~Sometimes
you have to be apart from people you love,
but that doesn't mean you love them any less.
Sometimes it makes you love them even more.~
When my world is falling apart,
when there is no light to break up the dark
that's when I look at you.
When the waves are flooding the shore and I
can't find my way home anymore
that's when I look at you.
Capitolo
diciannove.
Lilian.
Vorrei tu me lo permettessi. Ma che diavolo gli era preso?
Come gli era
venuto in mente di dire una cosa del genere? Cos’ero, un
altro premio?
Un’ulteriore tacca sulla cintura?
Non ti sto impedendo di entrare. Lo so. L’ho
detto davvero? Quale razza di cretina direbbe mai una cosa del genere?
Un’adolescente innamorata, certo. Ed io non lo ero. No. Ero
una ragazza matura,
non innamorata di una ragazzo tanto bello da far perdere qualsiasi
cognizione
di causa, dai profondi e magnetici occhi neri.
Andiamo, Lily, che ti prende!, mi
ammonii prima che la campanella suonasse, mettendo fine alla lezione di
inglese.
Mi stava guardando, lì, dal suo posto accanto alla finestra?
Dovetti usare
tutta la mia forza di volontà per non voltarmi a guardarlo,
con le gote intinse
di rosso.
Imbarazzata dai miei stessi pensieri scattai in piedi quando la
campanella
trillò e uscii dall’aula in fretta, cercando di
mimetizzarmi fra gli studenti,
ringraziando la mia piccola statura. Volevo evitare, in quel momento,
qualsiasi
contatto con David, troppo emotiva e imbarazzata da me stessa, da
quell’irrazionale e spaventoso desiderio di immergermi nel
cielo notturno dei
suoi occhi.
Mi diressi a passo svelto verso la sala mensa, senza passare nemmeno
dall’armadietto. Con il libro sotto il braccio e lo zaino
sulla spalla
zigzagavo fra gli studenti, fino a che, sulla soglia della sala mensa
non mi
scontrai con un qualcuno, ed il mio libro cadde. Solo una volta averlo
recuperato mi resi conto con chi mi ero scontrata.
«Ciao!» esclamò James.
«Ciao.» risposi sistemandomi lo zaino in spalla.
Avrebbe potuto aiutarmi, mi
aveva fatto cadere il libro, poteva anche mostrarmi un minimo di
gentilezza e
cortesia. Quel suo mancato gesto, mi irritò appena, non
tanto da permettermi di
mostrarlo.
«Sam ed Aaron sono già seduto al
tavolo.»
Annuii. «Okay.»
Sorrise e insieme ci dirigemmo al tavolo in fondo alla sala. Nel vedere
la fila
di persona in attesa del pranzo, sbuffai.
«Anche tu già stanca della scuola?»
Mi voltai a guardarlo, alzando un sopracciglio.
«Come?»
«Sembra che tu sia già stanca di venire a scuola.
Ti capisco perfettamente.
Sono qui solo perché sono costretto.» rise.
Feci un risolino isterico. «Già.»
aggiunsi roteando gli occhi e guardando dalla
parte opposta.
Rise ancora.
«Cosa c’è?» chiesi corrugando
la fronte.
Eravamo a un paio di metri dal tavolo, ormai. Sam ed Aaron ci
guardavano
sorridendo. James mi afferrò per un braccio, costringendomi
a voltarmi verso
lui.
«Ti va di uscire con me?»
Sgranai gli occhi. «Cosa?»
«Ti va di uscire con me?»
Non sapevo cosa dire. No, in realtà, lo sapevo: certo che
non volevo uscire con
lui! Me lo chiese, lì, vicino al tavolo a cui sedevano Sam
ed Aaron, che di
certo avevano sentito. Boccheggiai non sapendo cosa rispondere,
cercando un
modo gentile e cortese per declinare, senza essere sgarbata, come
troppo spesso
mi accadeva nell’ultimo periodo.
«D-devo andare in bagno.» farfugliai voltandomi e
scappando dalla sala mensa,
diretta la bagno. Mi sciacquai il viso, rinfrescandomi la pelle
accaldata.
Perché? Perché mi aveva chiesto di uscire?
Perché le persone non facevano che
complicare le cose?
Cosa gli avrei detto ora?
Nella mia testa piano l’immagine del viso di David si fece
chiara, un’immagine
che mi fece stringere con forza i bordi del lavando e scuotere il capo
per
l’irritazione, quasi potessi liberarmene.
Perché avevo pensato a lui? Cosa mi stava succedendo?
Chiusi un attimo gli occhi, ignorando le ragazza che mi guardavano
quasi
impaurite, e feci un respiro profondo, cercando di calmarmi.
Quando gli riaprii compresi che non avevo alternativa. Dovevo dire a
James che
non sarei uscita con lui. Non era il mio tipo. E probabilmente non lo
sarebbe
stato mai e non perché non fosse attraente. No, a volte,
c’era qualcosa nel suo
sguardo che mi faceva venire i brividi.
Prima di andare in sala mensa decisi di passare dal mio armadietto e
lasciare i
libri superflui, poi m’incamminai nei lunghi corridoi poco
affollati. Quando
entrai nella grande stanza la fila per il pranzo si era esaurita,
così non
dovetti aspettare molto. Quel giorno c’era la pizza. Ne presi
un pezzo, insieme
ad una soda, e mi diressi verso il tavolo al margine della stanza,
accanto alle
finestre. Mentre camminavo con lo sguardo chino, mi sentivo osservata,
certamente non era così, ma quella sensazione mi
accompagnò per tutto il tempo.
«Ehi, Lily, cominciavo a preoccuparmi!»
esclamò Sam mentre mi sedevo accanto a
lei, di fronte a James, che mi fissò senza battere ciglio.
Sorrisi.
Mentre mangiavo il mio pezzo di pizza, Sam ed Aaron mi rivolsero
qualche
domanda al quale risposi a monosillabi. James non parlò,
rimase a guardarmi.
Evitavo il suo sguardo, sentendomi terribilmente a disagio. Mi muovevo
spesso
sul posto, irritata da quel suo odioso comportamento.
Mentre masticavo l’ultimo boccone di pizza alzai lo sguardo
dal mio vassoio,
posandolo oltre la figura di James, incontrando un viso familiare che
per un
momento, per qualche assurdo motivo, mi tranquillizzò.
Al centro della stanza, seduto con un ragazzo ad altre tre ragazze, sul
viso di
David vi era dipinto un sorriso sghembo. Sorrisi a mia volta e
certamente quel
mio flebile sorriso non sfuggì a James che si
voltò, torvo.
Grugnì. «Maledetto Smith. Hai ceduto anche tu al
suo bel faccino.» sputò
incrociando le braccia al petto e guardandomi.
M’accigliai. «Scusa?»
«Mi hai sentito.» ribatté.
«Va al diavolo, James.» sbottai scattando in piedi.
«Tu non mi conosci. Non sai
niente di me.»
Sentii la mano di Sam sfiorarmi il braccio. «Calmati,
Lily.»
Non l’ascoltai, continuai a guardarlo con aria di sfida, ma
dovetti mettere
fine a quel contatto perché la campanella suonò.
Sbuffai d’irritazione e afferrai il mio zaino. «Ci
vediamo in classe, Sam.»
sibilai camminando verso l’uscita e lasciando il vassoio.
Le parole di James non avevano fatto altro che irritarmi, dopo avermi
messa
tremendamente a disagio. Come aveva potuto? Sam era l’unica
persone con cui
avevo un rapporto che poteva essere –anche alla lontana-
definito amicizia. E
amici di Sam erano James e Aaron. Loro pranzavano insieme…
ed io non volevo
finire ad un tavolo vuoto o in cortile al freddo.
Mia nonna avrebbe proposto David, ma non potevo pranzare con lui, sulla
difensiva com’ero. E, in fin dei conti, era ancora il mio nemico di banco.
Non
potevo socializzare con la fazione avversa, anche se, in fondo, non
volevo
ammetterlo a me stessa, stava già capitando.
«Lily, mi spiace tanto per prima.»
sussurrò Sam.
Eravamo a lezione di algebra e il professore era di spalle, scriveva
equazioni
sulla lavagna. Mi allungai con il busto verso di lei, che si trovava al
banco
dietro al mio.
«Non importa.»
«James è fatto così. Rovina sempre
tutto.»
«Tranquilla.»
«Ascolta… ti va di uscire domani sera? Solo tu ed
io.»
Mi voltai quel che bastava per guardarla in volto. «Okay. Mi
farebbe piacere.»
risposi sincera. E, certamente, avrebbe fatto felice mio padre ed i
miei nonni.
Sorrise. «Bene.»
«Ci vediamo alle otto, al molo.»
sussurrò prima di tornare a seguire la
lezione.
Quel giorno saltai l’ora di ginnastica. Era
l’ultima e non avevo voglia di
saltellare a destra e sinistra rincorrendo una palla da basket.
Così, mi
rintanai sotto un albero, quello ai confini del parco della scuola,
nascosta
dalle siepi. Se fossi tornata prima a casa avrei trovato mia nonna
intenta a
cucinare e, probabilmente, mio padre che usciva da scuola. Non mi
andava di
mentire, di trovare una scusa per il mio arrivo in anticipo,
così rimasi lì
seduta, con il libro di letteratura inglese, cominciando a scrivere un
breve
saggio assegnatoci su Keats.
Cominciai a scrivere qualche riga, ma presto mi ritrovai a
scarabocchiare
sovrappensiero, pensando ad un paio di occhi color della notte. Quando
me ne
resi conto, immediatamente, scossi il capo, come a volerli eliminare
dalla mia
fervida immaginazione. In quella frenetica mattinata mi stava capitando
troppo
spesso, forse la pazzia, o qualche forma di demenza, si stava
impadronendo di
me. Stavo perdendo il senno, il lume della regione. Quando alzai il
capo
incontrai un paio di occhi così diversi da quelli che,
quasi, mi fecero
rabbrividire.
«Ciao, baby.» mormorò con voce roca,
quasi ghignate.
«Ciao, James.» cercai di mantenere il tono di voce
più neutro possibile. «Come
puoi ben notare, ora sono impegnata. Ci si vede.» mi limitai
a dire, ritornando
a guardare il libro, fingendo di immergermi nella lettura.
«Hai saltato la lezione?» chiese.
Mi morsi l’interno della guancia.
«Uhm-uhm.», grugnii senza alzare il capo.
«Anche io. Perché sei qui tutta sola?»
Non risposi subito, dopo alcuni istanti alzai il capo e lo guardai
inespressiva. «E tu perché sei qui?»
«Perché ci sei tu. Mi dispiace, per
prima.» rispose con un sorriso beffardo sul
viso pieno.
Deglutii. «Devo studiare, James.» ripetei.
C’era qualcosa nei suoi occhi, non saprei dire cosa, ma
l’unica cosa che in
quel momento mi sovveniva alla mente era una lucertola. Sì,
una lucertola.
James mi ricordata una lucertola con la pelle di una rana.
Quell’immagine mi
fece rabbrividire e grugnire di disgusto, tutto questo non gli
sfuggì.
«Cosa c’è, ti disgusto? Per questo non
vuoi uscire con me?» chiese inclinando
il capo e corrugando la fronte stretta.
«Scusa, devo andare.» dissi afferrando la mia roba
e alzandomi.
Lui mi afferrò per un braccio e mi costrinse a voltarmi
verso di lui. «Non hai
risposto alla mia domanda, Lily. Ti disgusto?»
«No.» soffiai guardandolo negli occhi, le gambe non
rispondevano all’impulso di
andar via.
«Lasciami il braccio, mi fai male. Devo andare.»
«Dobbiamo andare.» disse sorridendo e lasciandomi
il braccio. «Vengo con te.»
«Non puoi.» mi affrettai a dire camminando verso la
scuola a passo svelto.
«Perché?»
«Ho lezione.»
«Bugiarda.»
«Devo studiare.»
«Bugiarda.»
Mi voltai, lasciandomi assalire dalla rabbia che, per un attimo
cancellò la
paura. «Dio, James, lasciami in pace!» strillai
allargando un braccio al cielo.
Sorrise nello stesso modo di prima, come se le parole appena
pronunciate non
avessero importanza, come se non le avesse nemmeno udite. Mi
guardava…
«Ehi, cosa succede qui?», nell’udire
quella voce provai un’improvvisa ondata di
tranquillità, fu come respirare dopo aver trattenuto a lungo
il fiato e solo
quando ebbi una leggera vertigine mi resi conto di aver davvero
trattenuto il
fiato. I miei muscoli di distesero.
«Non servi qui, Smith.» disse con cattiveria James,
mentre io mi voltavo a
guardare i suoi occhi scuri. Incontrare il suo sguardo fu un sollievo,
un’irrazionale (in realtà, assolutamente
razionale) sollievo. Esattamente come
in precedenza mi era accaduto in sala mensa.
«Non servo qui, Lily?» chiese lui inclinando il
capo di lato e alzando un
sopracciglio.
«Ciao, James.» dissi dandogli le spalle e
avvicinandomi a David.
«Ci vediamo in giro, baby.» ridacchiò
lui prima di allontanarsi.
«Uhm.»
Alzai lo sguardo sul viso di David. «Cosa
c’è?»
«Conosco James da un po’. Non i è mai
stato simpatico… credevo fosse innocuo.»
Spalancai appena gli occhi. «Cosa intendi dire?»
chiesi con una punta di
preoccupazione, che non gli sfuggì.
Sorrise. «Tranquilla, Hemsworth, ci sono io a
proteggerti.»
Rotei gli occhi e cominciai a camminare verso l’albero
più vicino. James aveva
ragione, non dovevo andare da nessuna parte, era troppo presto per
tornare,
volevo solo fuggire da lui e dalle sue movenze di lucertola.
«E’ tutto okay?» chiese premuroso. Quel
repentino cambio di voce,
quell’avvolgente tono che m’infuse sicurezza, mi
fece fremere.
«Sì.», lo dissi guardandolo negli occhi,
mentre mi sedevo incrociando le gambe.
«Adesso mi pedini?»
Rise, sedendosi sull’erba, di fronte a me. «Ho
saltato la lezione di
ginnastica.»
«Non siamo nello stesso corso.»
Sorrise. «Lo so. Abbiamo professori diversi
però.»
«Oh.» mormorai portandomi una ciocca di capelli
dietro l’orecchio.
«E’ una cosa che fai spesso.»
«Cosa?»
«Portarti i capelli dietro l’orecchio.»
Deglutii, sperando non si accorgesse che era segno
d’imbarazzo. «Quindi,
abbiamo avuto entrambi l’idea di saltare la lezione di
ginnastica e di venire
qui a passare il tempo?» chiesi inclinando il capo.
Fece spallucce. «Esatto. Non ti pedino.»
«Uhm… okay.»
I suoi occhi mi scrutarono e non potei, in quel momento, non notare
quanto
fosse attraente, quanto il suo viso, nonostante l’antipatia
nata il primo
giorno di scuola, fosse rassicurante. Era strano, non mi era mai
capitato prima
di allora. Era come se, lentamente, come la lava che cola lungo un
pendio, si
stesse insinuando nella mia testa, bruciandomi, divorandomi. Quasi non
riuscivo
a rendermene conto. Un processo così lento da non sembrare
nemmeno reale.
«Non mi sembri il tipo da saltare una lezione di ginnastica.
Fai jogging al
mattino e chissà cos’altro ancora.»
«Surf.»
Schioccai la lingua. «Appunto.»
Sospirò. «Evito una persona.»
«Una ragazza.» dissi scrutando il suo viso.
Fece una smorfia. «Una pazza.»
Risi. «La tua ragazza?»
«No. Una pazza.»
In qualche strano modo, mi sentii sollevata.
«Così, David Smith scappa da una
ragazza.»
Si grattò la nuca. «Se vogliamo porla in questo
modo… sì. e tu,
invece?»
«Non avevo voglia di saltellare facendo rimbalzare un
pallone.»
«Cattivo sport il basket.»
Feci un risolino abbassando appena lo sguardo, quando lo rialzai
incontrai il
suo. «Non ne avevo semplicemente voglia.»
«E’ un modo per dire che la coordinazione mano
occhio non è il tuo forte?» mi
stuzzicò.
«Oh, lo è invece. Sono molto
coordinata… è solo che sono più topo
da biblioteca
che ragazza sportiva.»
Sorrise. «Sei la prima a cui lo sento dire.»
«Beh… c’è sempre una prima
volta, David.» mormorai incapace di scostare lo
sguardo dal suo viso.
«Sì, direi di sì. Ultimamente
c’è così tanto di nuovo.»,
negli occhi una strana
luce.
Le parole che mi uscirono poco dopo, non riuscii a fermarle.
«Pensi davvero
quello che ha detto questa mattina?»
Non rispose subito, per attimi eterni i suoi occhi rimasero fissi nei
miei,
potei avvertirli accarezzarmi l’anima.
L’intensità di quello sguardo, mi
spaventò. Cosa stava succedendo?
«Ogni singola parola.»
«Sono un casino, David.»
Non rispose, i suoi occhi indugiarono nei miei.
Dischiusi la bocca, mentre il respiro accelerava appena. La mia vita
stava
cambiando, era cambiata. Era tutto nuovo, a volte doloroso, a volte
triste, a
volte senza colore. Mi resi conto che il quel momento, per un qualche
scherzo
del destino, la mia vita era appena colorata. Non aveva
tonalità lucenti,
intorno a me il verde dell’erba, il marrone degli alberi
erano slavati, ma pur
sempre appena colorati. Non era tutto grigio, come quando ero
arrivata… no, non
lo era affatto. Quell’improvvisa consapevolezza mi fece
paura. Una strana
sensazione di soffocamento. Non riuscivo quasi a muovermi, dovetti
concentrarmi
il più possibile per alzarmi dall’erbetta fresca e
umida.
«Dove vai?»
«Ho… ho… bisogno di andare in
bagno.» farfuglia allontanandomi da David…
allontanandomi, inconsciamente, da me stessa.
Tossi
l’ultima volta e tirai lo
sciacquone, prima di uscire dal piccolo bagno dalla porta nera e le
mattonelle
lucide. Arrancai ai lavandini del bagno della scuola, con una mano
poggiata
sullo stomaco dolente. La gola mi bruciava, la testa pulsava di dolore.
Poggiai le mani su uno dei lavandini e aprii l’acqua per
sciacquarmi la bocca
ed il viso. Mi asciugai con la carta dei contenitori appositi, situati
accanto
agli specchi e mi guardai in uno di essi. Ero pallida, più
pallida del solito e
ciò che vidi non mi piacque affatto.
Cosa mi stava accadendo?
Non riuscivo a focalizzare chi fossi, perché fossi
lì e quali eventi mi ci
avevano portato. Era come se fossi giunta lì senza nemmeno
rendermene conto.
Non era come se avessi camminato per inerzia.. come se… una
forza, più potente
di me e della mia volontà, mi avesse attratto a
sé. E fu in quel momento, in
quel preciso istante che quasi potei avvertire la presenza di mia
madre, la sua
mano sfiorarmi i capelli, il suo profumo inondarmi i polmoni. Fu come
se fosse
lì, chiusi gli occhi per imprimere quella sensazione
inaspettata nella mente,
intrappolarla nel mio cuore e non
lasciarla più andar via.
Mamma…
«I cambiamenti, piccola mia, possono essere di due tipi.
Possono essere tanto
radicali che tutto è diverso, subito, tanto velocemente da
togliere il fiato.
Oppure così costanti, così lenti, che non senti
nessuna differenza, che ti
accorgi che tutto è cambiato solo quando tutto
cambia.»
Aprii gli occhi di scatto prima di correre nuovamente nel
piccolo bagno.
Quando
uscii da scuola, mi sentivo ancora lo stomaco sottosopra e di certo la
situazione
non migliorò quando, scendendo le scale e non notai la
figura seduta sugli scalini.
«Lily!» esclamò mentre avanzavo nel
parcheggio.
Mi fermai e chiusi per un memento gli occhi. Mille emozioni
contrastanti
m’investirono, dandomi alla testa. Sospirai, prima di
voltarmi.
«David.» dissi abbozzando un sorriso.
«Sei sparita prima. Tutto okay? Non hai una bella
cera.»
«Sì… ehm… tutto okay. Ho
solo un po’ di mal di stomaco.»
Si avvicinò a me, con espressione preoccupata.
«Mia madre è una farmacista. Se
ti va puoi passare da casa… ho tanti di quei medicinali da
far concorrenza ad
un ospedale.» disse sorridendo.
Mi morsi l’interno della guancia. «No, tranquillo,
è tutto okay.»
«Ti accompagno a casa.»
«Non ce n’è bisogno.» mi
affrettai a dire.
«Sì, invece. Sei di strada.»
«Meglio se prendo un po’
d’aria.»
Cercavo ogni scusa per evitare di rimanere sola con lui
nell’abitacolo
dell’auto. Anche se, una piccola parte di me, fremeva per
l’impazienza di
salire su quell’auto… per tornare prima a casa,
ovvio.
«Non credo tua nonna me lo perdonerebbe.»
Alzai un sopracciglio. «Non è detto che debba
saperlo.»
Si passo una mano fra i capelli. «Beh… non sarei
io a perdonarmelo. Non posso
lasciarti andare da sola in queste condizioni. Abiti a pochi metri da
casa
mia.»
«Ti ho detto che sto bene.» sbuffai, leggermente
irritata.
«Sei più bianca del solito. Sembri fatta di
panna.» disse incrociando le
braccia al petto. «Avanti, ti accompagno.»
Scossi il capo. «Non mollerai mai, vero?»
«Dovessi seguirti con l’auto, non ti
lascerò andare da sola. Se svieni ci vuole
un prode cavaliere a soccorrerti.»
Sbuffai, riducendo gli occhi a due fessure. «Ti
odio.»
Rise. «Anche io, Lily.»
*
Salve gente, eccomi qui… di nuovo.
Purtroppo scrivere in questo periodo è un’impresa.
L’estate è sempre frenetica
e fra mare ed amici il tempo è sempre poco. Ora, si comincia
a studiare e la
sera, in teoria, dovrei riuscire a recuperare questi due mesi di
“silenzio”.
Grazie a voi che, nonostante tutto, continuate a seguire la storia.
Un bacio, Panda.