta.

Ora non solo avrebbe avuto l'ennesima prova della leggendaria presunzione dei ragazzi più grandi, ma, avendo Csónakos un anno in meno di Fëdor, orgoglioso come pochi, il capo di Duna Sugárút non l'avrebbe mai ascoltato.

-Sei uno scriccioletto, tu- aveva continuato lui, con un sorriso un po' tenero un po' incomprensibile.

-Proprio piccola piccola. Ma sei abbastanza simpatica-

Dùnja sgranò gli occhi, i suoi begli occhi di quell'azzurro chiaro per cui li avevano sempre scambiati per fratelli, lei e Fëdor.

Non lo capiva, il ragazzo della città dei ponti.

Fëdor se n'era andato, e adesso anche i suoi amici di una vita, forse, avrebbero cominciato a dubitare di lei.

A cosa le serviva essere "piccola piccola, ma abbastanza simpatica"?

E poi...piccola piccola? Sarà stato grande lui!

-Senti, tu... Tu li conosci, i piani di Lajos Kossuth?-

L'aveva già sentito nominare, Dùnja, quel Lajos Kossuth.

L'aveva chiesto anche a Fëdor e agli altri ragazzi, quello Csónakos, e pareva proprio deciso ad ottenere una risposta.

-Non li conosce neanche Fëdor...-

-Tu li conosci?-

-No- ammise, e le era costato tutto il suo orgoglio.

Lui annuì con un sorriso lieve lieve, ma sul suo volto non parevano esserci tracce di scherno.

Fece scivolare dalla manica del cappotto un foglio ripiegato più volte, visibilmente stropicciato.
Come cadde ai suoi piedi si chinò a raccoglierlo, dopodiché glielo mise in mano.

-Dallo al tuo capo-

Dùnja annuì, anche se un poco confusa.

-Tu non ce l'hai, un capo?-

Lui scosse la testa, sorridendo malinconicamente.

-E chi ascolti, quando non sai cosa fare?-

Csónakos non lo doveva sapere, ma, a pensarci bene, a volte neanche Fëdor, che teoricamente era il suo capo, sapeva cosa fare.

-Ascolto la voce di Budapest-

-E cosa dice, adesso?-

-A Forradalom ami beszél ég, mi megcsináljuk minket-

Dùnja sorrise.

Non le avrebbe mai dimenticate, quelle parole.

La Rivoluzione di cui parla il cielo, la faremo noi.


-Ehi, Csónakos...-

Il ragazzo della città dei ponti la guardò, in attesa.

-Come ti chiami?-

Non ricevendo risposta, e infastidita da tale silenzio, gli voltò le spalle e fece per andarsene.

-Dùnjetshka!-

La ragazzina si voltò, guardandolo un po' storto.

-Vuoi sapere come mi chiamo?-

Nonostante tutto, Dùnja continuava a morire di curiosità.

-Beh...dimmelo, se vuoi-

Il ragazzo della città dei ponti sorrise, forse intenerito dalla sua diffidenza forzata.

-Njörðr. Njörðr Csónakos-

Dùnjetshka socchiuse gli occhi, cercando di ricordare i racconti di suo fratello Baldr, che, chiamandosi come il dio della luce, era piuttosto informato in materia.

-E' il dio del mare della mitologia norrena, vero?-

Njörðr Csónakos rise, annuendo.

-Non gli somiglio neanche un po'-

La fanciullina lo guardò attentamente, pensierosa.

-Insomma, non somigli molto a un dio in generale. Ma sei più ragionevole di Fëdor. E poi tu...-

Dùnja sorrise, cominciando ad allontanarsi.

-Sei il ragazzo della città dei ponti-

-Sono cosa?-

Con una corsa Dùnja raggiunse Duna Sugárút, preparandosi ad affrontare Fëdor e gli altri, dopodiché ripeté, stavolta gridando:
-Sei il ragazzo della città dei ponti!-

Solo allora si voltò.

Sorrideva anche lui.




Note


Régi Nyomda Debrecenben (ungherese): Antica Stamperia di Debrecen.

Ed ecco il secondo capitolo! ;)

A Nyomda, La Stamperia, Régi Nyomda Debrecenben, l'Antica Stamperia di Debrecen, il Quartier Generale dei ragazzi di Duna Sugárút.

Il secondo incontro tra Dùnja e Csónakos, Njörðr Csónakos.

Ci ho pensato tanto, al nome da dargli, ma Njörðr...insomma, gli si addice. ;)

E' entrato in scena Isaakij, il fratello di Fëdor, personaggio a cui sono particolarmente affezionata, e lo stesso Fëdor ha il suo ruolo, un po' positivo e un po' no, in questo capitolo.

Ma è un ragazzo particolare, Fëdor.

Non è cattivo, ma...è tutto difficile, per lui.

Si capirà meglio nei prossimi capitoli, il suo personaggio.

Poi c'è Jànos Geréb, il padre di Dùnja, forse uno dei personaggi più positivi della storia, che presto entrerà in scena di persona.

E infine c'è Lajos Kossuth, Lajos Kossuth che è stato davvero il capo della Rivoluzione Ungherese del 1848, e che ha guidato il popolo magiaro -ungherese- verso l'Indipendenza dagli Asburgo, e che ha anche una statua in Hősök tere -Piazza degli Eroi-, a Budapest.

C'è la Rivoluzione che è alle porte, e ribalterà davvero tutto, questa Rivoluzione.

Per oggi è tutto, mi pare. ;)

Questo capitolo lo dedico alla mamma, perché oggi è il suo compleanno e perché...se lo merita, ecco! ;)


Grazie a tutte per le recensioni e a presto!

Marty

  
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