Capitolo 23
«Dobbiamo andarcene» mormora mio padre, tirandomi per un braccio e facendomi indietreggiare.
Il mio sguardo, invece, resta fisso sul corpo di Sebastian, inerme al limitar del bosco.
Due figure bianche sfrecciano davanti a noi, nel chiaro tentativo di sbarrarci la strada e farci da scudo.
Raze arriva a toccare con la punta dei suoi stivali di pelle nera il vampiro, sbuffando con fare annoiato.
«Ah, povero Sebastian, messo alle strette da uno Zver… che diranno i tuoi amici?»
L’ultima parola esce fuori dalla sua bocca come un insulto, uno
scherno nei confronti del suo avversario, quasi a volersi beffare di
chi si circonda.
Un rantolo sfugge dalle labbra di Sebastian, seguito da un gorgoglio
prolungato e gutturale. I suoi occhi blu cobalto adesso sono puntati
sulla figura minacciosa dinnanzi a lui, lanciando bagliori sinistri.
Gli altri due esseri si posizionano davanti alle due figure
incappucciate. I loro guaiti si espandono nel silenzio della notte,
carichi di promesse di morte.
«Sarà meglio che tu segua il consiglio di tuo padre,
Renesmee. È pericoloso stare qui» dichiara con voce
spettrale uno dei volti mascherati.
Le loro voci, così come quella di mio padre, mi giungono
ovattate, lontane anni luce da me. Soltanto Sebastian la mia mente
registra come un eco che si ripete di continuo.
Sebastian… Sebastian… Sebastian…
In un attimo, qualcosa si accende in me, una strana consapevolezza si fa largo nelle mie viscere.
Sebastian potrebbe morire sotto i colpi di quel tizio chiamato Raze.
Non so cosa mi spinge, forse il mio spirito altruistico o forse la
riconoscenza per quel vampiro che sembra capire quando ho bisogno di
lui e quando invece preferisco star sola, sta di fatto che se lui
dovesse morire, qualcosa si frantumerebbe dentro di me.
Ma non riesco a definire cosa sia.
SEBASTIAN!
È come un grido, stavolta, un urlo lancinante che mi spinge a
non abbandonarlo, a lottare affinché ritorni sano e salvo a casa.
O da te?, sussurra una vocina nella mia testa.
Scuoto la testa, mentre con uno strattone mi divincolo dalle braccia di mio padre.
«Renesmee!» urla quest’ultimo, cercando di venirmi dietro.
Scatto verso sinistra, tentando di aggirare le due figure e correre ad
aiutare Sebastian, ma quella più vicina a me mi acchiappa per la
vita, stringendomi in una morsa senza via di scampo.
«Lasciami, dobbiamo aiutarlo… devo aiutarlo» sbotto tutto d’un fiato.
Quel devo suona come un’imposizione, tanto che li sento vacillare, come se rispondessero a un ordine di un superiore.
«Tenetela, non lasciatela avvicinare» bofonchia una voce rauca che ormai ho imparato a riconoscere tra tutte.
Sebastian si solleva sui gomiti, il suo sguardo danza in quello del suo nemico.
«Giù le mani da lei. Ora!» ringhia mio padre.
Una mano bianca avvolge all’improvviso la gola del mio carceriere, stritolando sempre più quella vesta.
Potrebbe ucciderlo, Renesmee.
No, qualcosa mi dice che quella stretta non provoca alcun dolore al tizio che mi tiene tra le sue braccia.
Al massimo potrà provare fastidio.
Infatti un sibilo fuoriesce dalle labbra. Solo al di sotto di quelle il viso è scoperto.
Il mento mascolino si nota benissimo alla luce del bagliore lunare.
La pelle è bianca, pallida, proprio come quella di un qualsiasi vampiro.
Con l’altro braccio afferra la mano che lo stringe in modo
convulso e con un gesto secco lo scaraventa contro un muro di mattoni
rossi dietro di noi.
«Papà!».
Lo schianto riecheggia come lo scoppio di una mina, ma nessuno sembra averlo udito in quel quartiere.
Come mai?, mi domando.
«Tuo padre non conosce le buone maniere, a volte. È una
testa calda» e scuote la testa, come se la cosa lo avvilisse.
Invece voi ne avete fin troppe di buone maniere, penso, mentre il muro si sgretola sempre più.
«Come sempre, del resto» ridacchia l’altro, facendo scrocchiare le nocche delle mani.
Mi volto di scatto, colpita da quelle parole. «“Come sempre”? Che significa? Lo conoscete già?»
Il mio carceriere si volta verso l’altro, ma dal modo in cui si
è irrigidito, immagino che non sia contento né
dell’uscita del compagno né delle mie domande.
«Sì, be’… tutti conoscono la famiglia Cullen.
E tuo padre è stato il primo dei figli di tuo nonno. È
normale che ormai si è sparsa la voce sul suo
caratteraccio»
È una mia impressione o la sua voce calma sembra stonare con la sua postura del tutto innaturale?
Probabilmente non ricaverò un ragno dal buco, vedendo già
come passano alla posizione di difesa. Decido che è inutile
cercare di tirare la corda, rischierei solo di farli allontanare ancor
di più.
Devo aspettare un altro momento di disattenzione da parte di uno dei
due, anche solo una frase ambigua come quella potrebbe fare la
differenza e smascherarli.
Cerco di forzare quella prigione d’acciaio, ma nulla; con un
sospiro mi volto verso papà, che cerca di rimettersi in piedi
dopo la botta ricevuta.
Non dovrebbe essere un problema per lui, il suo corpo è ancor
più resistente del muro che è riuscito a distruggere. Si
rialzerà in pochi secondi.
«Sì, immagino si riferisca al modo in cui mio padre si
è ribellato ai Volturi» ipotizzo, stando al loro gioco di
parole.
I due distolgono lo sguardo dall’altro, anche se non capisco come
riescano a vedersi attraverso quel mantello che li rende
irriconoscibili dalle labbra in su, e trafiggono la mia figura, in
qualche modo.
L’altro, quello con la battuta sempre pronta, sfreccia verso mio
padre, pronunciando qualcosa che non riesco a cogliere, e mio padre
finisce a terra come niente fosse. Dal respiro capisco che sta…
dormendo?
Mio padre dorme?, mi domando mentalmente, incredula.
Probabilmente è lo stesso trucchetto che ha usato Raze per addormentare i miei familiari e Jake.
«Naturalmente» pronunciano nello stesso istante con tono
secco, che equivale a dire “niente più domande,
ragazzina!”. La loro risposta mi riporta con i piedi per terra,
cercando di camuffare la mia sorpresa, il mio disprezzo verso di loro
e, perché no, anche l’ammirazione per ciò che
riescono a fare con i loro poteri incredibili.
«Be’, tuo padre ne combina di casini, mocciosetta, e a
volte è difficile non perdere la pazienza con lui…»
e indica il vampiro nemico che tenta di sollevarsi alle sue spalle,
«d’altronde anche lui si caccia nei guai. Anche il migliore
a volte fallisce, lo sanno tutti» e scrolla le spalle come se
niente fosse.
«Piantala, Raze. Invece di parlare a sproposito, perché
non usi le tue energie per tenermi testa? Ti ci vorrà tutto
l’aiuto possibile per riuscire a farmi cambiare idea».
Barcollando, appoggia una mano insanguinata sul tronco
dell’albero secolare alle sue spalle, lasciando una traccia
evidente dell’impronta della sua mano.
Il rosso del suo sangue…
I vampiri non possono sanguinare!
Sono come delle pietre: dure, fredde… indistruttibili.
Se non quando vengono fatti a pezzi da un altro della loro razza.
Solo i mezzosangue possono sanguinare, dato che siamo per metà umani.
Il mio sguardo stralunato e confuso deve essere tutto un programma,
dato che Raze scoppia a ridere per la mia scoperta, mentre Sebastian
con un gesto brusco tenta di spazzarlo via, consapevole di avermi
mostrato troppo.
«Che sguardo da pulcino spaventato… sul serio, è
davvero divertente tutta questa scena. Avrei dovuto portare più
amici» e si volta a osservare i due… mostri, sì,
non riesco a trovare un’altra parola adatta per descrivere quegli
esseri, che adesso sembrano ridere, da quanto il loro corpo vibri,
sotto tutto quel pelo fulvo. « Ah, dimenticavo… quale idea
dovrei farti cambiare, caro Sebastian?» squadrandolo con un
sorriso che non ha nulla di rassicurante.
I suoi canini si allungano, parola dopo parola, secondo dopo secondo, i
suoi capelli si estendono fino ad arrivare a metà schiena. Il
viso sembra adombrarsi e l’addome sembra contrarsi in spasmi
violenti, come se stesse per trasformarsi.
Ma ciò che più mi fa paura in tutto quello che sta mutando, sono i suoi occhi.
È un fuoco, lento e inesorabile, che sembra incendiare le sue iridi, trasformandole in due veri e propri tizzoni ardenti.
Persino il colore del sangue che gli cola dalle fauci sembra meno vivo.
È il colore degli occhi di quella bestia che bisogna temere.
«Be’, ormai è tardi. Se prima pensavo che lasciarti
andare fosse un gesto di magnanimità, ora ritengo che sia il mio
più grande errore», apre il lungo soprabito nero, dal
quale spunta una katana, tipica dei samurai giapponesi, con
l’impugnatura nera, «non posso permettere che tu torni a
casa e racconti di lei» e mi indica con la spada ancora riposta
nel fodero, «mi spiace, l’hai voluto tu»
La bestia emette un gorgoglio, ormai incapace di pronunciare una
singola parola in quella nuova forma. Eppure, qualcosa di inaspettato
riesce a sconvolgere sia me che Sebastian e i suoi amici mascherati.
Con un artiglio, spazza via il rivolo di sangue, accovacciandosi sul
terreno. Traccia con i lunghi “coltelli” delle linee sul
suolo, finché non si ferma di colpo.
Un cerchio di sangue, con alcuni simboli simili a scarabocchi, giace a
terra, un fascio di luce proviene dal cielo, colpendo i singoli disegni
con precisione millimetrica.
Il sangue sembra pulsare, come se vivesse una vita a sé, lontano da quella bestia.
Con un ronzio, il sangue si muove, restringendo il cerchio, fino a
raggiungere le zampe posteriori dell’animale, che fissa con
sguardo diabolico Sebastian.
Quest’ultimo rimane senza fiato, mentre il cerchio comincia a
risalire attraverso la sua pelliccia. I simboli si accendono,
finché non cominciano a bruciare.
I lineamenti cambiano, il pelo svanisce, un uomo prende il posto di quella bestia.
Un uomo che non è Raze.
L’uomo è nudo, completamente nudo. I simboli di sangue
sembrano essere riassorbiti dalla pelle, finché non svaniscono
completamente.
Le braccia che mi tengono prigioniera si sciolgono. Mi volto, sorpresa,
verso il tizio con la mantella. Le sue labbra si muovono, ma non esce
alcun suono.
La tipica espressione di chi è appena rimasto a bocca aperta, proprio come l’altro suo amico mascherato.
A quanto sembra, neanche Sebastian si aspettava questa nuova svolta.
Eppure, oltre a quella parvenza di incredulità, scorgo agitazione, mista a paura.
Una paura devastante.
I suoi occhi incrociano per una frazione di secondo i miei, come per
darsi forza, perché dopo lo vedo assumere un nuovo atteggiamento.
Non più aggressivo, semmai quasi di soggezione.
L’uomo nudo mi da le spalle, mentre i due mostri si avvicinano a
lui, annusandolo e piegandosi a suoi piedi, in segno di sottomissione
più ferrea possibile.
Questo allunga una mano fino ad accarezzare la folta criniera di uno
dei due, il gesto così lento, calmo e pacato, sembra una velata
minaccia.
«Sono alquanto rammaricato, mio caro Sebastian, che il tuo
tentativo di uccidere una delle mie più belle creature sia
andato in fumo…» pronuncia con voce melodiosa il nuovo
arrivato.
Una delle sue bestie porge il lungo cappotto nero che Raze aveva
gettato a terra, perché rovinato. Lo indossa con gesti agili,
sinuosi, coprendo le sue nudità.
Ora solo un collo taurino e un taglio di capelli a spazzola riesco a scorgere.
Sebastian sembra non gradire quelle parole, perché risponde
gelido: «non ha avuto il coraggio di affrontarmi, dato che sei
arrivato tu. La sua spavalderia è stata tutta una
sceneggiata?»
Una risata, simile ad un coro di angeli, si espande nell’aria.
«Suvvia, Sebastian, non mi porterai rancore per uno scontro non avvenuto, spero…»
Sebastian serra le labbra, con un’espressione indecifrabile sul viso, «potrebbe essere».
L’altro emette un sospiro di rassegnazione, «anche a me
piacciono gli scontri, lo sai benissimo», lo sento sorridere, lo
capisco dalla rabbia che passa attraverso gli occhi del vampiro,
«ma tengo molto a Raze, è come un figlio per me. Non posso
proprio lasciarti compiere un simile gesto. Mi ferirebbe nel
profondo» finisce con un tono talmente costernato e affranto, che
giurerei fosse tutto vero, ciò che fuoriesce dalle sue labbra.
Dallo sguardo serio e colmo di astio di Sebastian, deduco che non sia proprio così.
«Non hai mai avuto questa impressione nei secoli passati, quando
i generali dei tuoi eserciti perivano uno dopo l’altro per mano
mia o dei miei compagni. Mi suonano come una menzogna ben camuffata, le
tue parole, se non ti conoscessi già da un bel po’».
Un’altra risata, seguita da un movimento. L’uomo si
è spostato, camminando lentamente in direzione di Sebastian.
Quest’ultimo sfodera la katana, mettendosi in posizione d’attacco, proprio come un vero samurai.
«Tengo molto ai miei figli, ma non riesco ad affezionarmi se poi voi li uccidete non appena li creo» conclude con un ringhio animale.
Tremo, stringendo un lembo della tunica del tizio mascherato.
Quello non è un uomo, ne sono sicura adesso. L’alone di tenebra che emana è terrificante.
I due tizi mascherati mi nascondono dietro le loro figure, in caso dovesse iniziare la lotta.
«Be’, i tuoi figli non
sanno come ci si comporta. E sono terribilmente aggressivi. Ti stupisci
se poi noi li uccidiamo? Se insegni loro quello che è giusto e quello che è sbagliato,
allora potremmo anche smetterla, io e miei compagni» quelle tre
parole le sottolinea con enfasi, con una certa ostilità che
anche il suo nemico riesce a scorgere.
Arresta il suo passo, come se le parole dell’avversario lo
avessero scosso, ma poi il suo sguardo indugia un po’ più
in basso.
«È da molto tempo che la tua katana non viene fuori. Ah, che dico… quella non è la tua katana».
Come un lampo sfreccia verso di lui e Sebastian si prepara al
contraccolpo che sorprendentemente non avviene. Il tizio svanisce un
istante prima di sfiorare la punta della spada.
I miei occhi inchiodano quelli di Sebastian, che si spalancano
inorriditi. Un folata di vento gelido arriva da dietro le mie spalle.
La tunica dell’incappucciato si strappa, come se l’altro si
sia allontanato in fretta.
Cerco di voltarmi, per capire come mai in mano tengo solo un pezzo di
stoffa bianco, in un attimo un alito caldo mi soffia
nell’orecchio.
Il respiro si mozza e le parole mi muoiono in gola. Un tocco caldo, seguito dall’odore di morte, mi percuotono.
Sebastian grida il mio nome, mentre lo fisso atterrita. Corre verso di me, ma i due mostri lo costringono ad affrontarli.
«Toglietevi dai piedi, se non volete fare una brutta fine!»
La lama ruota, fendendo l’aria e provocando sibili di vento.
È abile con quell’arma, non ho mai visto nessuno
utilizzare una spada così, neanche in tv.
«Che ne pensi, Renesmee? Non trovi che quel vampiro
dall’aria tenebrosa meriti una lezione per aver osato prendersi
qualcosa che appartiene a me?» mi domanda una voce suadente.
È dietro di me e mi costringe a non guardarlo in viso, ma i suoi
polpastrelli scorrono su e giù sulle mie braccia. Sembrano le
carezze di un amante, come quelle che si scambiano i miei zii o i miei
nonni, eppure non sono semplici carezze d’amore.
Cerco di scostarmi, di correre lontano da questa presenza malvagia, ma
quelle dita gentili si sono trasformate: due ceppi caldi, roventi, mi
tengono ferma sul posto.
Qualcosa di umido mi sfiora il collo. Un urlo è tutto ciò
che mi concede prima di tapparmi la bocca con una mano. Con
l’altro braccio mi tiene stretta a sé.
«Non la toccare!» ruggisce Sebastian, con gli occhi che ardono, nonostante il blu sia un colore freddo.
In questo momento, sono talmente caldi e vivi che li sento trafiggere con crudeltà quelli del mio aguzzino.
«Perché, Sebastian? Tu hai preso quell’arma. Ricordi che spettava a me?»
Sebastian, per tutta risposta, colpisce allo sterno una delle due
bestie, e uno spruzzo di sangue schizza con ferocia e rapidità
sul terreno, come a volersi imprimere nella memoria di questo luogo.
«Guarda come lotta, piccola. È bravo, io non l’ho
mai messo in dubbio, ma sai, lui non vuole schierarsi dalla mia parte.
Crede che quello per cui combatte sia giusto», lo sento scuotere
la testa, «dovremmo fornirgli un motivo più che valido per
passare dalla mia parte, non trovi? Dell’arma, alla fine,
m’importa così poco che… preferisco avere sia
l’arma che colui che la sa maneggiare. Meglio entrambi che
accontentarsi di uno stupido pezzo di metallo».
Cerco di guardarlo, ma il mio viso si volta verso sinistra e si blocca. Lui non mi permette di andare oltre.
Vuole Sebastian, non solo la spada, qualunque cosa sia in grado di fare quell’arma.
Il terrore che Sebastian passi dalla parte di questo essere mi coglie
alla sprovvista, ma più quest’idea si annida in me,
più sento crescere la paura.
Non può prendersi Sebastian, colui che mi tiene prigioniera
incarna il male più profondo. È qualcosa di corrotto.
«Tu potresti aiutarmi, Renesmee, potresti essere la chiave per portarlo tra le mie file».
«Scordatelo! Non te lo permetto, tu non le farai del male»
scandisce con forza una voce familiare. Riporto lo sguardo su Sebastian
e noto che le due bestie sono a terra, con sembianze umane, entrambi i
corpi nudi esposti alla fievole luce lunare.
«Vuoi mettermi alla prova?» ringhia il mio aguzzino, stringendomi fino a farmi mancare il respiro.
«Sì, ma non lui. Sono io che ti metto alla prova!».
Questa voce…
Le mie gambe tremano, il mio corpo vuole accasciarsi al suolo, tante
sono le emozioni che lo percorrono. Ma è la voce che ho sentito
un attimo fa a farmi vacillare.
La mano sulla mia bocca scompare, per posarsi sul mio collo e
stringerlo, in un chiaro tentativo di non compiere mosse azzardate.
«Mamma!».
Di tutti i modi in cui avremmo potuto incontrarci, questo è sicuramente l’unico che non mi ha sfiorato la mente.
Angolo autrice:
Eccomi tornata, spero che anche questo capitolo vi piaccia. Se ci sono
errori, fatemeli notare, li correggerò al più presto.
Grazie.
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