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Autore: Federico    14/09/2011    0 recensioni
Salve a tutti, eccomi di nuovo qua!Dopo tantissimo tempo torno ad aggiornare la mia saga "La saga dei balenieri" con questa fic, diretto seguito di "Tutte le scialuppe in mare".
Oceano Atlantico, 1838: anni dopo la prima storia Law, Rufy, Ace, Zoro e Sanji hanno cambiato vita: non sono più balenieri, e sono imbarcati su una nave che commercia con l'Estremo Oriente, con Law come capitano.
Un giorno, al largo dell'Africa vengono assaliti da dei pirati che su richiesta del loro misterioso capo rapiscono Ace e Rufy portandoli nel loro covo.
Chi è in realtà il comandante dei pirati? E' davvero così spietato come sembra? Riusciranno i nostri eroi a trarre in salvo i loro amici da una munitissima fortezza? Chi è un vero alleato e chi no fra i lupi di mare che vagano per l'oceano in cerca di vendetta e tesori?
Fra duelli, intrighi, battaglie e tradimenti si susseguono colpi di scena e rivelazioni inaspettate in questa mia nuova AU.
Nota: alcuni dei luoghi citati nella storia sono reali, altri verosimili. A causa del gran numero di parole e frasi straniere, chi volesse spiegazioni è libero di contattarmi con le recensioni. CMi raccomando, leggete e commentate numerosi!
Genere: Azione, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'La saga dei balenieri'
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Spazio autore

Akemichan: Grazie, veramente per questo commento onesto e incisivo. Il setting storico è abbastanza preciso, perchè nella prima metà del XIX secolo iniziava appunto l'era dei clippers, mentre sulle coste dell'Africa si avevano ancora focolai di pirateria e tratta degli schiavi (un altro tema che sarà più volte citato nella storia) che costrinsero vari Marine militari a inviare le loro flotte. Quanto al carattere credo che per Ace, Rufy, Zoro e Sanji sia pressochè identico (Traflagar Law invece lo conosciamo poco, ma credo che non sarebbe troppo dissimile da quello della storia), e anche per gli altri personaggi il discorso non muta di molto: credo di aver inserito solo un mezzo OOC per un unico personaggio, ma anche qui ho semplicmente ampliato ed esagerato una parte del suo carattere che nel manga abbiamo visto poco.

Diciamo che cerco solitamente di non esagerare usando aggettivi a caso, ma preferisco di gran lunga metafore allusive. Quanto agli errori, purtroppo sono inevitabili.

Grazie di tutto, spero che seguirai di gusto la storia e mi farai sentire le tu impressioni! Ciao!

 

Chi è l'uomo che ha decretato la salvezza ma anche la prigionia di Ace e Rufy? Dove li porteranno adesso? Oggi i nostri due giovani avranno un drammatico incontro con il loro passato, e inizerà un flashback che comprenderà anche l'intero prossimo capitolo. Spero di avervi incuriosito sufficientemente. Buona lettura a tutti!

Paterfamilias

 

Per tutta la durata della traversata fra la Virginia e la nave pirata, la principale preoccupazione di Ace e Rufy fu quella di rimanere in vita in mezzo a quella masnada di ceffi poco rassicuranti.

Chi poteva dire che quella non fosse una semplice messinscena per garantirsi una fuga sicura e che una volta lontani qualche miglio non avrebbero affidato all'oceano i loro corpi morti dopo averli straziati con un coltello?

Dei pirati c'era da aspettarsi di tutto ma non che mantenessero la parola.

Ma c'erano anche altri sentimenti che laceravano i loro animi.

Cosa avrebbero fatto i loro amici? Si sarebbero rassegnati all'inevitabile e, felici di averla scampata, avrebbero ripreso la vita di sempre?

Oppure avrebbero deciso di contrattaccare e cercato di liberarli con ogni mezzo in loro potere, a costo di farsi uccidere dal primo all'ultimo?

Ambedue consideravano la prigionia umiliante, ma l'avrebbero scelta volentieri se ciò fosse servito ad evitare ulteriori guai per i loro compagni.

In più si aggiungeva la questione del mistero che aleggiava intorno al capo dei pirati, l'individuo che aveva decretato la loro salvezza a prezzo della cattura e detenzione.

Non aveva partecipato all'assalto insieme ai suoi sottoposti, eppure tutti sembravano temerlo; non si era mai voltato per mostrare la propria faccia, eppure sembrava sapere e vedere tutto.

Del canto loro, ai due fratelli quel bizzarro individuo ricordava una persona ben conosciuta, ma perduta ormai da lungo tempo: la capigliatura, la corporatura, le movenze, il tono della voce, l'abbigliamento sembravano confermare la loro teoria, ma non aveva senso; cosa ci faceva lui là, in mezzo all'Atlantico, alla testa di quei tagliagole?

E' vero che da decenni ormai non avevano sue notizie, e che la natura delle sue attività era sempre rimasta oscura, ma possibile che si fosse ridotto a un tale poco di buono?

Quando le scialuppe accostarono al veliero pirata, i due si guardarono un'ultima volta alle spalle, solo per vedere il clipper che galleggiava incerto e immobilizzato, le vele strappate.

Furono immediatamente scossi da numerose gomitate e colpi dati con l'elsa delle spade, quindi costretti a salire, punzecchiati dalle lame.

“Benevenuti a bordo della Southern Cross del capitano Monkey D. Dragon, gentiluomini” esordì teatrale il quartiermastro indicando il comandante; era un uomo alto e vigoroso, i lineamenti volitivi e leggermente beffardi, con la folta chioma corvina che gli scendeva fin sulle spalle a incorniciare il viso abbronzato e coperto di rossi tatuaggi; indossava un lungo soprabito a maniche lunghe verde e roso con un cappuccio sopra una sudicia camicia, alla cintura pendevano una sciabola affilata come un rasoio e un paio di raffinate pistole; in una striscia di cuoio portata a tracolla sfoggiava infilati pugnali e coltelli di diverse fogge e dimensioni.

In un lungo silenzio l'uomo scrutò i due nuovi arrivati come a studiarli con i suoi occhi magnetici, quindi prese la parola: “Ci rincontriamo finalmente, figli miei”.

“Papà...Sei tu?” domandò Rufy spaesato come se quello gli avesse appena detto di venire dalla Luna, mentre Ace lo fissava senza parlare, ma nel suo sguardo si leggeva una nota di rabbia e quasi disgusto, come di chi ha cercato per lungo tempo qualcosa ma ora non vi si riconosce più.

“Ace, non fare quella faccia: lo so che in passato abbiamo avuto qualche piccolo diverbio, ma ora che ci siamo ritrovati sarebbe il momento di...”.

Dragon, che esibiva un sorriso piuttosto di circostanza e leggermente ironico, cercò di stringere la mano al giovane, ma quello la respinse infuriato e gli pianto un'occhiata gelata in faccia, sibilando furioso: “Tu ci lasci da soli con la mamma per anni e anni, senza farci sapere nemmeno se sei vivo o morto, e ora che sei un vile brigante vuoi far pace? Puoi scordartelo, canaglia!”.

Un gelido stridio attraversò fulmineo l'aria e appena un attimo dopo Ace si ritrovava con la gelida lama della spada del padre alla gola.

“Forse non sono stato abbastanza chiaro: adesso venite con me sottocoperta, e facciamo una bella chiacchierata fra familiari lontano da orecchie indiscrete” proferì ringuainando l'arma con un ghigno malevolo che fece venire i brividi ai due.

Sempre sotto la minaccia delle armi, i due furono forzati a seguire l'uomo nella sua cabina di poppa, quindi quello chiuse a chiave la porta e sedendosi al tavolo si versò due dita di gin: “Allora ragazzi, come va la vita? Dove siete stati in tutti questi anni? Ho sempre desiderato che diventaste marinai come me...Ho visto che eravate a bordo di un clipper: com'è l'Oriente? Sono ricchi i commerci là?”.

“Tu piuttosto, dove sei stato? A trincare rum in qualche tugurio pulcioso e a tagliare gole?” intervenne sarcastico Ace, provocando di nuovo l'ira del genitore.

“Non osare parlare così a tuo padre!” tuonò il pirata assestando alla scrivania un pugno tale da far tremare la caraffa dell'alcool. “Se solo sapeste quante notti ho passato pensando a vostra madre o sognando di riabbracciarvi, capireste quanto non mi sembri vero!”.

“Allora, mi rispondi tu?” sibilò avvicinando minacciso una forchetta alla faccia di Rufy, e quello rispose remissivo: “Dopo una decina d'anni da che te n'eri andato ci siamo arruolati sulla baleniera del nonno...”.

“Ah, il mio vecchio è sempre sulla breccia! Ditemi, perchè lo avete lasciato?”.

“E' morto. Un incidente di caccia. Poi il nostro bastimento è affondato, e ci siamo dati al commercio...Il nostro capitano attuale è un ex ufficiale della Swordfish”.

“Mi dispiace saperlo, ma c'est la vie: ho visto persone morire di scorbuto, di peste, squartate, bruciate, impalate, impiccate e nei peggiori modi per farmi impressionare da un vecchio trascinato via da una balena. Con mio padre non ho mai avuto un buon rapporto, ma credo che rincresca più a lui che a me: quante volte ha provato a inculcarmi in testa le sue idee...Non vorrei che finisse così anche fra noi, ragazzi”.

“Se davvero vuoi migliorare le cose, allora inizia a raccontare cosa successe davvero: ricordo ancora come se fosse ieri il giorno in cui te ne andasti senza dire una parola...” lo incalzò Ace incrociando le braccia con fare aggressivo.

“Ace è un po' duro ma ha ragione, papà...” gli fece eco Rufy. “Non hai idea di come tu ci abbia spezzato il cuore...Da quel giorno la mamma non è più stata la stessa”.

“E invece sì che riconosco il male che ho fatto...Ma confido che una volta ascoltata la storia completa capirete almeno in parte le mie ragioni...” affermò Dragon sprofondando sulla sedia, quindi si tolse la spada e prese a raccontare...

Nantucket, Stati Uniti, 4 marzo 1821

Era stata una notte tranquilla.

Rufy ed Ace avevano dormito sonni d'oro nei loro letti nella camera di quella casa modesta ma dignitosa del celebre centro baleniero di Nantucket.

I due bambini non vedevano l'ora di alzarsi perchè, pensavano, avrebbero potuto così assaporare un piacere che normalmente era concesso loro solo a intervalli assai dilazionati: trascorrere un po' di tempo con loro padre.

Di solito quando partiva per i suoi viaggi poteva restare via anni interi, e quando tornava era solo per qualche giorno che trascorreva solitamente al porto o all'osteria, al punto che Rufy, il minore dei due, poteva ricordarsi in modo definito di averlo incontrato non più di tre o quattro volte.

Tutto ciò, unito al naturale rispetto e timore che la figura del padre era capace di incutere anche solo a prima vista, aveva fatto sì che nelle loro menti egli si elevasse come una figura titanica e inarrivabile, pronto a riprenderli ad ogni minima mancanza.

Tante volte avevano provato a chiederli perchè non si imbarcasse insieme al nonno, ma solitamente Dragon cercava di nicchiare, pur di non rivelare i pessimi rapporti con Garp ai figli.

Adesso però le cose sembravano diverse: da ormai una settimana il papà era a casa e, sebbene ogni giorno si recasse ai moli principali per vedere se ci fosse qualche spedizione in partenza a cui poteva aggregarsi, dal modo in cui si comportava con loro e con la mamma pareva proprio che potesse restare ancora un po', senza fretta.

Aveva cominciato a mostrare un aspetto di sé sconosciuto ai più: pareva più calmo, più affabile, sempre pronto a giocare e scherzare con i figli...

La sera, anziché recarsi a bere in qualche squallida bettola come prima, restava a cenare con la famiglia e prima di andare a letto aveva preso l'abitudine di intrattenere i figli raccontando loro delle presunte avventure che sosteneva di aver affrontato ai quattro angoli del globo.

Nella loro ingenuità di bambini, i due non facevano fatica a crederci; e forse stavano sognando proprio le imprese fantastiche del genitore quando furono svegliati dall'urlo della madre.

Senza porre tempo in mezzo, si infilarono le scarpe e si precipitarono al piano di sotto, dove trovarono la mamma che piangeva; in grembo ella reggeva un biglietto, vergato dalla stessa mano di Dragon: “Tesoro, quando aprirai questa lettera sarò già uscito di casa. Non ti ho detto nulla per poterci godere in santa pace la nostra ultima notte d'amore, ma già da tempo ho firmato per imbarcarmi in un viaggio verso il Portogallo da dove poi entrerò nel Mediterraneo. Non so quando tornerò, ma spero di farlo da uomo ricco. P.S Bacia i bambini da parte mia”.

Ace e Rufy si lanciarono gridando per strada nel folle tentativo di raggiungere il padre, ignari che in quel momento un uomo dai lunghi capelli neri, soprabito verde indosso e sacca da marinaio a tracolla, stava salendo sulla passerella che collegava il ponte della goletta al molo.

I ragazzi giunsero al porto solo troppo tardi, quando il vascello aveva ormai levato le ancore per solcare l'Atlantico immenso e scintillante.

Era un giovane di belle speranze allora, Dragon, il viso ancora liscio e ben rasato; era triste di aver dovuto lasciare la sua diletta compagna e i suoi carissimi figli (quanto li sarebbero mancati, quante volte sarebbero tornati a tormentarlo e ad accusarlo nei suoi sogni schiacciati su una spartana amaca), ma d'altronde lo faceva per il suo bene; aveva inteso dire che il commercio col Portogallo, con la Spagna, con l'Italia e con il Levante rendeva molto bene ai capitani che lo praticavano, e anche ai semplici marinai; sperava di rimettere piede a Nantucket in capo a un paio d'anni con in tasca un gruzzolo sufficiente a mettersi in proprio, ad andare in pensione o ad aprire una taverna: ci avrebbe pensato.

Durante i primi tempi tutto sembrava filare liscio; il mare era piatto come una tavola, il vento sempre in poppa, la nave in perfette condizioni, il tempo stupendo, i rapporti con i nuovi compagni buonissimi (ma che brutti ceffi erano alcuni, ragionava, con quegli sfregi, quelle bende, quelle dita mozzate: non vorrei mai trovarmeli davanti in un vicolo buio), la disciplina né troppo severa né troppo rilassata, perfino la paga regolare: pareva il viaggio perfetto, troppo bello per essere vero.

Difatti, non tardarono a presentarsi i problemi.

Dragon nei suoi viaggi era stato ai Caraibi, in Sudamerica e nel Pacifico, cionostante gli sembrava che ci stessero mettendo decisamente troppo ad arrivare in Portogallo, anche tenendo conto di vari indizi decisamente sospetti: il clima era caldo, troppo caldo per quella stagione, i pesci che vedevano nuotare lungo le fiancate, come le mante e i pesci sega, erano quelli tipici delle zone tropicali, la posizione del sole era strana, e soprattutto la rotta continuava a puntare verso sud-est.

Sul momento ebbe la tentazione di rivolgersi al capitano per un chiarimento, ma poi liquidò il tutto come frutto della propria ignoranza dei luoghi: in fondo, lui non ci era mai stato su quelle coste, mentre gli ufficiali sì, e che razza di comandante affidabile sarebbe uno che sbaglia destinazione così clamorosamente?

Una sera, mentre stava per scivolare nelle braccia di Morfeo, udì un grande clamore: avevano avvistato la terra!

Pur appisolato, scivolò giù dall'amaca e salì raggiante in coperta, proprio mente l'ancora veniva calata in mare, ma quel che vide lo lasciò di sasso: oltre la distesa color inchiostro si stendeva una spiaggia punteggiata da fitti palmeti, mentre la goletta era stata affiancata da scialuppe su cui bianchi e neri dall'aspetto nerboruto e piratesco stavano caricando spade, fucili, palle di cannone e botti di rum.

“Ma...che succede? Questà non è Lisbona, è l'Africa!E' che ci fa quella roba lì? Non stavamo trasportando legna e ferro? Mi avete imbrogliato!”.

Scattando come un serpente, il capitano spazientito lo afferrò per la gola e lo fece sbattere violentemente contro l'albero maestro: “Ascoltami pivello, pezzo di imbecille- sussurò minaccioso facendo spuntare un pugnale- se non te l'abbiamo detto è perchè avevamo paura che spifferassi tutto in giro: siamo venuti in Guinea a fare soldi, e se non ti va sono affari tuoi”.

Lasciò andare il giovane, che si massaggiò il collo dolorante.

Non aveva scelta: se voleva avere una minima possibilità di tornare a casa con del denaro da parte, doveva collaborare, anche se quella massa di feccia e filibustieri lo disgustava sinceramente.

  
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