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Autore: monochrome    09/09/2011    2 recensioni
Albina Severi, Al per gli amici, stronza megalomane per tutti gli altri, ha poche certezze, certezze che l'aiutano a mantenere quella sicurezza di sè di cui fa sfoggio ogni giorno, quell'arroganza e quel sarcasmo che la contraddistinguono. Ma poi, piano piano, senza rendersene conto, si cresce, le situazioni cambiano, i rapporti cambiano e le certezze cadono una ad una.
***
Dal capitolo 7:
«Diamine Al! Sei così dannatamente fragile! Ti atteggi da dura, ma sei porcellana finissima che può rompersi alla prima caduta. Come potrei farti questo?»
Deglutii.
Non sapevo che dire, non sapevo che diavolo fare. Sapevo che avevo ancora voglia delle sue labbra e nessuna intenzione di rinunciare alla mia indipendenza per nessuno al mondo. Mattia sembrava il ragazzo perfetto per me, perfetto per darmi affetto e ricevere il mio, senza obblighi o etichette di sorta. Perché avrei dovuto rinunciarvi? Perché avrei dovuto lasciarlo andar via? Cosa mi tratteneva? Forse la consapevolezza che non sarebbe mai stato solo e unicamente mio?
Aderii nuovamente col mio corpo al suo, alzandomi in punta di piedi per sfiorare col mio respiro le sue labbra gonfie.
«Sono io che voglio farlo»
Fu lui a far combaciare le nostre labbra, gentilmente.
Mi vidi costretta a tirargli i capelli per fargli aprire quella dannatissima bocca!
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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All my Certainties

Non è il mio trombamico!




Entrare in camera di Alessandro, il ragazzo di Mel, soprattutto in assenza di quest'ultima, era sempre molto strano. Forse perché il suo mondo era diametralmente opposto al mio.
San abitava da solo, essendosi trasferito due anni prima per frequentare la facoltà di ingegneria informatica, e il suo intero trilocale, ad eccezione della sua stanza, era la manifestazione del gusto della madre: mobili antichi di ciliegio, tappezzeria elaborata (e le tende di raso dorato del salotto ne erano l'estrema dimostrazione), ma pur sempre sobria, e l'arredamento perfettamente rispettante il feng shui o una robaccia così. L'unica volta che l'avevo incontrata, aveva tentato di spiegarmi l'importanza di non disporre per alcun motivo il letto con i piedi puntanti la porta. Era una cosa che aveva a che fare con bare, morti e tanta tanta sfiga, ma siccome il mio letto era disposto proprio in quel modo e avevo già abbastanza sfighe nella mia vita, avevo deciso di rimuovere l'informazione, piuttosto che spostare il letto. Meno ne sapevo e meglio era.
La sua stanza, però, era il suo regno. Totalmente opposta al resto della casa, era paragonabile a un negozio di informatica. Un computer fisso occupava, assieme alla stampante e a un paio di casse -che avrei definito enormi-, l'intera scrivania, disposta sotto la finestra. Un portatile era poggiato sul letto a due piazze, insieme a strani apparecchi informatici di cui non volevo sapere il nome (e probabilmente non avrei neppure saputo ridirlo). Ovunque c'erano CD, programmi, enormi volumi di programmazione, cellulari e quant'altro potesse appagare la vita di un nerd. Contando che nei miei diciotto anni di vita avevo rotto due fotocamere, perso un cellulare, altri due erano stati distrutti cadendo rispettivamente dalla tromba delle scale e in una vasca da bagno, ucciso il mio walkman, uno stereo, fuso tre volte la playstation e una volta il computer, se ne deduceva che un elefante in una cristalleria sarebbe stato meno pericoloso di me in quella dannata stanza.
San era seduto alla scrivania, intento a fare qualcosa -e Dio solo sa cosa- con quel pc. Mi aveva aperto la porta, mi aveva invitata a salire e poi si era seduto nuovamente alla scrivania a continuare il suo lavoro. Notai che, dall'ultima volta che l'avevo visto, si era scorciato i corti capelli castano chiaro.
Rimasi sulla soglia, incredibilmente a disagio con tutta quella tecnologia.
«Entra pure Al!» mi disse, affabile, senza però staccare gli occhi dallo schermo. «Mel dovrebbe arrivare fra un po'»
Annuii e, non sapendo che altro fare, presi posto in un angolino del letto, il più lontano possibile da qualsiasi cosa io potessi rompere. Contando che usava tutta quella robaccia per lo studio, mi sarei sentita doppiamente in colpa se, premuta accidentalmente la barra spaziatrice del suo portatile, questo avesse mostrato la schermata nera della morte. Quindi mi sedetti composta e tranquilla, tutto il contrario delle mie abitudini, la qual cosa non fece che mettermi ancor più a disagio.
«Che stai facendo, San?» chiesi ad un certo punto, dopo infiniti attimi di silenzio intervallato da rumori di tastiera. Era una cretinata da dire, ma sentirmi a disagio mi buttava ancor più addosso quell'odiosissima sensazione. Avrei fatto qualsiasi cosa per non sentirmi un pericolo pubblico in un mondo che non era mio.
«Hai presente i suoni che emette un computer quando si rompe?» disse lui, senza smettere di guardare il pc.
«Ne so qualcosina...»
Ed era vero: i miei computer intonavano concerti ogni mese.
«Beh, c'è un suono diverso per ogni tipo di danno. Sono diversi per le tonalità dei bip, per la loro durata e disposizione.»
«Stai imparando le corrispondenze danno-suono?» domandai, ingenua.
Lui si mise a ridacchiare, come se avessi detto la cosa più buffa al mondo. O magari ero io la cosa più buffa al mondo.
«Ma no! Sto costruendo un programma per far suonare al computer delle melodie famose con questi bip.» Spiegò. Premette invio con uno slancio impressionante e poi si girò allegramente soddisfatto di sé. Adoravo San, perchè non si lasciava toccare dalle mie espressioni scettiche.
«E a che diavolo serve?»
«A far suonare il computer» ripetè, con semplicità.
«E... ehm... basta?»
Lui fece spallucce.
«Può allietare le giornate di chi non ha un ipod»
La sua sicurezza mi sbalordiva ogni volta. Era la fierezza nerd. Una di quelle cose che non avrei mai capito.
«A proposito!» riprese slancio, nell'osservarmi. «Per caso conosci le note di qualche canzone? Vorrei provarlo, ma l'unica musicista che conosco è Mel!»
Io strabuzzai gli occhi, presa in contropiede. Era già tanto se conoscevo i nomi delle note. Anzi, peggio. Dopo che Mel mi aveva detto che le note erano in realtà infinite, anche all'interno di una sola ottava, ma che, per convenzione, se ne usavano dodici, ero stata certa che la musica non avrebbe mai fatto parte del mio lavoro.
Fui salvata dalla stessa Mel, che girò le sue chiavi dell'appartamento nella toppa ed irruppe di corsa nella stanza, estremamente felice.
Saltellò da San, a richiedere un bacio incredibilmente tenero, prima di notare la mia presenza sul ciglio del letto.
«Al!»
Restituì alla mia occhiataccia uno sguardo di raggiante felicità. Giuro che cominciai a spaventarmi.
«Ha chiamato Lori. Dice se domani pomeriggio ci va di uscire con lui e Camilla»
«Sono incluso nell'invito?» domandò il ragazzo, fissando anche lui un po' dubbioso la sua fidanzata.
«Solo se vuoi» rispose lei, ma si vedeva che ci teneva immensamente che venisse pure lui.
In risposta, San fece spallucce.
«D'accordo, come vuoi tu. Mi hai portato gli spartiti?»
La castana annuì, tirando fuori dalla sua inseparabile tracolla un pacco di fogli alto quanto il mio libro di chimica. Nessuno notò la mia espressione scandalizzata.
«Grazie»
Per poco non tirai fuori l'insulina, visto l'improvviso aumento del tasso glicemico della stanza dato dallo sguardo che quei due si scambiarono. Non avevo mai visto una coppia più scoppiata eppure affiatata. Il nerd e la ragazza mondana. Sembrava l'ennesimo film spazzatura americano. Eppure non riuscivo a non tifare per loro.
A quel punto, San si rimise a scrivere il suo programma al pc, mentre Mel mi si avvicinò, sempre con quel sorrisone inquietante a deformarle la bocca.
Si buttò sul letto insieme a me, con la sola differenza che io ero seduta in un angolo, mentre lei ci si sdraiò bellamente sopra, incitandomi a fare altrettanto.
Fu con estrema cautela che mi misi supina ad osservare il soffitto bianco insieme a lei, le mani conserte sulla pancia a mo di cadavere e una paura fottuta di rompere qualcosa accidentalmente.
«Allora? Ti va bene domani?» mi chiese.
Annuii, distrattamente. Non sapevo se essere curiosa o spaventarmi. Magari ero l'una e l'altra cosa. Avevo paura di ritrovarmi davanti alla faccia un mostro mitologico a tre teste e mi ritrovai a pensare che, in tal caso, o Xena sarebbe venuta a salvarci, o saremmo stati fottuti.
«Secondo te perchè vuole conoscerci proprio ora? Di occasioni ne ha avute tante. Perchè ora?» chiesi, lievemente preoccupata. Lorenzo non parlava mai delle sue relazioni con noi ragazze e il segreto professionale fra lui, Marco e Ivan era incredibilmente saldo.
Mel non mi rispose subito. Sembrò pensarci su, magari un po' preoccupata pure lei, magari davvero felice per Lori. Mi sentii una persona orribile, perchè io non ero affatto felice per lui. Giuro che avevo provato ad emozionarmi per la confessione di sabato, ma non riuscivo a trovare nulla di positivo nel suo ritrovato amore per Camilla.
«Forse perchè Lorenzo la sta forzando. Vuole davvero fare le cose per bene stavolta, vuole che lei conosca tutto di lui e viceversa. Siamo una parte importante della vita di Lorenzo, no?»
«È per questo che sei così felice?» domandai. La vidi osservare la schiena di San, che sembrava davvero non far caso ai nostri discorsi. Era la normalità per lui. E se c'era una cosa di cui eravamo sicure, era che niente di ciò che ci eravamo dette sarebbe mai uscito da quella stanza per sua bocca.
Il suo sorrisone si allargò ancora.
«Ieri io e Alessandro abbiamo fatto l'amore su questo letto.» mi rispose, trasognante.
Le reazioni mie e di San furono molto simili. Entrambi arrossimmo, entrambi saltammo in piedi, come spinti da due molle, entrambi strabuzzammo gli occhi per la tranquillità con cui l'aveva detto. Entrambi gridammo qualcosa. Un «Dio, che schifo! E ci ero sdraiata sopra!» io e un «Mel! Ti sembrano cose da dirsi?!» lui.
Lei si limitò a ridere un altro po', mentre io tentavo di escogitare un modo per sterilizzare i miei vestiti senza doverli necessariamente bruciare. Un bagno nell'amuchina sembrava un'ottima soluzione.
San era ancora rosso, mentre guardava Mel, che si era tirata su a sedere a gambe incrociate, con un misto di adorazione, rimprovero e imbarazzo che ai suoi occhi lo rendeva adorabile. A me sembrava semplicemente stupefacente che potesse ancora esserci un ragazzo in grado di arrossire di fronte all'ammissione di una conquista.
Mi venne da sorridere nell'osservarli. Fecero uscire la parte dolce e femminile di me, quella parte che non vomitava davanti alle scene gratuitamente zuccherose di un rapporto.
Forse fu il mio sorriso a richiamare l'attenzione di Mel su di me, forse fu l'assenza di commentini acidi e cinici rivolti ai due, forse fu solo il fatto che me ne stavo in piedi come un ebete a pensare quanto cavolo sarebbe stato bello trovare una persona con la quale avere un rapporto di questo tipo; fatto sta che Mel mi guardò dubbiosa per circa tre nano secondi. Poi il suo cervello da shippomane convinta fece due più due e non so come me la ritrovai addosso, con un sorriso che superava il mio e delle urla talmente tanto alte da non essere udibili a noi poveri esseri umani.
«Cavolo cavolo cavolo! Era ieri! E io me ne sono completamente dimenticata! Sono un'amica orribile! Com'è andata?! Eh? Eh?!»
Cominciò a saltellare mentre io scoppiai a ridere, nel tentativo di liberarmi dal suo abbraccio stritolante e San tentava di capirci qualcosa.
«Che è successo?» mi chiese, abbandonando dal principio ogni tentativo di interagire con la fidanzata, che ormai era completamente uscita di senno.
«Sono uscita con Mattia ieri» dissi, sorridendo. Diamine, perchè non riuscivo a smettere di ridere?!
A questa mia risposta Mel lanciò un altro urletto eccitato, senza rinunciare a saltellarmi intorno.
«Ed è andata bene! Lo so! Altrimenti non avresti risposto così! Raccontami tutto!»
Mi costrinse a sedermi -rigorosamente per terra, non avrei più toccato quel letto nemmeno coi guanti!- faccia a faccia e a raccontarle l'uscita per filo e per segno. Inizialmente avevo tentato di abbozzare un «Niente di che... mi sono vestita come una maratoneta, lui è arrivato tardi, abbiamo visto un film osceno, gli ho tirato un casco, mi ha baciata, mi ha scaricata, stiamo uscendo insieme», ma Mel, dopo lo shock iniziale, aveva chiesto sempre più dettagli, dall'effettivo mio abbigliamento da maratoneta, per arrivare ai commenti acidi che avevo rivolto al film, per finire con la descrizione più dettagliata possibile del nostro bacio. San si era allegramente isolato col suo computer, non essendo minimamente interessato al movimento di lingua di Mattia, mentre per Mel era di fondamentale importanza per capire il carattere della persona. Le lasciai formulare le sue teorie, prima di sganciare la bomba.
«Quindi vi metterete insieme!» esultò, felice come una pasqua. Stava per rimettersi a esultare per tutta la stanza, ma la bloccai appena in tempo.
«Non succederà mai Mel.»
Non so in che diavolo di modo lo dissi. Volevo suonare convinta e soddisfatta, ma mi sa che non ci riuscii.
Il sorriso di Mel si sciolse lentamente, per lasciare il posto ad un'espressione dubbiosa.
«Perchè scusa? È fidanzato?»
Scossi la testa, seria.
«Ti ha chiesto di fare qualcosa che non vuoi fare?»
Scossi la testa, con più convenzione.
Ci mise qualche istante di più a formulare quest'altra domanda.
«Ti piace qualcun altro?»
Aggrottai le sopracciglia, di fronte a quella domanda. Avrebbe dovuto saperlo che non c'era nessun altro, altrimenti le avrei fatto una testa grande quanto la Groenlandia con il suddetto soggetto.
«Non ci sarebbe niente di male se ti piacesse...»
Perchè avevo l'impressione che si fosse trattenuta da dire un nome in particolare? A chi cavolo poteva aver pensato?
«Chi?»
Storse la bocca. Quella conversazione aveva cominciato ad essere scomoda per entrambe. Cosa sapeva Mel che io, la diretta interessata, non sapevo? Davo per caso l'impressione che mi piacesse qualcuno? Impossibile.
Infine sbuffò, esasperata.
«Ma che vuoi che ne sappia! Qualcuno!»
Inarcai un sopracciglio, non del tutto convinta, ma decisi di sorvolare. Se non mi aveva detto niente era perchè la cosa la metteva in difficoltà ed era l'ultima cosa che volevo fare.
«Non voglio un ragazzo e nemmeno lui vuole una ragazza. Vogliamo solo qualcuno che ci permetta di essere noi stessi e conservare la nostra individualità.» spiegai con semplicità e un'alzata di spalle.
Mel conservò la sua espressione cupa, mentre San si mise a ridere di gusto.
«Un trombamico insomma!»
Avvampai, mentre la sua ragazza lo inceneriva con lo sguardo.
«Non incoraggiarla, Alessandro!» borbottò, mentre io mi rimpicciolivo nel mio imbarazzo.
«Non è un trombamico!» dissi a mia discolpa, rimproverandolo con lo sguardo.
«È quello che hai descritto. E meriti di meglio!» sbottò Mel, incrociando le braccia al petto. «Ci sono così tanti ragazzi che vorrebbero stare con te seriamente!»
Alzai gli occhi al cielo.
«Non cominciare Mel. Io non li vedo questi fantomatici ragazzi! E poi non hai sentito? Sono io a volere questa situazione. L'ho scelta io! Non voglio avere meno tempo per stare con voi, non voglio trovare un posto fisso a Sigismondo perchè potrebbe arrivarmi un messaggio da un momento all'altro. Voglio continuare a perderlo per casa, voglio continuare a dipendere unicamente da me stessa, a non dover rendere conto a nessuno se una sera mi girano e decido di non uscire! È così difficile da capire?»
Mi fissò per attimi infiniti. Scrutò la mia determinazione, assaporò il significato delle mie parole.
Infine sospirò, sconfitta.
«Sai che Mattia mi piace... È perfetto per te.» Ammise, ma ebbi l'impressione che mancasse un qualcosa a quella frase per essere conclusa.
«Ma?»
«Rimane comunque il tuo trombamico!» concluse, con una risata.
Incrociai le braccia al petto, indignata.
«Non-è-il-mio-trombamico! Il mio ginecologo può testimoniare la mia verginità!» sbottai, assumendo un colorito più acceso del sole al tramonto.
«Per ora...» disse soltanto San, prima di mettersi a ridere anche lui insieme a Mel.


L'insistenza della vibrazione del telefono mi costrinse ad accostare la vespa e leggere il messaggio. Mancavano appena 200 metri al parcheggio, ma non sopportavo quella sensazione vibrante. Cinque minuti in più o in meno, non avrebbero ucciso nessuno.
Fu con un sorriso che lessi il nome sul display. Me ne pentii immediatamente. Ero ridicola a livelli infiniti.
Ci vediamo oggi?”
Tentai di rispondere il più velocemente possibile, ma finii solo per complicarmi la vita con quell'odiosissimo T9 e impiegare solo più tempo a scrivere un banalissimo.
Mi spiace, ma devo combattere un mostro a tre teste e non so se Xena ci aiuterà!”
La risposta di Mattia arrivò quando ormai avevo parcheggiato e mi ero incamminata verso il luogo dell'appuntamento.
Non conosco il numero di Hercules, ma Iolao è sempre disponibile a dare una mano!”
Avevo ancora il sorriso sulle labbra, fregandomene della mia infinita ridicolezza, quando raggiunsi Mel, San, Iv e Lori.
Soltanto Mel mi sorrise di rimando. Ivan mi squadrò da capo a piedi, come se stesse tentando di capire dove avessi nascosto la bomba.
«Che le succede?» chiese, circospetto, agli altri tre.
Fu San a rispondere, con un'alzata di spalle e un tono noncurante.
«Solo il suo trombamico, credo.»
A quel punto sbuffai. Stavo per ripetere che no, Mattia non era il mio trombamico, ma la coppietta mi anticipò.
«Sì, lo sappiamo!» riprese Alessandro.
«Non è il tuo trombamico!» concluse Mel.
Alzai gli occhi al cielo di fronte ai loro sorrisi allusivi e allo sguardo cupo di disapprovazione di Ivan.
«Possiamo andare? Cam arriva alla stazione fra dieci minuti!» ci incitò Lorenzo.
«Marco è in ritardo?» chiesi, notando l'assenza del biondo.
«Aveva da fare.» mi rispose Iv, in modo totalmente piatto.
«Beh, avremmo potuto fare un altro giorno allora, no?» insistetti, mentre Lori mi spingeva gentilmente ad attraversare la strada e dirigerci verso la stazione.
Questo incrociò il mio sguardo confuso, rivolgendomi un sorriso strano, quasi intenerito, come un genitore che rimpiange l'ingenuità del figlio che ancora non può capire tante cose.
«Aveva da fare tutta la settimana.»
Ridussi gli occhi a due fessure sottili nello scrutare il suo viso.
«Mi stai nascondendo qualcosa» mormorai, così che solo lui potesse sentirmi.
Ivan e gli altri due avevano abbandonato la conversazione per lanciarsi in qualcosa di più appassionante e io speravo davvero di capire perchè, da poco tempo a quella parte, tutti sembravano tenermi nascosto qualcosa: si bloccavano a metà dei discorsi, come Mel aveva fatto il giorno prima, mi rivolgevano sguardi strani. Se all'inizio c'ero passata sopra, adesso cominciavo a trovarlo snervante.
«Se anche fosse, sai perfettamente che non potrei dirtelo.» rispose lui, calmo all'apparenza. In realtà mi stava supplicando con gli occhi di non indagare, di non metterlo in situazioni spiacevoli. Volevo farlo? Ne valeva davvero la pena?
Scrollai le spalle, sbuffando, segno che dichiaravo la resa in quella battaglia silenziosa. Lorenzo mi sorrise, grato e mi passò un braccio intorno alle spalle in uno di quegli pseudo abbracci da passeggio.
Col senno di poi, quel suo gesto di ringraziamento non fu proprio una grande idea. Quando arrivammo alla stazione, Milla-Camilla era già là ad aspettarci e fu così che ci vide.






È solo una mia impressione, o l'intero capitolo è una sfilza di cavolate ENORMI? Mi sento in colpa ad averci messo un mese intero per scrivere queste cinque pagine di -inserisci qui il termine che più ti aggrada-.
Ho deciso di spezzare il capitolo in due, perché altrimenti ci avrei messo un altro mese a finirlo e non potevo lasciarvi così ><
Grazie infinite a tutti quelli che leggono, che recensiscono, che mi ricordano, seguono o preferiscono. Vi adoro immensamente.
Al prossimo chap!
   
 
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