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Autore: Alkimia    12/09/2011    1 recensioni
“Sei vuoto, Severus” sentenziò Voldemort con una nota di nera allegria nella voce sibilante. “E mi piace il vuoto, lo posso riempire a mio piacimento. Questo ti rende anche meglio di tutti loro”, così dicendo alzò una mano pallida a indicare gli altri Mangiamorte. “Li vedi? Sono tutti legati alla loro posizione, al loro denaro, alla loro vita e questo li rende meno affidabili di quanto vorrei. Tu invece non hai niente”.
Estate tra il quarto e quinto anno: Voldemort è tornato e il mondo magico dovrà prenderne atto e prepararsi a una nuova guerra. I pensieri di Piton in questo momento cruciale della storia...
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Severus Piton
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4
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Paint it black

La notte era l'unico momento in cui il caldo soffocante di quell'estate sembrava concedere qualche ora di tregua, perché durante il giorno, per quanto si lasciassero aperte le finestre e i balconi, non un alito di vento arrivava a rendere l'afa più sopportabile.
Ad ogni modo, il quartiere di Spinner's End non era posto dove ci si potesse concedere il lusso di lasciare le finestre aperte. A dirla tutta, nemmeno altri tipi di lusso erano mai stati particolarmente in voga in quella zona della città.
Severus Piton, sprofondato in una vecchia poltrona, stava cercando di concentrarsi sulla lettura di un volume che parlava delle antiche pozioni dei druidi celtici, prestando particolare attenzione al capitolo dedicato agli antidoti contro il veleno dei serpenti, argomento che, viste le circostanze, valeva decisamente la pena di approfondire.
L'uomo si stropicciò il volto con le mani e voltò pagina. In quello stesso momento, sulla stanza calò il buio: la lampadina sotto al paralume di tela consunta aveva esalato il suo ultimo respiro e si era spenta con un rapido e sottile pzzz.
Bene...
Piton cercò a tentoni la bacchetta posata sul tavolino tarlato che aveva davanti.
“Lumos” scandì pigramente. Riprese a leggere.
La pozione illustrata a pagina 77 sembrava tanto interessante quanto complicata. Stava cercando di figurarsi il procedimento di preparazione quando fu distratto da una serie di schiamazzi provenienti dalla strada, seguiti dal rumore di vetri infranti. Voci di ubriachi risuonarono acute nel silenzio della nottata. Severus Piton aspettò che il baccano cessasse e rilesse di nuovo la pagina 77, era arrivato all'ultima riga quando si udirono altre voci e altri rumori.
Se quell'unico squallido pub del quartiere fosse stato un po' più lontano da casa sua lui ora avrebbe capito qual'era l'ultimo passaggio della preparazione di quell'antidoto. Se quell'unico squallido pub fosse stato un po' più distante, forse, chissà, avrebbe avuto un paio di serate un po' più tranquille da bambino. E se avesse avuto qualche serata un po' più tranquilla...
Al diavolo!
Il professore di Hogwarts chiuse nervosamente il libro e lo gettò sul tavolino che aveva davanti. Snocciolare i se non lo avrebbe portato molto lontano.
Poteva uscire, scagliare una maledizione su quegli idioti ubriachi che stavano disturbando la sua lettura e spiegare a Silente che lo aveva fatto per risultare più convincente nel suo ritrovato ruolo di Mangiamorte doppiogiochista. L'idea sembrava parecchio allettante, ma infine i rumori e le voci cessarono e l'unica parte rilevante dei pensieri appena formulati sembrò quella relativa al suo ritrovato ruolo di Mangiamorte doppiogiochista.
“Severus, sai cosa devo chiederti di fare. Se sei pronto... se sei in grado...” aveva detto Silente. Il bianco delle pareti dell'infermeria si era fatto accecante davanti ai suoi occhi. Era pronto da sempre.  In quanto all'essere in grado... oh, avrebbe certamente trovato il modo.  
Sarebbe stata di nuovo una guerra, lo sapeva e non c'era tempo di fare domande. Il futuro diventava giorno dopo giorno un'immagine sfocata dai contorni neri.  
Fare i calcoli sulle speranze, misurare le possibilità con il contagocce era una lavoro adatto a quelli come Albus Silente. In quanto agli sventolii di bacchette e alle mosse da eroe tragico... beh, c'era Potter preposto a tale compito.
Lui doveva solo agire, a lui toccava stare in mezzo al nero di quei contorni e cercare di farlo avanzare il più lentamente possibile.

Erano settimane che faceva la spola tra le adunate dei Mangiamorte e le riunioni dell'Ordine della Fenice. Era guardato con malevola circospezione dai primi e con perplesso stupore dai secondi, le battute di spirito di Sirius Black riguardo a quanto fosse inaspettato il suo zelo nel partecipare alla causa erano solo un gradevole intermezzo.
In dodici anni i Dissennatori avrebbero dovuto prendersi maggiore cura di Black!
Eppure ogni volta che si faceva il nome di Harry Potter, Severus sentiva qualcosa bruciare in qualche angolo remoto dentro di lui e si rendeva conto di quanto fosse la rabbia a muoverlo, al di sopra di ogni altra cosa, a volte anche al di sopra del ricordo di Lily e di quell'amore che lo aveva corroso da dentro, lasciandolo solo un guscio vuoto in attesa che il fato gli mettesse sulla strada un'occasione di riscatto. Perché mentre era seduto al tavolo di Grimmauld Place, con  gli occhi dei membri dell'Ordine puntati addosso, avidi di sapere cose nuove sui Mangiamorte o su Voldemort, aveva l'odiosa consapevolezza che loro stavano riuscendo dove lui aveva fallito quattordici anni prima, loro ce l'avrebbero fatta a salvare quelli che amavano. E si sentiva ancora più distante, ancora più diverso da quelle persone.
Ogni volta che Severus Piton lasciava il quartier generale dell'Ordine sentiva di avere un'idea sempre più confusa su chi era: non era un eroico mago buono dell'associazione segreta fondata da Silente, ma non era nemmeno il subdolo Mangiamorte che i seguaci del Signore Oscuro credevano che fosse. Anche se, a dirla tutta, provava quasi una punta di orgoglio al pensiero di essere riuscito a ingannare Voldemort.

Alcune sere prima, durante una delle riunioni dell'Ordine della Fenice, finalmente aveva detto le tre paroline magiche che gli altri aspettavano di sentire: “Ho incontrato Voldemort”.
Si era concesso una pausa ad effetto per il gusto di vedere il fremito di nervosismo propagarsi da un volto all'altro come una scarica elettrica, poi aveva raccontato dell'incontro.
Non si era dilungato su inutili commenti e osservazioni personali mentre riferiva l'accaduto, ma se fosse stato in vena di confidenze (cosa del tutto inimmaginabile) avrebbe ammesso che non era stato del tutto spiacevole, no... era stato quasi come una liberazione poter finalmente guardare in faccia la sua più grande paura e il suo più profondo odio, ora sapeva che avrebbe potuto affrontarlo, provare a sconfiggerlo: quell'essere mostruoso, in carne ed ossa davanti a lui, era la redenzione che aveva atteso tutta la vita. Era quasi liberatorio.
Voldemort era lì, il volto da serpente pallidissimo nella penombra di un bosco. Alle sue spalle c'era una piccola schiera di Mangiamorte e ai suoi piedi stavano alcuni cadaveri con gli occhi sbarrati, la morte che aveva cristallizzato sulle loro facce un'espressione urlante di dolore e paura. La maledizione Cruciatus seguita dall'anatema che uccide... come da tradizione.
In fondo agli occhi del Signore Oscuro la furia si andava lentamente spegnendo, spostò un paio di volte lo sguardo tra i corpi esangui e il viso di Piton mentre il serpente, Nagini, strisciava placido sull'erba e cominciava ad avvolgere le sue spire attorno ai morti.
“Questa è la giusta ricompensa per i traditori” disse poi Voldemort spiando con la coda dell'occhio i Mangiamorte alle sue spalle come ad assicurarsi che il monito fosse stato ben compreso.
“Oh, Severus”, aggiunse come se solo in quel momento si fosse ricordato della presenza del professore di Hogwarts. “Per uno sciocco istante ho pensato che non saresti venuto, pensavo che saresti rimasto tra i muri della scuola a nasconderti da me nell'ombra di quel vecchio stolto. Ma sono lieto di essermi sbagliato”. La sua voce era come resina, dolciastra e pungente e sembrava lasciare una scia appiccicaticcia nella testa.
Piton rispose con un rapido sorriso tirato e chinò la testa in un mite cenno di assenso. Nagini strisciò ai suoi piedi, sfiorando con il corpo squamoso la punta delle sue scarpe.
Voldemort gli si avvicinò e gli puntò in faccia i suoi occhi rossi. Quelle pupille oblique sembravano tagli pronti a far sanguinare veleno.
Dopo lunghi secondi, una strana curva, una pallida imitazione di quello che avrebbe dovuto essere un sorriso, si disegnò sulla bocca senza labbra del Signore Oscuro.
“Sei vuoto, Severus” sentenziò con una nota di nera allegria nella voce sibilante. “E mi piace il vuoto, lo posso riempire a mio piacimento. Questo ti rende anche meglio di tutti loro”, così dicendo Voldemort alzò una mano pallida a indicare i Mangiamorte schierati qualche metro più in là. “Li vedi? Sono tutti legati alla loro posizione, al loro denaro, alla loro vita e questo li rende meno affidabili di quanto vorrei. Tu invece non hai niente”.
Niente. La parola, scandita con tanto crudele compiacimento, soffiò nell'aria come una folata di vento gelido.

Severus strinse le palpebre avvertendo l'orribile sensazione di un soffio freddo sul suo viso, ma quando riaprì gli occhi era sempre lì, in casa sua, immerso nel caldo torrido di quell'estate innaturale e nel silenzio polveroso del salotto.    
Sul tavolino il libro di pozioni era rimasto aperto a pagina 77. Una sfera di luce pallida era ancora  sospesa sulla punta della sua bacchetta e proiettava un globo di bianco luminoso in mezzo alla stanza, ma oltre quel globo c'era solo buio pesto, come se qualcuno avesse dipinto tutto di nero.
Sono stato io... la sua stessa voce mormorò velata dal fondo della sua testa. Dipingere il niente con il nero per dargli consistenza...
No, forse non era stato lui, forse era stato solo l'effetto del tempo e quel nero non era altro che polvere. Forse non era vero che non c'era niente in fondo a tutto quel buio.
Piton si stiracchiò sulla poltrona e afferrò il libro.
“Dunque...” borbottò scorrendo la pagina con l'indice.
Forse c'era un modo per raschiare via la vernice, il nero, e ritrovare i colori. In fin dei conti i ricordi, la rabbia, il dolore lo avevano sempre portato a negarsi altre possibilità, ma non doveva essere per forza sempre così.
“... dov'ero rimasto?”.
Forse domani, dopo quella guerra, ci avrebbe pensato su.   

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Ho sempre avuto tanto affetto per il personaggio di Piton, fin da quando avevo quindici anni e presi in mano il primo volume della saga di Harry Potter. Ultimamente sto rileggendo i romanzi della Rowling uno dietro l'altro e mi sto accorgendo di quanto davvero io ami quella storia e ogni suo singolo elemento... con un occhio di riguardo al professore di pozioni.
Questa breve cosa, mia prima incursione nel fandom, prendetela come un “test di prova” per una long-fic alla quale ho deciso di mettere mano quando avrò letto abbastanza da avere a disposizione i particolari di cui necessito per scrivere dell'universo di Harry Potter senza troppi svarioni.

Il titolo è trafugato da un vecchio brano dei Rolling Stones, a mio avviso tremendamente azzeccato per il caro Severus.
   
 
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