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Autore: AngelSword    10/09/2011    4 recensioni
Pensieri, parole, emozioni. Solo tracce d'inchiostro su carta, ma delle persone ci hanno creduto davvero.
Una raccolta di One-Shot che vedono i protagonisti dell'Ancient Saga come i "pensatori".
!!!ATTENZIONE: Per leggere questa raccolta bisogna aver letto almeno il primo volume della serie!!!
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Roronoa Zoro, Un po' tutti
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Ancient Saga'
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 Premessa
 

Bene, bene, bene... Eccomi di nuovo qui =P
Parto subito col dire una cosa sulla fic precedente a questa, vale a dire "Opposti".... Dato che io faccio schifo a scrivere allora è solo naturale che quasi nessuno abbia capito di chi erano i punti di vista XD Comunque, il primo a parlare era Zoro mentre la seconda era Aqua =) E le cose in corsivo erano mie riflessioni XD
Ok, primo avvertimento: come già avrete capito dal titolo, questa non è una fic allegra. Forse è una delle cose più cupe che io abbia mai scritto. Ma cercate di capirmi, domani è l' 11/9 ed io sono una di quelle persone che sono rimaste profondamente segnate da quell'evento.
Tornando a noi, suggerisco l'ascolto di una di queste due canzoni: "Comatose" oppure "Falling Inside The Black" entrambe degli Skillet.
Detto ciò, ringrazio di cuore chi legge, chi segue, chi preferisce, chi ricorda e chi recensisce ^^
Buona lettura a tutti =D ♥


4. Oscurità

Nero. Nero ovunque guardi. Non un filo di luce, non un barlume di ragione. Cerco di fare mente locale. Sento il cuore smettere di battere ed il respiro mi si blocca nel petto quando ricordo il passato. Ah, sì, giusto: io un passato non ce l’ho più. É stato distrutto, fatto a pezzi e lasciato lì. Miserabili rovine di una vita.

Brucia. Sento che brucia. Il petto. Sento come se stesse andando a fuoco, qualcosa che striscia lentamente su di esso mi solletica la pelle bollente. E la memoria spara, centrandomi la testa come un proiettile.

Giusto, sono in un laboratorio. Quello doveva essere il frutto di un altro esperimento. Eppure... Non sento altro. Non sento le vibrazioni dei passi degli scienziati affrettarsi frusciando per il corridoio. Non sento il freddo del metallo intorno ai miei polsi che lentamente graffia e mordicchia la mia carne. Il duro muro di pietra non mi tortura le ossa della schiena. Chissà perché mi passa per la mente il ricordo delle ore passate a fissare il soffitto senza fine sopra di me senza che nessuna riflessione stuzzicasse la mia mente mentre mi abbandonavo inerte a terra. Ma soprattutto non odo i flebili respiri delle mie sorelle. Improvvisamente la testa mi comincia a girare, le gambe si fanno molli e le mani tremano. Dove sono? Le mie due principesse, dove sono? Sono state ingoiate dal buio? No, no, mi rifiuto di crederlo. Abbiamo fatto una promessa. Non possono essere morte. No. Una mezza risata che esce prepotentemente dalle mie labbra mi fa vibrare il petto in fiamme.

Allora sono stato ingoiato io? La domanda rimbomba sui muri di quella cella invisibile, della mia mente, per qualche secondo prima che la stessa nervosa risata torni a scuotermi il vuoto petto. No, nemmeno questa poteva essere un’opzione. Abbiamo. Fatto. Una. promessa. Io ho fatto una promessa. Le devo tirare fuori di qui, le devo restituire quello che ci è stato tolto. Una ragione per vivere, per spingersi ed obbligarsi a superare operazione dopo operazione. Ecco quello che devo dare loro. Se non ci sono io là, allora chi le proteggerà mai? Hanno solo me, questo è ovvio. Mi porto una mano alla testa coprendo con il palmo l’occhio destro. Certo, solo me. Solo. Mi sento schiacciare; schiacciare ed andare a fuoco. Se ho ceduto alla tentazione della Notte allora sono solo un patetico ipocrita. Uomo senza onore, debole, idiota. Le hai abbandonate. Bene, sprofonda nel buio. È questo quello che mi merito. Penoso attore, solo ombra di quello che dovresti essere, incapace di proteggere persino il tuo tesoro. Smidollato, a lasciar andar via il tuo sogno, quello di vederle crescere al posto di tutti quelli che avrebbero voluto ma più non possono. Perché sono morti, morti, morti come l’alba, come il mio amore schiacciato dal dolore, come le mie speranze seppellite dalla disperazione.

E perché sono morti?


All’improvviso il pensiero si blocca lasciandomi momentaneamente privo di qualsiasi cosa, i miei occhi vuoti fissano spalancati il nero.

Poi mi viene da sorridere, ma non sono divertito. E scoppio a ridere freneticamente, fino ad arrivare al punto in cui fatico a respirare. Perché sono morti, dici tu? Ha! Perché sono debole, ecco perché. Perché a momenti non sono nemmeno capace di proteggere me stesso, nemmeno da quei fottuti scienziati che mi tengono sotto scacco con quell’infame ricatto....

No, un momento.

La risata mi muore bruscamente sulle labbra lasciandomi nuovamente vuoto.

Quegli scienziati. Non sono io. Sono stati loro. Sono stati loro i veri malati qui dentro fin dall’inizio.

E perché vi hanno fatto questo?


Perché sono mostri più mostri di noi Antichi. Sono esseri marci fino nell’anima, giù, giù, nel profondo dei loro spiriti, così accecati dal loro sadismo da perdere ogni parvenza umana. Il bruciore del mio petto s’incendia fino a diventare cieca collera e delirio. Che conoscenza è questa, questa messinscena della loro stessa sete di sangue? Patetiche scuse usate per coprire il loro desiderio di ferire, uccidere. Sporchi, macchiati, luridi del sangue che hanno versato senza mai fermarsi e che continueranno a far sgorgare dalle fontane simbolo del loro piacere. Matti, insani, concentrati di pazzia messi su due gambe e dotati di un cervello. Maledetti. Che siano tutti maledetti, questi obbrobri, creature malriuscite di Dio. Ed io dovrei Preservare la vita di questi esseri volgari? Che la terra possa seccarsi dove poggerete piede così da rimanere senz’acqua; che le rocce che toccherete si facciano roventi e che l’erba diventi sabbia bollente così che non troverete mai un luogo dove fermarvi a riposare; che le case di ogni villaggio che raggiungerete tremino nell’arrivo di un terremoto, così che sarete cacciati, braccati e voluti morti dalla stessa società per cui dite di lavorare, maledetti. Voi, maledetti voi che ci avete strappato via tutto, che ci avete ridotti a sopravvivere, che ci avete privati del diritto di vivere. Voi, sgorbi della natura, che avete osato uccidere le vite delle mie sorelle togliendo loro il sorriso.

Uccidili tutti.


E per la prima volta do retta a quella vocina, quel basso ma continuo martellare che mi tormenta dagl’angoli più oscuri della mia mente. Il ticchettio incalzante di mille zampette d’insetto che mi scorrazzano per i cervello. Sì, sì, ha ragione. Se loro possono togliere, allora anch’io giocherò a fare Dio e li sterminerò uno ad uno finchè non si getteranno in ginocchio per supplicare perdono tra le lacrime e i singhiozzi. E sarà proprio quello il momento in cui tagliargli la testa sarà così soddisfacente.

“Nii-san...”

Una vocina, un sussurro. Una bambina che preoccupata chiama il fratello maggiore.

Ed apro gli occhi ripiombando nel buio della mia cella, di nuovo a contatto con l’umido del pavimento, la mente sgombra dai pensieri malati. Aqua mi guarda, le manine intrecciate dietro di lei e le braccia tese, accorata, la fronte lievemente corrugata. Riesco a malapena a vederla in quella perenne penombra. Mai come adesso mi manca il suo volto.

“Stai bene?”

Odio sentirmi così, vorrei dirti ma sento di non poter parlare. Ormai non posso più combattere quella pazzia, la loro, che mi hanno infilato nel cervello. Perché è la stessa che qualche giorno fa mi ha fatto sterminare un intero continente e mi ha quasi fatto uccidere una delle sole due cose che mi sono rimaste al mondo.

Noto immediatamente la brillante benda bianca che le copre l’occhio sinistro. “Cos... ti hanno fatt...?” le chiedo col fiato pesante e la bocca impastata.

Porta una mano e sfiora con la punta delle dita il cotone come se non si fosse accorta della sua esistenza. Biascica qualcosa a mezza voce abbassando lo sguardo.

“Stavi dormendo e... dicevi cose strane....” continua poi guardandomi di nuovo con quel grande occhio zaffiro. Non lo vedo bene, ma so che è lucido dalle crepe della tua voce.

Allungo faticosamente una mano e la poggio sulla sua guancia gelida. Dimmi che cosa senti: il tocco di un fratello maggiore determinato a fare qualsiasi cosa oppure quello di un debole uomo sul punto di gettare via tutto....

“Ah... non ti preoccupare.... sarà la nuova ferita... che fa male,” mento cercando di abbozzare un sorriso. La sua espressione non cambia, anzi, forse si fa ancora più preoccupata di prima. Realizzo che più cerco di nascondere questo veleno che lentamente mi corrode la mente, più tu ti allontani da me. Ma non posso fare altro, no? Almeno non finchè sono incatenato qua dentro.

E così quello era un sogno... Ma non voglio dormire, non voglio sognare. Perché i miei sogni non mi confortano. Anche quelli mi hanno abbandonato. Immediatamente rimpiazzati da quell’oscurità così fredda, così priva di umanità, di tutto. Odio, lo odio sentirmi in quel modo, sentirmi ingoiato da me stesso. Mi tenta, quella voce nei miei sogni, così suadente. Mi manca, mi manca, il volto delle mie sorelle, il tocco gentile di lei... Lei. Lei che è morta. Lei che mi è morta davanti agli occhi. Cosa vorrei sognare? Di svegliarmi di nuovo al suono della sua voce, a quel tocco.... Nient’altro. Ma invece i miei demoni aspettano in agguato, pronti a dilaniare la mia ragione in un momento di debolezza. Buio, nero ed oscurità. Ecco tutto quello che mi circonda.

Poi qualcosa di freddo si poggia sul dorso della mia mano alzata dissipando i miei pensieri. Alzo gli occhi inconsciamente abbassati sulle pietre del pavimento. Vedo Aqua poggiare la sua manina pallida sulla mia, ancora sulla sua guancia. Quel tocco... un condensato di dolcezza, comprensione e amore allo stato puro. Mi stupisco sentendo tutte quelle emozioni in un semplice contatto fisico, e penso che devi essere davvero innocente per volermi ancora bene nonostante il mostro che lentamente mi divora.

Poi incroci il tuo sguardo con il mio. E sorridi. Sincera ed incoraggiante. “Andrà tutto bene niisan. Io te e Jen usciremo di qui ed andremo a mangiarci tutte le castagne, i fagiani ed il miele del mondo!! Insieme, come prima!” E credi davvero a quello che stai dicendo. Non lo dici solo per dire, per distogliere i miei pensieri da chissà quale malata concezione. Mi stai dando un motivo per andare avanti, per continuare a sorridere. Perché siamo ancora tutte e tre insieme, perché alla fine del tunnel c’è sempre la luce, no? Ti stai prendendo il dolore che sento. Ma chi mai prenderà il tuo?

Stermina, stermina tutto e tutti e nessuno dovrà più soffrire.
 

Ancora lei, quella voce. Calda e rassicurante, vuole guidarmi. Ma la ignoro. Perché ci sono loro due davanti a me, le mie due sorelline. Non sono ancora morte, quindi ho ancora forza per proteggerle. Certo, posso farcela. Sono il fratello maggiore, ovvio che devo farcela. Non ho bisogno di nessun’altro che mi indichi la strada. Crederò solo a loro, ai loro occhi, alle loro labbra, e alle loro parole, quando mi ritroverò di nuovo in quell’oscurità soffocante.

Sorrido anch’io e lascio scappare una piccola, rauca risata che lancia stilettate di dolore nel mio petto. “Certo. Anche se non credo che ci siano abbastanza fagiani al mondo per soddisfare la mia fame.” Scoppi a ridere nonostante il buio opprimente intorno a noi, nonostante le torture che passiamo ogni giorno, e dopo non molto mi unisco a te.

Grazie per avermi svegliato
.
 

  
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