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Autore: Ninfee    10/09/2011    2 recensioni
Un amore struggente, profondo, spezzato da idee antiche e chiuse di genitori troppo egoisti per poter pensare ai loro figli.
Una storia d’amore drammatica, commovente, straziante.
La storia di due ragazzi separati nel peggiore dei modi.
Due ragazzi che sognano di riunirsi, ma che non si rincontreranno mai.
Tratto dal Prologo:
Scorpius le sfiorò la bocca, ma si ritrasse in fretta, avvertendo una leggera scossa che li fece trasalire. Si portò le dite alle labbra, toccando il punto dove gli doleva. Ma non faceva così male. Più che altro... bruciavano. Era come se avesse sfiorato qualcosa di molto caldo, ma allo stesso tempo, non poteva che desiderarne ancora. Anche Rose se le sfiorò con le dita, continuando a fissare gli occhi del giovane in cerca di una risposta.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Rose Weasley, Scorpius Malfoy | Coppie: Rose/Scorpius
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
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Capitolo 13

 

- È troppo tardi per i castelli, se non per quelli di carta -



È duro perdonare, e guardare codesti occhi, e toccare codeste mani consunte.

Baciami ancora; e non farmi vedere i tuoi occhi!

Ti perdono per quello che mi hai fatto. Io amo la mia assassina;

ma il tuo assassino, come potrei perdonarlo?

“Cime Tempestose!”, Emily Brontë




«Rose»
«Mh?»
«Come l'hai chiamata?»
La voce era bassa per la paura di non svegliare la bambina, che ora giaceva addormentata in un lettino accanto alla madre. Sembrava che Scorpius – i suoi occhi grigi, i suoi capelli biondi, di cui tanto aveva sentito parlare da Rose – fosse riuscito a darle una calma che non aveva mai avuto prima: dormiva tranquilla, ora, in un sonno impenetrabile. Rose la guardava con quegli occhi di madre, più sicura che mai. Sicura che sarebbe potuta vivere bene anche senza di lei: con Scorpius, non doveva temere.
«Non le ho dato un nome, per ora. Vorrei fossi tu a sceglierlo» Scorpius fece per replicare, ma lei lo interruppe; quello era il momento per parlare, «In realtà, speravo di farlo insieme. Quel pomeriggio ti venni a cercare anche con quest'intenzione. Però hai ragione tu: ti ho privato della gravidanza, della sua nascita, di troppi momenti importanti. Devi essere tu a decidere»
Rose parlava seriamente, non era pentita di avergli lasciato questa libertà, sentiva che era la cosa giusta.
«Rose, io… non me la sento. Scegliamolo insieme. Torniamo a stare insieme, Rose», lei chiuse gli occhi, girando il capo dall'altra parte. Quelle parole erano come lame ardenti che fendevano la carne fresca del suo petto; facevano sempre più male, un dolore atroce, insopportabile «io e te, come una volta» le stingeva convulsamente una mano, mentre parlava, mentre la sua voce si infervorava, cresceva, e con lei la speranza «Avremo quella famiglia che abbiamo sempre sognato, Rose»
«Scorpius, ti prego»
«Con lei, poi, sarà tutto perfetto. Rose, ci pensi? Staremo insieme, e non ti lascerò mai più. Sempre insieme, Rose, io e te»
I loro nomi venivano ripetuti da entrambi ogni qual volta ne capitasse l'occasione: troppo tempo era passato da quando l'uno aveva pronunciato il nome dell'altro, e farlo li faceva sentire più vicini, come se non fosse solo un sogno.
Rose si decise ad aprire gli occhi, ma si trovò davanti quelli di lui, grandi, grigi, speranzosi, senza più quel velo d'eleganza e impenetrabilità che avevano sempre avuto. Rose non l'aveva mai visto così nudo e spoglio. Vivo, come un essere umano che soffre, che spera e s'illude.
«Sei sposato, Scorpius», il suo era quasi un lamento: il lamento di una fenice, di quell'uccello maestoso che sarebbe rimasto fedele al suo padrone per l'eternità. Il lamento di una vita che ormai non aveva più senso ma che lottava per averlo, per rimanere fedele a se stessa e all'uomo che ama, con quel canto disperato che altro non era che l'ultima goccia di un vaso pieno di dolore, di sfinimento, di speranze vane.
«Non mi importa. Divorzierò, io e Scarlett ne avevamo già parlato. Ritornerà tutto come prima, come se non fosse successo nulla»
«Scorpius, no. Non voglio», gli occhi di lui, prima persi a vedere il loro futuro che non era che una parte del loro passato, ora si spostarono nei suoi, «Per quanto possa far male, non posso fingere che non sia successo nulla. Non posso, capisci? Niente – niente – potrà mai ritornare come prima. E lo sappiamo benissimo entrambi»
«Perché dici questo, Rose? Perché stai parlando a quel modo?»
Scorpius era allibito, disorientato da lei e dalla sua reazione, non si aspettava una risposta così. Non aveva mai pensato ad un suo rifiuto. La sentiva persa, lontana come lo era stata da scomparsa, se non ancora di più.
«Perché hai scelto lei! Non me, Scorpius, non te lo dimenticare. L'hai sposata, hai-»
«No! Questa è un'idiozia! Se solo mi facessi parlare, capiresti»
«Non c'è niente da capire. Lo vedi questo, eh?» stava indicando il macchinario al quale era attaccata, che segnava – rintoccava – ogni suo secondo, ogni suo battito. Ormai le voci si stavano alzando, e il suo cuore non era regolare, ogni battito era forzato. Lui non capiva, ma rimase in silenzio, aspettando che proseguisse. «Questo è il motivo per cui sono ancora qui. Sentire quel bip è l'unica certezza che ho di essere ancora viva. Questo, Scorpius, non lo posso cancellare come si fa con un disegno venuto male, capisci? Domani potrei perfino non esserci…»
«Non dirlo neanche»
«È solo la verità»
Solo lei sapeva quanto quelle parole fossero veritiere, solo lei si sentiva così vicina alla morte che pensava di poterla toccare.
«Dimmi cos'hai, lo voglio sapere»
«Un'insufficienza cardiaca non indifferente. Anzi, parecchio grave. Potrei morire qui e adesso, così, per un nonnulla»
Si sentiva trafitto da mille lame, trapassato da parte a parte, dilaniato, distrutto, martoriato. Non si sentiva più umano, solo un pezzo di carne da macello. Rimase immobile.
«Non volevo dirtelo, non avrei dovuto, scusami», si mise seduta meglio, come se facendolo potesse controllare meglio la situazione: cambiare serviva ad avere le idee chiare, e a notare i propri errori. Le rimaneva solo sperare di poter porre rimedio.
«Non voglio che pensi sia colpa tua; non lo è affatto. È solo a causa mia se ora sono in queste condizioni, ho sbagliato tutto. Non avrei dovuto farmi coinvolgere tanto da noi, avrei dovuto guardare la realtà e basta», solo in quel momento alzò lo sguardo e lo puntò dritto nei suoi occhi, folgorandoli. Lo stava giustificando del suo comportamento, si incolpava del dolore che aveva subito.
«Come puoi dire una cosa del genere? Come puoi giustificarmi, come puoi credere di esserti illusa? Come puoi pensare che tutto quello che abbiamo passato sia solo frutto dei tuoi sentimenti?»
«Se mi ritrovo così è perché non ho aperto gli occhi, perché ho continuato a vivere nel passato. Tu non c'entri» Continuava ad alimentare le sue stesse bugie, continuava a martoriare il suo povero cuore. Era colpa sua, non di Rose. Sua e basta. Le aveva spezzato il cuore, letteralmente, e lei non voleva ammetterlo. Ma non avrebbe lasciato correre, era colpa sua, e si sarebbe preso le sue responsabilità. Non sarebbe più fuggito.
«Non c'è niente di più veritiero di ciò che noi avevamo, di quello che eravamo. Non ti sei lasciata andare tu, Rose, non è come stai cercando di convincerti: eravamo coinvolti entrambi in quel modo oppressivo e senza via d'uscita»
«Allora perché? Perché hai voluto mettere fine a tutto quello? Perché hai scelto lei, perché mi hai abbandonato?»
«Perché ho dovuto»

 *

 

 

Qualche mese dopo la scomparsa si Rose


Hermione Granger era sempre stata una donna forte. Lo era stata da bambina, facendosi valere, dimostrando si essere all'altezza dell'amicizia di Harry e Ron. Lo era stata da adolescente, aiutando i suoi amici, sopportando il dolore del suo amore non corrisposto. E poi lo era stata da madre, da donna adulta, guadagnandosi la stima dei suoi figli, di tutto il mondo magico. Dov'era quella donna? Dov'era la sua forza primordiale?
Si sentiva sfinita, sfiancata, priva della sua anima, della sua vita.
Il fiore più bello del campo d'un tratto, per mancanza d'acqua, si era appassito, e tutta la sua bellezza era sfumata. I suoi morbidi petali rosei si erano scuriti, abbruttiti; stavano morendo. Il suo gambo forte e diritto, fiero e caparbio, si era indebolito, e il fiore aveva girato il suo volto verso il terreno, senza mai più mostrarlo al cielo.
Rose era l'acqua di cui era stata privata da quel destino malevolo.
«Mamma?»
Hermione sussultò e distolse il suo sguardo ferito dalla foto che teneva in mano, voltandosi verso il figlio. Hugo era in cima alla scala, un libro in mano. Si passò stancamente una mano tra i capelli ramati, alla vista della madre: era dimagrita, passava la maggior parte del tempo a guardare vecchie foto; si stava distruggendo da sola. Non sopportava più quella situazione.
«Mamma, papà mi ha mandato un gufo: dice che sta andando con zio Harry e una squadra di Auror a Notturn Alley ad appendere i volantini. Chiede se vogliamo andare»
«No. Se vuoi va' tu, io non me la sento. Preferisco restare a casa a…»
«…a deprimerti con quelle fottutissime foto, lo so. Non tornerà se non fai qualcosa, lo capisci?»
Pugnalate.
Dritte al cuore e allo stomaco.
«Smettila. Non sai di cosa stai parlando»
Aveva perfettamente ragione, invece.
«Capisco quanto ti manchi, mamma, manca anche a me. Ma tu non reagisci, miseriaccia, non fai nulla!»
«Hugo, basta. Sta' zitto»
Quelle parole bruciavano sulla sua pelle come i rovi ardenti di un rogo assassino. Le dilaniavano la carne. La stavano consumando.
«Non ti riconosco più, mamma»
Gettato il libro sul tavolo della sala da pranzo, quello dove poco prima la madre stava guardando le foto, Hugo uscì di casa, andando a raggiungere, probabilmente, il padre.
Hermione si passò stancamente le mani sul volto scarno, aspettò qualche secondo e poi si volse, verso l'album ancora aperto. Quelle foto la ritraevano prima con un fagottino in braccio, in un letto d'ospedale, mentre Ron le sorrideva e poi baciava la sua – la loro – bambina; poi, ritraeva una bambina di poco più di due anni, con un cappottino e un cappellino a proteggerla dal freddo, i capelli rossi e le lentiggini che spiccavano sullo sfondo di candida neve. Con le piccole manine era aggrappata a Ron che, piegato per concedere alla figlia di tenergli la mano, faceva cenno ad Hermione di raggiungerli, con un meraviglioso sorriso sul volto, mentre la bambina rideva e tirava il dito del padre. E ce ne erano altre cento, così.
A malincuore, Hermione chiuse l'album, serrando gli occhi: suo figlio aveva ragione; non sarebbe servito a nulla, ma la faceva sentire meno sola.
Quello che Hermione non riusciva a capire, in quel momento, era la totale assenza di solitudine: Ron e Hugo, Harry e Ginny, e tutti gli altri non le erano mai stati così vicini. Solo che l'assenza di Rose le toglieva il respiro.


 

 

Giorno del ricovero di Rose al San Mungo


«Quante volte ti ho detto di non farlo, eh?»
«Mamma, dài, era solo una gara con le scope, ormai ci dovresti essere abituata»
Hugo Weasley era seduto su una sedia di legno in salone, con le ginocchia massacrate e un'espressione sofferente sul volto, mentre Hermione gli disinfettava le escoriazioni provocate dalla violenta caduta, con un irritato cipiglio che non prometteva niente di buono. Aveva l'aria stanca, ormai da tempo, e sembrava che Hugo facesse di tutto pur di portarla all'esasperazione: non aveva più neanche il tempo di guardare le sue foto, a furia di stargli appresso. Ogni giorno gliene succedeva una.
Si appuntò mentalmente di ringraziarlo, un giorno, per non averle concesso un attimo di tempo per abbattersi.
«Tu e Lily dovete assolutamente finirla con queste stupide gare a chi corre più veloce, Hugo. Avete quattordici anni suonati, dovreste essere responsabili, ormai. Noi, alla vostra età, non ce le sognavamo neanche certe cose»
«Certo, zio Harry era solo impegnato nel Torneo Tremaghi, all'età mia!»
Hermione stava per ribattere, quando Ron spalancò la porta dell'ingresso, trafelato.
«Al San Mungo! È ricoverata lì… Dio, Hermione, l'abbiamo trovata…»
Il peso immane che Hugo sentiva sullo stomaco da ormai due anni, improvvisamente era scomparso, dissolto nel nulla.
Hermione si alzò di scatto, il cuore che ruggiva nel petto. Non ci poteva credere… si avvicinò a grandi passi verso Ron e lo abbracciò di slancio, mentre lacrime di gioia sgorgavano dai suoi occhi castani.
*

«… io ti amo ancora, Rose. Devi credermi, non ho mai smesso di farlo»
Tutto quello che le aveva raccontato aveva senso, combaciava perfettamente. Non una falla, non un punto lasciato in sospeso, in attesa di una spiegazione. Rose finalmente capiva cosa l'aveva separata da lui, e non riuscì a reprimere un singhiozzo. Iniziò a piangere lacrime di una gioia infinita, a singhiozzare, mentre il cuore le fece male; un male atroce, proprio sul petto, che le toglieva il respiro: non poteva essere già arrivata la sua ora, no. Proprio adesso che si erano chiariti, proprio ora che stava per tornare tutto come prima. Lottò con tutte le sue forze, si fece coraggio, si impose di vivere. Lo abbracciò forte, stringendo le sue spalle, la testa nascosta nell'incavo del collo, a respirare il suo odore; sentiva che quella era l'unica fune che le avrebbe impedito di cadere, e così fu: riprese il controllo prima che la macchina e Scorpius si potessero accorgere di quello che era appena successo al suo cuore. Continuò a singhiozzare per l'incredulità e per la gioia, mentre lui la stringeva, la toccava come la prima volta.
Appena sentì che si era tranquillizzata, nonostante le lacrime continuassero a scendere e a bagnargli il collo, le mise le mani dietro la nuca, e avvicinò le sue labbra alle proprie. Il bacio che si scambiarono fu un bacio disperato: la disperazione dei loro animi dilaniati e stravolti, la disperazione nel far capire all'altro quanto fosse l'amore che li legava, la disperazione del loro ultimo bacio. Rose sapeva che mancava poco, ma se prima lo accettava, ora faceva un male terribile, insopportabile.
*

Hermione non sapeva cosa provare, se rabbia, o se gioia, ma l'angoscia di quello che poteva succedere non l'abbandonava mai. Adesso li stava guardando dal vetro, mentre si abbracciavano e si baciavano, mentre sua figlia piangeva, si disintegrava. Quel ragazzo la stava distruggendo, ma sapeva che se non ci fosse stato sarebbe stato ancora peggio. Aveva assistito a tutto, in silenzio: sapeva da Ted che quel ragazzo l'aveva lasciata e abbandonata, e ora era tornato, con la moglie. Adesso stava baciando la sua bambina, come se non desiderasse altro. Sentiva la rabbia crescere, e distolse lo sguardo. Si voltò, e riandò nella sala d'attesa: Ron ed Harry erano sicuramente tornati. Persino lui, che non aveva mai ceduto al dolore, aveva sentito il bisogno di uscire, e Harry lo aveva seguito. Ma lei non voleva uscire, lei voleva vedere Rose, voleva accertarsi che stava bene, che stava ancora lì e che l'averla ritrovata non fosse solo uno stupido scherzo della sua mente.
Hugo l'accolse con un abbraccio, persino lui era sconvolto, così come tutta la famiglia che la guardava affranta.
«Mamma, le hai parlato?»
Hermione scosse la testa.
«Sta ancora lì dentro con Malfoy?»
Annuì.
«Pezzo di merda, adesso vado io a sistemarlo, se si osa avvicinare a Rose, io…»
«Hugo, sta' calmo. Controllati»
«Ma…»
«Vuole stare con lui, noi non c'entriamo» disse stancamente lei.
«Hermione, non puoi permettere tutto ciò! Nelle condizioni in cui si trova grazie a lui, poi! Come puoi, sei sua madre!», adesso si era aggiunta anche Ginny, che si era alzata e la stava fronteggiando. La sala era cauta in un silenzio tombale.
«Credi che non lo sappia? Credi davvero che non me ne accorga, eh, Ginny? Lo faccio proprio perché sono sua madre!»
La sua voce echeggiò nella sala bianca.

*

«È bellissima, Rose. Ti somiglia molto»
«Io non direi» rispose sorridendo e guardandolo negli occhi «È molto più simile a te che a me. Guarda, ha il tuo viso»
Scorpius la strinse di più al suo petto, mentre con la mano destra accarezzava quella di Rose.
«Gli occhi sono i tuoi. E anche le labbra»
Avevano perso la cognizione del tempo, entrambi; non sapevano che ora fosse, che giorno, da quanto tempo erano chiusi in quella stanza. Ma andava bene così, anzi, più trascorrevano tempo insieme e più si sentivano meglio.
«Ancora non ci posso credere, sai? È nostra figlia»
«Sì, mi sento più tranquilla ora. Starà in buone mani quando io… non… non ci sarò più»
Scorpius la fisso, l'espressione contratta.
«Non dirlo nemmeno. Tu ci sarai, hai capito? Vivremo insieme, ci compreremo una casa tutta nostra, la vedremo crescere… e saremo felici. Tutti insieme, mi hai sentito? Tu vivrai, Rose. Promettilo. Prometti di combattere, di reagire!»
Non voleva neanche pensare alla sua possibile morte; la sua vita sarebbe crollata per sempre, definitivamente. Che gli rimaneva, se lei se ne fosse andata? Una vocina nella sua mente continuava a gridare “la bambina”, ma Scorpius non l'ascoltava. Se Rose fosse morta, lui l'avrebbe seguita.
«Scorpius, non è così facile. È inutile illudersi»
«Tu provaci! Rose, io ti giuro che non morirai. Resterai con me»
«Non promettere cose che non puoi mantenere»
Ma Scorpius diceva sul serio, credeva in quel giuramento, ci credeva con tutto se stesso, ci credeva come mai aveva creduto in qualcosa.
«Allora promettilo anche tu, Rose»
Il suo fervore d'animo stava contagiando anche lei che, nonostante sapesse bene che quello che stava per promettere era impossibile da mantenere, si lasciò trascinare dalla foga del momento:
«Lo giuro, Scorpius. Giuro di combattere contro il mio stesso cuore»

 

Scorpius fu costretto ad andarsene qualche minuto dopo: si erano fatte le cinque del pomeriggio – Dio, come volava il tempo con lei!– e lui aveva un altro colloquio di lavoro al Ministero. A malincuore, lasciò la stanza con Rose e la bambina per raggiungere Scarlett.

«Tornerò domani», le disse, baciandole il palmo di una mano. Poi era uscito, lasciandosi alle spalle un vuoto immenso. Lo stesso che portava nel petto.

*

«Hermione»
Lei si voltò, al suono della voce del marito, che la stava guardando insime ad Harry sulla porta. Erano appena tornati. Non si era resa conto di aver perso il controllo, lei non lo perdeva mai. Guardò Ginny, che era ammutolita davanti a lei: non si aspettava di certo una reazione tanto violenta.
Il cuore le si strinse.
«Scusami, Ginny. Non so cosa mi sia preso, davvero. Scusami», cercò di avvicinarsi, timorosa della reazione della donna. Ma questa non si sottrasse al suo tocco, anzi le accarezzò un braccio, con fare premuroso, annuendo.
«Hai ragione tu: avrei fatto lo stesso. Ora, ragazzi, andiamo a casa, si sta facendo tardi. Hermione, Ron, torneremo domani mattina, va bene?»
Annuirono.
La famiglia Potter uscì dall'ospedale poco prima di Scorpius.

 

Hermione e Ron entrarono nella stanza di Rose, facendo attenzione che non stesse dormendo. La trovarono sveglia ad allattare la bambina. I coniugi si guardarono, poi si avvicinarono al letto.
«Ciao, Rose», lei alzò lo sguardo, sorridendo.
«Come stai?» le chiese la madre.
Rose alzò le spalle, in risposta.
«E… ehm, la bambina? Come sta, lei?» fece Ron, imbarazzato: non sapeva come comportarsi, insomma, quella era sua… nipote! Era troppo presto per essere nonno, e di certo era troppo presto per sua figlia essere madre. Come aveva potuto permettere che accadesse? Non le era stato vicino abbastanza, forse. Forse aveva sbagliato tutto.
Hermione stava pensando le stesse identiche cose.
«Anche lei sta bene. Non è meravigliosa? Venite»
Ron e Hermione si avvicinarono titubanti; si misero seduti vicino a lei, tenendosi la mano.
«Mamma, non credevo che potesse essere così bello essere madre, sai? È…»
«…Magico» rispose per lei, annuendo e sorridendole. La capiva benissimo.
«Papà?»
«Mh?», Ron si riscosse dai suoi pensieri: stava guardando la bambina, incantato. Le somigliava così tanto… Dio!
Ogni dubbio, ogni domanda, ogni titubanza stavano venendo fuori, e Rose vedeva nei suoi genitori l'unica risposta certa.
«Anche per te è stato lo stesso?», aveva paura che Scorpius si potesse tirare indietro, aveva paura che avrebbe lasciato la loro bambina da sola. Ron l'aveva capito, sapeva cosa volesse dire quella domanda, quali paure racchiudesse.
«Non ho mai provato nulla di simile»

*

Il giorno dopo, Scorpius andò al San Mungo di buon'ora, ansioso di rivederle.
Trascorsero un po' di tempo parlando del loro futuro, della loro vita insieme; Rose fingeva di sorridere, si costringeva a non piangere perché sentiva che non ci sarebbe stato nulla di simile per lei, sentiva che sarebbe andata contro la sua parola, che non ce l'avrebbe fatta.
Così, quando Scorpius le disse: «Ti amo», in modo così netto, senza titubanze e indecisioni, Rose sentì che il suo cuore non avrebbe più retto tanto amore. Era finita. Cercò di lottare, di non far percepire a nessuno – tantomeno alla macchina che la controllava, quella creatura di ferro che la scrutava, a ricordarle i suoi errori fatali – quella situazione, cercò di mantenere il controllo ancora per qualche secondo: alzò gli occhi azzurri verso quelli argentei di Scorpius, guardandolo in un modo con cui non lo aveva mai guardato. Quello sguardo era l'ultimo che poteva donare a lui, ed era colmo di tutto il suo amore, di tutta la sua tristezza nel lasciarlo, di tutto ciò che erano loro due, di quello che avevano passato e che avrebbero voluto passare.
«Anche io ti amo, Scorpius» l'ultima volta che avrebbe pronunciato il suo nome.
Lui non capì il suo sguardo, non capì il suo tono, ma si sporse per baciarla, come attirato da una strana forza.
Lei si scanzò, prima che le loro labbra si potessero sfiorare, spaventata da come il suo cuore potesse reagire a quel contatto, anche se le costò moltissimo: il loro ultimo bacio…
«Vammi a prendere qualcosa da bere: ho la gola secca», aggiunse poi, senza guardarlo negli occhi: sarebbe stato ancora più difficile, altrimenti.
Lui si alzò, senza dire nulla, confuso da quella reazione, e uscì dalla stanza austera. Rose si girò verso la bambina, le baciò una guancia rosea, le accarezzò la mano liscia. Poi, si girò verso la vetrata, e vide la schiena di Scorpius ad una macchinetta per le bibite, pronto ad accontentarla in tutto. Chiuse gli occhi, mentre una lacrima le bagnava la gota arrossata dallo sforzo immane di controllare il suo cuore.
Ora non ce ne sarebbe stato più bisogno.



Scorpius si stava incamminando verso la sua stanza, un bicchiere di thè in mano, senza alzare gli occhi dal pavimento, quando una fitta fortissima gli colpì il petto, all'altezza del cuore. Istintivamente alzò gli occhi verso il vetro dal quale si vedeva il letto di Rose; quello che vide lo spiazzò. Il sangue gli si gelò nelle vene, la testa rimbombava, quel bicchiere si faceva troppo pesante, non riusciva più a tenerlo…
Rose stava annaspando nel letto, le macchine che segnavano il suo cuore impazzito.
Il bicchiere cadde sul pavimento in un tonfo sordo, mentre il thè si spargeva velocemente e Scorpius si fiondava sulla porta.
Correva verso di quella, ma sembrava irraggiungibile, pur essendo lontana solo pochi passi. Una volta arrivato, la iniziò a battere freneticamente, spingendo, ruotando con furia e terrore quella maledetta maniglia. La porta sembrava bloccata, non voleva lasciarlo passare.
Diede delle spallate, ma neanche quella la fecero spostare di un millimetro; batteva i pugni, spingeva… non sapeva neanche quanto tempo era passato, se secondi, o minuti.
Sentiva che stava facendo tardi, troppo tardi, e delle lacrime infuocate gli bagnarono le guance pallide di terrore.
«Aiuto! Qualcuno mi aiuti! Rose, Rose, resisti! Rose! Aiuto!», iniziò a urlare, continuando a battere su quella porta bianca. Non aveva il coraggio di alzare gli occhi verso il vetro, non voleva farlo.
La testa girava, non riusciva a capire più nulla, l'unica cosa a cui riusciva a pensare era entrare in quella stanza. Ma il destino sembrava avercela con lui.
Dei passi risuonarono nel corridoio scabro, e Scorpius si voltò, con gli occhi grigi sconvolti. Dei Medimaghi si stavano avvicinando correndo, e solo quella vista poté riscuoterlo: ordinò le idee, e si impose di tranquillizzarsi; allora guardò la porta, dove una scritta nera risaltava su uno sfondo bianco: “tirare”, c'era scritto.
Troppo sconvolto da quello che stava succedendo, non ci aveva fatto caso.
Tirò, allora, e finalmente riuscì ad entrare.
Rose giaceva immobile sul letto, e le macchine avevano smesso di lamentarsi. Aveva gli occhi chiusi, sembrava dormire, abbandonata su quel letto, in abbandono più forte del sonno, la testa poggiata sul cuscino candido con innaturale gravezza. I capelli ricadevano rossi ad incorniciarle il viso pallido e freddo.
Scorpius boccheggiò.
Entrarono in quel momento anche i Medimaghi, che lo spostarono di peso per poter accorrere. Lui non si mosse, immobilizzato a guardare Rose.
«No!»
Neanche il grido acuto e gelante di quella donna – di quella madre – dai capelli castani lo riscosse.

   
 
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