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Autore: Federico    13/09/2011    2 recensioni
Salve a tutti, eccomi di nuovo qua!Dopo tantissimo tempo torno ad aggiornare la mia saga "La saga dei balenieri" con questa fic, diretto seguito di "Tutte le scialuppe in mare".
Oceano Atlantico, 1838: anni dopo la prima storia Law, Rufy, Ace, Zoro e Sanji hanno cambiato vita: non sono più balenieri, e sono imbarcati su una nave che commercia con l'Estremo Oriente, con Law come capitano.
Un giorno, al largo dell'Africa vengono assaliti da dei pirati che su richiesta del loro misterioso capo rapiscono Ace e Rufy portandoli nel loro covo.
Chi è in realtà il comandante dei pirati? E' davvero così spietato come sembra? Riusciranno i nostri eroi a trarre in salvo i loro amici da una munitissima fortezza? Chi è un vero alleato e chi no fra i lupi di mare che vagano per l'oceano in cerca di vendetta e tesori?
Fra duelli, intrighi, battaglie e tradimenti si susseguono colpi di scena e rivelazioni inaspettate in questa mia nuova AU.
Nota: alcuni dei luoghi citati nella storia sono reali, altri verosimili. A causa del gran numero di parole e frasi straniere, chi volesse spiegazioni è libero di contattarmi con le recensioni. CMi raccomando, leggete e commentate numerosi!
Genere: Azione, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti
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- Questa storia fa parte della serie 'La saga dei balenieri'
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Il flagello dei mari

 

Bandiera nera

 

Oceano Atlantico, a ovest di Capo Verde, 26 aprile 1838

Inspirando profondamente nei prolmoni ad essa avvezzi la frizzante aria salmastra mentre i gabbiani si inseguivano stridendo al di sopra dell'alberatura e la brezza marina gli scompigliava il vecchio berretto di pelliccia, Trafalgar Law teneva le mani e gli avambracci ben tatuati avvinghiati al parapetto del ponte di comando e non poteva fare a meno di sentirsi felice, essendo il capitano di una nave così bella.

Perchè era di questo che si trattava la Virginia, di un clipper, la più bella razza di velieri esistente all'epoca, forse i migliori mai destinati a solcare gli oceani: in quel tempo lontano dove il mostro, lo sbuffante vapore cominciava appena a insidiare il primato della vela, bastimenti del genere erano gli indiscussi signori delle acque, i prediletti di Nettuno.

Stavano trasportando, così come molti vascelli in quello stesso periodo in altre parti dell'oceano, pregiati prodotti orientali quali tè, sete, porcellana sulla battutissima rotta che dall'America o dall'Inghilterra si spingeva fino alle Indie o in Cina.

Erano navi, quelle, che alla velocità e manovrabilità sacrificavano tutto, compresa buona parte della stabilità, cosicchè a volte si perdevano in tempeste particolarmente violente: ma in cambio di tali debolezze si rendevano capaci di performance straordinarie, come medie giornaliere di numerosissime miglia marine percorse oppure viaggi di pochi mesi su distanze che in passato richiedevano anni.

D'altra parte i consumatori europei e statunitensi ritenevano che il tè si danneggiasse a bordo delle lente e puzzolenti navi a vapore, così almeno per il momento i magnifici clipper mantenevano il monopolio di quel traffico.

Eppure a volte, nel profondo del suo cuore, Law sentiva pulsate l'attrazione, mai del tutto sopita, per il suo vecchio mestiere, quello del baleniere; un mestiere entusiasmante e pieno di pericoli, che conduceva manipoli di uomini esperti e coraggiosi dai ghiacci della Groenlandia agli atolli della Polinesia sulle tracce degli esseri più grandi e misteriosi del pianeta.

Un mestiere dove un colpo di una coda gigantesca che si abbatteva su una fragile barca in balia delle onde poteva significare la morte, e una campagna di caccia sfortunata la rovina finanziaria; un mestiere che necessitava di muscoli e fegato da vendere, bravura con l'arpione e resistenza fisica, un mestiere soggetto a onde e ghiacci.

Trafalgar a volte rimpiangeva quasi di non dover più calare in mare le scialuppe una volte avvistato il getto di una balena che sfiatava, e ricordava con nostalgia il puzzo del grasso fuso per diventare olio, un puzzo che cozzava con la tenera fragranza del tè, ma ora si rendeva conto di avere profitti e condizioni di lavoro meno sudati e incerti, e soprattutto si ricordava del suo ultimo viaggio quale baleniere su una nave leggendaria, la Swordfish del capitano Monkey D. Garp, il suo mentore.

Era stato un viaggio lungo e sofferto, costellato di lutti, minato dal tradimento, dalla vigliaccheria e dalla follia: nemici astuti e implacabili si nascondevano sopra e sotto la superficie del mare, ben due capitani erano periti crudelmente, la baleniera stessa era stata affondata e tutto l'equipaggio tratto in schiavitù dal vincitore.

Fortunatamente erano riusciti a liberarsi, e si sarebbero dati alla fuga, se non avessero incontrato il famigerato Mocha Dick, che gli aveva condannati al naufragio, a soffrire sotto un sole martellante, su una lancia troppo piccola per contenerli a dovere, a boccheggiare per la sete.

Una vascello americano li aveva però tratti in salvo, riconducendoli a casa; una volta là Trafalgar e i suoi amici avevani cominciato a lavorare sui mercantili, finchè Law non aveva ottenuto il brevetto di capitano e si era inserito sulla nascente rotta per l'Oriente, compiendo due viaggi fruttuosi fino a Canton, giungendovi in appena cinque mesi; da là erano tornati passando per il Capo di Buona Speranza, meno temuto del Capo Horn che erano abituati ad affrontare insieme a Garp, ma comunque un osso duro.

Il capitano decise che conveniva dare un taglio al passato e concentrarsi sul per ora luminoso presente.

Ormai alle sue dipendenze non erano rimasti molti dei veterani della Swordfish, ma quei pochi erano fidati e validi.

I due nipoti di Garp, Ace e Rufy, una volta (soprattutto il secondo) ragazzini timidi e spauriti, si erano ora trasformati in adulti dal fisico robusto e indefessi lavoratori, anche se avevano certo qualche difetto; il primo si dimostrava alle volte troppo irruente (“Ha il sangue caldo, quello” soleva ripetere il vecchio a proposito del giovane), mentre il secondo tendeva a prendere tutto alla leggera.

In definitiva però non poteva imputare loro nessuna colpa grave, considerato il daffare che si davano anche nelle situazioni più delicate e l'affetto che provavano per i loro compagni.

Lui stesso, vista la sua giovane età (era nato in Cornovaglia nel 1805, prendendo il nome dalla battaglia vinta da Lord Nelson, e si era trasferito appena sedicenne in America, in un epoca in cui i Britannici non erano molto ben visti dagli yankee) era solito mischiarsi alla ciurma come un fratello, più che come un padre.

C'era poi Zoro, il giovane giapponese taciturno e assennato, altra scoperta di Garp; l'anziano baleniere lo aveva trovato come mozzo su un'altra nave e, impressionato dalla sua mira stupefacente, si era fatto promettere dall'altro comandante che una volta tornato a Nantucket lo avrebbe mandato in prova come ramponiere da lui; i fatti dimostrarono che aveva ragione.

Anche se ora non doveva più utilizzare l'arpione, conservava, con la sua imperturbabilità pressochè costante, attorno a sé una specie di aura mistica, anche quando svolgeva i compiti più umili come salire sui pennoni o girare l'argano; era la smentita vivente del diffuso luogo comune secondo cui a bordo un non bianco poteva aspirare solo a fare lo sguattero o al massimo il cuoco.

Già, il cuoco.

Anche se Sanji era entrato in ciurma in modo alquanto rocambolesco, come al solito Garp aveva fatto un buon acquisto (del resto l'unica volta in cui si era sbagliato nel giudicare un marinaio gli era costata la vita), tanto che probabilmente non c'era bastimento al mondo dove si mangiasse meglio che sulla Virginia; egli era inoltre dispensatore di saggi consigli, racconti e salaci battute.

“Ehi Rufy!” gridò Ace portandosi la mano alla bocca, rivolgendosi al fratello che scendeva dalle sartie. “Non hai più paura a salire così in alto? Eppure ricordo la tua prima volta lassù...”.

Al rimembrare la propria passata incompetenza, il ragazzo lo liquidò con una smorfia e si sporse in tutta sicurezza per rispondere. “Molto divertente!Tu piuttosto, invece di guardare i pesci volanti, dovresti dare una mano nella stiva! Con il mare mosso di ieri sera, tutte le balle si sono rovesciate! Mi domando che fine abbia fatto la porcellana...”.

D'un tratto Zoro, che grazie alla sua vista acuta ricopriva egregiamente il ruolo di vedetta, si sporse dalla coffa e, aggrappandosi saldamente all'albero e alla ringhiera, gridò: “Nave a poppa!”.

Per un po' nessuno ci fece caso, ma quando dopo un'ora il veliero era ancora là che teneva dietro insistentemente al clipper, allora visi preoccupati cominciarono ad affacciarsi a poppa, mentre un temibile spettro si faceva strada nella mente di tutti.

Alla fine Law ritenne opportuno sincerarsi di persona dell'andamento delle cose e, cannocchiale alla mano, prese a scrutare attentamente i nuovi venuti.

Inquadrando nella lente la prua che fendeva le onde, ragionò ad alta voce: “Batte bandiera olandese

e ha cannoni da entrambi i lati...Una corvetta o uno sloop armato, direi...Forse un guardacoste”.

Ace, che era il primo ufficiale, si avvicinò scuro in viso, stringendo l'elsa del coltello quasi come portafortuna: “Ma allora perchè ci seguono?”.

“O hanno notizie urgenti per noi, oppure...sono pirati” commentò neutro Sanji.

Intanto lo spazio fra le due navi si era ridotto a poco meno di un miglio, e sul ponte della corvetta si notava un brulicare di uomini: d'improvviso dalla fiancata si levò uno sbuffo di fumo, e mentre la palla di cannone si tuffava, il vessillo olandese scendeva dolcemente, sostituito da un panno nero.

“Pirati! A quanto pare vogliono che ci fermiamo” osservò calmo Zoro scendendo in quell'istante da una cima, mentre Rufy esclamò: “Dannati, ci hanno imbrogliato! Si sono finti amici...Ma non avranno vita facile! Ci provino ad abbordarci!”.

“Presto, dobbiamo scappare! Tutti gli uomini abili alle manovre! Issate tutte le vele!” ordinò energicamente il capitano, quindi sparì in un boccaporto e riapparve reggendo un baule contenente sciabole, moschetti e pistole, in aggiunta alle asce e ai pugnali già a disposizione dell'equipaggio.

Imprecò contro la mancanza di artiglierie e la propria maledetta imprevidenza: già una volta la Swordfish era stata catturata da Barbabianca per non essersi saputa opporre alle sue bordate, e già nei viaggi precedenti la Virginia era stata inseguita da predoni cinesi e malesi nei mari orientali.

Traflagar si era ripromesso che prima o poi avrebbe fatto qualcosa per supplire a questa carenza: ma d'altronde i cannoni occupavano spazio e richiedevano ciurme numerose e ben addestrate.

Nelle occasioni precedenti il veliero era riuscito a seminare gli avversari contando sulla propria mirabolante velocità, ma sarebbe di nuovo accaduto lo stesso?

Stringendo i denti, Ace, Rufy e svariati altri si arrampicavano sui pennoni per spiegare ogni pezzo di tessuto disponibile e raccogliere ogni minimo alito di vento, mentre sul ponte i restanti disponevano ostacoli per bloccare gli abbordatori e le armi passavano di mano in mano.

Lo specchio di mare fra inseguiti e inseguitori rimaneva stabile; la corvetta stringeva bene il vento, ma il clipper era semplicemente irraggiungibile; poi, d'improvviso, il battello pirata scaricò una bordata e un inquietante fruscio pervase l'aria.

“Attenzione!Palle incatenate!” urlò il giapponese cercando di farsi sentire, ma era troppo tardi: i proiettili congiunti da un breve tratto di catena si infransero ruotando sul veliero, sfondando la poppa, aprendo squarci nelle vele, mutilando uomini e sartiame e, quel che è peggio, rompendo il timone; adesso erano immobili come una carcassa di balena addocchiata da uno squalo famelico.

Prima che i nostri potessero approntare qualche difese, i filibustieri avevano già messo in mare alcune scialuppe contenenti fragorose squadre d'arrembaggio armate fino ai denti; in men che non si dica furono accanto alla fiancata della Virginia e lanciarono i loro grappini.

“Fosse anche l'ultima cosa che faccio, non metterete piede sulla MIA nave, canaglie puzzolenti!” berciò Law estraendo la sciabola e cominciando a recidere le cime, coadiuvato in questo da numerose altre mannaie e accette; ma per quanti nemici precipitassero in acqua urlando, altrettanti salivano a bordo poco più in là, finchè tutti i pirati non riuscirono nell'arrembaggio.

Gli assalitori erano circa una quarantina, e probabilmente a bordo della loro nave ve n'erano altrettanti; truci figure, piene di cicatrici o tatuaggi, scalze, a torso nudo o vestite di stracci, alcune con gambe di legno o bende sugli occhi iniettati di sangue e furia, le cinture piene di coltelli dalle forme variegate e pistole, le mani occupate da spade, bastoni, moschetti e picche; incutevano paura e cercavano ricchezze e sangue, e avrebbero probabilmente ottenuto entrambi.

Il comandante stava per ordinare di fare fuoco sui banditi e sguainare le lame quando un individuo grosso come un orso, calvo e sfregiato, dall'ispida barba nera, che sembrava il capo, lo apostrofò in inglese:“Calma signori, calma, è nel nostro interesse evitare un massacro. Vi lasceremo la vostra bella bagnarola, così potrete tornare ad arricchirvi per noi, ma vogliamo tutte le merci che trasportate, e ci dovete consegnare TUTTO il vostro denaro come riscatto per le vostre vite, intesi?”.

“Piuttosto tagliami la gola, cane!” sbraitò Rufy agitando la spada, inutilmente trattenuto da Ace che lo pregava di non commettere pazzie.

“Ti accontento subito! Ti butto agli squali, moscerino!” replicò il malfattore stringendogli il polso, ma una voce ferma ed energica si interpose: “Io dico che non lo farete, signor quartiermastro, se non ci tenete a camminare voi sull'asse! Lasciate in pace quel ragazzo!”.

I due fratelli si volsero e videro che a parlare era stata una figura alta e tenebrosa, che stava in piedi di spalle su una delle lance ancora in mare, avvolta da un lungo mantello verde.

“Voglio che portate qua quei due. Devo...interrogarli. E adesso procedete al saccheggio”.

In quattro e quattr'otto i bucanieri sottrassero dalle stive e dalle cabine e si fecero consegnare dalla ciurma tutti gli oggetti di valore a bordo; poi, strattonando i due ostaggi e tenendoli a portata di pistola, risalirono sulle barche e presero a remare verso il vascello ancora in attesa dei razziatori.

“Non li lasceremo davvero andare via così?” chiese al comandante un indignato Sanji, mentre a Zoro luccicavano gli occhi.

“Mi dispiace ragazzi, ma non posso farci nulla. Quelli erano capaci di ammazzarci tutti, accontentiamoci di essere vivi. Ma giuro che prima o poi li salveremo, o il diavolo mi porti”.

  
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