Capitolo
6
Il
giorno dopo avevano deciso per una
terapeutica seduta di shopping. Avevano prima accompagnato Gabrielle
all’aeroporto e poi si erano gettati sui negozi del centro.
Monica si era fatta
una scorpacciata di libri, in modo di potersi documentare per il
prossimo
manoscritto, e poi, presa da un raptus femminista, si era comprata una
decina
di smalti dai colori diversi.
Jared
aveva svaligiato vari negozi per
recuperare nuove magliette, rigorosamente con lo scollo a V,
così da poter
mettere in mostra il tatuaggio sulla scapola, mentre Shannon era
riuscito
nell’impresa impossibile di comprarsi di tutto facendo in
modo che niente
stesse bene con un altro capo. Doveva essere un gene particolare dei
Leto,
quello di non sapersi vestire.
Nessuno
aveva parlato di quello che era
successo la sera prima. Nella loro stanza si erano semplicemente dati
la
buonanotte. Prima di addormentarsi, Monica aveva sfiorato la gamba, la
dove
Jared l’aveva accarezzata. Ci aveva pensato così
tanto, che le stava venendo
mal di testa. Lo guardò mentre parlava con Shannon tornando
a casa, dopo aver,
miracolosamente avuto il via libera da Zia Margot di mangiare fuori, e
scosse
il capo: la stava facendo impazzire dopo solo tre giorni. Non poteva
assolutamente permettersi di perdere nuovamente la testa per lui.
Del
resto anche Jared aveva pensato a
quella strana attrazione che aveva provato per lei.
Si
era eccitato e non aveva fatto niente
per mascherarlo. Si era comportato nella stessa maniera di sempre: ci
aveva
provato, aveva flirtato e aveva fatto capire alla sua accompagnatrice
che cosa
voleva, ma Monica non era una delle sue solite bambine. Era innanzi
tutto più
vecchia e quindi molto più difficile da sottomettere e poi
era mora. E con più
curve rispetto a quelle che di solito toccava nelle sue ragazze.
Eppure
in quel momento, con lei che gli
si strusciava addosso e la canzone del Kol, l’unica cosa che
avrebbe voluto
farle, era toglierle gli slip e farla lì . Cosa che, per
fortuna, aveva
evitato. Ma perchè aveva così voglia di lei? Ci
aveva pensato tanto, metà della
notte mentre lei dormiva tranquillamente, respirando a fondo e con una
specie
di sorriso beato sulle labbra, e aveva capito che era soltanto a causa
della
situazione che l’aveva voluta. Esatto, soltanto il momento.
Quindi
aveva semplicemente evitato di
riparlarne, tanto non sarebbe successo mai più.
“Quindi
adesso che Gabrielle se ne è
andata, ci provi con Sandra?”
“Ovviamente!
E lei non è lesbica. Mi hai
tirato un bello scherzetto non dicendomi delle preferenze di Julie. Ci
sono
andato pesante con lei, ci ho provato in tutti i modi fino a quando mi
ha riso
in faccia.” Jay sorrise.
“Cazzo
Shan, è tua cugina.”, sbottò
monica dal sedile posteriore.
“E
allora? Intanto è una cugina di
secondo o terzo grado. E poi mica ci devo mettere su famiglia no? Si
chiamano
scopate di passaggio, Monica, dovresti provare.”
Fu
lei a ridere in quel momento. “Chi
ti ha detto che non ho mai provato sesso giusto per farlo? Non
è che voi uomini
avete l’esclusiva... noi donne, volendo, possiamo fare la
stessa cosa.”
Shannon
frenò e si girò verso di lei,
incurante degli altri automobilisti arrabbiati che gli stavano suonando
incazzati il clacson. “No, spiega un attimo? Non ci
hai mai raccontato di
questi incontri hot. Vogliamo sapere.”
“Non
ve ne ho mai parlato perchè non
sono fatti vostri.”
“E
invece ora ci dici tutto.”
“Shannon,
taci e guida che dobbiamo
tornare a casa.”
Jared
era l’unico che non stava
parlando. Smanettava con il suo BlackBerry e si limitava a lanciare
qualche
occhiata incuriosita alla ragazza.
“Perchè,
ti aspetta qualcuno? Mi pare
che il tuo fidanzato sia qui.”
“Fottiti!”
“Shannon,
lasciala in pace e guida.”,
mugugnò Jared.
“Cosa?
Non dirmi che non sei neanche un
po’ curioso? Dai, quando ci capita di avere discorsi piccanti
da una donna?”
“Appena
trovi una disposta a farli.”,
rispose Monica, “Andiamo a casa e vedi di non farti strani
pensieri su di me,
sotto la doccia.” La risata del batterista si espanse per
l’auto.
L’unico
posto decente per poter scrivere
in santa pace era il giardino. La casa era un continuo via vai dei
parenti e
Monica era decisamente stufa di dover spiegare in continuo come avesse
conosciuto Jared, quanto lo amasse, falsamente, dei loro improbabili
progetti
futuri. Dopo un po’ diventava noioso.
La
cosa buona era che almeno stava pian
piano imparando a riconoscerli. Non erano cattivi, erano solo invadenti
come
solo i parenti sapevano essere. A parte George e zia Franny. Loro erano
i
classici parenti serpenti, quelli che avresti voluto evitare per tutta
la vita.
In due giorni le avevano fracassato i timpani con tutte le chiacchiere
inutili
sulla loro vita. E la voce stridula di Franny era ancora peggio, almeno
George,
in maniera leggermente viscida, stava cercando di provarci con lei e
conquistarla. Ovviamente senza raggiungere neanche la metà
del suo scopo.
Riusciva a risultare solo fastidioso.
E
a quanto pareva a Jared dava parecchio
fastidio quell’atteggiamento: quando George le si avvicinava,
lui andava
meccanicamente ad abbracciarla, o le prendeva la mano, come se.... bho,
avesse
paura di perderla. Stronzate del secolo: Jared odiava
semplicemente che
qualcuno potesse pisciargli sulle scarpe. Che modo di fare
assolutamente
inutile e terribilmente egocentrico. Sì, lo sapeva anche
Monica, era tipico di
Jared fare così.
Sospirò
chiudendo il libro che si era
portata dietro per le ricerche e si mise la penna in tasca: aveva
troppi
pensieri in testa per scrivere qualcosa di coerente, tutti pensieri che
portavano verso un’unica direzione.
Direzione
che stranamente stava
arrivando direttamente da lei.
“Che
ci fai qui?”
“Sono
venuto a cercarti. Oltre al fatto
che aspettavo la scusa giusta per uscire da là. Onestamente
dopo un po’ non
sopporto tutte quelle chiacchiere.”
Si
sedette vicino a lei appoggiandosi al
grosso tronco di un salice piangente secolare. I rami sottili
arrivavano a
toccare terra con le loro tende di foglie. La leggerissima brezza
riusciva solo
a smuovere gli apici creando una piccola onda lenta. Il laghetto
azzurro
scintillava sotto il sole cocente e ogni tanto qualche piccolo pesce
saltava.
Monica era certa che quel piccolo angolo di mondo poteva essere
tranquillamente
inserito nelle Sacre Scritture sotto la parola Paradiso.
“Sono
simpatici i tuoi parenti, un po’
invadenti, ma il mondo è fatto così.”
“Se
lo dici tu.”
Monica
poggiò a terra tutte le cose che
aveva in mano e, senza neanche troppo pensarci, andò a
sedersi esattamente
davanti a lui con le gambe incrociate.
“Vuoi
parlarne?”
“Di
cosa?”
Monica
alzò gli occhi al cielo. “Di
quello che ti turba così tanto, o semplicemente di quello
che vuoi. Hai la
faccia di uno che vorrebbe tanto parlare e non lo fa e siccome tu sei
quello
che sei, mi preoccupa sta cosa. Non ti ho mai visto tanto silenzioso
come in
questi giorni, di solito sei sempre a sparare cazzate.”
“Tu
si, Monica, che hai una parola
gentile per tutti, soprattutto per me.”
Lei
sorrise. “Devo stuzzicarti un
po’, altrimenti sai che noia sarebbe la nostra
storia.” Monica accarezzò un po’
l’erba con le dita. Le piaceva sentire le punte scivolarle
addosso.
“É
vero quello che hai detto oggi a
Shannon?”
“Cosa?”
“La
questione del sesso senza
sentimenti.” Monica lo fissò decisamente stupita.
“Allora?”
“Certo
che è vera.”, si riprese lei, “Ci
sono dei momenti per ognuno di noi, dove si fanno cose che non si
pensava di poter
fare in precedenza. Onestamente non pensavo che avrei potuto fare sesso
come un
uomo, come dicono in Sex And The City.” Poi rise forte:
“Credo che quel
telefilm mi abbia rovinato da quel punto di vista.”
“E
perchè?”
Lei
tornò seria. “Tu perchè lo
fai?”
Lui
fece spallucce. “Noia, voglia
di provare qualcosa, necessità di scaricare
l’adrenalina. Perchè ho
voglia.”
Monica
lo fissò negli occhi grigi a
lungo, poi riprese a parlare più lentamente, come a cercare
di ponderare le
parole. “Ho fatto sesso perchè avevo
voglia di annullare me stessa, questa
è la verità.” Jared aggrottò
la fronte. “Venivo fuori da una storia che mi
aveva distrutto sentimentalmente e psicologicamente. Avevo bisogno di
qualcosa
da fare per dimenticarlo e sentirmi nuovamente sicura di me
stessa.”
“E
ti ha aiutato?”
“Sì
e no. Non ho dimenticato il mio ex,
ma mi ha fatto capire che ci sono dei limiti. Che io, ho dei limiti,
per la
precisione. Il sesso così per fare può avere una
soddisfazione, ovviamente se
lui sa cosa deve fare, ma alla lunga... lascia un vuoto abbastanza
deprimente.”
“Non
la vedo così. Le scopate
estemporanee sono utili.”
“Perdona
la franchezza, ma sono utili
per svuotarti i coglioni, amore. Sentimentalmente non danno niente e
questo è
il vuoto che crea.”
“Sbagli
prospettiva. Il sesso
occasionale è bello perchè occasionale, non deve
darti nulla di sentimentale,
deve solo darti piacere fisico. Il resto è
superfluo.”
Silenzio,
poi Monica ribattè. “Sei
mai stato innamorato? Rispondimi seriamente, hai mai amato sul
serio?”
“Sì.”
Secco, senza esitazioni.
Lei
sorrise. “Prova a pensare ad
uno dei tuoi rapporti con la ragazza che hai amato. Non importa se il
primo,
l’ultimo o il più bello. Uno qualsiasi. Ce
l’hai?”
“Certo.”
Sembrava perplesso, ma era
curioso di sapere dove voleva andare a parare.
“E
adesso pensa ad una qualsiasi
scopata, anche la migliore, che hai avuto con una delle tue
bambinette.”
“Ok.”
“Dovresti
sentire senza ombra di dubbio
quale ti è piaciuta di più.”
Jared
rimase in silenzio guardando il
laghetto. Monica aveva ragione su tutti i fronti e lo sentiva, lo
sapeva, ma
non le avrebbe mai dato la soddisfazione di darle ragione.
Però non voleva
neanche mentirle, quindi si rese che stare zitto in quel momento
aiutava
moltissimo.
“Avevo
ragione vero?”, si divertì ad
infierire Monica distendendosi sull’erba in modo da poterlo
ancora vedere bene
in faccia. Non le era sfuggito il luccichio commosso di pochi istanti
prima.
Sapeva
benissimo che Jared non la amava
più. Lei, Cameron, era un qualcosa di lontano, una figura
sbiadita dagli anni e
dalle ragazze che aveva avuto dopo di lei, ma sapeva anche per
esperienza
personale che quando uno si innamorava portava quel sentimento in
sè per
sempre. Quello che faceva stare male, di solito, non era la mancanza
della
persona amata, ma la mancanza di quello che si provava stando con lei o
lui.
Era
quello che era successo a lei: non
le mancava il suo ex, ma le mancava di essere innamorata, di sentirsi
il cuore
scoppiare di felicità, di sentirsi felice in qualsiasi
momento, anche quando
litigavano e piangeva disperata di frustrazione, la sensazione che
tutto
sarebbe andato bene al momento giusto.
“Forse.”
“Mi
basta. Già che siamo in fase di
condivisione, mi spieghi perchè stare qui per te
è così incredibilmente
terribile? Posso capire tutto, ma mi sembri un disperato.”
“Non
ho voglia di parlarne.”
“E
dai, cazzo, ti ho parlato delle mie
notti folli, adesso tocca a te.”
“Non
mi hai detto quello che hai
fatto... Sopra o sotto?”
“Di
lato e a 90. Sono versatile, anche
se mi piace stare sotto.”
Jared
sorrise malizioso: quel discorso
gli piaceva molto di più di tutti quei ragionamenti filo
romantici di
prima. “Come mai?”
“Forse
perchè mi piace vederlo negli
occhi, averlo sopra, incatenarlo con le gambe. Questo non significa che
disdegni
anche le altre posizioni.”
“Strano,
pensavo che fossi una che stava
sopra.”
“Io
sto sopra, vuoi vedere?” Si alzò di
scatto e si inginocchiò su di lui, con le gambe vicine alle
sue. Jared rise
cercando di spostarsi, ma lei lo stava
schiacchiando. “Parenti?”
“No,
ne avevo semplicemente voglia.
Adesso tocca a te parlare.”
“Devo?”
Lo sguardo di Monica non gli
lasciava molte alternative a quanto pareva. “Stare qui in
Luisiana mi piaceva
da piccolo. Era casa. È sempre stato così, fino a
quando non sono cresciuto.
Una parte di me ama tornare a Bossier, ma l’altra vuole
scappare appena
possibile. È come se mi sentissi intrappolato e peggio
ancora... giudicato. Mi
sento...” Soffiò stizzito, più per i
suoi pensieri che per una incazzatura
contro Monica. “...mi sento additato da tutti come il figlio
sbagliato.”
“E
perchè mai?”, lo stupore era sincero.
Jared
si morsicò le labbra e prima di
tornare a parlare se le inumidì con la lingua come faceva
sempre. “Quando
ero piccolo dicevano a mia madre che papà se ne era andato
per colpa mia. Mi
nascondevo, ero piccolo e mingherlino, passavo parecchio inosservato,
ed
ascoltavo tutto. Shannon mi diceva sempre che erano sciocchezze, ma a
sei anni
quando tutti ti dicono la stessa cosa, alla fine ci credi.”
“Ma...
ma è atroce! Ma che stronzi
maledetti. Ma tu lo sai che non è per questo, vero? Insomma,
un genitore non se
ne va a causa di un figlio, soprattutto un bambino come te. Da quello
che
Margot mi ha raccontato in sti giorni eri praticamente un bambino
delizioso.”
“Monica
lo so che...” Si ritrovò a non
saper come andare avanti. Da quanto non apriva quella scatola dolorosa?
Troppo... e c’era un motivo. Odiava i fallimenti e quello era
stato il suo
primo cocente fallimento. “I tuoi sono divorziati, no? Non
hai mai pensato per una
volta sola che fosse stata colpa tua?”
“Sì,
forse, non ricordo, ero piccola. E
comunque nessuno mi ha mai rinfacciato niente.”
“Appunto.
Ogni volta che vedo quella
gente in salotto, soprattutto i parenti stretti, è come
rivivere quei tempi.”
“É
terribile. Tua madre non lo sa,
vero?”
“Ovviamente
no. Hai idea di come
starebbe se venisse a saperlo? E non glielo devi dire neanche tu,
capito?”
“Certo,
non sono scema, queste sono cose
che dovreste sistemare voi, io non c’entro, ho già
i miei problemi famigliari,
manca solo che mi occupo anche dei tuoi.” Poi gli sorrise
dolcemente e gli
accarezzò leggermente la guancia, lasciando la mano ferma
sulla gota. “Prova a
parlare con tua madre, magari è la volta buona che non ti fa
più tornare qui,
anche se zia Margot ci resterebbe male.”
Jared
era un po’ stordito: l’argomento,
di per sè, era terribile e normalmente ne parlava solo con
Shannon e solo se
era ubriaco. Parlarne da sobrio con qualcuno di diverso, lo
destabilizzava del
tutto. Si sentiva una persona diversa, come se non fosse Jared Leto, ma
una
qualsiasi persona. Perchè gli faceva quello? Monica non
doveva capirlo, doveva
semplicemente fare l’oca giuliva davanti ai suoi parenti e
basta.
Inutile,
lo sapeva anche lui che non
sarebbe mai potuto succedere: lei non era così. Lei era
quello che era,
schietta, sincera, dissacrante. Ironica, sarcastica e senza troppi
fronzoli.
L’errore era stato suo, non di Monica.
Però...
stava bene. Li (accento), seduto
sotto quel salice piangente, con la ragazza sulle gambe che lo stava
accarezzando, quella brezza e quel sole, si sentiva bene come non
succedeva da
parecchio tempo. Non accadeva spesso che trovasse qualcuno che
riuscisse a
mettersi in sintonia con lui in quella maniera come stava avvenendo con
lei. Se
fosse stato uno sciocco romantico, avrebbe detto che Monica lo
completava.
Siccome era cinico e realista, aveva deciso che Monica era
semplicemente una
ragazza che lo conosceva da tanto tempo, che aveva vissuto delle
situazioni
analoghe alle sue e che quindi aveva una sensibilità
maggiore rispetto alle sue
normali frequentazioni.
“Zia
Margot è l’unica persona per cui
valga la pena venire.”, mormorò.
Poi,
lentamente, si avvicinò a lei: le
mani la presero per i fianchi per tenerla ferma, in modo che non
rischiasse di
cadere, le dita le accarezzarono la pelle sotto il bordo facendole un
leggero
sollettico e facendola ridacchiare.
“Smettila.”,
sibilò Monica, ma si vedeva
che si stava divertendo.
Jared
appoggiò la fronte su quella della
donna e chiuse gli occhi, mentre con le mani iniziava una lenta
esplorazione al
suo torace. Si stava dando dell’imbecille da solo
perchè sapeva che si stava
eccitando e che avrebbe dovuto provvedere da solo a venire, eppure
aveva
sentito l’impulso fortissimo di toccarla, di sentirla vicina
anche fisicamente
e non solo mentalmente. Oltre al fatto che parlare con lei di sesso gli
aveva
dato comunque una scarica di ormoni che non guastava mai, soprattutto
visto che
da un bel po’ non aveva avuto la possibilità di
farsi qualcuna. Il suo corpo la
voleva.
“Mi
sa che devo mettermi l’anima in
pace.”, mormorò, sovrapensiero.
“A
cosa?” domandò Monica. Neanche per
lei era molto semplice stare tranquilla. Le dita con i leggeri calli
stavano
sfiorandole proprio quei punti che normalmente la facevano rabbrividire
di
piacere più che di fastidio. Che diavolo stava combinando?
La stava
stuzzicando, la stava... sentì l’erezione da sotto
i pantaloni!
La
voleva!
Si
sentì avvampare e si alzò di fretta.
Non poteva rischiare da fare qualcosa di cui poi si sarebbe pentita.
“Allora,
domani che si fa?”, cambiare
discorso, parlare di cose assolutamente slegate tra loro.
“C’è
il primo grande pic nic. Si sta in
giardino a mangiare, prendere sole, bere, nuotare.”
“Ti
metti in costume?”
“Forse.”
“Allora
ci sarà da ridere.” E gli mostrò
la lingua prendendo le sue cose e cammiando verso casa.
Jared
appoggiò la testa sul tronco: non
sapeva se ringraziare o meno Monica per aver preso la decisione di
andarsene.
Aveva capito che anche lei lo voleva, aveva sentito il corpo tendersi,
i
brividi scendere lungo la schiena e il respiro leggermente affrettato
sulle sue
labbra. Però lei aveva avuto quel briciolo di cervello in
più di lui rimettendo
le cose dove dovevano stare.
“Vuoi
smetterla? È andata via, niente
soddisfazione per te, amico.”, borbottò
sistemandosi al meglio il gonfiore nei
pantaloni. “E io devo essere pazzo a parlare con il mio
uccello.”
Sospirò
frustrato: c’erano due cose che
poteva fare. La prima era tornare a mettere le distanze, stare il
più lontano
da lei possibile, nei limiti del possibile, e tornare in California con
la
chiara idea di non vederla per molto tempo. La seconda era andare
contro tutta
la ragionevolezza del mondo e fare in modo di portarsela a letto il
prima
possibile.
Il
cervello contro il resto del corpo.
Sorrise
al laghetto: la scelta era
scontata. E il pic nic l’avrebbe aiutato.