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Autore: Thumbelina    11/09/2011    6 recensioni
E’ veramente lì fuori, è così? Dobbiamo essere in grado di difenderci da soli. E se la Umbridge si rifiuta di insegnarcelo ci serve qualcuno che lo faccia.
Ok, questa idea mi è venuta guardando questa sera stessa il film hp5, e al sentire questa frase mi è parso che sullo schermo comparisse la scritta "e se non si stesse riferendo ad Harry?" e da lì è stata tutta un'ispirazione! Quindi mi sono subito tuffata a scrivere (dopo aver visto la fine del film, ovviamente!) ed ecco qua la mia piccola introduzione. Che dirvi, penso che sia un'idea molto originale, probabilmente non avete mai letto niente, niente di simile, o almeno spero, ecco tutto! Spero di avervi quantomeno incuriosito, e che quindi leggerete il mio primo ed insulso capitolo (è una stupida, semplice introduzione, nulla di che) per poi appassionarvi alla storia, quando questa sarà pronta per essere scritta, cosa che avverrà molto presto, temo. Forse è la storia più geniale che mi sia venuta in mente, e di certo è qualcosa di totalmente diverso rispetto al mio genere e quindi... non c'è che dire, sono molto incuriosita anch'io. Prima di finire le parole a disposizione vi lascio. Bacioni. Buona Lettura. Giulia.
Genere: Azione, Guerra, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Dolores Umbridge, Il trio protagonista, Severus Piton, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Da V libro alternativo
Capitoli:
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Prima lezione

Non era una cosa facile, stare lì in quella stanza, in piedi, pensava Harry. Non era affatto, una cosa facile. Non solo perché questa gli ricordava terribilmente tutte le disavventure che aveva dovuto passare alla fine il suo primo anno, anno durante il quale, per inciso, aveva rischiato non solo di morire, ma aveva anche messo in serio pericolo anche i suoi due migliori amici, ma anche, e soprattutto, per le occhiate assassine che gli lanciavano ora i suoi nuovo compagni di classe da tutte le parti.
Il motivo era più che evidente, e si muoveva come un pipistrello avanti e indietro per tutta la misura di un arazzo viola raffigurante un qualche strambo ghirigoro che lui stesso aveva appeso per bloccare le finestre, facendo l’appello. Severus Piton, era il motivo inequivocabile della densa coltre di odio che al momento aromatizzava la stanza.
Ne aveva selezionati ventotto. Avrebbero dovuto essercene ventotto. E, sorpresona, ce n’erano ventotto. Quindi, si chiedeva il ragazzo, che senso aveva fare l’appello?
Non poteva essersi infiltrato qualcuno che non fosse dei loro, e questo lui lo sapeva bene dato che, insieme a Ron ed Hermione, aveva passato l’inizio lezione bloccato presso la porta a controllare chi entrasse e chi no, cosa che era risultata, agli occhi dei ragazzi, particolarmente noiosa e snervante, e lo sapeva anche il suo professore, dato che era stato proprio lui ad appioppargli quello stupido incarico, andando a controllare come stesse andando il loro lavoro con continuità martellante, quasi come una dama di San Lorenzo. Quindi, ripeto, che senso aveva fare l’appello?
Oh, certo, Harry aveva provato a spiegarlo al suo professore, mentre questo compiva puntuale il suo terzo giro del violaceo arazzo, ma si dà il caso che il caro Severus Piton si fosse limitato solo a lanciargli un’occhiata che stava a dire qualcosa del tipo tornatene al tuo posto o ti crucio, se non peggio ed aveva continuato, convinto, il suo appello.
Che persona odiosa!
Guardatelo, guardatelo come era insulso e viscido mentre si aggirava soddisfatto compiendo per l’ennesima volta lo stesso percorso.
Oh sì, sono Severus Piton è sto facendo l’appello, come sono bravo! Certo, lo so che ci sono già tutti, li ho contati e Potter me lo ha già ripetuto due volte, ma io sono troppo intelligente per non fare l’appello gne gne gne gne gne! Guardatemi, guardatemi come sono bravo, sono già arrivato alla E, sono un vero genio, alla faccia di Potter e di tutti gli altri, sono il professore io, ho le mie regole io!
- Venti punti in meno a Grifondoro, signor Potter – scandì il professor Piton senza staccare gli occhi dalla pergamena che teneva in mano.
Era una lista completa dei nomi degli alunni che avrebbero partecipato alle sue lezioni, fattagli firmare dal professore di loro pugno a colloquio effettuato, e, anche se Severus non lo avrebbe mai ammesso, ne andava incredibilmente fiero.
Ventotto studenti, ventotto studenti si sarebbe riuniti in segreto da qui alla fine dell’anno, correndo il pericolo di venir torturati od espulsi, solo per poter assistere alle sue lezioni. Ok, Severus Piton non era mai stato un uomo vanitoso, ma tutta quella faccenda stava dando un grosso colpo al cerchio della sua autostima. E chissà che cosa avrebbe detto il vecchio Albus, che non gli aveva mai concesso quella cattedra, ora che ben ventotto studenti si giocavano il loro futuro ad Hogwarts pur di farsi istruire da lui! Eh sì, son soddisfazioni!
- Ma, professore, - protestò Harry – come venti punti? Io non ho fatto nulla.
- Fra un po’ di tempo e con un po’ di studio probabilmente ben presto imparerà cosa sia un legilimens, signor Potter, - rispose lui Severus, riemergendo dai propri pensieri – per il momento, venti punti in meno a Grifondoro.
Ciò detto, l’insegnante continuò a concentrarsi sul suo appello. Sapeva che c’erano già tutti, eppure era giunto il momento che quei tutti, che erano entrati gozzovigliando e chiacchierando spensieratamente fra di loro in quella che da quel giorno in poi Severus Piton avrebbe probabilmente definito la sua aula, si accorgessero che c’era lui. Non che non se ne fossero ancora accorti nel senso letterale del termine, (caciaroni sì, ma rimbambiti no, per l’amor del cielo!) è solo che il loro magnanimo insegnante trovava particolarmente adeguato che tutti i suoi studenti si rendessero conto fin da subito dell’autorità che il caro vecchio professor Piton esercitava adesso su di loro. Se avesse ripetuto i numeri da 1 a 15 per tre volte, mantenendo la stessa andatura ora avanti, ora indietro per tutta la lunghezza dell’arazzo, con lo stesso tono di voce e lo stesso sguardo inquisitorio, l’effetto sarebbe stato suppergiù lo stesso. E poi, non dimentichiamolo, quell’appello era pur sempre un ché di particolarmente simbolico, insomma, una metafora mal colta della nascita di quella nuova classe segreta, di cui lui, e qui si ritorna a quel pizzico di calda vanità che al momento gli solleticava le smorfie, era il professore. Quindi, l’appello non era assolutamente discutibile, che a Potter e compagnia bella la cosa facesse piacere o no. Anzi, se non erano d’accordo tanto meglio, così avrebbero capito chi fosse l’insegnante. Ok, forse questa cosa lo stava montando un po’.
- Angelina Jonson? – chiamò il professore, tornando a concentrarsi sul suo appello.
- Presente. – dichiarò con fare rispettoso ma un tantino scocciato la ragazza, alzando lievemente la mano.
Senza alzare gli occhi dalla pergamena, Severus Piton ripercorse mentalmente i punti salienti del suo colloquio con la ragazza.
Pettinata in modo decente, vestita in maniera impeccabile, cosa che non si poteva certo dire per tutte le ragazze della sua età che si erano presentate all’incontro, la ragazza era entrata subito dopo la fine del colloquio dei due gemelli Weasley (ed anche su quel colloquio il professor Piton aveva abbastanza di cui ricordare), e si era seduta compostamente sulla sedia di fronte alla scrivania. Hermione, Harry e Ron le avevano sorriso rassicuranti, dall’altro capo del tavolo, lui l’aveva guardata torvo.
Aveva cominciato lui il discorso, con qualcosa del tipo e lei è qui per…? e di lì in poi, senza alzare gli occhi dalla consunta pergamena su cui stava al momento prendendo appunti, aveva lasciato che fosse la ragazza a parlare.
Pareva un po’ imbarazzata, come se non sapesse cosa dire.
Pessimo, aveva scritto Severus Piton sulla sua pergamena, ma lo aveva cancellato subito dopo, non appena la ragazza aveva cominciato a parlare.
“Non dico che se sentirò che il Signore Oscuro disti da me meno di trenta chilometri spolvererò la mia armatura, impugnerò la mia spada lucente e scenderò coraggiosamente in battaglia, senza battere ciglio, anzi, probabilmente creperò di paura prima d’aver finito di sentire la notizia. Ma la paura è normale, suppongo, è umano, provare paura. Ciò non vuol dire che me ne starò ferma a guardare, o che permetterò al timore di sopraffarmi, penso che l’avrei vinta io. Forse non sarò la prima a scendere in battaglia, forse cercherò di ritardare quel momento, di cercare un’altra via per salvare me ed i miei amici che non comprenda il duello, ma alla fine tirerò comunque fuori la bacchetta. Non scapperò via, per quanto io abbia paura, e non mi arrenderò, fino alla fine. Semmai dovessi entrare nella battaglia, e spero, ripeto, che ciò non succeda, penso che dovranno uccidermi per tirarmene fuori. Non starò in prima fila, forse, ma nemmeno nell’ultima, io lotterò insieme ai miei amici, fianco a fianco, qualunque cosa accada, e voglio saper come fare. Tutto qui, non ho nient’altro da dire.”
Le aveva fatto un’altra domanda poi, ora non riusciva bene a ricordare, doveva essere qualcosa del tipo lei è ben sicura che rimarrà fedele all”Esercito e con esso a tutti i suoi membri? Al che lei aveva risposto con qualcosa del tipo “C’è qualcosa che lei non ha capito nell’espressione lotterò insieme ai miei amici, fianco a fianco, qualunque cosa accada? Mi sembra abbastanza ovvio che mi ripudi il solo pensiero di tradirli.”. “Ma io non sono un suo amico, signorina Jonson,” aveva affermato allora lui “questo vuol dire forse che potrei essere io ad esser tradito?”. La ragazza l’aveva fissato negli occhi, aveva scansato con la mano una ciocca di capelli neri che le si erano andati a parare dinnanzi alla fronte ed aveva ricominciato a parlare. “Lei sa che gioco a quidditch, non è vero, professore?” aveva detto per principio in quella che doveva essere solo una domanda retorica, poiché le era bastato che il suo insegnante staccasse un attimo il volto dalla pergamena per guardarla un secondo, che la ragazza aveva ricominciato a parlare: “Beh, l’altro giorno, ci stavamo allenando con la professoressa Bump, ed indossavamo le uniformi regolamentari. Ora, una cosa che forse lei non sa, è che nella scorsa partita di quidditch a metà del primo tempo io sono caduta rovinosamente a terra, sfregiandomi la parte bassa del fianco sinistro. Forse lei non lo ha mai provato, professore, ma il tessuto dell’uniforme da quidditch è alquanto ruvido, e le assicuro che, quando struscia durante un allenamento su un eritema non fasciato ed ancora dolorante, non è proprio un brodo di giuggiole. Quindi, vedendo che la cosa mi faceva male, per non farmi rinunciare all’allenamento e tenendo comunque alla mia salute, la professoressa ha puntato la bacchetta contro la mia uniforme, e me l’ha accorciata facendo in modo che mi arrivasse poco più su dell’eritema, solo in quel punto, per aiutarmi. Beh, l’allenamento era quasi finito quando è arrivata la Umbridge, era lì per interrogare la Bump, suppongo. Comunque, appena arrivata, la prima cosa che ha notato è stata la modifica alla mia uniforme. È diventata nera. Ha cominciato a parlare di come fossi provocante e di come tutto questo andasse contro alle sue regole, ed ha chiesto chi avesse compiuto l’incantesimo. La Bump ha cercato di spiegarle che era solo perché mi ero fatta male, ci abbiamo provato entrambe, ma lei non ha voluto sentire spiegazioni, continuava a fare sempre e solo quella domanda, chi è stato? CHI???? Beh, io ho fatto il mio nome, ho detto d’aver fatto tutto da sola, se vuole ho ancora la cicatrice sul dorso della mano. La professoressa Bump non è una mia amica, professore, eppure non l’ho tradita lo stesso.”
“Ok, basta, è tutto, ho raccolto informazioni a sufficienza per poterla giudicare, mi creda.” aveva troncato il colloquio il professore “Le sue risposte non sono pienamente soddisfacenti, dimentica spesso di trovarsi dinnanzi ad un suo insegnante e non ad un suo compagno di squadra, e gira intorno alle domande o fornisce esempi, invece che rispondere come si deve.” “Professore, ma lei…” avevano provato a protestare i tre ragazzi che lo affiancavano, ed anche la stessa Angelina avrebbe replicato, se lui, continuando a parlare, non li avesse interrotti tutti e quattro. “Quindi, aveva detto, il suo colloquio è terminato, la aspetto alla prima lezione, signorina Jonson. Se adesso volesse firmare quella pergamena e lasciare la stanza gliene sarei particolarmente grato”.
La ragazza lo aveva guardato per qualche istante cercando di metabolizzare il succo del discorso. Le aveva detto che il colloquio era andato male, e poi che era stata presa, insomma, che doveva fare? Lo sguardo loquace di Hermione, che le indicava con gli occhi la pergamena, la persuase che seguire passo passo le indicazioni del suo insegnante sarebbe stata la scelta meno condannabile, quindi firmò il foglio prima di girare i tacchi, e, dopo aver salutato cortesemente il suo piucchè contraddittorio insegnante, era uscita dall’aula. E, considerando che era lì, adesso, a rispondere l’appello, probabilmente il suo colloquio non doveva essere andato poi così male.
No, non era andato affatto male, pensò il professore, la ragazza aveva risposto in modo diretto e sicuro di sé, e sembrava anche sincera, molto sincera, e lo sembrava al punto che al nostro caro Severus Piton non era venuto in mente nemmeno per un secondo di offrirle una calda tazza di tè con sorpresa (ed il veritaserum era la sorpresa). Quindi, anche se non l’avrebbe mai ammesso, ovviamente, era alquanto fiero d’aver un tale elemento nella propria classe.
Continuò l’appello.
- Lee Jordan?
- Presente – aveva detto un ragazzo moro dal lato destro della stanza, alzando un poco la mano.
- Luna Lovegood?
- Presente, professore – aveva dichiarato la ragazza quella voce melliflua che tanto la caratterizzava.
Sorrideva al momento, ed a Severus Piton la cosa aveva dato fastidio. Non era rispettoso sorridere alle sue lezioni, era come ridere di lui. Ok, questa era una cavolata, probabilmente stava passando troppo tempo con la Umbridge. Sorvolò quindi sul sorriso, e distolse lo sguardo.
- Ernie Macmillan? – chiamò il professore continuando il suo appello.
- Eccomi, professore – rispose il ragazzo.
- Presente – lo fulminò il suo insegnante – si dice presente, non eccomi, chiaro?
Il ragazzo annuì ed indietreggiò di un passo commentando il tutto con un debole presente. Ciò permise al professore di continuare. Ah, ah no, prima poté perdere un momento di tempo a riflettere anche sul colloquio con Ernie.
Il ragazzo si era presentato all’incontro con ben cinquantaquattro secondi e mezzo di ritardo, e questo era un male, anche perché significava quasi un minuto di ritardo. Ovvio dirvi che, a causa di questa enorme mancanza da parte del ragazzo, il suo colloquio non era cominciato nel modo migliore.
Ho ovviamente Severus aveva offerto la sua massima disponibilità affinché tutto andasse per il verso giusto. Non gli aveva certo posto delle domande particolarmente difficili mostrando piucchè evidenti sintomi di intollerabilità lui.
“Ok, signor Macmillan” aveva cominciato non appena il ragazzo era entrato nell’aula, senza lasciargli neppure il tempo necessario per sedersi “lei sa dirmi per caso che cosa farebbe in caso si trovasse davanti ad un lupo mannaro mentre sta uscendo dalla Sala Grande?”. Harry, Ron ed Hermione si erano girati contemporaneamente in direzione del loro insegnante guardandolo interrogativi. “E’ una domanda?” gli aveva chiesto Ernie, immobile davanti alla porta ancora aperta, con un piede davanti all’altro. “Oh, no, signor Macmillan,” aveva risposto lui Severus Piton “è una constatazione senza senso, sa faccio spesso constatazioni senza senso quando le persone non arrivano in orario. Certo che è una domanda.” Silenzio. “Ma se non sa cosa rispondere,” aveva continuato il professore “potrei vedere di trovare qualcos’altro… ecco, è su uno sferrato, attorno e sotto di lei ci sono solo pietre e sassi grossi come arance, ha una spada in mano, solo una spada, niente bacchetta, chiaro? Si ritrova davanti ad una benshee in procinto di attaccare, cosa fa con la spada? No? Nulla? Ok, andiamo avanti, sta tranquillamente nuotando nelle acque del lago e viene afferrato da un avvincino che cerca di trascinarla sott’acqua, che fa?” “Beh, io credo che…” aveva cominciato confusamente il ragazzo “beh, forse potrei…” “Forse? Potrei?” aveva chiesto lui il professore con appena una punta di sarcasmo sulle labbra “il solo tempo di formulare il discorso, ed è già morto affogato. Un’altra, un’altra, è disarmato, a terra, un vampiro l’ha assalito e sta per morderla, non c’è nulla attorno a lei, afferra un crocifisso o un paletto?” “io… insomma, un pal…” aveva tentato Ernie. “Ma che cos’è un gioco a premi!?” era intervenuta la Granger alzandosi in piedi e sbattendo i pugni sul tavolo. “Non sono affari suoi, signorina Granger, si rimetta a sedere. Corre su per le scale, signor Macmillan, in caso un lupo mannaro la attacchi lei corre su per le scale senza neppure pensare ad afferrare la bacchetta, corre su per le scale e ci rimane, chiaro? I lupi mannari una volta trasformati non sono in grado di salire le scale. In caso una banshee l’attaccasse la lasci pure cadere la spada, la getti più lontano che può, se la inficchi nel fodero o dove più le fa piacere, e si sbrighi ad afferrare un sasso da conficcarle in bocca: la vera arma micidiale delle banshee è la voce, le impedisca di gridare ed è salvo e se un avvincino la dovesse attaccare provi a fare pressione sulle sue dita, le sue mani sono prensili, ma comunque molto deboli, probabilmente si spezzeranno. Quanto al crocifisso ed al paletto, c’è qualcosa di poco chiaro forse nell’espressione non c’è nulla attorno a lei? Era una domanda trabocchetto, ovviamente, se si troverà mai in una situazione del genere le consiglio vivamente di tentare a salvarsi con un poco di sana lotta alla babbana, ovviamente non potrà vincere, ma potrà prendere tempo almeno fino all’alba magari, e scappare mentre il vampiro se ne ritorna alla sua bara.” “Che cosa c’entravano banshee e vampiri adesso?” aveva chiesto lui Hermione “pensavo che gli studenti sarebbero stati intervistati su quali fossero i motivi per cui si iscrivevano all’esercito, non che sarebbero state proposte domande su situazioni ipotetiche a sua discrezione” “La cosa non la riguarda, signorina Granger, possibile che lei non sappia tenersi un cieco in bocca per più di venti secondi?” aveva tagliato il discorso lui. “Ma Hermione ha ragione, professore!” aveva replicato Harry, come solito, “Taci, Potter,” gli aveva risposto lui “vorrei solo ricordare a tutti e tre che sono io il professore qui, voi tre siete qui solo per mia gentilissima concessione.” “Ma…” aveva provato ad obbiettare ancora Harry “Obbiezione respinta!” aveva gridato lui prima ancora che il ragazzo riuscisse a formulare quantomeno nella sua testa una frase di senso compiuto “Io non devo certo render conto a voi di ciò che faccio o delle decisioni che prendo…” “Ma potrebbe quantomeno…”
“BASTA!” aveva gridato Ernie. E silenzio era stato fatto. Tutti e quattro i litiganti si erano girati in quel momento a guardarlo. “Questo è ancora il mio colloquio, permettetemi almeno di parlare, per l’amor del cielo! E’ vero, professore, non sapevo assolutamente nulla delle cose che mi ha chiesto, non avrei la minima idea di cosa fare in presenza di un lupo mannaro e sono stupidamente caduto nel tranello del vampiro, dato che stavo per rispondere paletto, e questa è la prima volta in vita mia che sento nominare una banshee! Ma è proprio per questo che sono qui! Non doveva essere una classe questa? Non doveva essere il nostro professore lei? Ed allora mi insegni, professore, perché non credo che mi avvicinerò più al lago nero finché lei non mi spiegherà per filo e per segno come spezzare le dita a un avvincino”.
Probabilmente, pensò il professore, in quel discorso il caro Ernie aveva appena raggruppato tutte quelle piccole briciole di coraggio che aveva risparmiato in una vita. Se solo gli avesse fatto una domanda in più, se solo gli avesse chiesto di continuare a parlare, probabilmente si sarebbe impappinato mandando in rovina tutti gli sforzi compiuti fin ora. Quello era il suo massimo.
Fortunatamente, a Severus Piton il suo massimo non dispiacque affatto.
“Ci vediamo alla prima lezione lunedì prossimo, signor Macmillan, per il momento si limiti a tenersi lontano dal lago,” aveva detto stemperando il più possibile il sorriso di soddisfazione che gli stava nascendo sulle labbra. “veda di essere puntuale, la prossima volta. Ora firmi e si tolga dalle scatole.”
Ed il colloquio era finito qui, con uno stupefatto Ernie Macmillan che abbandonava la stanza ed un perplesso Ronald Weasley che sussurrava ad Hermione, sottovoce: “ma tu la sapevi quella delle scale??”
- Neville Paciock? – chiamò il professore traendovi fuori, o curiosi lettori, dai suoi recenti ricordi.
- P-p-presente – aveva balbettato Neville provocando una seccata alzata di ciglia al suo insegnante.
- Padma e Calì Patil?
- Presenti, professore – aveva risposto una delle due, mentre l’altra, affianco a lei, alzava la mano.
Un conato di vomitò salì alla bocca del professore. Qualcosa gli disse che avrebbe dovuto soffermarsi anche su di loro.
Le due ragazze si erano presentate in perfetto orario per il loro colloqui, almeno questo era ok, il problema e che si erano presentate insieme. Che cosa ridicola, cioè, lo avevano fatto anche i gemelli Weasley, ma loro se lo potevano permettere. Insomma, erano una coppia brillante loro, mentre le Patil erano una coppia piatta, ecco. Comunque, come ho già detto, le due ragazze si erano presentate al colloquio insieme, cosa che aveva infastidito il professore non poco, e lui aveva cominciato con le domande. Ora non ricordava di preciso che cosa gli avesse chiesto, ma doveva probabilmente aver iniziato il discorso con una domanda del tipo cosa vi porta qui? e la loro risposta, a dire il vero, era si era dimostrata alquanto scadente.
“Beh io frequento il corso di Divinazione della Professoressa Cooman” aveva cominciato Calì “o meglio lo frequentavo prima che lei fosse sospesa dall’insegnamento dalla professoressa Umbridge. Beh, deve sapere che sono molto brava, e durante una delle sue lezioni la professoressa ha predetto che ci sarebbero stati enormi pericoli dietro ogni angolo fra poco, quindi…” “Mi faccia capire, signorina Patil,” l’aveva interrotta Piton “lei sta scegliendo di entrare a far parte di una classe segreta rischiando la tortura se non l’espulsione soltanto perché la professoressa Cooman dice di averlo predetto??!” la ragazza arrossì terribilmente, prima che sua sorella prendesse la parola al suo posto. “Professore,” cominciò Padma “io e mia sorella Calì siamo qui in quanto vogliamo imparare a combattere e a difenderci qualunque cosa accada. Capiamo benissimo che stiamo tutti andando incontro a gravi pericoli, crediamo a quello che Harry ha raccontato sulla morte di Cedric e il ritorno di Lei sa chi, e sappiamo anche che le lezioni della Umbridge non ci aiuteranno certo a difenderci. Io, come prefetto Corvonero, voglio dare alla mia casa il buon esempio, ed anche mia sorella.” Al che aveva taciuto. Ed il professore aveva appuntato qualcosa che non riusciva a ricordare sulla sua pergamena. Probabilmente era solo una frase senza senso o uno stupido promemoria, ma di certo non qualcosa che riguardasse le Patil. Il suo continuo scrivere sulla pergamena era, infatti, come anche l’appello, un atto puramente formale. Gli studenti dovevano pensare che lui li stesse analizzando sempre e comunque. Comunque, il colloquio era continuato. Non era stato un gran colloquio, a dirla tutta, le due ragazze di casa Patil non si erano dimostrate poi un gran che, come del resto il professor Piton aveva pensato fin dal principio. C’è da dire che si era dimostrato un veggente migliore della Cooman, a dirla tutta. Ed allora perché erano lì, al momento? Il motivo si spiegava, a dire il vero, nella loro risposta ad una domanda in particolare. “Cosa fareste” aveva chiesto loro Severus Piton in quella che sarebbe stata la loro ultima domanda “se vi trovasse dinnanzi alla possibilità di salvare cinque innocenti o una sorella?”. Le due Patil tacquero per un momento. Quella era una domanda difficile. “Chi sono questi cinque innocenti?” chiese infine, decisa, Padma Patil. “Come, scusa?” chiese lei il professore guardandola interrogativo. “Chi sono questi cinque innocenti” ripeté Padma “perché, onestamente, non lascerò morire mia sorella per salvare cinque innocenti qualunque. Vuole che io sia sincera, professore, perché sinceramente credo che se mi trovassi in una situazione simile correrei da mia sorella prima ancora che lei possa dire aiuto, e salverei lei e…” “Sarebbe la scelta sbagliata”. Questa, di preciso, sarebbe stata la risposta che le avrebbe dato chiunque. Hermione l’aveva pensata, Ron l’aveva pensata, Harry l’aveva pensata. Anche il professor Piton l’aveva pensata. La cosa buffa però, fu che non fu nessuno di loro a parlare. “Sarebbe la scelta sbagliata, Pad” aveva detto Calì, dal cantuccio della sua sedia “Sarebbe la scelta sbagliata. Tu non dovresti salvare me, tu dovresti correre da loro, e non perché è la scelta corretta, ma perché è quella giusta. È quello che vorrei, dico davvero, che tu salvassi loro invece che me è esattamente quel che vorrei. Sarei io a gridarti di correre da loro, di correre ad aiutarli. Io me la caverei da sola, il professor Piton ci insegnerà a difenderci, dopotutto, lo farà, non è vero, professore?”
Il professor Piton, come tutti gli altri nell’aula del resto, si soffermò a quel punto sulla ragazza. Aveva dato una risposta strana alla sua domanda. Per inciso, l’aveva totalmente ribaltata. Non aveva risposto, come lui aveva richiesto, a che cosa avrebbe fatto nella presentata situazione, lei aveva detto che cosa avrebbe sperato che sua sorella facesse in caso fosse stata lei in pericolo. Quella non era la soluzione del quesito, non ci si avvicinava nemmeno, ma era stranamente… interessante.
“Sì, suppongo che sia esattamente quello che farò.” rispose lei Severus, appuntando qualcosa di altamente insignificante sulla sua pergamena “Ed adesso potete firmare qui e, qui, il signor Potter o il signor Weasley, o la signorina Granger vi comunicheranno al più presto orario e data della prima lezione.
Ma tutto questo non era importante, pensò Severus Piton tornando a concentrarsi sul suo foglio di pergamena, quel che contava adesso era fare l’appello.
- Harry Potter?
Quel nome, che lui stesso aveva appena pronunciato, rimbombò nella sua mente per un centinaio di volte. Che faccia strana che aveva fatto il ragazzo quando il suo professore gli aveva comunicato che anche lui, come gli altri, avrebbe dovuto sottoporsi a colloquio!
Oh beh, la più contrariata in assoluto era stata la Granger! Quasi non poteva crederci, in cinque lunghi anni il professore non l’aveva mai vista tanto indispettita! Aveva detto qualcosa del tipo: “Non riesco davvero a concepire quale sia la motivazione di questa ulteriore analisi delle nostre intenzioni, del resto siamo stati noi ad avere l’idea” “Sei stata tu ad avere l’idea” aveva borbottato Weasley sottovoce, e poi la ragazza aveva ripreso con il suo monologo, che professor Piton ritenne opportuno evitar di ricordare.
Quello che gli tornò alla mente, invece, fu proprio il colloquio della ragazza.
Aveva un’aria alquanto scocciata Hermione Granger, quando si era seduta decisa sulla sedia dinnanzi alla sua cattedra. Aveva portato una ciocca di capelli semi-ricci dietro l’orecchio guardandolo irritata, ed aveva pazientemente aspettato che fosse lui a parlare. Stranamente, il professor Piton era stato zitto. Aveva inchiodato il suo sguardo a quello della sua allieva, ed era, semplicemente, rimasto in silenzio. La ragazza lo aveva imitato, seppur il suo livello di imbarazzo era andato aumentando man mano che l’assenza di parole aumentava. “Insomma?” aveva sbottato infine la ragazza “Si decide a parlare o no?” “Lo ha detto lei, signorina Granger,” le aveva risposto lui “è stata sua l’idea, quindi le faccia lei le domande”.
“Io dovrei fare le domande?” aveva chiesto lei incredula “Che vuol dire?” “Semplice,” aveva detto l’insegnante “sua l’idea, sue le grane”. La ragazza allora, per quel che il professor Piton riusciva adesso a ricordare, era rimasta zitta per qualche momento, guardando il suo insegnante con aria tesa e imbarazzata. “Ed io quindi che dovrei fare?” aveva chiesto poi “Semplice,” le aveva risposto il professore “le domande”. “E cosa dovrei chiederle?” aveva continuato lei irritata “Quello che vuole” le aveva detto lui.
Hermione lo aveva guardato con aria alquanto interrogativa soppesando la sua proposta. Probabilmente, aveva pensato la ragazza, il suo insegnante stava bluffando. Forse voleva metterla alla prova, sì, doveva proprio essere così. Lei gli avrebbe chiesto qualcosa, qualunque cosa le passasse per la mente, e lui avrebbe immediatamente commentato la sua domanda con qualcosa di sarcastico, stroncandola definitivamente, per poi cominciare uno stupido monologo su come la sua domanda fosse sbagliata e su come lei fosse una studentessa scadente eccetera eccetera, ed alla fine l’avrebbe congedata. Ci sarebbe solo mancato che non l’avesse ammessa alla classe segreta che lei stessa aveva ideato…
Comunque, pensò ancora la ragazza, qualunque cosa lei avesse detto, di sicuro lui avrebbe trovato da ridire, tanto valeva tacere.
Quel che la ragazza si chiedeva, comunque, era perché le avesse chiesto di porre lei le domande. Insomma, se tanto voleva umiliarla, non sarebbe stato più facile farlo ponendo lui le domande? E poi che si aspettava che gli chiedesse? Insomma, aveva già calcolato tutto? Si era già preparato un discorso brillante per fregarla? O magari avrebbe preso semplicemente spunto da qualunque parola lei avesse pronunciato per poi rigirarla a suo favore? “Nessuna delle due, signorina Granger,” le aveva risposto il suo insegnante in tono neutro “non mi sono preparato un discorso e non rivolterò ogni cosa dirà, e fregarla non è mia intenzione, anche se succederà, probabilmente”.
Merda, pensò Hermione “Ovviamente lei è un…?” “Un ottimo legilimens, signorina Granger, sì, lo sono, e non credo di aver bisogno di fornirle ulteriori spiegazioni dato che, nella sua mente, come ben vedo ora lei sta ripassando mentalmente vita, morte e miracoli della piucchè sublime arte del leggere nel pensiero. In caso le interessasse, comunque, non ho proposto di porre lei le domande per metterla in difficoltà, lo giuro. Questo vuol dire che può continuare pure, signorina Granger, io non ho davvero nulla contro di lei.” Già, come se fosse vero... pensò Hermione, oh merda, può sentirmi! “Già, signorina Granger, io posso sentirla” le rispose il professore “e francamente mi sarei immaginato un linguaggio un po’ meno scurrile da parte sua”. “Tecnicamente, professore” tentò di discolparsi la ragazza “non si tratta propriamente linguaggio se io non pronuncio parola, non trova?”. Il professor Piton trattenne un risata. “Ottima scusa” commentò poi “Grazie, professore” rispose la ragazza. “Perfetto,” commentò lui “riprendiamo allora da dove avevamo lasciato prima che lei ricominciasse a pensare. Come ho già detto, io non ho nulla contro di lei,” e si fermò un momento ad ascoltare i pensieri della Granger che apostrofava il tutto con una sorta di già, come no, “anche se lei, a quanto pare, pensa il contrario...” Merda! “Scusi!” balbettò la ragazza “non volevo dirlo ancora, cioè pensarlo ancora, cioè…” “Cosa le fa pensare che io abbia qualcosa contro di lei, signorina Granger?” “Sta scherzando?” aveva chiesto lui Hermione “No, affatto” le aveva risposto lui “mi chiedo davvero che cosa mai glielo abbia fatto pensare.” La ragazza si schiarì la voce. “Forse,” cominciò guardandolo negli occhi “forse sarà il fatto che lei mi ignori totalmente quando siamo in classe sebbene sappia benissimo come io sia l’unica a sapere le risposte, il modo duro e scontroso con cui mi si rivolge di solito, il suo togliermi punti anche quando dovrei essere premiata ed il fatto che lei si stia comportando come uno stronzo cercando di mettermi a disaggio anche durante questo colloquio, lei non trova?” “Non mi sembra questo il tono adatto per rivolgersi al suo insegnante, signorina Granger” l’aveva rimproverata lui, “Lo so, professore,” gli aveva risposto la ragazza “ma se pure non lo avessi detto lo avrei sicuramente pensato, e lei lo avrebbe sentito, quindi tanto valeva essere sincera”.
La giovane aveva pronunciato le ultime tredici parole con un tale ardore ed una tale velocità che finita la frase aveva dovuto fermarsi a riprendere fiato. Il suo professore la scrutava torvo dall’altro capo della scrivania. Torvo sì, ma anche alquanto divertito.
“Ottima risposta, signorina Granger…” aveva dichiarato infine. “Grazie, professore” aveva risposto lei. “Ma io non ho nulla contro di lei” aveva concluso il suo insegnante. “Francamente,” aveva risposto lui la ragazza “devo dire che mi è molto difficile crederle”. “Signorina Granger,” aveva cominciato a spiegarle il suo insegnante, piegando la faccia sui polsi a massaggiarsi le tempie “lei studia sempre per le lezioni di, chessò (?), Minerva McGranit, come studia sempre per le mie, giusto?” “Giusto” gli aveva risposto la ragazza” “E la professoressa McGranit la fa rispondere se lei alza la mano, giusto?” “Giusto” aveva ripetuto la ragazza” “E dopo un buon voto, perché dubito che lei abbia mai preso un voto inferiore all’Oltre Ogni Previsione, come si prepara per la lezione seguente” “Beh, di certo non riposo sugli allori, mi rimetto subito a studiare allo stesso modo, cerco di darmi da fare al fine di mantener linda e pinta la mia media” “Ottima organizzazione complimenti, ma ora risponda a qualche altra domanda, per favore. Allora, abbiamo detto che lei studia per le mie lezioni, e non le chiederò alcuna conferma, dato che ho la piena consapevolezza del fatto che lei sia indiscutibilmente la studentessa più brillante che io abbia mai avuto in una delle mie classi, ma ora mi dica, signorina Granger, quando noi siamo in classe, io faccio una domanda che lei sa e non la faccio rispondere, lei come si prepara per la lezione successiva?” “Beh,” rispose la ragazza “innanzi tutto mi arrabbio, faccio un monologo su quanto lei si odioso e poi mi rimetto a sgobbare sul libro di pozioni per farle il culo la prossima volta” “SIGNORINA GRANGER!” l’aveva rimproverata il professore “Scusi!” aveva esclamato lei (sì, come avrete ben capito quello era stato un colloquio alquanto divertente) “Comunque,” aveva ripreso in tono alquanto severo il professor Severus Piton “ritornando a noi, lei ha detto cerca di fare meglio ancora dopo essere stata ignorata durante le mie lezioni, giusto?” “Esatto” aveva risposto la ragazza “Perfetto. Come può vedere, signorina Granger, il mio ignorarla, come dice lei, non è altro che un modo per farla migliorare con il tempo, perché a me non basta che il suo studio sia costante, io voglio che vada aumentando. Se le dicessi ad ogni lezione Oh che brava, signorina Granger, è proprio un genio lei! probabilmente finirebbe per montarsi e basta. Se la professoressa McGranit le avesse chiesto se lei sapesse o no cosa fosse un legilimens, lei probabilmente avrebbe risposto di sì e basta, ma quando ho parlato io, beh, non ho fatto neppure in tempo a formulare la domanda che lei stava già completando un trattato! E poi a che mi serve farle rispondere? Io so già che lei sa le risposte! Cosa dovrei fare? Fingermi curioso di vedere se lei ha studiato o no e chiederle una cosa qualunque solo per soddisfare il suo ego? Non so se se ne è mai accorta, signorina Granger, ma non sono il tipo. Ed in più non interrogando lei mi riservo la possibilità di chiedere a qualcun altro di cui metto davvero in dubbio lo studio, come di quegli scellerati dei suoi due compagni, ad esempio. E non credo proprio di penalizzarla a voti, ha sempre avuto tutti Eccellente con me, e, quanto ai punti, Albus trova sempre il modo di restituirle tutti quelli che io le tolgo, quindi non mi sembra che sia un problema così tanto grave, lei non crede?” “Io…” balbettò stupita la studentessa Hermione Granger “Io non l’avevo mai vista sotto questo aspetto, professore” “Hum… strano” commentò il suo insegnante “mi sarei aspettato diversamente dalla studentessa più brillante della sua generazione. Ora può firmare qui” disse porgendole la pergamena “ed andarsene”. “Andarmene??” chiese lui la ragazza “Esatto,” le rispose lui “il suo colloquio è finito, signorina Granger, e lei lo ha superato brillantemente, può andare.” “Ma lei…” obiettò la ragazza “lei non mi ha fatto alcuna domanda”. “Non ce n’era bisogno” le aveva risposto il suo insegnante “suppongo che lei fosse preparata per questo colloquio almeno quanto lo era per la lezione di pozioni di questa mattina. Dico davvero, può andare.”
La ragazza aveva firmato allora la pergamena del suo insegnante, con un nuovo sorriso in faccia. Il suo insegnante sosteneva fosse soddisfazione. Fatto ciò si era cortesemente alzata, dopo averlo salutato, e si era diretta alla porta.
“Signorina Granger!” l’aveva richiamata lui prima che la ragazza varcasse l’uscio. “Sì, professore?” aveva chiesto lei voltandosi in direzione del suo insegnante “Avrei un’ultima domanda da farle, se non le dispiace” aveva detto lei Severus Piton “Certo,” aveva risposto lei “chieda pure”. “Beh, è stata lei ad avere l’idea di contattarmi, giusto?” le aveva domandato lui “Esatto” si era limitata a rispondere la ragazza “Quel che mi chiedo” aveva continuato lui “è come lei sia venuta l’idea di rivolgersi proprio a me”. “Beh, tutti sappiamo che lei è un grande insegnante,” aveva risposto lui la ragazza “ed è un valido membro dell’ordine, oltre che uno dei più fidati collaboratori di Albus Silente. Ed è un grande mago, chi meglio di lei avrebbe potuto…” “Gran bella sviolinata, signorina Granger,” l’aveva interrotta il professore “ora potrebbe dirmi qual è stato il vero motivo della sua scelta?” la ragazza arrossì terribilmente “Scusi, professore” aveva detto Hermione alquanto imbarazzata “Fa nulla” le aveva risposto lui “ora risponda semplicemente alla domanda, altrimenti dovrò leggerglielo nel pensiero!” la studentessa aveva sorriso “Ok, perfetto” aveva detto “beh è una situazione disperata, insomma, il signore Oscuro è alle porte e quel rospo rugoso della Umbridge in classe non ci permette neppure di sfoderare le bacchette, insomma, lei non ci sta proprio simpatico, cioè, in realtà la odiamo quasi, ma almeno può insegnarci qualcosa, è contrario alla Umbridge, è buono ed è l’unico a cui potevamo rivolgerci, è per questo che mi è venuta l’idea”.
Il professore aveva taciuto un momento guardando la sua allieva, al che aveva sorriso.
“Il nemico del mio nemico è mio amico,” aveva vociferato Severus Piton “ottima risposta, signorina Granger, ora può andare, ci rivediamo a lezione”.
E poi le cose erano andate esattamente come vi aspettate, cioè con Hermione Granger che se ne va dalla stanza e la porta che si richiude, tutto qui. Ed ora, Granger a parte, Severus Piton doveva indiscutibilmente continuare a fare l’appello.
- Zacharias Smith? – aveva chiamato ad alta voce il professore.
- Presente – aveva risposto il ragazzo, e, povero reduce dall’interminabile ricordo della Granger, il professore si rese subito conto che, per sua sfortuna, avrebbe dovuto soffermarsi anche su di lui. Non era stato un gran colloquio, in realtà, il ragazzo non gli era piaciuto poi molto. Altezzoso, spavaldo, arrogante, Zacharias Smith si era presentato al colloquio spaccando il secondo. Stando ai suoi calcoli, aveva pensato Severus Piton vedendolo arrivare con le mani in mano, il ragazzo doveva esser appena uscito dall’aula di Incantesimi, ed allora dove erano finiti i suoi libri? Forse, aveva continuato a pensare il professore, forse il ragazzo aveva chiesto a qualcuno di portarli in dormitorio al posto suo, o magari era sgattaiolato fuori dall’aula prima della fine della lezione per andarli a posare, queste gli sembravano le uniche due opzioni possibili, e, a dire il vero, non gli piaceva nessuna delle due. Non gli sarebbe dispiaciuto affatto, in vero, se il suo studente si fosse recato al colloquio con i libri in mano, diversi studenti lo avevano fatto, ed era stato un qualcosa che, senza darlo a vedere, il professore aveva apprezzato notevolmente. Quindi, come ho già detto, l’assenza di libri di testo del ragazzo, non aveva giocato fin dal principio a suo favore. Altra nota negativa, i suoi vestiti. Nemmeno una piega, nemmeno una grinza, la sua uniforme pareva esser appena uscita da una diamine di tintoria, era inaccettabile! Insomma, quello era un ragazzo che doveva esser stato a lezione fino al minuto precedente, dove cavolo aveva trovato il tempo di stirarsi l’uniforme?
Probabilmente un colpo di bacchetta, ma non era quello il punto. Come ho già detto, altri studenti si erano presentati vestiti in modo appropriato al suo colloquio, dovrei già aver citato Angelina Jonson, se ben mi pare, ma non in quel modo impeccabile. E così, i suoi vestiti erano finiti per diventare la seconda nota negativa.
Forse questa cosa dovrei spiegarvela meglio. Il problema non erano i libri o i vestiti in se e per se, infatti, il problema è che quella figura gli era sembrata alquanto costruita. Insomma, sei uno Tassorosso del sesto anno che è appena uscito da una lezione, presentati come tale punto e basta, non è credibile che la tua uniforme sia perfetta ed i tuoi libri di testo assenti, sembra solo ciò che è evidente, ossia che tu abbia appena finito di costruire un personaggio per far bella figura, e questo era pessimo.
Quindi, come ho già detto, il colloquio non era iniziato per il meglio. Anche l’atteggiamento montato e borioso del ragazzo poi non è che avesse giocato troppo a suo favore, ma non mi va di soffermarmi anche su questo, quindi, andiamo avanti.
“E lei è qui perché…” aveva domandato lui Severus Piton senza alzare gli occhi dal suo foglio di pergamena non appena il ragazzo era entrato nel suo ufficio.
Ora il professore non ricordava perfettamente cosa il ragazzo gli avesse risposto, ma era comunque certo che quel qualcosa riguardasse il fatto di non avere un insegnante ma un profondo bisogno di trovarne uno. Quella, aveva pensato il suo insegnante, era una cosa che aveva già sentito dire, e l’aveva sentita dire da molti, molti studenti prima di lui. Certo, il che era comprensibile dato che era quella la ragione per cui erano lì, e perciò era meglio non dargli un’altra nota negativa anche per quello.
Quello che aveva giocato a favore del ragazzo, per inciso, era stato il fatto che il alunno fosse molto sicuro di se, e questo, Severus Piton lo sapeva bene, era molto utile in battaglia. Ed inoltre, e questa era stata una mossa alquanto strategica, essendo lui il primo studente Tassorosso che si fosse presentato al provino, oltre che un giocatore di quidditch ed un elemento abbastanza conosciuto nella sua casata, il professore aveva ritenuto che prenderlo avrebbe significato un incremento dei Tassorosso alle proprie lezioni, e questo sarebbe stato senza dubbio un bene. In caso lo studente non si fosse considerato promettente, comunque, avrebbe sempre potuto riservarsi la possibilità di estraniarlo dalla proprie lezioni nel momento in cui lo avrebbe ritenuto più opportuno.
E così anche il giovane Zach era stato preso, e Severus Piton, dopo avergli dedicato questo breve pensiero, poté tornare nuovamente a dedicarsi al suo appello.
- Alicia Spinnet? – chiamò il professore.
- Presente – sentenziò la ragazza alzando la mano.
- Terry Steevel? - chiese ancora.
- Presente - rispose il ragazzo.
- Dean Thomas?
- Presente, professore.
Presente, professore. Presente, professore. Presente, professore. Presente, professore. Dean thomas aveva appena detto “Presente, professore”, e così facendo aveva appena mantenuto la sua promessa. Ma a voi questo adesso non può che non essere chiaro, e temo che perché voi possiate comprendere sia necessario che Severus si concentri un secondo anche su di lui.
Il ragazzo si era presentato nel suo ufficio circa un minuto prima dell’orario stabilito per il colloquio, con l’aria trafelata per chi doveva aver corso lungo tutti i corridoi per arrivare in tempo. Questo era un che di abbastanza buono. Non il fatto che il ragazzo fosse puntuale in sé e per sé quanto il fatto che si fosse sforzato per esserlo. Questo era, indubbiamente, un punto a suo favore. Se la sua classe fosse stata lì affianco, o il ragazzo avesse avuto, chessò (?) un’ora libera prima di quell’audizione, e si fosse presentato anche con ben cinque minuti di anticipo la cosa non avrebbe smosso o colpito il suo professore più di tanto. Ma il fatto che il ragazzo si fosse scapicollato per i corridoi pur di raggiungere l’aula in orario… quella era un’altra storia!
Comunque, il ragazzo aveva preso fiato per un momento, aveva mandato giù un po’ di saliva, e poi aveva lanciato un occhio sull’orologio a muro, che lo aveva dolcemente rassicurato comunicandogli che era riuscito, sorprendentemente, a non arrivare in ritardo.
Aveva aspettato sull’uscio della porta che il professore lo invitasse ad entrare, cosa che era avvenuta seduta stante.
E così, il ragazzo era entrato in aula, ed il suo colloquio era cominciato.
L’inizio era stato un qualcosa che dopo ben sei colloqui voi dovreste benissimo riuscire ad immaginare, qualcosa del tipo quali sono le ragioni che l’anno portata qui, signor Thomas?, ma ciò che era stato particolarmente sorprendente era stata la risposta del ragazzo. Non era stata il solito laUmbridgenonmiinsegnaediovoglioimpararemiaiutiprofessore, o almeno, seppure lo era stato, il ragazzo aveva avuto il buon gusto di presentarlo in maniera differente. “I miei sono babbani” aveva cominciato Dean “e loro, beh, loro non sanno praticamente nulla del mondo magico, eccezion fatta per quello che racconto io e, ultimamente, i miei racconti con diventati sempre più radi, e per di più bugie. Ce ne è una che uso molto di frequente, di bugia, ed è quando dico che sia tutto ok, quando mi chiedono come vadano le cose nel mondo magico. Ho detto loro che non c’è alcun pericolo qui, che è tutto a posto, ma non sono anch’io così stupido da credere alle mie stesse bugie. Non mi piace mentirgli, professore, e so anche che è una cosa sbagliata, ma sa, mi gioco Hogwarts se gli dico che il più potente mago oscuro di tutti i tempi è tornato in vita l’anno scorso, capisce?” “Vada avanti, signor Thomas,” gli aveva risposto il professore, alquanto incuriosito dalla presentazione del ragazzo “A parte questa, c’è un’altra cosa che dico spesso ai miei genitori, ossia quando loro mi chiedono se io sia in pericolo o no, rispondo sempre che non lo sono. Vorrei davvero che non diventasse una bugia anche quella, professore. E poi… Beh, io non posso imparare da nessuno, professore, da nessun altri che da lei. Per noi figli di babbani è tutto più difficile…” e qui, pensò Severus Piton, se la memoria non lo ingannava, Hermione Granger aveva sorriso al suo compagno “Insomma, ho sempre pensato che se i miei fossero stati dei maghi mi avrebbero potuto aiutare quando avessi avuto bisogno, ed ora è il momento in cui avrei più bisogno in assoluto. Suppongo che se lei non avesse accettato di aiutare Ron lui avrebbe potuto chiedere aiuto ad Arthur, a Molly, ai suoi milioni di fratelli, e potrebbero aiutarlo loro, insomma, insegnargli qualcosa, ma i miei… I miei genitori non potrebbero aiutarmi, seppure sapessero la verità, seppur volessero, io ho solo e soltanto la scuola. E se anche questa, nella persona della Umbridge, si rifiuta di aiutarmi allora…” “Non ha bisogno degli insegnamenti della Umbridge, signor Thomas, ci penserò io alla sua istruzione d’ora in poi. Ora firmi pure e se ne vada, i suoi compagni faranno in modo di comunicarle al più presto orario e giorno della prima lezione, veda bene di non mancare” “Subito, professore,” aveva esclamato il ragazzo entusiasta e, senza fare, come molti prima di lui, estenuanti ragazze su come e perché il suo insegnante non andasse avanti con le domande, si era sbrigato a scrivere nome e cognome sul foglio di carta, prima di restituirlo al suo professore “sarò presente” aveva aggiunto poi “non mancherò per nessuna ragione al mondo”.
E detto ciò era uscito dall’aula.
Ok, è vero, era stato un colloquio alquanto breve, ma anche molto, molto intenso. E, ciò detto, bisognava andare avanti con l’appello.
- Fred Weasley? – chiamò Severus
- Presente – rispose George mandando al fratello un’occhiata divertita e loquace.
- Fred Weasley? – ripeté il professore
- Sono qui – ripeté George.
- FRED WEASLEY? – chiese ancora Piton, ignorando le risposte di George.
- Presente, professore – fu la risposta di Fred, ed il professore, soddisfatto della risposta ottenuta, andò avanti con l’appello. Fred e George si lanciarono un’occhiata come a non capire come il professore li avesse smascherati.
- George weasley?
- Presente – dichiarò George alzando lievemente la mano.
- Oh, sono lieto che lei si ricordi come si chiama, signor Weasley, - si complimentò sarcastico il professor Piton - notevole, dico davvero. Ora vorrei che sappiate bene entrambi, voi due, – continuò il professore assumendo un tono più rigido e severo – che in quest’aula qui, a parte me, tutti sono utili e nessuno indispensabile, quindi se non avete voglia di prendere la cosa seriamente quella è la porta, mi sono spiegato?
I due ragazzi si erano guardati fra di loro, poi avevano guardato a terra ed infine avevano rivolto il loro sguardo all’insegnante, con fare alquanto scocciato. Severus Piton aveva appena volutamente sfiorato uno dei punti cardine del loro colloquio. Meglio farci un pensierino su…
“La domanda non è cosa lei possa fare per noi” aveva risposto lui George alla solita domanda del che cosa vi porta qui, “Ma quello che noi possiamo fare per lei” aveva concluso Fred. Ron aveva cercato di sprofondare nella sedia, Harry aveva nascosto il viso fra le mani, Hermione aveva fatto loro cenno di tacere agitando convulsamente le mani. Nulla da fare. I gemelli Weasley avevano continuato. “Saremo più chiari” aveva ripreso George “Noi siamo più che convinti” aveva continuato Fred “Che la nostra partecipazione le sia” aveva fatto George “Più che indispensabile” aveva concluso Fred. Severus Piton aveva alzato solo allora gli occhi dalla pergamena. “E che cosa mai ve lo farebbe pensare?” aveva chiesto loro facendo vagare lo sguardo dall’uno all’altro per una decina di secondi. Prima che i ragazzi cominciassero a rispondere, aveva abbassato nuovamente lo sguardo. Era stato Fred a cominciare, e poi avevano ripreso ad alternarsi “Beh, professore, è bene che lei sappia che” “Qui dentro” “Io e mio fratello siamo i più esperti di” “Passaggi segreti” “Diversivi” “E altri trucchi per non essere scoperti.” “Come ho già detto, professore,” “Se vuol davvero fare questa cosa” “Lei ha un piucchè dannato bisogno di noi.”
Al che avevano taciuto, ed Hermione, Ron ed Harry avevano ringraziato il cielo che lo avessero fatto. Certo, i gemelli Weasley con le loro parole avevano già segnato l’irreparabile, ma era comunque meglio che si fossero fermati invece di continuare a parlare. Il professor Piton aveva nuovamente alzato gli occhi a guardarli. “Tutto qui?” aveva chiesto poi “Non mi spiegate come e perché voi due dovreste tornarmi così utili? Parlate, avanti.”
Era una domanda a trabocchetto. Era più che chiaro che quella fosse una domanda a trabocchetto. Vi prego, pensava Hermione, non abboccate!
“Conosciamo a memoria tutti i passaggi segreti presenti nella scuola” aveva risposto lui Fred, prima che i due cominciassero a rialternarsi “Quindi possiamo far raggiungere ai nostri compagni il terzo piano velocemente” “E senza che Gazza se ne accorga” “E conosciamo abbastanza trucchi per distrarlo” “In caso si metta a perlustrare la zona” “Ed inoltre” “Possiamo fornire a tutti delle scuse piucchè brillanti” “Semmai la Umbridge si accorgesse di qualche assenza” “Siamo brillanti” “Geniali” “E siamo al suo servizio, professore”.
Perfetto, avevano abboccato! Il professor Piton li avrebbe distrutti.
“Allora?” aveva chiesto infine George “Quando cominciamo?”.
Forse fu un riflesso un tantino eccessivo, eppure la mano di Hermione schizzò prudentemente sulla bacchetta del professor Piton comodamente appoggiata sul tavolo di fronte a lui per portarla dalla propria parte, non appena i gemelli finirono di parlare. Se solo ce l’avesse avuta a portata di mano, aveva pensato la giovane strega, probabilmente li avrebbe inceneriti in un solo istante. Non avvenne nulla di tutto questo. Il professor Piton si limitò ad alzare nuovamente gli occhi sui due ragazzi.
“E quindi voi due sareste indispensabili alla riuscita della mia classe, giusto?” si limitò a chiedere loro il professore. “Esatto” risposero in coro i gemelli. “E quindi, a meno che io non abbia capito sareste gentilmente disposti ad offrirmi il vostro piucchè prezioso aiuto, giusto?” “Esattamente” avevano risposto nuovamente insieme i due. “Ma che gentili che siete, signori Weasley,” aveva risposto loro il professore “capitate proprio a fagiuolo voi due, ed io che ero così preoccupato di non farcela. Insomma, cosa sono i miei incantesimi protettivi, la mia esperienza di circa due anni come mangiamorte, e quelli come ufficiale membro dell’Ordine, contro i vostri giocattoli in stile Zonko? Non c’è che dire vi sono davvero, davvero grato.”
Solo in quel momento, Fred e George Weasley si erano resi conto che forse il professore non aveva gradito la loro introduzione nel modo in cui s’erano aspettati. Al che si erano squadrati l’un l’altro, e poi avevano abbassato la testa.
“Forse voi due signori non avete ancora capito bene di che cosa stiamo parlando.” aveva ripreso il professore, parlando seriamente stavolta “Non si tratta di un gioco, o una sorta di elettrizzante gara ad infrangere le regole, sebbene io mi rendo conto che vincereste di sicuro in caso si trattasse di questo, ma questa è una cosa seria.” Aveva taciuto per qualche istante, trapassando da parte a parte i due scolari, poi aveva ripreso “Quindi, ricominciamo. Salve, signori Weasley, sono lieto di vedervi, per quale ragione siete qui?”
I due ragazzi si erano rivolti l’uno all’altro. Avevano aspettato qualche istante, poi avevano cominciato a parlare. Anche stavolta erano andati ad alternarsi.
“Noi abbiamo diciassette anni” aveva cominciato Fred, in tono più serio stavolta “So bene quanti anni avete, signor Weasley, vada avanti” lo aveva interrotto Piton. “Quel che intendevo dire” aveva ripreso il ragazzo “E’ che saremo quasi sicuramente due degli studenti più grandi che si ritroverà nella sua classe” aveva continuato George “semmai avrà intenzione di prenderci”. “Non siamo male” aveva ripreso Fred “abbiamo la media dell’Oltre Ogni Previsione meno meno in difesa contro le arti Oscure” “O almeno ce l’avevamo l’anno scorso” “Prima che arrivasse la Umbridge, con lei le nostre medie si è abbassata drasticamente” “Ma questo è dovuto più al fatto che per lei non ci va di studiare che ad altro”. “Siamo anche membri dell’Ordine della Fenice” aveva detto George “lo siamo diventati quest’anno” “Nostra madre non voleva in principio” aveva aggiunto Fred “ma l’abbiamo assillata così tanto…” “Insomma,” aveva ripreso George “comunque alla fine l’abbiamo convinta.” “Ed è proprio questo il problema” aveva sentenziato Fred “Insomma,” aveva continuato George “il pensiero di partecipare a qualcosa di così importante, di così sovversivo, era un forza! E noi beh… noi non avevamo ben…” “Non avevamo ben calcolato rischi e pericoli, ecco”. “Abbiamo avuto l’occasione di rendercene conto solo ad ammissione avvenuta, e ci sembrava brutto dire che noi, che noi ci tiravamo fuori, ecco” “E come se tutto ciò non bastasse, ora, grazie alla Umbridge, oltre a essere nei guai, siamo nei guai e impreparati”. “Per questo ci serve il suo aiuto, professore, perché probabilmente siamo stati degli incoscienti, ci siamo cacciati in qualcosa di troppo grande per noi, e non possiamo uscirne” “E neanche vogliamo uscirne, perché, insomma, sappiamo che è una cosa giusta e importante, ma vorremo essere pronti almeno quanto basta per, ecco, come dire (?)” “Non morire, se mai dovremo trovarci a combattere”. “E questo è tutto”.
Al che i gemelli Weasley erano tornati a guardarsi l’un l’altro in silenzio.
“Davvero mooolto interessante” aveva commentato il professore “incredibile quante strane informazioni si possono captare quando le persone la smettono si decidono a rispondere alle domande…” Fred e George in quel momento presentavano un’espressione alquanto scoraggiata “Ok,” aveva continuato il professore, tornando a rilassarsi un po’ “ed ora torniamo ai vostri trucchi, come pensate di metterli in atto in modano che possano tornare utili a me e alla classe?”
I ragazzi erano tornati raggianti in un battibaleno.
“Innanzi tutto” aveva ripreso serio il professore “ci terrei a precisare che non si tratta i una gentile concessione, ma di un dovere verso il vostro insegnante e la vostra classe, e che non ammetterò errori, perché tutti sono utili qui, e nessuno indispensabile, a parte me, quindi toglietevi all’istante quel sorriso compiaciuto dalla faccia.”
E poi, beh, ora non ricordava con precisione, ma probabilmente doveva aver fatto loro qualche altra domanda, prima di congedarli. Ovviamente, erano stati ammessi.
- Ci scusi, professore, – sentenziò George – non succederà più.
- Stento a crederci, signor Weasley – rispose lui Severus.
- In questo caso – commentò Fred sorridendo – diciamo solo che faremo tutto il possibile per farlo accadere il meno possibile.
- Andiamo avanti – si limitò a dire il professore. – Ginevra Weasley?
La ragazza era lì, poco davanti ai suo fratello Ron, ed aveva mantenuto un comportamento a modo fino al momento prima. Dopo la ramanzina a Fred e George la ragazza sapeva bene che quello sarebbe stato il suo turno. Avrebbe dovuto semplicemente dire presente, alzando un minimo la mano, se avesse voluto, non era mica una cosa difficile, ed invece…
Ed invece era scoppiata a ridere. Non una risata accennata o un riso isterico, una risata vera, come se qualcuno, tipo Fred e George (sì, sarebbe stata una cosa da loro), le avesse sussurrato nell’orecchio una delle migliori battute nella storia dell’universo conosciuto e sconosciuto. La ragazza non era riuscita a fermarsi né a controllarsi. Tenendosi le mani prima sulla bocca, e poi sulla pancia, mormorando una sorta di impercettibile scusi, professore, si era piegata in due dalle risate, senza riuscire a ricomporsi. Il punto però, è che Fred e George non le avevano sussurrato proprio nulla. Nessuno, a dire il vero, le aveva sussurrato nulla. E nessuno aveva neppure fatto qualcosa di incredibilmente divertente con o senza rendersene conto. Nessuno aveva fatto nulla di nulla. Eppure…
Quel Ginevra Weasley
Insomma, nessuno la chiamava Ginevra da quando… no, aspetta un momento, nessuno l’aveva mai chiamata Ginevra in vita sua! Insomma, giusto sua madre usava il suo nome completo, e solo quando si trattava di rimproverarla, oltre tutto. Ginevra Molly Weasley, soleva dire sua madre durante le sue teatrali ramanzine, ritrasforma immediatamente la cuffia da notte di tua zia Muriel! Si arrabbierà moltissimo quando si accorgerà che l’hai trasfigurata in un topo! E sei in punizione, signorinella, oh sì, sì che lo sei. Ora, a parte il fatto che la cuffia della zia Muriel non era mai tornata ad essere tale perché il topo era scappato via dalla Tana quella stessa notte, e che era stata trasformata in un roditore per un motivo più che nobile (ossia perché Fred e George avevano avuto il coraggio di dire che lei, dall’altro dei suoi soli tredici anni appena compiuti non fosse abbastanza brava da trasfigurare la cuffia della zia in una ranocchia, e lei doveva dimostrare loro che questo non era assolutamente vero. Certo, forse si era un po’ confusa con gli animali ma non era questo il punto), a parte questo, come stavo dicendo, nessuno l’aveva mai chiamata Ginevra, tanto meno il suo professore. Ah, sì lo aveva fatto la stessa Muriel, quando la ragazza aveva poco più di tre anni, e lei per tutta risposta le aveva vomitato sulle scarpe, ecco tutto.
E poi Ginevra era un nome strano. Insomma, suonava vecchio. E poi aveva un suono strano, aspro, le ricordava una prugna.
Certo, la ragazzo non s’era certo aspettata che il suo professore la chiamasse Ginny, sarebbe stato alquanto strano anche quello, è solo che era sempre stata abituata a sentirsi chiamare signorina Weasley da lui, ed ora non riusciva più a ricomporsi.
A proposito, il suo professore ora le stava dicendo qualcosa. Non che la ragazza riuscisse ad afferrare a pieno il significato delle parole di lui, era troppo impegnata a ridere per starlo a sentire, ma era quasi si sicura che le stesse dicendo qualcosa sul fatto che avrebbe dovuto calmarsi. Come se fosse stato facile!
Intanto, gli altri studenti si guardavano imbarazzati fra di loro. Nessuno avrebbe saputo dire quale fosse il motivo di cotanta ilarità da parte della ragazza.
Quando finalmente la rossa era riuscita a ricomporsi (ossia quasi dieci minuti dopo quel fatale Ginevra), il suo professore la stava squadrando con aria alquanto accigliata, e gli sguardi di tutti all’interno della stanza erano rivolti a lei, ed inoltre tutti la guardavano come se fosse un’aliena. Era stata una cosa alquanto inbarazzante, a dire il vero.
- Si sente bene, signorina Weasley? – ebbe la premura di chiederle il suo professore, e la rossa in cuor suo ringraziò il cielo che lui non l’avesse chiamata di nuovo Ginevra, perché probabilmente se lo avesse fatto lei sarebbe scoppiata a ridere ancora una volta.
Questa domanda non era suonata nuova in quell’istante alle orecchie della ragazza, né tanto meno a quelle del suo professore.
Per chiarire questo punto, sarebbe meglio fare un piccolo, piccolissimo salto nel tempo, e ritornare al giorno del suo colloquio.
Per inciso, gli astri dovevano essersi combinati in qualche modo fino a formare una schiera completamente ostile al segno del Leone, quel giorno, perché le situazioni che le si erano presentate sarebbero state inspiegabili se fosse stato altrimenti.
Ma anche per capire questo avrete bisogno di ulteriori premesse.
Innanzi tutto c’è da dire che Ginny stava già uscendo con Micheal quando si era presentata al colloquio (e questo, tra l’altro, spiegava la presenza del ragazzo nell’aula), e questo, teoricamente, avrebbe dovuto significare che la sua storica cotta per il salvatore del mondo magico fosse finita. O almeno questo è quello di cui la rossa tentava di convincersi…
Quando Hermione, a cui la ragazza aveva finito per affezionarsi moltissimo nel corso dell’anno, aveva cercato di rassicurarla su come sicuramente il suo colloquio sarebbe andato alla grande, si era anche lasciata sfuggire che lei, Ron ed Harry sarebbero stati lì per lei. Stranamente, aveva pensato la stessa Ginny, la apprendimento della presenza di Harry non l’aveva toccata minimamente. Quindi, il giorno dopo, all’ora stabilita si era recata calma e rilassata nell’ufficio del suo insegnante, ed aveva aspettato di esservi introdotta sulla soglia della porta.
Fatto strano, seduti accanto a Severus Piton v’erano soltanto Ron ed Hermione, nessuna presenza di Harry Potter. Tanto meglio, aveva pensato la ragazza e, una volta ricevuto il segnale del suo insegnante, era entrata nell’aula avvicinandosi alla cattedra.
Ora, quel che voi non sapete, e che nemmeno la povera Ginny sapeva, ahimè, è che Harry Potter, per onor del vero era presente in aula, comodamente seduto al suo posto, alla destra di Ronald.
Allora, dovete sapere che i tre ragazzi erano arrivati in aula con ben tre minuti di anticipo, e per, ingannare il tempo, mentre Hermione rimaneva compostamente seduta al suo posto, Harry e Ron si erano messi a fare gli scemi giocando ad afferrare tutto ciò che avessero a portata di mano sulla scrivania di Piton. Il suddetto intanto aveva finto di non accorgersi di nulla per sedare un poco le sue manie omicide. Comunque, afferra una piuma, sposta una targa, Harry si era ritrovato a far cadere a terra un fermacarte d’acciaio a forma di ramo d’ortica. Lui e Ron erano sbiancati, ed avevano ritenuto entrambi, per non far adirare ulteriormente il tutto, di optare per un innocuo far finta di nulla.
“Lo raccolga immediatamente, signor Potter” aveva commentato Piton, e quella era stata, per inciso, la prima cosa che il professore aveva detto da quando erano arrivati.
Punto primo, i ragazzi erano balzati su se stessi, punto secondo, Harry Potter aveva chiesto scusa e poi si era chinato a raccoglierlo.
E quindi, come potete benissimo immaginare, era proprio in quel frangente, ossia con Harry piegato in terra a cercare il fermacarte, che Ginny era arrivata.
Ed ora possiamo continuare.
Insomma, ricevuto il segnale del suo insegnante, la rossa si era avvicinata alla cattedra, e, dopo aver cortesemente salutato il professore, stava per sedersi comodamente sulla sua sedia quando… Harry era improvvisamente riemerso da sotto la scrivania con uno strano coso d’acciaio in mano. Al che la ragazza aveva perso l’equilibrio e si era ritrovata a terra prima di avere il tempo per dire aiuto.
Fortunatamente, Hermione l’aveva raggiunta in un attimo e l’aveva aiutata a rialzarsi, prima di guardarla con un’espressione che stava a dire non preoccuparti, non fa nulla, questo non andrà assolutamente a pesare sul giudizio di Piton, te lo assicuro. Non ostante comunque l’occhiata rassicurante dell’amica, la ragazza era stata presa mediamente dal panico, cosa che aveva fatto di tutto per mascherare nel momento in cui finalmente era riuscita a sedersi.
“Si sente bene, signorina Weasley?” si era preoccupato di chiederle il suo insegnante “Benissimo, professore” gli aveva risposto la ragazza, e poi il colloquio era cominciato.
“A meno che il suo scopo non fosse proprio quello di testare quanto ci si possa far male riuscendo a non centrare la sedia,” aveva cominciato il professore “per quale motivo si sarebbe presentata qui quest’oggi?”
Sorvolando sul discutibile senso dell’umorismo del suo insegnante, Ginny Weasley aveva pensato un momento a come articolare una risposta che limitasse le domande seguenti, in modo da poter lasciare l’aula il prima possibile.
“Il motivo per cui sono qui, professore,” aveva risposto dopo averci, come ho già detto, riflettuto un po’ “perché voglio dare una mano, se come credo è vero che il Signore Oscuro è tornato, quindi mi serve che qualcuno mi insegni come fare. Sono in gamba, e poi imparo in fretta, avevo quasi tutti Eccezionale in Difesa Contro le Arti Oscure prima che arrivasse la Umbridge.” “Lei è a conoscenza del fatto che non sarà una passeggiata, vero signorina Weasley?” aveva chiesto lei Piton “Hum, professore,” aveva risposto lei “io vivo con ben sei fratelli maggiori maschi in una casa con solo due bagni, quindi, per favore, non mi parli di che cosa è o non è una passeggiata”. Il professore pensò che, se quella battuta la ragazza l’avrebbe fatta in un altro contesto, e cioè non al suo importantissimo colloquio, probabilmente avrebbe riso, ma, viste le circostanze, optò per un neutrale silenzio strategico, era sempre il professore lui! “E si tratta anche di correre diversi rischi, né è a conoscenza, signorina Weasley?” “L’anno scorso con la mia famiglia siamo andati a trovare Charlie in Romania per una settimana, e appena siamo arrivati lui si è offerto, fra le altre cose si far fare ai miei fratelli un giretto su un drago. Io mi sono dimostrata offesa del fatto che non lo proponesse pure a me, e, per principio, non per altro, ho fatto le storie fino a quando non mi ha concesso di fare un giro. Il drago era enorme, probabilmente l’animale più grosso che io avessi mai visto in vita mia. Ciò non ostante ho finto di non aver paura, se mi sono fatta issare sopra da Charlie e, anche se tutti mi dicevano che potevo benissimo scendere, ed io avessi una paura poco più che folle, ho finto che andasse tutto bene, e mi sono fatta il mio giretto. Allora, a parte il fatto che appena scesa ho vomitato, direi che a coraggio non sto messa poi così male, non le pare, professore?”.
Anche a questo, Severus pensò che avrebbe voluto ridere, ma preferì comunque mantenere un certo contegno.
“C’è altro?” aveva chiesto lui Ginny, vedendo che il professore non proferiva parola da quasi trenta secondi, e desiderosa come mai di lasciare quel maledetto studio.
“Ha forse fretta, signorina Weasley?” l’aveva apostrofata lui “Io… io…” aveva risposto lei “io suppongo di no.” “Perfetto,” aveva commentato il suo insegnante “allora si rilassi e veda di non metterne a me”. La ragazza si era morsa le labbra, scordandosi di chiedere scusa, e, se non fosse stato per la tazza di valeriana che Luna l’aveva pressoché costretta a bere prima di recarsi al colloquio, probabilmente avrebbe collassato.
“Allora, mi faccia pensare bene…” aveva detto Severus “che cosa potrei chiederle… che cosa potrei chiederle… che cosa potrei chiederle…?”
Qualunque cosa, pensava Ginny, mi chieda pure qualsiasi cosa, ma si sbrighi, per favore, perché io vorrei solo scappare di qui il più in fretta possibile!
“Ah, ecco, già. Come lei può benissimo immaginare, signorina Weasley, ovviamente tutto questo dovrà rimanere segreto, e lei, tanto per copiare una sua espressione, lei come se la cava a segreti?” “Come ho già detto,” si era sbrigata a rispondere Ginny “vivo con sei fratelli maggiori maschi, due dei quali, e le lascio immaginare chi, quando avevo undici anni hanno trovato il mio diario segreto e lo hanno trovato il mio diario segreto nella mia stanza ed hanno ritenuto opportuno renderlo pubblico a tutta la scuola, e diciamo che, beh, da allora ho smesso di tenere un diario, e di parlare dei cavoli miei in casa mia, e, beh, dato che i miei fratelli non sbandierano più vele al vento chi mi piace e chi no in mondo visione, beh, vuol dire che, probabilmente, sono diventata piuttosto brava.”
Una cosa che aveva sorpreso molto il professore, sia in questa che nelle precedenti risposte della ragazza, ossia la straripante sincerità con cui la rossa aveva parlato. Niente discorsi preparati, niente giri di parole, niente di niente, la ragazza aveva semplicemente risposto di pancia e questo, per inciso, era notevole.
“E in quanto a lealtà?” le aveva chiesto ancora Severus “Oh beh, sono leale” aveva risposto lui Ginny “di solito non tradisco, insomma, per fare un altro stupido esempio ho un ragazzo e io non potrei mai, mai” ed il suo sguardo incrociò quello di Harry. Cavolo Harry, la sua cotta di sempre dietro quella diamine di scrivania proprio ora che credeva di aver voltato pagina, che incubo! Ma se era vero che aveva voltato pagina allora perché diamine le tremavano le gambe al sol vederlo? Perché diamine aveva perso l’equilibrio vedendolo spuntare da sotto il tavolo? Le piaceva Micheal, e poi stava davvero molto bene con lui, eppure Harry… Harry restava sempre il suo amore fantastico, la sua storia in stile cenerentola, il suo finale da favola e poi... insomma, parlando di lealtà, se fosse stata ammessa alla classe probabilmente avrebbe dovuto vederlo quasi ogni giorno, ed era forse sicura di riuscire a sopportarlo? Non sarebbe caduta di nuovo in tentazione, forse, avendolo continuamente intorno? E Micheal? Che ne sarebbe stato di lui se la ragazza avesse irrimediabilmente rispolverato la sua eterna cotta per il ragazzo che era sopravvissuto? “Mai” rispose infine la ragazza inchiodando il suo sguardo con quello di Harry anzi che con quello del professore “io non tradirei mai il mio ragazzo, e per nessuno al mondo, qualunque cosa possa accadere, sono stata chiara?”
Al professore venne tremendamente da ridere, mentre Harry indietreggiava sulla sedia con un’espressione stampata sul visto alla checcentroio.
“Firmi pure e ritorni dal suo ragazzo, signorina Weasley,” le aveva detto infine “è ufficialmente dei nostri.”
- Tutto bene, tutto benissimo, professore – rispose Ginny cercando di non scoppiare nuovamente a ridere – e sono presente.
- Già – commentò il suo insegnante – c’eravamo arrivati. Ronald Weasley?
Ginny sperò con tutta se stessa che suo fratello non scoppiasse a ridere come aveva fatto lei nel sentire il professore pronunciare il suo nome completo.
- Sono presente, professore – rispose lui Ron, senza trovare la cosa troppo esilarante, per sua grande fortuna.
- Perfetto, - commentò il professore – sono lieto di sapere che ci siamo tutti.
Lo sapevi già che c’eravamo tutti, stupido idiota, pensò Harry trattenendo la voglia di rispondergli per le righe, lo sapevi eccome, è solo che volevi fare l’appello perché ti fa tanto sentire più figo! - Adesso seguitemi, di certo non faremo lezione nel posto che è stato la cuccia di un cane a tre teste, - disse il professore – venite, venite, avanti.
E dicendo ciò si era mosso alquanto velocemente da un corridoio all’altro, seguito dai suoi studenti, mostrando loro di quanto il suo rifugio fosse molto più grande di quanto si sarebbero mai aspettati. Gli unici che rimasero privi di stupore furono i soliti tre, Harry, Hermione e Ronald, e questo non perché avessero ancora vivo in mente il ricordo del loro primo anno ad Hogwarts, ma perché il nostro caro professore li aveva letteralmente obbligati ad aiutarlo a mettere in ordine tutto il casino di quel posto due settimane a quella parte. E, per inciso, ridecorare tutto quel posto era stato davvero un inferno. Innanzi tutto, avevano arredato la prima stanza, quella dell’appello, per intenderci. Innanzi tutto le avevano dato una rinfrescata, poi l’avevano arredata ornandola con tre vecchi candelabri di bronzo presi in prestito dalla stanza delle necessità (a dire il vero quasi tutti gli oggetti del nuovo arredamento erano stati loro gentilmente concessi dalla stanza vai e vieni!), e poi avevano appeso l’arazzo. Hermione aveva proposto di stendere a terra un tappeto, dato che ne avevano trovato uno persiano davvero molto bello, ma il professor Piton aveva bocciato l’idea dicendo che il drappo avrebbe finito per far sentire gli studenti troppo a proprio agio. I ragazzi avevano preferito non commentare. Comunque, la tana del tranello del diavolo era stata svuotata, e subito dopo riarredata e trasformata in una specie di suo secondo ufficio, nel quale erano stati adagiati una cattedra, una bella poltrona comoda, un appendi abiti, un armadietto, poi il professore ci aveva portato dell’altro, roba che ai ragazzi non era dato sapere. La stanza nella quale Harry era dovuto salire sulla scopa per prendere la chiave era stata abilmente tramutata in un enorme sgabuzzino, nel quale Severus Piton aveva fatto in modo che i ragazzi accantonassero tutte le altre pesantissime cianfrusaglie che lui aveva apostrofato come forse mi ritorneranno utili. Le due stanze finali, quella degli scacchi e quella in cui Harry aveva avuto il suo primo scontro con Voldemort/testadietrodiRaptor, erano diventate le vere aule. La prima, quella della scacchiera in cui Ronald era quasi morto, era stata lasciato quasi intatta, non vi erano state apportate grandi modifiche, in quanto il professore l’aveva trovata davvero suggestiva, e quindi la scacchiera era rimasta, e gli scacchi pure, i ragazzi gli avevano solo dato una bella spolverata completa, nulla di più. In quanto all’altra sala, questa era stata totalmente sgomberata, mentre ai lati erano stati montanti ben diciotto candelabri a tre bracci per illuminarla. Entrambe le stanze erano terribilmente importanti e necessarie. La prima gli sarebbe servita per spiegazioni e dimostrazioni, gli studenti avrebbero potuto comodamente sedersi sugli scacchi mentre lui spiegava, il che era una delle più brillanti idee che gli fossero mai venute, mentre l’altra stanza sarebbe stata destinata all’allenamento dei ragazzi.
Comunque, la stanza in cui il professore condusse i ragazzi fu proprio quella degli scacchi. Appena arrivati, Ron Weasley ed Harry Potter saltarono ad occupare due posti sui pedoni bianchi. Gli altri componenti del gruppo seguirono il loro esempio. Le file di pedoni bianchi e neri si riempirono velocemente, poi toccò ai cavalli. Susan Bones si sedette proprio sul cavallo che era stato la pedina di Ron. Il professore realizzò quanto ho appena scritto quando vide Ronald Weasley sbiancare a dismisura non appena vide qualcuno salirvi sopra. Sicuramente, pensò il rosso, la ragazza non dubitava neppure lontanamente del pericolo che stava correndo. Seppur non ci fosse nessun pericolo, pensò Severus Piton origliati i pensieri di Ronald, lo sprezzo del pericolo della giovane Susan la rendeva incredibilmente simile a sua zia. Non che le assomigliasse molto, a dire il vero, non fisicamente almeno. Innanzi tutto, lei era rossa, mentre sua zia era mora, e poi, per quello che Severus riusciva a ricordare, da giovane Amelia era stata più magra. Ed anche più alta. Ed aveva la pelle olivastra. Altre differenze, altre differenze… ah, sì, Amelia aveva gli zigomi più pronunciati, ecco. Quello del giocare al trova le differenze fra Amelia e sua nipote era una cosa che Severus non riusciva ad evitare. Quell’assurdo confronto gli aveva tenuto la mente occupata anche durante l’intero colloquio della ragazza.
Punto primo, già il fatto che si fosse presentata al colloquio mostrava i segni di una buona dose di coraggio, e Severus aveva pensato, vedendola entrare nel suo ufficio, che quella era una cosa che anche sua zia Amelia, se si fosse trovata in quella situazione, avrebbe fatto, anche se accompagnata da una minor dose di imbarazzo, probabilmente.
Punto secondo, Susan era un Tassorosso, e questo voleva dire che probabilmente lui c’aveva visto lungo nell’ammettere Zacharias alle sue lezioni.
Ma, per tornare al colloquio, la ragazza si era dimostrata piuttosto puntuale, presentandosi in ufficio all’orario prestabilito, cosa che probabilmente sua zia non avrebbe fatto, visto che in gioventù la ragazza era stata un tipo molto ritardataria, sebbene questo fosse andato fortunatamente cambiando nel tempo. Presentando alla ragazza la prima domanda, il professor Piton si era aspettato, in realtà di sentirle formulare un discorso ben congeniato e compatto, da grande oratrice, viste le stupefacenti doti di sua zia in quanto a questo, ma invece…
Timida, impacciata, il primo impatto con la giovane Susan era stato un granché deludente a dire il vero.
“Il motivo per cui sono qui” aveva detto la ragazza rispondendo alla domanda del suo professore “suppongo che sia il motivo per cui si presentano tutti. Ed oltre che un rospo, io suppongo di essere in possesso di più informazioni ancora per odiare la Umbridge. Mia zia lavora con lei al ministero” “Lo so questo” aveva commentato Severus “E lei la conosce bene la Umbridge” aveva ripreso Susan “e quando l’ho informata di quello che stava accadendo mi ha detto che andrà sempre peggio. In poco tempo, mi ha assicurato, la Umbridge canalizzerà nelle proprie mani il controllo di tutta la scuola, e sarà molto, molto peggio. Allora le rimpiangeremo le sue lezioni di Difesa Contro le Arti Oscure, perché saranno il male minore.” “Ed allora perché è qui, signorina Bones?” le aveva chiesto il suo insegnante, “Perché, pur essendo queste il male minore sono anche l’unico a cui per ora posso tentare di porre rimedio” aveva risposto lei.
Il colloquio non era continuato. Quell’affermazione, da sola, si era rivelata sufficientemente esauriente. E forse il professore si era sbagliato in quanto a doti di oratrice…
Comunque, come stavo dicendo, Susan andò a posizionarsi su quel famoso cavallo, facendo sbiancare Ron al sol ricordo. Ed inoltre, come se quel cavallo non fosse già stato abbastanza per il povero rosso, se ne aggiunse un altro a dargli il tormento, ossia il cavallo bianco su cui Micheal Corner era già comodamente seduto, e sul quale ora stava aiutando a salire anche sua sorella Ginny.
Ora, voi tutti dovete sapere che Ron odiava Micheal, e non lo odiava per il suo carattere qualsiasi altra cosa anche solo lontanamente legata alla sua persona, lui l’odiava perché stava con Ginny! Tipico, pensò Severus, gelosia da fratello maggiore, e catalogò la cosa con così tanta semplicità che pareva quasi che potesse avere una sorella minore di cui essere geloso anche lui. Certo, c’era stato un tempo in cui era stato tremendamente geloso di Lily, ma quella non era la stessa cosa. Tornando a Micheal, comunque, divertito dall’espressione di Weasley, il professore andò a concentrarsi sul ragazzo.
Con il suo cravattino blu e argento lasciato distrattamente ciondolare giù dalla camicia bianca, non molto alla Corvonero, a dir la verità, i capelli arruffati, nessun segno del mantello, Micheal Corner si era presentato in orario il giorno del colloquio, gentilmente scortato, per non dire costretto, dalla cara e dolce Ginny Weasley.
A parte il fatto che la Umbridge risultasse ovviamente piucchè antipatica a lui come a tutti, gli aveva chiesto Severus Piton per cominciare, per quale ragione si era presentato quel giorno lì? “Beh, perché, se ci Lei-sa-chi è tornato come Harry sostiene, e vuole uno scontro,” aveva risposto il ragazzo “io credo che, una volta istruito, potrei fare la differenza”.
Questa non era una buona risposta, aveva pensato Severus Piton, sono qui perché la mia ragazza mi ha costretto, questa sì che sarebbe stata una buona risposta, o quantomeno una risposta sincera. E se avesse risposto così il professore avrebbe poi potuto chiedergli per quale motivo si era lasciato convincere? E poi avrebbe potuto articolare un discorso su lealtà ed obbedienza, e magari. Insomma, adesso non gli andava troppo di pensarci, ma comunque la conversazione sarebbe stata sicuramente più interessante. Ed invece quella risposta finta, così preparata… no, non era stata un granché.
“E perché mai dovrebbe fare la differenza lei?” gli aveva chiesto il suo insegnante “Perché lo voglio.” gli aveva risposto lui. Quella sì che era stata una risposta interessante. “Non sono lo studente più brillante del mio corso in questa materia, ci sono studenti molto più bravi di me, molto più capaci, più coraggiosi forse, e magari anche potenzialmente più dotati di me, ma loro non sono qui, io ci sono, e posso fare la differenza perché ci sono, perché voglio farla, ecco”. Ottima risposta. Davvero un’ottima risposta. Una delle risposte migliori che avesse mai sentito, a dirla tutta, aveva pensato il professor Piton, molto, molto interessante, se fosse stata così anche la sua prima risposta sicuramente Severus Piton avrebbe catalogato quello come uno dei migliori colloqui in assoluto. “E che cosa lo spinge a desiderarlo, a desiderare di fare la differenza, intendo, signor Corner?” gli aveva chiesto allora il professore. Il ragazzo aveva titubato un momento, forse indeciso sul come formulare la frase, poi si era piegato sulla cattedra, appoggiandoci sopra i gomiti ed appoggiando la testa sopra di questi. Poi aveva parlato. “Mi da fastidio quando viene accusato qualcuno che non se lo merita, quando qualcuno di più grande se la prende con qualcuno di più piccolo, e poi mi danno fastidio le ingiustizie, e mi sono già beccato sette punizioni da parte della Umbridge perché ho protestato anche per le cose più piccole è solo che io… io non le sopporto proprio. E così ho pensato che se lei mi insegnava a combattere, io avrei potuto sanarle, quelle ingiustizie. Certo, non tutte insieme, però io potrei…”
Ora non il professor Piton non si ricordava perfettamente come fosse continuato il colloqui, diciamo solo che si era limitato a ricordare il meglio di, evitando il resto.
Comunque, ciondolando e facendo picchettare la bacchetta con la mano sinistra contro quella destra, il professore si diresse verso il centro della scacchiera.
Velocemente, attorno a lui, gli ultimi studenti correvano ad occupare gli ultimi posti rimasti disponibili.
Chissà che avrebbe fatto il professore, e chissà che stanza era quella, e chissà quanto ci era voluto a portare dentro tutti quegli scacchi, e chissà se era meglio sedersi sui pedoni o sui cavalli, e chissà se si potevano vincere punti anche in quelle strane lezioni, beh a Potter qualche punto prima glielo aveva tolto, quindi forse si poteva, e chissà poi se…
Una bomba di luce della grandezza di un lampadario che andò esplodendo di luce rossa per tutta la grandezza dell’aula mise ufficialmente fine al chiacchiericcio. Tutti gli studenti tacquero all’istante, guardando il professore. Severus Piton, la bacchetta ancora puntata verso il soffitto, aveva appena indotto la sua classe al silenzio. La lezione poteva cominciare.
- Innanzi tutto, - cominciò il professore – questo non è un gioco, non è una protesta, non è una fottutissima sfida al sistema, siamo intesi? Questa è una classe, niente di più, niente di meno. E quindi non siete autorizzati a commentare, protestare o disobbedirmi in qualche modo, chiunque di voi lo farà… ne risponderà a me.
Il professore fermò un momento il suo colloquio per guardarsi intorno e captare se le sue parole avessero sortito l’effetto desiderato. La classe era muta, in silenzio. Tutte le attenzioni, tutti gli sguardi, erano rivolti a lui. Riprese il discorso.
- Questa sarà la vostra prima lezione, e partiremo dalle basi. Innanzi tutto voglio che voi tutti sappiate che dovreste sempre aver a portata di mano la vostra bacchetta, senza, siete morti, e con siete morti non mi riferisco solo a Lord Voldemort, ma anche ai mangiamorte, i suoi seguaci, o a qualsiasi altro mago oscuro, o al sottoscritto anche, perché vi toglierò una marea innumerevole di punti se vi sorprenderò in giro senza la bacchetta, oltre a espellervi da questa classe, sono stato chiaro? Andare in giro senza bacchetta è la cosa più pericolosa che possiate mai fare. È da stupidi, da incoscienti, da irresponsabili, ed io non voglio studenti di questa razza, chiaro? Ed ora andiamo avanti. Signor Potter, vuole cortesemente fare un passo avanti ed aiutarmi in una semplice dimostrazione davanti alla classe?
Harry aveva esitato. Innanzi tutto gli era preso un colpo non appena il professore aveva pronunciato il suo nome, insomma, era sobbalzato, non che non stesse seguendo il discorso del suo insegnante, è solo che era un po’ soprappensiero, dato che stava contemporaneamente ascoltando e giocando a tihotoccatotihotoccato con Ronald Weasley. Comunque, dopo aver risposto al suo insegnante con un improvvisato dice a me?, il ragazzo aveva considerato le varie opzioni che quella proposta gli presentava. Innanzi tutto, si sarebbe dovuto alzare da quella comodissimo posto, e questo era negativo, punto secondo, probabilmente quella cosa sarebbe stata imbarazzante. Sì, probabilmente, se lui ora non si fosse alzato, il professore avrebbe cominciato un monologo sulla codardia, e su come lui fosse come suo padre, e di come ci volessero doti speciali per potersi applicare in questa materia, doti che, ovviamente, lui non aveva. Se invece si fosse alzato raggiungendo il suo insegnante al centro dell’aula, probabilmente le cose non sarebbero andate poi tanto meglio. Innanzi tutto il monologo del professore ci sarebbe stato comunque, soltanto che probabilmente sarebbe cominciato con un discorso del professore su come sarebbe stato in equo lo scontro, su come il suo avversario fosse un fesso poco dotato eccetera eccetera. E poi lo avrebbe usato come cavia, insomma, gli avrebbe detto di fare qualcosa e lui lo avrebbe fatto, così che poi il professore potesse commentare e commentare, criticare e criticare le sue mosse. Oppure lo avrebbe fatto duellare con sé, ed allora sicuramente, qualunque cosa facesse, lo avrebbe probabilmente battuto, ed allora il monologo su come fosse un pessimo mago sarebbe ricominciato, e sarebbe durato di più. E poi, seppure Harry fosse riuscito a batterlo, lui si sarebbe rialzato massaggiandosi il mento, ed avrebbe detto qualcosa circa la sua tecnica scadente, ed il fatto che lo aveva lasciato vincere, e poi avrebbe fatto un altro monologo. Quindi, valutando tutte le offerte che la sua proposta gli offriva, questa si presentava come un fiasco mediante tutte le facce della medaglia.
- Signor Potter, - fece il suo insegnante – forse il mio tono interrogativo potrebbe averla un po’ confusa, mi scuso davvero, devo essermi espresso male. Meglio riformulare la frase, allora. Signor Potter, si alzi immediatamente e mi raggiunga al centro dell’aula, non è una domanda, è un ordine.
Il ragazzo sbuffò sonoramente in direzione del suo insegnante, che lo aspettava impaziente al centro della scacchiera.
Poi lanciò a Ron un’occhiata loquace che stava a significare qualcosa del tipo lo odio lo odio lo odio e poi si recò dal suo insegnante strusciando i piedi sul pavimento.
Quando ebbe raggiunto il professore i due si squadrarono per un po’. Le espressioni dei due uomini però erano alquanto differenti. Quella di Harry era alquanto arrabbiata, scocciata, mentre quella del suo insegnante era stranamente rilassata.
- Vada pure a posizionarsi dall’altra parte della scacchiera, signor Potter – gli ordinò poi – io la raggiungerò fra un momento dalla parte opposta.
Harry si diresse, sbuffando, nel posto scelto per lui dal suo insegnante, e si fermò nel punto stabilito, portando le mani a incrociarsi dietro la schiena con un piede su una piastrella nera e l’altro a metà fra quella nera e quella bianca, aspettando che il professore mettesse fine a quella tortura.
- Come ho già detto – aveva ripreso tranquillamente il professore – avere una bacchetta è una cosa maledettamente importante, ed è allo stesso modo importante che il vostro avversario non ce l’abbia. Quindi, cominceremo con qualche nozione di base, difesa elementare, come disarmare l’avversario. Signor Potter, lei sa dirci l’incantesimo?
Il ragazzo sbuffò. Certo che lo sapeva l’incantesimo, era un incantesimo da primo anno o giù di lì, roba di base, non era mica uno stupido lui. Avrebbe voluto rispondergli che non era uno stupido, e che lui non aveva nessun diritto di trattarlo così, e che lui non la voleva neppure fare quella stupida dimostrazione, e che non era neppure stata sua quella diamine di idea di quella diamine di classe. Che se la prendesse con Hermione se tanto volesse sfogarsi con qualcuno, ma non con lui.
- Credo che sia l’Expelliarmus, professore – rispose lui Harry, in tono alquanto scocciato.
- Che terribile tortura per le mie povere orecchie quell’orribile credo che – commentò il professore – e comunque sì, come il signor Potter ci ha appena illustrato l’incantesimo in questione è l’Expelliarmus. Ed ora ne daremo una breve, semplice dimostrazione. Signor Potter, - disse raggiungendo il capo opposto dalla scacchiera – mi disarmi.
Con molto piacere, professore, pensò il ragazzo, e poi tolse lentamente la bacchetta dal fodero e cercò una posizione adeguata, portando il braccio ora un po’ più in alto ora un po’ più in basso per mirare bene, e muovendo i piedi perché avessero una maggiore aderenza al terreno.
- Expelliarmus! – l’incantesimo colpì in pieno la bacchetta del suo avversario, facendola vibrare e poi volare via. Quando ricadde a terra era a tre metri di distanza dal suo proprietario. Quindi, Harry Potter si trovava ora disarmato.
Il suo professore, invece brandiva ancora la sua bacchetta, ed ora la stava abbassando dopo che l’incantesimo pronunciato aveva appena sortito l’effetto desiderato.
- Ma che diamine?!? – esclamò Harry – Che sta facendo?!?
- Semplice, - rispose lui il professore – do alla classe un’idonea dimostrazione dell’incantesimo proposto, mi sembrava ovvio.
- Ma aveva chiesto di farlo a me! – aveva protestato Harry.
- Hai ragione, l’ho fatto, – rispose lui Severus, tremendamente calmo – sei tu che non hai obbedito ai miei ordini. Avanti, raccogli la bacchetta e disarmami adesso.
Harry guardò il professore come si guarda un matto. Il fatto che quell’uomo non gli fosse mai piaciuto non giustificava certo quel suo modo assurdo di comportarsi. Quindi mosse alcuni passi, poi si piegò a terra e raccolse la bacchetta. Se la rigirò tra le mani per più di tre volte per controllare che non ci fosse nulla di rotto, e stava per rialzarsi in piedi quando…
- Expelliarmus! – gridò il suo insegnante. E la bacchetta volò di nuovo lontano da lui.
- Ma che cosa!?!?! – fece Harry
- Avanti, signor Potter, la raccolga e mi disarmi. – commentò Severus Piton.
Il ragazzo si rialzò da terra, si mosse di nuovo verso la sua bacchetta, che questa volta era volata a circa tre quadri della scacchiera da lui, e si chinò di nuovo a prenderla. La afferrò fra le mani, si alzò immediatamente, cercò la posa giusta per pronunciare l’incantesimo e…
- Expelliarmus! – gridò per la terza volta Severus Piton, e la sua bacchetta lo abbandonò per la terza volta.
- Ma insomma a che gioco sta giocando? – chiese lui Harry girandosi di scatto verso il suo insegnante.
- Nessun gioco, sto facendo la mia lezione, come voi mi avete chiesto. – rispose lui il professore.
- Noi non le abbiamo chiesto proprio nulla, Hermione le ha chiesto di insegnarci, - rispose Harry – e comunque io non sono un cane, non può divertirsi a far volare il bastoncino in modo che io corra ogni volta a riprenderlo, che senso ha tutto questo?
- Le ho chiesto di disarmarmi – si limitò a rispondergli il professore.
- Sì, ma poi mi ha disarmato lei, non mi ha dato tempo…
- Ed invece lord Voldemort le concederà un mucchio di tempo, non è vero, signor Potter? – gli rispose Severus Piton.
- Che vuol dire? – chiese lui Harry.
- Mi ha chiesto di addestrarla in caso Voldemort tornasse, e questo non me lo ha chiesto Hermione, me lo ha chiesto lei, signor Potter, e questo è esattamente quello che sto facendo, quindi raccolga quella bacchetta e mi disarmi.
Harry corse verso la sua bacchetta, la prese in mano, si alzò in piedi e…
- Expelliarmus! – esclamò il professor Piton - Più veloce, signor Potter, più veloce! Non è più in quest’aula, non è più neppure ad Hogwarts e non sono neppure più io il suo avversario, è un guerra adesso, e non c’è tempo per trovare la posizione giusta o di controllare che sia tutto a posto, deve attaccare, raccolga la bacchetta!
Harry corse ancora, si fiondò sulla bacchetta, caduta a tre metri di distanza da lui, e la puntò verso il suo insegnate.
- Expelliarmus! – gridò ancora Severus Piton.
- Mi dia almeno il tempo di concentrarmi! – protestò Harry.
- In guerra nessuno si curerà dei suoi problemi signor Potter, non c’è tempo di concentrarsi e raccolga la bacchetta!
Il ragazzo corse per l’ennesima volta contro la stecca di legno, che era caduta ai piedi del cavallo bianco di Micheal e Ginny. La raccolse, la puntò verso il suo insegnante.
- Expelliarmus! – pronunciò Severus.
- Basta! – gridò Harry
- Basta cosa, signor Potter? – chiese lui il professore.
- Basta con questa dimostrazione assurda, gli altri professori non ci hanno mai insegnato così!
- Gli altri professori avevano il compito di prepararvi per gli esami, non per la guerra! – gli sbraitò contro Severus Piton – quando sarà sul campo di battaglia, signor Potter, è bene che lei sappia che il tempo è un lusso che non le sarà concesso. Nessuno aspetterà che lei sia pronto per attaccare, Voldemort o chissà chi altro si scaglierà su di lei, e con maledizioni ben peggiori di un Expelliarmus, mi creda, quindi recuperi subito quella bacchetta. – ciò detto si girò verso il resto della classe prendendo a passeggiare per la scacchiera, mentre Harry si dirigeva nuovamente a recuperare la sua arma – Questo vale per tutti voi. Avete detto che siete disposti a lottare, avete detto che accettavate i pericoli a cui stavate andando incontro, avete detto che volevate essere preparati, avete detto che volete che io vi insegni, beh, lezione numero uno, non siete più in classe! La guerra per cui vi sto preparando sarà un affare da professionisti, e non vi saranno concessi errori come non vi sarà concesso tempo, chiaro? Dovrete essere sempre pronti, e dovrete essere svelti, e lei ha appena perso un’ottima occasione per disarmarmi, signor Potter! – gridò girandosi verso il ragazzo che, aveva riafferrato da circa tre minuti la sua bacchetta.
- Ma… - aveva provato a dire il ragazzo.
- Nessun ma, signor Potter, - aveva replicato lui – ciascuna distrazione dell’avversario può essere utile per disarmarlo, quindi avrebbe dovuto colpirmi alle spalle mentre ero impegnato a parlare.
- Ma colpire alle spalle sarebbe sleale – commentò Hermione.
- Nessuno sarà leale in guerra, signorina Granger, – le rispose il professore – la guerra è sleale, e quindi voi dovrete adattarvi…
- Expell…
- Expelliarmus! Più veloce, signor Potter, più veloce.
Harry si alzò da terra celermente e si mise a correre verso la sua bacchetta, che stavolta era andata a cadere ai piedi di un pedone bianco. Il ragazzo afferrò svelto la becchetta, e nel farlo alzò il viso incrociando lo sguardo con la ragazza che vi sedeva sopra. Incrociò lo sguardo con quello di lei e piegò le labbra in un’espressione che stava a dire chi lo sopporta questo.
Cho Chang gli rispose con un leggero sorriso.
- Expelliarmus! – pronunciò ancora il professore – Nessuna distrazione, signor Potter, nessuna distrazione! E corra a prendere quella bacchetta.
Harry si alzò di nuovo, mentre Cho lo salutava con espressione spiacente. Il ragazzo intrecciò ancora lo sguardo col suo.
A interrompere il gioco furono tre colpi di tosse forzati del professore, ed Harry scappò di nuovo ad afferrare la bacchetta, mentre il professor Piton lanciava segretamente un’occhiata di rimprovero alla ragazza. Ricordava chiaramente anche il colloquio di lei.
Per inciso, la prima cosa che la ragazza aveva fatto dopo essersi seduta al colloquio dinnanzi a lui era stato lisciarsi la gonna, e poi guardare Harry facendogli un cenno di saluto. Dal canto suo, Potter era arrossito, ed al professore era subito stata chiara ogni cosa. Aveva già notato quel giorno uno strano comportamento da parte del ragazzo. Innanzi tutto sembrava essersi pettinato quel giorno, o quantomeno aveva i capelli meno in disordine del solito, e già questo era alquanto strano, ed in più aveva messo il profumo, quitali di profumo, e neppure questa era una cosa tipica di Harry Potter. Il professore aveva intuito subito che ci fosse qualcosa fra i due.
Comunque, “Sono qui per rendermi utile,” gli aveva risposto la ragazza quando Severus le aveva chiesto perché si fosse presentata al colloquio, “credo a quello che ha detto Harry sul fatto che Voldemort sia tornato, e che sia stato lui a uccidere Cedric, e credo che sia nostro compito imparare a difenderci in modo che questo non accada, ma anche in modo di… vendicarlo, ecco.” “Ah, capisco…” aveva commentato il professore “in ogni modo, credo che le se decisioni non dovrebbero esser dettate da troppa emotività, signorina Chang, non vorrei che il suo desiderio di vendetta la portasse a compiere scelte che poi tutti quanti noi potremmo rimpiangere…” “Oh, no, io non volevo dire, cioè… ecco… io…” aveva balbettato la signorina Chang. “Se permette, signorina,” aveva ripreso il professore “credo di sentirmi alquanto in dovere di rivolgerle qualche altra domanda. Innanzi tutto, se le si presentasse l’occasione, al contempo, di ottenere, la sua, come dice lei, vendetta, ed io le ordinassi contemporaneamente di fare qualcos’altro, che cosa farebbe? Eseguirebbe o no i miei ordini?” “Non sono un tipo vendicativo, professore,” si era sbrigata a rispondere Cho “è solo che sono rimasta molto scossa dalla morte di Cedric, ecco, ma non credo che potrei mai vendicarmi personalmente di lui, il pensiero di poter far del male a qualcuno non è da me.” “Molto interessante,” aveva commentato il professore, mentre in testa pensava di male in peggio “ma siamo in guerra, signorina Chang, non crede che dovrà fare del male a qualcuno prima o poi?” “Beh, io…” “Sa, signorina, questa classe non sarà un gioco né una passeggiata, quindi se lei è qui perché crede che questo possa essere un passatempo divertente, o per dei crediti extra credo proprio che abbia sbagliato ufficio.” “Cho non si è spiegata bene, professore” aveva cercato di difenderla Potter, “sicuramente lei…” “Questo non è il suo colloquio, signor Potter” lo aveva rimproverato il suo insegnante “E se la signorina Chang non sa difendersi da sola neanche a parole allora…” “Mi lasci parlare, professore!” lo aveva interrotto la giovane Cho, mossa che il professore aveva ritenuto evitabile, ma l’aveva lasciata parlare comunque “Quello che voglio dire, professore, è che non sono un tipo a cui piaccia la violenza di alcun genere, ma questo non vuol dire che mi risparmierò di combattere in caso ce ne sia la necessità. E non voglio fare la stessa fine di Cedric, io voglio essere pronta, e voglio combattere per entrambi, per me e per lui, e mi serve il suo aiuto per questo. So già che mi sembrerà terribile, so già che avrò paura, eppure sarà lei il nostro insegnante, e credo che sarà in grado di darci coraggio. Forse ho paura, ma la posso superare, io ce la posso fare.” Il professore l’aveva allora guardata per un po’. Anche se poteva sembrare il contrario, quella era una ragazza straordinariamente forte, sebbene anche molto debole. Era emotiva, aveva paura, ma era anche molto, molto forte. Ed sarebbe anche indiscutibilmente stata un ottimo elemento per la sua classe. Era qualcuno che gli sarebbe piaciuto aiutare, ecco. Accanto a lui, Potter aveva intanto preso a strizzare gli occhi alla ragazza tentando di rassicurarla. La cosa gli diede fastidio. E gli diede ancora più fastidio vedere come la ragazza ricambiasse, a momenti alterni, i suoi sguardi. “Per me può andare, signorina Chang, se vuole firmare la pergamena adesso la signorina Granger sarà ben contenta di comunicargli gli orari delle prossime lezioni. Devo dirle che il principio del suo colloquio non mi ha entusiasmato, signorina Chang, ma fortunatamente è riuscita a riprendersi, ed in più immagino che lei avesse un’attenuante…” “Che vuole dire?” chiese lui la ragazza, “Beh, immagino che lo sguardo fisso del signor Potter che non ha staccato gli occhi dalle sue gambe per tutta la durata del colloquio, non sia stato un toccasana per metterla a suo agio, ci perdoni davvero.” Al che Potter era arrossito in modo da far sembrare più bianchi persino i capelli del suo amichetto Weasley, mentre la ragazza piegava il viso imbarazzata guardando male il bambino che era sopravvissuto. Dio mio, era stata una cosa così divertente! – aveva pensato Severus – insomma, era stato come infliggere una batosta a James! Comunque, a colloquio finito la ragazza si era nuovamente lisciata la gonna, e poi se ne era andata salutando cortesemente lui e i suoi assistenti, e apostrofando il ragazzo con un semplice Harry’.
Nonostante ciò, pensò il professor Piton, ora i due dovevano aver chiarito, se avevano ripreso a guardarsi così. O, certo, questi non erano affari suoi, eppure la cosa gli diede alquanto fastidio lo stesso.
- Expelliarmus! - fece disarmando per quella che doveva essere l’ennesima volta il professore – Avanti, Potter, se il Signore Oscuro si rivelerà più veloce di lei, lei non si ritroverà solo disarmato, ma morto stecchito nel giro di quattro secondi e recuperi la bacchetta!
Harry corse di nuovo, si gettò sulla bacchetta afferrandola e voltandosi verso il suo insegnate.
- Expelli…
- Expelliarmus! – fece il professore disarmandolo di nuovo.
- Ma c’ero quasi riuscito! – protestò Harry, piegandosi a riprendere la bacchetta che gli era caduta a pochi passi dai piedi
- Quel quasi non le basterà a salvarsi la vita, signor Potter. – lo rimproverò il professore – non si può quasi vincere, come non si può quasi perdere, o si vince o si perde ed è questo il punto. Lei non può quasi salvarsi come non può quasi rimetterci la vita quindi…
- Expelliarmus! – gridò Harry, e la bacchetta del suo insegnante volò via prima che lui potesse finire il monologo.
Se la classe non fosse già stata in completo silenzio, probabilmente avrebbe taciuto.
Il ragazzo era ancora a terra, con la bacchetta puntata, mentre il professore lo guardava attonito. E disarmato. Eppure, Harry era sicuro di aver fatto centro. Insomma, gli aveva detto lui di approfittare delle distrazioni dell’avversario, di essere scaltro, di essere veloce, e lui lo era stato, lo aveva sorpreso, lo aveva battuto, e quello era proprio il punto di quella lezione. Se Piton fosse stato lord Voldemort e quello fosse stato un vero duello, Harry avrebbe avuto adesso il tempo di attaccare e/o quello di mettersi in salvo. Pensò che forse il suo insegnante si sarebbe congratulato con lui.
- Pessimo lavoro, signor Potter, – si limitò a dire Severus Piton – ha impugnato la bacchetta troppo distante dalla punta, sarebbe potuta cadere, ed in più ha una pessima tecnica, una delle peggiori che io abbia mai visto, dico davvero.
Harry pensò a qualcosa da rispondere, ma non gli venne nulla. Non che di solito avesse la risposta pronta, questo a dire il vero non accadeva quasi mai, è solo che non si aspettava proprio di venir rimproverato dopo che aveva finalmente raggiunto lo scopo desiderato, e dopo così tanto sforzo inoltre! Se solo fosse stato Hermione, ed avesse avuto la sua parlantina, di sicuro avrebbe detto qualcosa. Avrebbe fatto un discorso articolato e di protesta, arricchendolo con svariate citazioni e frasi in latino perché suonavano meglio, avrebbe battuto alla grande qualsiasi monologo che il professore aveva mai fatto fin ora, e lo avrebbe lasciato di stucco. Ma lui non era Hermione, non era mai stato bravo con i discorsi e non sapeva una parola di latino, e, in più, al momento non aveva la minima idea di cosa dire. Quindi, per costrizione, non per altro, rimase in silenzio. Anche se nel suo fiero orgoglio da Grifondoro non l’avrebbe mai, il giovane Harry Potter sperò che qualcuno protestasse per lui.
- Va bene, - sentenziò il professor Piton dopo aver raccolto la sua bacchetta, smettendola di camminare per la prima volta da quando era entrato nell’aula – la nostra lezione per oggi termina qui, i signori Potter, Weasley e Granger saranno ben lieti di comunicarvi nel corso della settimana gli orari della prossima lezione. Potete andare.
A sentire quelle parole, tutti i ragazzi si alzarono dalle loro postazioni; Ron scivolò giù dal suo pedone, Cho Chang ne discese con grazia, Fred e George scesero con un balzo dalle torri sulle quali si erano appollaiati, Angelina Jordon si calò giù dal suo cavallo, Micheal, già a terra, aiutò Ginny a scendere dal loro. Riprendendo con le chiacchiere, gli studenti si avviarono borbottando verso l’uscita, prima che le parole del loro insegnante li inducessero nuovamente all’ordine e al silenzio.
- Per potete andare, - sottolineò il professore riinserendo la bacchetta nel fodero – intendo dire che lascerete la classe in gruppi da quattro o da tre, accompagnandovi con le persone con cui siete soliti girare ad Hogwarts. Abbandonerete quest’aula con due minuti di distanza l’uno dall’altro, i signori Weasley mi hanno assicurato che Gazza sarà occupato nell’ala opposta del castello in questo momento, quindi non dovreste correre pericoli, ma in ogni caso è meglio esser prudenti, quindi in caso un gruppo dovesse essere scoperto i suoi componenti dovranno urlare tanto forte da farsi udire dal resto della classe, in modo che gli altri evitino di uscire fino a mio ordine. Il signor Potter, la signorina Granger ed il signor Weasley saranno gli ultimi a lasciare l’aula, e, mentre gli altri se ne andranno, loro si preoccuperanno di controllare che tutto sia in ordine, o di mettere apposto, in caso contrario, mentre io mi ritirerò per qualche motivo nel mio studio. Loro tre abbandoneranno l’aula solo quando io lo riterrò necessario. Una volta usciti, faranno bene a contattare tutti gli altri membri dell’Esercito per accertarsi che tutti stiano bene. È tutto.

Hermione, Ron ed Harry uscirono dall’aula velocemente, scivolando di corsa giù per la rampa di scale, fino a toccare il suolo del secondo piano, terreno neutro. Il professor Piton si muoveva calmo dietro di loro. Discese le rampe, i ragazzi incrociarono lo sguardo con il professore, in cenno di tacita intesa, e poi si avviarono per i corridoi superando il professore di un metro.
- Signor Potter! – chiamò il professore, mentre i ragazzi si giravano a guardarlo – Potrebbe venire qui un momento? Da solo?
Harry lanciò un’occhiata a Ron ed Hermione, poi li lasciò un attimo soli per avvicinarsi al loro insegnante. Forse il professor Piton voleva scusarsi, pensò il ragazzo, forse voleva complimentarsi per il modo in cui si era comportato quel giorno in aula, pensò ancora, forse voleva spiegargli che lo aveva sgridato solo per dare alla classe l’immagine di un professore severo, ma che in realtà era molto fiero di lui, forse…
- Mi pesti un piede, signor Potter, adesso – gli ordinò Severus Piton usando il tono di voce più basso che il ragazzo avesse mai sentito (e c’è da dire che era un ragazzo che parlava con i serpenti).
Quella richiesta gli sembrò assurda. Insomma, il suo professore gli aveva chiesto davvero di pestargli un piede? Che senso aveva tutto quello? Insomma, forse è vero, aveva fantasticato un po’ ad immaginarsi Piton che si complimentava con lui, ma quello era ancora più assurdo! Probabilmente aveva capito male.
- Eh? – chiese confuso al suo insegnante.
- Le ho sottratto venti punti oggi, signor Potter – gli spiegò Piton a bassa voce – il punto è che non c’era nessuno quando glieli ho sottratti e se la Umbridge dovesse indagare scoprirebbe che noi due eravamo insieme quando questo è successo e dove nessuno poteva vederci. Quindi, mi serve un motivo per toglierle punti. Mi pesti il piede.
Il ragazzo squadrò il suo insegnante come fosse un matto.
- Dice davvero? – gli chiese infine
- Certo! E non mi faccia perdere tempo, Potter, mi pesti quel maledetto piede e si tolga di mezzo.
Harry riflettè un momento sulle conseguenze che questo suo gesto avrebbe comportato. Non pensava che quello del professore fosse un bluff, stranamente, Piton sembrava maledettamente serio, eppure quella continuava ad essere una richiesta assurda. Incerto, il ragazzo schiacciò un piede sopra quello del suo insegnante.
- Guarda dove metti i piedi, Potter! – sbraitò il suo insegnante a voce alta, in modo che tutti potessero sentirlo, rispolverando le doti da immancabile attore che tanto gli erano tornate utili durante gli interminabili anni del triplo gioco. – Trenta punti in meno a grifondoro!
- Trenta? – chiese lui Harry a bassa voce, con fare di protesta – Ma non erano venti? Che si sono moltiplicati?
- Certo che no, Potter. – rispose lui il professore – Venti sono per la faccenda del legilimens oggi in classe…
- E gli altri dieci? – chiese lui Harry
- Quelli sono per avermi pestato un piede, ovviamente – gli rispose il professore, e ciò detto lo sorpassò scomparendo nel corridoio sotto lo sguardo attonito di Harry.
Ron ed Hermione lo stavano ancora aspettando.
- Herm, - fece il ragazzo quando li ebbe raggiunti, cominciando ad avviarsi con loro verso il dormitorio grifondoro – tu lo sai cos’è un legilimens?
- È un mago in grado di leggere nella mente, Harry, perché? – gli rispose la ragazza.
Harry si fermò di botto sbiancando visibilmente.
- Merda!
   
 
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