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Autore: Drop Of Blood    10/09/2011    2 recensioni
" Se il tutto si fosse svolto all'interno di un teatro, Marcus avrebbe interpretato una delle tante marionette che, inconsapevolmente, venivano manipolate per mezzo di invisibili, trasparenti fili.
Quelle parole non erano state partorite dalla sua illuminata mente, animata da sani principi e rispettabili valori, ma dalle instabili manie di grandezza di un vigliacco e sadico individuo che non aveva il fegato necessario a mostrarsi. "
Genere: Dark | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo Terzo.

 

 

Ma tu chi sei che, avanzando nel buio della notte, inciampi nei miei più segreti pensieri? “

William Shakespeare.

 

__

 

Un velo di nebbia densa e sottile avvolgeva i fini rami di cioccolato degli abeti e dei cipressi disseminati per l'umido terreno della foresta, in una morsa di opprimente silenzio.

Una figura alta e flessuosa passeggiava per i tortuosi sentieri ricoperti di petali e foglie di ogni forma e colore. Il suo sguardo era vigile e attento, pronto a notare il benché minino movimento.

Le esili braccia tese lungo le morbide e piene curve dei fianchi, ad evidenziare la rigida e tesa postura. Fu un attimo. Un lampo scarlatto saettò fra gli imponenti tronchi che la circondavano.

Le iridi d'onice della donna perlustrarono l'ambiente, alla disperata ricerca della fonte.

Le sue unghie penetrarono nel palmo della graziosa, delicata mano sinistra, provocando profonde lacerazioni nella rosea e profumata pelle. Segno che qualcosa era mutato.

Ella strinse i pugni, concentrando in sé tutta la forza vitale che animava i frutti di Madre Natura. Una frizzante raffica di vento le sferzò la nuca e le spalle imperlate di sudore.

Una scura sagoma comparve al suo cospetto, avvolta in spessi, setosi strati di petrolio.

Alcuni ricci rossi sfuggivano alla ferrea presa del cappuccio che copriva, in una sinistra, malefica ombra, l'intero viso del giovane, lasciando intravedere solo il contorno delle carnose, perlacee labbra, sulle quali danzava placidamente un intricato reticolo di fili color rubino.

L'aura che egli emanava era malefica ed oscura.

Era una Creatura della Notte.

- Chi sei? E cosa ti porta in questa sperduta cittadina, Vampiro? - domandò la donna, in tono monocorde, senza lasciar trasparire alcun tipo di sentimento.

- Il mio nome non ha importanza. Devi solamente sapere che è stato lui ad ordinarmi di venire qui. Sapeva che ti avrei trovata. - spiegò la calda e vellutata voce dell'individuo.

La donna, in risposta, mosse una mano in direzione delle nodose e possenti radici dell'albero che aveva alle spalle, ed un'appuntita scheggia si liberò da esse, fermandosi a pochi millimetri di distanza dal petto del ragazzo.

Un furbo sorriso comparve sulle sue labbra magistralmente disegnate.

- Sai, che una semplice scheggia di legno non riuscirà a fermarmi, Serva della Natura. - mormorò,prendendola nel palmo della destra e riducendola in minuscoli granelli di polvere color nocciola.

- E dunque, cosa vuole? - chiese ancora la forte e coraggiosa Strega.

- Egli è vicino, e presto verrà a cercare i suoi discendenti. Nulla e nessuno riuscirà a dissuaderlo dal suo intento e, dopo secoli trascorsi nel più totale anonimato, la nostra Specie potrà avere la dovuta rivincita. Voi Serve capirete chi, in questo mondo, è il reale padrone. - recitò l'individuo, come fosse un mantra.

Un brivido di terrore corse lungo la schiena di lei, ed un espressione di puro Odio attraversò le sue iridi d'inchiostro.

Spostò un piede in avanti, pronta a fuggire, se fosse stato necessario.

- Aspetta, Strega Blount. Il mio Signore ha un messaggio per i suoi figli, Charlotte ed Andrew. - bisbigliò, estraendo un foglio di carta pregiata dal proprio mantello.

Lo porse a colei che aveva di fronte.

Ella, in risposta, lo strappò dalle sue mani, conservandolo in una delle tasche dei jeans.

- A presto. - salutò la Creatura della Notte, scomparendo in un'agghiacciante vortice d'aria.

Una volta rimasta sola, la donna cadde a terra, priva di forze.

 

Mi svegliai di soprassalto, cullata dal calore delle soffici e candide coltri che coprivano il mio corpo.

Portai la mano sinistra al petto, aspettando di udire le frenetiche pulsazioni del mio cuore.

Non sentii nulla, neppure il più debole sfarfallio.

La mia cassa toracica era gelida, non più scaldata dall'intenso pompare del muscolo cardiaco.

Sbattei più volte le palpebre, cercando di abituarmi ai deboli, pallidi fasci di luce che filtravano dalla finestra inserita in un angolo della stanza.

Scostai di poco le lenzuola e strinsi le ginocchia al petto, poggiando la schiena contro l'argentea e finemente lavorata testiera in ottone.

La mia mente era popolata da una miriade di fotogrammi dai colori spenti e opachi, infinitesimali frammenti di una inestimabile esistenza rischiarata da tranquilla quotidianità, sepolti, fino ad allora, in un remoto cassetto della mia memoria.

Essi danzarono fulminei dinanzi alla sognante espressione del mio viso, riassumendo in pochi, elementari punti parte della mia storia.

Il mio sguardo si velò di una sottile patina di malinconia, nel constatare che la maggior parte delle immagini fossero legate da un sottile filo di rubino.

Il suo viso era presente in quasi ogni briciola di passato, di giornate ormai lontane caratterizzate da fragorose risate e timidi sorrisi.

E, persa in quella violenta ondata di nostalgia ed acuto dolore, per poco non mi accorsi di un ultimo, vivido fotogramma.

Un inquietante quadro dalle tonalità accese e brillanti, condannato ad una lucente scintilla di realtà che contribuì a far correre un brivido lungo la mia spina dorsale.

Angoscia e Terrore. Erano quelle due uniche sensazioni ad animarmi, rendendomi incapace di formulare alcun pensiero di senso compiuto.

Kristen discuteva, un'espressione colma d'Odio dipinta sul suo incantevole viso, con una sagoma di cioccolato fondente, della quale era impossibile scorgere il volto.

Due particolari, però, erano ben visibili, sfuggiti alla possessiva morsa del cappuccio che celava il suo misterioso volto.

Alcuni ricci rossi, di una familiare tonalità tendente all'arancio, spiccavano sul setoso tessuto del corvino mantello.

E, grazie al mio sviluppato senso della vista, ero in grado di intravedere un carnoso, latteo paio di labbra.

Non riuscii a capire cosa stessero dicendosi. Mi sembrò di essere la silenziosa spettatrice di un film fantasy al quale, per puro scherzo, era stato rimosso l'audio.

Potevo solamente osservare la dinamica della situazione, piccola ed impotente di fronte allo scorrere degli avvenimenti.

Ad un tratto, in un rapido susseguirsi di azioni, notai un'appuntita scheggia nocciola fluttuare a pochi millimetri dal petto di quella che, ne ero ormai certa, fosse una Creatura della Notte.

Fu in quel momento, che il panico si impossessò di me, facendo intrecciare le mie dita – di un colorito insolitamente perlaceo – in un muto, supplicante gesto di preghiera.

Ero a conoscenza del fatto che il legno potesse indebolire, perfino portare in punto di Morte, un Vampiro.

Ad alimentare la Paura che attanagliava il mio defunto cuore, si aggiunse l'insistente voce interiore che mi urlava di conoscere il ragazzo in nero.

E, mentre i dubbi si apprestavano a divenire concrete, indelebili certezze, un furbo sorriso prese a danzare sulle labbra, piacevolmente carezzate da scie di nettare cremisi, del giovane.

Rimasta sino a quell'istante in disparte, la Sete tornò ad essere il fulcro attorno al quale ruotava la mia nuova condizione, stringendo, in un'opprimente morsa di ardente bisogno, la mia gola.

Non mi nutrivo da quando, be', da quando tutto era iniziato, facendo prendere ai miei piani una piega totalmente differente da quella che avevo previsto.

Cercando di seppellire quella bruciante voglia in un oscuro angolo del mio cervello, tentai di riacquistare un minimo di lucidità per tornare ad analizzare la scena.

Presi a scrutare l'alone di furbizia che volteggiava sulla bocca del Vampiro, e la mia lingua si ridusse ad un unico, incomprensibile groviglio.

Avrei potuto riconoscere quel sorriso ovunque ed in qualunque situazione.

Era lo stesso che mi aveva accompagnata nei momenti più bui della mia umana vita, quando ero afflitta dallo sconforto ed avrei solamente gradito staccare la spina, isolandomi dal resto del mondo e da tutti i problemi e loschi intrighi che vorticavano attorno alla lussuosa atmosfera elitaria di Harvard.

Era quanto di più prezioso avessi, l'unico antidoto capace di combattere la noia e la depressione, rischiarando ogni ora del giorno e della notte con la sua purezza e luminosità.

La sua smagliante schiera di perfetti denti era la sola arma sufficiente a contrastare le grigiastre, minacciose nuvole che gravavano su di me.

L'audio sembrò tornare, arrivando ad infliggere il famigerato, atteso colpo di grazia alla già compromessa sanità mentale della sottoscritta.

Roventi fiotti di liquido miele solleticarono il mio udito, rimbalzando di continuo nei più profondi meandri della mia mente.

Mi crogiolai nelle calde e vellutate pieghe della sua carezzevole voce, trasportata da un immenso vortice di sensazioni incontrollabili.

Calore, Pace, Serenità.

Poi … Null'altro che delusione e timore.

Nel comprendere il malvagio significato di ciò che disse, sentii la vita fluire via dal mio corpo, privando di quanto di bello, fino a quel momento, avesse colorato il percorso imboccato dagli eventi.

Ed anche gli sfumati ricordi di cui mi ero circondata, sempre nascosti dietro una eterea, candida maschera di immacolata perfezione, si macchiarono di maliziosi fiumi di corposo ed aromatico liquido porpora.

Prepotenti e terribilmente vere, le sue parole presero forma dinanzi al mio inespressivo sguardo, infliggendo violente coltellate al blocco di granito che prendeva posto nel punto in cui, tempo prima, scorrevano ruscelli di fresca e giovane linfa vitale.

Egli è vicino, e presto verrà a cercare i suoi discendenti. Nulla e nessuno riuscirà a dissuaderlo dal suo intento e, dopo secoli trascorsi nel più totale anonimato, la nostra Specie potrà avere la dovuta rivincita. Voi Serve capirete chi, in questo mondo, è il reale padrone. “

 

Aveva ripetuto, con un tono di voce che non sembrava neppure appartenergli.

Quella sfumatura d'Odio e Superiorità appariva lontana anni luce dal modo amichevole e sincero con cui, ogni giorno, conversava con me a proposito di ciò che era accaduto durante le lezioni. Entrambi seduti in un minuscolo, angusto spazio della sala computer del campus.

Quello non era Marcus, ma solo un clone dall'aria malvagia ed alquanto minacciosa, creato al fine di eseguire il volere di uno squilibrato.

Costui, dall'ombra del sipario che celava sapientemente la sua persona, si limitava ad impartire ordini.

Se il tutto si fosse svolto all'interno di un teatro, Marcus avrebbe interpretato una delle tante marionette che, inconsapevolmente, venivano manipolate per mezzo di invisibili, trasparenti fili.

Quelle parole non erano state partorite dalla sua illuminata mente, animata da sani principi e rispettabili valori, ma dalle instabili manie di grandezza di un vigliacco e sadico individuo che non aveva il fegato necessario a mostrarsi.

Sebbene fossi convinta dell'innocenza di Marcus, la consapevolezza che, per due lunghi, intensi anni, avesse agito alle mie spalle, mi feriva profondamente ed inesorabilmente.

Mi domandai cosa la sua anima, vera e pura, potesse avere a che fare con quella corrotta e dannata di Vasil, l'uomo che, per gran parte della mia esistenza, mi aveva tenuta distante dalla donna che aveva dato alla luce me e mio fratello.

Privando me ed Andrew della presenza di una madre nella nostra infanzia.

Mai avevamo avuto la tenera occasione di manifestarle il nostro amore, con un bacio od un semplice ' Ti voglio bene '.

Il primo giorno di scuola, io e mio fratello osservavamo tristemente gli altri bambini che, con un sorriso colmo di gioia sulle labbra, lasciavano amorevoli buffetti sulle guance delle loro madri.

E, nonostante Kristen ricoprisse egregiamente quel ruolo, io ed Andrew continuavamo a mascherare, sotto forzate risatine e finti gesti d'entusiasmo, il doloroso, vuoto spiraglio che occupava uno spazio, seppur piccolo, del nostro essere.

Vasil ci aveva obbligati ad ogni tipo di sofferenza, dalla più insignificante ed ignorabile, alla più significativa e persistente.

Anche nostra zia, in quella rapida, catastrofica successione di fatti, aveva dovuto compiere tanti, troppi sacrifici.

Si era vista costretta a prendere crudeli decisioni di cui, ero fermamente convinta, portasse ancora il peso sulle spalle.

Per prendersi cura di noi, aveva rinunciato alle aspirazioni che nutriva riguardo al suo futuro, aveva accantonato il vivo desiderio di entrare ad Harvard e laurearsi in Storia e Letteratura.

Per assicurare un roseo avvenire ai suoi due nipoti, era scesa a compromessi, facendo ore ed ore di straordinari come segretaria in uno studio legale.

Ma, punto più importante, per accudire me ed Andrew, aveva dovuto cancellare il progetto di sposarsi e costruire una solida, propria struttura familiare.

I contorti giochi di potere di Vasil avevano mietuto un numero eccessivamente alto di vittime, tutte “ sacrificate “ sull'altare della sua ambizione.

In un fluido movimento, l'ultima scena iniziò ad abbandonare la mia mente, cercando di far notare alla sottoscritta il corpo di Kristen che, privo di forze, giaceva sull'umido terreno della foresta.

Mossa da una rinnovata sensazione di imminente pericolo, scesi dal letto, poggiando malamente i piedi sul curato parquet della mia stanza.

A passo svelto, mi diressi verso il salotto.

Stravaccato su uno dei divani, Andrew dormiva beato, stringendo i lembi color giallo sole della coperta fra le affusolate, gentili dita.

- Andrew! Svegliati! - strillai, riducendo in brandelli i colorati, accoglienti strati di cotone.

Di scatto, mio fratello aprì gli occhi, rivelando il morbido, fuso cioccolato al latte delle sue iridi.

- Charlie! Co-cosa è successo?! - balbettò in risposta, sbattendo freneticamente le marmoree palpebre.

Mentre Andrew lasciava l'improvvisato letto e, con gesti lenti e tremanti, estraeva dal frigorifero una lucida tazza ricolma di freddo caffè, io iniziai un veloce riassunto di ciò che avevo visto, probabilmente sognato, poche ore prima.

- Be', cosa aspettiamo?! Andiamo a cercare Kristen! - urlò, indossando frettolosamente un paio di logori jeans ed una sbiadita e bucherellata t-shirt.

Io, d'altro canto, portavo ancora il pigiama indossato la sera precedente.

Non diedi importanza a quell'aspetto e mi precipitai all'esterno dell'abitazione con Andrew.

Una volta esserci abituati alla rigogliosa vegetazione del giardino, sondammo la tiepida aria primaverile che, con lievi ed odorose carezze, ci fece dono del minimo di lucidità del quale necessitavamo per iniziare la nostra ricerca.

- Va bene. Cerca di concentrarti, sorellina. Dove si trovava Kristen, nel tuo sogno? In quale punto della foresta? - bisbigliò, poggiando entrambe le mani sulle mie spalle.

- Io … Non saprei dirlo con certezza. C'erano foglie e petali di diverse forme e colori sparsi su tutto il terreno. Questo è l'unico dettaglio che differenzia quella zona dalle altre. - spiegai, tentando di mettere a fuoco le caratteristiche del sogno.

Improvvisamente, una deliziosa fragranza giunse alle mie narici, riportando a galla sereni scorci di quotidianità. Un inconfondibile aroma di vaniglia e zenzero con l'aggiunta, in quel frangente, del bruciante, stuzzicante richiamo del sangue.

Era lo stesso odore che aveva accompagnato la mia infanzia e la mia adolescenza, regalandomi un materno barlume di sicurezza ed una piacevole sensazione di protezione che mai aveva osato abbandonarmi.

- Lo sento. Charlie, sento il suo odore. - dichiarò Andrew, dando voce ai miei pensieri.

- Anche io. E … Se provassimo a seguire la sua scia? - domandai; un accenno di titubanza nel mio tono.

Per quanto cercassimo di convivere con la nostra “ nuova “ natura, stentavamo ancora a credere nei vantaggi che la condizione implicava.

Di rado mettevamo alla prova le nostre capacità, timorosi di non riconoscere quelle immortali doti come parte dell'essenza che ci particolareggiava.

Compiere un qualsiasi gesto che non rientrasse nel concetto di “ normalità “ , appariva ai nostri occhi un'impresa titanica.

Semplicemente, avevamo poca esperienza alle spalle e continuavamo ad analizzare il mondo con sguardo umano, senza volontariamente capire quanto di orribile si celasse dietro ogni facciata.

- D'accordo. Proviamoci. - acconsentì Andrew, dopo aver attentamente valutato le opzioni a nostra disposizione.

Mi tese la destra, ed io gliela strinsi, in una silenziosa dimostrazione di fiducia.

E, senza mai annullare il contatto, iniziammo a seguire la traccia.

Chiusi gli occhi, per non vedere i robusti tronchi che, puntualmente, riuscivo ad evitare.

I miei piedi si muovevano ad una velocità incalcolabile; dubitai perfino che toccassero terra.

In situazioni simili a quella, il tempo e lo spazio perdevano importanza. Accennavamo a malapena a sfiorarmi.

Non erano in grado di scalfire quegli istanti di assoluta perfezione, duranti i quali avevo la vaga impressione di sentirmi in pace con l'ambiente circostante.

La magia durò poco, e giungemmo al luogo stabilito.

Kristen era lì, immobile.

Lo sguardo vacuo, preso ad osservare qualcosa, o qualcuno, che non era parte del nostro campo visivo.

Alla debole vista di un umano, sarebbe potuta sembrare morta.

Un essere dotato di finissimi sensi, però, avrebbe notato l'impercettibile movimento del suo petto che, delicatamente, accoglieva dolci quantità d'ossigeno.

Muovendoci lentamente ed in maniera decisamente cauta, ci avvicinammo al suo corpo.

Provammo a ridestarla dallo strano stato di trance nel quale era caduta, ma ella non diede cenno di aver avvertito la nostra presenza.

- Zia, siamo qui. Va tutto bene. Io ed Andrew ti riporteremo a casa, sta tranquilla. - mormorai, posando un leggero bacio sulla ruga d'espressione che increspava la profumata pelle della sua fronte.

Non avevo timore nel manifestarle il mio affetto o nello stabilire un qualche tipo di contatto.

La sete non era un problema, non con lei.

Non sarei stata capace di porre fine alla sua esistenza.

 Se lo avessi fatto, avrei dovuto portare un enorme fardello sulle spalle, una morte sulla mia coscienza già macchiata.

Scossi la testa, per cancellare le ultime traccie di quell'ignobile pensiero.

Fissai lo sguardo sul foglio di carta che le sue sgargianti unghie stringevano.

Prestando quanta più attenzione possibile, lo sfilai dalla sua rigida presa.

Poche, semplici parole erano vergate su quella pregiata superficie, ma furono sufficienti a spegnere l'ultimo briciolo di Positività che albergava in me.

Presto potremo riunirci, miei cari.

Esaminando con rabbia il biglietto, mi accorsi di alcune frasi, scritte dalla sua mano, ai margini del foglio:

Ti prego, se un giorno ti sarà possibile, di perdonarmi.

Non credo avrò mai la possibilità di dirtelo, perciò, te lo comunico in questo modo:

Ti Amo, Charlie, più della mia stessa vita.

Scappa, ora, e cerca di dimenticare quanto hai appena letto.

Tuo per l'Eternità,

Marcus.

 

Leggendole, mi accasciai al suolo, senza piangere né esternare i miei sentimenti.

Non avevo la forza necessaria a compiere un gesto simile.

In lontananza, delle scure voci cantavano l'arrivo della mia ora.

Nulla e nessuno sarebbe riuscito ad impedire la mia Morte.

E di ciò, per una volta, ero fermamente sicura.

 

~

Perché mai Marcus avrà chiamato Kristen col cognome “ Blount “ ?

E qual è il suo ruolo nella vicenda?

Cosa faranno i nostri protagonisti, ora?

Be', lo scoprirete nei prossimi capitolo.

Un ringraziamento speciale a l u l l a b y per aver realizzato la Fenomenale immagine di copertina.

Grazie mille, davvero.

 

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