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Autore: Hikari93    13/09/2011    7 recensioni
Dedicata a tutti coloro che mi seguono come autrice da un anno a questa parte! (veramente, domani sarà un anno, ma comincio anche la scuola, quindi non sapevo se avrei avuto tempo ^///^
Poggiò la fronte sul metallo duro e freddo del tavolo della cucina e chiuse gli occhi. Si odiava in momenti come questo, quando veniva sopraffatto da pensieri sciocchi e suicidi. Eppure questi lo cullavano, gli tenevano compagnia prendendolo a braccetto e affiancandolo. Se avesse trovato il modo per scacciarli, lo avrebbe già fatto, e con molto piacere. Il silenzio era assoluto come in ogni singolo attimo di solitudine che trascorreva, tant’era che riusciva a percepire il suo respiro che si scontrava col legno.
Il respiro… fin che ci sarebbe stato, lui sarebbe sopravvissuto.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Sasuke/Sakura
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la serie
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Tra il vivere e il sopravvivere
 

 


 

Sasuke era tornato a Konoha, alla fine.
Non si capacitava del come o del perché, ma era tornato, condannato alla più stretta sorveglianza quando usciva e impossibilitato a svolgere anche la più stupida delle missioni. La gente si fidava poco di lui, gli era diffidente. Si sentivano bisbigli ogni rara volta che si trovava circondato da qualche anima viva e non dai suoi soliti fantasmi del passato; si udiva il clangore della porte che si chiudevano, e le occhiate perfide o terrorizzate, lanciategli bruciavano ardentemente sulla schiena. Ma Sasuke non incolpava la gente, né si importava dei loro pensieri e delle loro opinioni su di lui. Non avrebbe potuto cancellare il suo passato nemmeno volendo. Si era rassegnato al fatto che ciò che era successo, era successo, basta.
Chiuso in casa, come per la maggior parte del tempo, era intento a fissare la porta in legno, unica divisoria tra il suo essere e il mondo esterno. Non era spaventato dall’ignoto, da un villaggio del quale non si arrogava il diritto di conoscere alcunché – non più, ormai –, ma preferiva di gran lunga starsene lì, a marcire, come gli ripeteva sempre Naruto. Non riusciva a essergli grato: né a lui, né a Sakura. Entrambi i suoi ex compagni di team cercavano con insistenza di ridargli una vita, ostinandosi a pensare che fosse quello che Sasuke desiderasse. C’era stato un periodo in cui si erano fatti vedere spesso. Venivano a trovarlo con un sorriso che a Sasuke sapeva di falso e accomodante, gli riempivano la testa di parole su parole, ma senza mai toccare l’argomento “Itachi” o “vendetta”, senza mai, quindi, riaprire le vecchie pagine del passato.
Ma un libro, anche se non lo si riapre più, viene dimenticato? Viene rimosso ciò che esiste al suo interno?
Il ragazzo sospirò, sistemandosi diversamente sulla sedia. Si abbandonò sul tavolo, stanco. Avvertiva un bisogno terribile di fare qualcosa. Non sapeva bene di cosa si trattasse, ma ipotizzò che potesse essere la ricerca di un nuovo scopo, un obiettivo da poter raggiungere. Ognuno ha un sogno per cui lotta, e se davvero ci tiene non si arrende fin quando non lo ottiene. Ma, si chiedeva, ormai qual era il suo? Viveva solo perché la vita era crudele, e non voleva abbandonarlo. Più che altro, si era reso conto da tempo che il suo era un sopravvivere, uno strenuo opporsi alla vita nella speranza di un cambiamento impossibile.
Poggiò la fronte sul metallo duro e freddo del tavolo della cucina e chiuse gli occhi. Si odiava in momenti come questo, quando veniva sopraffatto da pensieri sciocchi e suicidi. Eppure questi lo cullavano, gli tenevano compagnia prendendolo a braccetto e affiancandolo. Se avesse trovato il modo per scacciarli, lo avrebbe già fatto, e con molto piacere. Il silenzio era assoluto come in ogni singolo attimo di solitudine che trascorreva, tant’era che riusciva a percepire il suo respiro che si scontrava col legno.
Il respiro… fin che ci sarebbe stato, lui sarebbe sopravvissuto.
Tamburellò con le dita sul tavolo, e si stupì di quanto potesse essere forte un suono così minimo. Nella confusione, in compagnia di qualcuno, il sonoro ticchettio non si sarebbe nemmeno udito. La smise, trovandolo fastidioso. Il ritmo che lui stesso aveva scandito gli perforava il cervello, perché – l’aveva capito – nel suo mondo non c’era posto per altri, se non per quello strenuo silenzio. Già nella sua mente c’era troppo chiasso. Il passato la occupava totalmente, facendogli rivivere tutti gli anni della sua breve vita, tutti gli sbagli, i momenti brutti e, talvolta, qualche scenetta insieme alla sua famiglia. Ma quelle apparivano sempre sbiadite e, man mano, si offuscavano sempre più, sostituite dalle grida terribili della notte dello sterminio, dal volto sorridente di Itachi risalente a quell’ultima volta, dal terrore assoluto che aveva visto dipinto in faccia agli uomini durante la Quarta Grande Guerra Ninja. Ed era per questo che aveva bisogno di restare solo e in silenzio: internamente, troppi eventi si riproponevano, e sembrava che non fossero intenzionati ad abbandonarlo.
Ordinò al suo corpo di rimettersi in piedi, alle sue gambe di muoversi verso camera sua. Di uscire – si era capito – non ne aveva la minima voglia, ma sentiva la necessità di sgranchirsi, di fare qualcosa, ma qualunque cosa pur di annullare tutto ciò che si sentiva dentro, pur di rimuovere, almeno per una volta, quel peso gravoso che gli comprimeva e schiacciava lo stomaco. Mosse qualche passo verso le scale, quando sentì bussare alla porta. Si girò, squadrandola, concentrandosi sui colpi decisi e diretti che venivano inferti al legno. Si sbrigò ad andare ad aprire. Odiava il troppo rumore.
 
Un sospiro, due sospiri, tre sospiri.
Sakura quel giorno era decisamente inquieta, e dalle sue labbra non uscivano altro che stupidi e inutili sospiri.
Servissero a risolvere i miei problemi…
Ma quali erano i suoi problemi? Cosa doveva risolvere? Sakura sapeva che non era nulla che la riguardasse personalmente. Almeno, se non si considerava che il suo cuore era diventato parte integrante del suo Sasuke-kun, e che quindi il male della persona che amava si riversava su di lei, facendola stare di conseguenza. Non riusciva a trovare un modo, uno qualsiasi, per trattare con Sasuke. Non voleva vederlo in quello stato, i suoi occhi si rifiutavano di farlo. Perché lei sapeva che Sasuke poteva reagire; purtroppo non era in grado di affermare con la stessa certezza di conoscere il modo per far avvenire ciò.
«Sakura, scendi un attimo!» La voce di sua madre, proveniente dalle scale.
Uscì di fretta, affacciandosi. «Cosa c’è?»
«L’Hokage vuole parlarti.»
E così era andata da Tsunade, aveva ascoltato cosa ella avesse da dirle, e aveva deciso. Tanto valeva tentare ancora una volta.
 
Sasuke aprì la porta senza nemmeno domandare chi fosse. Di certo, se si fosse trattato di un malintenzionato non avrebbe bussato, ma se anche lo fosse stato, l’avrebbero atterrato con un solo colpo. Non si sorprese più del dovuto, quando vide che si trattava di Sakura.
«Che ci fai qui?» chiese senza interesse.
Lei sorrise decisa, ma non rispose. Invece, partì con un’altra domanda: «Posso entrare?»
Sasuke si scostò di lato, permettendole di accomodarsi. La osservò: teneva le mani dietro la schiena e muoveva la testa a destra e a sinistra, come se stesse cercando qualcosa. Sasuke se ne sentì infastidito: quel luogo rappresentava la sua anima, o forse era meglio dire “il luogo dove la sua anima da bambino era morta per sempre, per essere sostituita da un’altra… da quella attuale”. Si sentiva fissato a fondo, esaminato, quasi come se Sakura stesse guardando lui. «Che vuoi?» disse allora, sbrigativo.
«Ti va di svolgere una missione insieme a me?»
Sasuke ghignò, e l’ombra di quel sorriso malvagio che l’aveva accompagnato nell’ultimo periodo in cui era ancora un traditore riapparve, anche se più malinconico. Ma si spense subito. «Non essere ridicola. Sai che non posso.»
«Ma vorresti?» La ragazza aveva approfittato di quel “non posso”, non ritenendolo casuale, ma interpretandolo, come se Sasuke avesse voluto comunicarle che avrebbe voluto parteciparvi. Tuttavia, il ragazzo non rispose. «A ogni modo, si tratta di una missione più che semplice. Tsunade-Sama mi ha chiesto di recuperarle certe erbe mediche. Le ho chiesto se potevo portare anche te e ha acconsentito.»
Il ragazzo intuì, anche se il tono di Sakura era stato abbastanza sicuro e convinto, che aveva dovuto insistere per convincere l’Hokage. Aveva sempre sospettato che a quella donna non andasse a genio, e sentiva di avere avuto una conferma. Tsunade lo aveva riaccettato solo per Naruto e Sakura.
«Allora? Vuoi venire?» sorrise, muovendo qualche passo verso di lui.
Sasuke sentì il suo profumo, e si chiese se le era mancata almeno una volta. Forse in alcuni momenti sì. Per esempio, quando combatté contro Killer Bee, per salvare se stesso e il suo team, oltre che per portare a termine l’incarico, la sua vecchia squadra gli era riaffiorata alla mente, senza che lo volesse. Osservò l’espressione interrogativa della sua interlocutrice e abbassò il capo, in segno di assenso. Era stato un gesto spontaneo, che il suo corpo aveva eseguito prima che la sua anima avesse potuto fermarlo. In realtà aveva bisogno di uno stacco forzato da quelle mura, perché erano esse che lo guidavano verso il suo passato, impedendogli di progredire.
Gli occhi di Sakura si illuminarono per un istante, pieni di stupore, inizialmente, e di gioia poi. Non riuscì a trattenere un ampio sorriso, che si trasformò presto in risata. «Bene Sasuke, allora se sei pronto andiamo subito.» Batté le mani, emozionata, e fece per afferrare il braccio di Sasuke. Si fermò a mezz’aria, arrossendo e camminando in avanti per impedire che il ragazzo vedesse le sue guance rossissime.
Non dovettero andare troppo lontano da Konoha. Si trattava, infatti, di una delle numerose foreste che circondavano il villaggio, dunque il paesaggio non era troppo diverso da quello che Sasuke era abituato a vedere un tempo. Il vento, quando aveva varcato la porta di casa, lo aveva accarezzato senza dolcezza, come se anche lui lo credesse responsabile e colpevole delle sue azioni passate. Gli aveva graffiato le guance, congelate. E dire che il clima, per come se lo ricordava, era piuttosto mite a Konoha. Più camminava tra gli alberi folti della foresta, talvolta a passo sostenuto, talvolta più piano, più si accorgeva di non conoscere nulla dell’attuale Konoha. Era come se quello delle sue memorie non fosse mai esistito. Sentiva l’odore dell’erba, ed era forte. Alle orecchie gli arrivava il cinguettio di alcuni uccelli, o il fruscio delle fronde e dei cespugli, provocato sicuramente dagli animali selvatici. E Sasuke, mani in tasca e passo di marcia, diffidava dal guardarsi intorno, perché tanto tutto ciò non gli apparteneva, piuttosto era parte integrante di ciò che c’era aldilà della porta di ingresso di casa Uchiha, aldilà di ciò che gli era stato concesso. Casa sua era il limite oltre il quale non doveva muoversi.
Sakura, al suo fianco, scrutava allegra, naso all’insù, il cielo. Sopra di loro era limpido ma all’orizzonte non mancavano i minacciosi nuvoloni neri: probabilmente avrebbe piovuto, in serata. Sasuke avvertiva un’abissale differenza tra loro, come un muro invalicabile. Non che avesse voluto parlare con la ragazza, ma seppe che, anche se avesse avuto il desiderio di farlo, non sarebbe servito a niente, perché le strade che avevano percorso non erano le stesse. E non si riteneva tanto fortunato da poter aver imboccato una via diversa che portava nella stessa destinazione.
«Questo posto sembra un Paradiso, non trovi?» parlò Sakura, improvvisamente. Sasuke poteva avvertire le parole che cozzavano contro la barriera che si ostinava a erigere, nutrendo la speranza che lo proteggesse da altre emozioni, perché quelle che aveva provato finora non erano state le migliori.
«Mhf.» Paradiso… come potrebbe addirmi?Che cosa stupida.
«Come ti senti all’aperto, finalmente?» Aveva esitato, ma alla fine si era sentita in dovere di dirlo. Era il suo cuore che provava la necessità di udire una risposta. Ammesso che Sasuke gliel’avrebbe fornita.
Lui ghignò. «Come dovrei sentirmi, scusami? Non sento nulla, questo è quanto.»
Di fronte alla schiettezza dell’Uchiha, e soprattutto di fronte al tono duro che aveva usato, Sakura non ebbe il coraggio di continuare a insistere. Pensò che forse avrebbe fatto meglio a starsene zitta, lei e i suoi pensieri.
 
Arrivarono alla radura senza dire altro. Lo spazio era immenso e quei deboli raggi solari che c’erano creavano un piccolo gioco di colori sulle foglie che illuminavano. Qualche fiorellino spuntava in prossimità dei tronchi possenti, sebbene non fosse proprio la stagione adatta.
Sakura si mosse sicura verso un cespuglio e, dopo aver guardato attentamente in basso, strappò delle erbette e le mostrò a Sasuke. «Guarda, sono queste» disse, meno radiosa di quando erano partiti. L’entusiasmo scemava in lei man mano che il tempo passava. Si era convinta, ingenuamente, di poter fare qualcosa, di poterci riuscire, e invece si stava ritrovando con un ennesimo pugno di mosche in mano. Stava fallendo e lo scotto era alto. Avrebbe voluto impegnarsi di più, avrebbe voluto sapere come fare per impegnarsi di più, in cosa sbagliasse e perché. Poté solo guardare le spalle dell’Uchiha che, osservato quanto doveva ricercare, si allontanava da lei, come se la sua presenza lo infastidisse.
Sakura mise su una specie di broncio, un misto di tristezza e indignazione, ma poi si voltò, con un mucchio infinito di pensieri in testa. Si morse il labbro, come se il dolore potesse aiutarla a capire, o potesse inviarle un’idea chiara di cosa fosse opportuno fare. Come era possibile stabilire un dialogo con Sasuke Uchiha? Si stava rendendo conto con molto dolore che era stata un’illusa. Una babbea quando, ogni volta, aveva sperato che un giorno sarebbe tornato tutto come prima, che il Team 7 sarebbe stato lo stesso. Era stata una povera illusa. Sasuke era tornato a Konoha, ma il distacco tra loro era aumentato, diventando impossibile da quantificare. Sospirò.
Un sospiro, due sospiri, tre sospiri. Perché, qualunque cosa facesse o tentasse di fare, non le restava altro che sospirare, avvilendosi.
 
Una goccia, due, tre… pioveva.
Sasuke non trovava un clima più adatto per lui. Alzò il capo al cielo e, perso nei suoi pensieri, dimentico di avere tra le mani le erbe che aveva raccolto, scrutò le nuvole nere. Sentiva le gocce bagnargli il volto, scendergli dentro i vestiti e tangergli il corpo. Era quasi incantato da quel che era diventato un temporale, e lo fissava come se volesse qualcosa da lui.
«Sasuke, non restare sotto la pioggia. Vieni qui!» Sakura lo aveva raggiunto e, mani in testa, tentava di inutilmente di non bagnarsi più del necessario.
Il ragazzo la raggiunse, infastidito. «Sono solo poche gocce d’acqua. E poi avresti dovuto intuirlo. Le nuvole preannunciavano pioggia.» Si sorprese di sentirsi parlare così tanto. Non era molto, ma per i suoi vecchi standard sì.
Ma la ragazza non volle sentire ragioni, lo afferrò per un braccio, tremando al contatto con la pelle fredda di lui, e lo condusse sotto un albero particolarmente grande, così che potessero ripararsi.
«Prevenire è meglio che curare» sorrise, facendo la linguaccia.
Perché, forse, curare a un certo punto diventa impossibile.
«Sasuke, a che pensi? Parlami, cosa vuoi farne della tua vita?»
Vita? Ma quale vita! «Sono cose che non ti riguardano, non immischiarti.»
In passato, Sakura avrebbe sicuramente pianto, si sarebbe offesa, ma ora era maturata. Non si sarebbe arresa, né si sarebbe mostrata debole. Si sarebbe imposta, avrebbe lottato con tutte le sue forze per riuscire, almeno una volta, a capire la persona che amava. Perché il suo sentimento non si era affievolito, mai. Ripensandoci ora, era stata una stupida, oltre che egoista, a comportarsi in quel modo con Naruto, a dichiararsi falsamente. Scosse la testa per liberarsi da quei pensieri e non perdersi in altre discussioni che non riguardassero Sasuke. Lui e lui solo importava.
«Sì che mi immischio invece.» Le guance le divennero rosse mentre parlava, e il cuore cominciò con più insistenza a battere, facendole quasi del male. «Mi importa del tuo futuro, perché io… io ti voglio bene, e lo sai.» Si era fermata. Avrebbe voluto dirgli che lo amava e non l’aveva fatto. Ricordava la sua prima dichiarazione, diversi anni prima. Le parole le erano uscite da sole, a fiotti, perché non ce la facevano più, non potevano restarle dentro nemmeno un solo attimo in più. Era poco più di una ragazzina, allora, mentre adesso era più responsabile, matura… ma non era riuscita a ridirgli quelle parole, nonostante ne avesse sentito il bisogno. Perché Sasuke sembrava averle dimenticate, come se non le avesse mai sentite per davvero. Le aveva rivolto quel semplice, ma importante, grazie, poi più nulla. Che il tempo, la vendetta, il dolore avessero completamente preso possesso del suo essere, diventando gli unici suoi dominatori e al contempo compagni?
«Ma questo non ti dà alcun diritto su di me. Smettila di infastidirmi.» Non voleva più sentirla. Per quanto gli dispiacesse ammetterlo, le parole di lei lo colpivano come pugnali. Non voleva più creare legami, o meglio non voleva rafforzarne uno già esistente. Perché si era battuto, aveva cercato di cambiare, di sopprimere tutto, di essere sopraffatto completamente dall’odio,  e per un periodo credeva di esserci riuscito, ma non era mai stato in grado di recidere certi legami, e uno era quello istaurato con Sakura. Che si era creato da solo, contro la sua volontà. Quando un legame si spezza del tutto si è costretti a patire un dolore immenso, e di questo Sasuke era consapevole. Per questo cercava con tutte le sue forze di tagliare quel vincolo resistente che lo univa ad alcune persone, anziché tentare di riallacciarlo. Era molto più semplice così. Se non avesse mai saputo di Itachi, e avesse continuato a odiarlo, non avrebbe sofferto per la sua morte, aveva concluso.
«Siamo amici, e per quanto tu possa volerti chiudere in te stesso, rifiutando ogni aiuto, io continuerò a esortarti, e ci riuscirò. Forse non hai tutti i torti, Sasuke-kun, forse dovrei davvero smetterla, ma non me la sento di abbandonarti!» E avrebbe voluto aggiungere che anche Naruto sarebbe stato dalla sua parte, ma poi ci aveva rinunciato, volendo dedicare quel momento solo a loro.
Sasuke la guardò di sottecchi, un sopracciglio inarcato. «Non saresti tu a lasciarmi solo, ma sarei io a voler essere trascurato e lasciato in pace.» espresse con una calma innaturale. «E dimmi, è stato il dobe a insegnarti a palare così?» Le labbra si inclinarono impercettibilmente in un accenno di sorriso infastidito. Un ghigno.
Sakura ignorò quanto chiesto da Sasuke, perché sapeva che si trattava di un modo per sviarla dal discorso principale. Si morse le labbra, pensando a come controbattere. Come infrangere la maschera di questo Sasuke, per fargli capire che qualunque errore si può perdonare? «Sasuke… non esiste alcuna persona che non commette degli sbagli.» Il ragazzo si irrigidì, e il ghigno scomparve. Strinse un pugno, serrando i denti, accorto a non farsene accorgere. «Ma, al contrario, esiste il perdono, in tutti i casi può esserci. E io non ho più nulla da perdonarti, ammesso che ce l’abbia mai avuto.» Si sentì ridicola, la voce le tremava e le parole le sembravano stupide. Probabilmente non avrebbero sortito alcun effetto, ma doveva provarci, l’avrebbe fatto, l’avrebbe ripetuto per sempre, cento e cento volte.
Sasuke non disse nulla, ma restava appoggiato al tronco, sentendo il suono della pioggia sul terreno, ma ascoltando le parole di Sakura. Lei stava intaccando la sua solitudine, si stava inserendo a forza. Insieme a Naruto, in precedenza, Sakura aveva cominciato a infrangere lo scudo che lui aveva eretto per difendersi dai sentimenti altrui, e ora lei continuava a insistere, con l’intenzione di infrangerlo. Ci sarebbe riuscita? Lui glielo avrebbe permesso?
«Sasuke, perdonati» insistette la ragazza, abbracciandolo. Tuffò il suo viso contro il suo petto e gli cinse le spalle con le braccia esili. Non riuscì a trattenere un singhiozzo, e da uno ne nacque un altro, secondo una catena illogica.
Sasuke cercava di essere padrone si se stesso. Non lo confondeva il gesto di Sakura, quanto quel perdonati. Lo colpiva, gli pungeva quella parola. Strinse i denti più forte, e scostò Sakura da lui. La pioggia era aumentava, e ora cadeva verticalmente. Anche lì sotto, venivano bagnati. Sasuke si alzò, avviandosi sotto lo scroscio d’acqua. Si mise le mani in tasca – aveva già consegnato le erbe a Sakura – e prese la direzione di casa. Camminava a passi lenti, come se staccare la pianta del piede da terra costasse una fatica enorme. Non si volse dietro, quindi non seppe se Sakura lo stava seguendo, anche perché il rumore della pioggia gli impediva di sentire i probabili passi.
«Perdonarmi? Che stupidaggine. Sei sempre la solita noiosa, Sakura» disse, ma la sua voce si mischiò al ticchettio continuo delle numerose gocce d’acqua.
Tornò a casa, si chiuse in camera, come se niente fosse cambiato.
Ma le parole, tutte le parole che gli erano state dette, che aveva sempre cercato di non considerare, bacchettavano contro la sua mente, come la pioggia che gli era caduta addosso.
 
 
*   *   *
 
 
«Sasuke, come mai non stai dormendo?» Sakura si stropicciò gli occhi e attraverso la luce lunare riuscì a scorgere Sasuke, seduto a bordo del letto.
Lui le scoccò un’occhiata indecifrabile, poi ritornò a guardare fuori dalla finestra. «Dormi, non preoccuparti.»
Con un mugolio, Sakura sprofondò sul morbido cuscino, lasciando il suo ragazzo solo coi suoi pensieri. In due anni aveva imparato a dargli certi spazi, perché aveva capito che gli erano necessari, se non indispensabili. Se fosse stata sveglia, anziché mezza addormentata, si sarebbe accorta di che giorno era. La mezzanotte era passata, ed era esattamente un anno che si erano fidanzati.
Sasuke sospirò. Chissà come avrebbe voluto festeggiare Sakura! Anche perché la confusione gli dava sempre fastidio. Poteva sopportare qualche persona intorno, ma non la Yamanaka che avrebbe fatto tante moine intorno alla “finalmente coppia” – come li aveva apostrofati – o il solito scocciatore di nome Naruto Uzumaki.
Eh già… a Naruto non si era ancora abituato.
Si ristese e chiuse gli occhi. Avvertì il respiro di Sakura sul suo collo che si mescolava al suo.
Il respiro… fin che ci sarebbe stato, lui sarebbe vissuto.

 
 

 



 
 
Dedicata a… me! XD
Oggi è 13, è vero, ma domani sarà esattamente un anno che sono iscritta qui, e non potevo non scrivere niente. L’ho fatto oggi (dalle tre alle otto meno un quarto ç.ç) perché domani comincio scuola, e non sapevo se avrei avuto il tempo. Dico subito che il titolo non mi piace, e nemmeno la trama è originale. L’unico che mi è piaciuta è stato lo stile che ho usato. Non so, di questo ne sono abbastanza soddisfatta (ma solo di questo XD).
Comunque, questa fanfic è soprattutto per voi, tutti voi che mi avete sostenuta in questo anno, aggiungendomi tra gli autori preferiti o ciccando mi piace o commentando le mie storie. Grazie a tutti, spero che questa roba vi sia piaciuta! ^___^
 
E grazie soprattutto a terrastoria, che mi ha supportato e sOpportato, quando le ho chiesto di leggerne qualche parte! ^__^
E grazie anche alla mia SoraRoxas, con la quale ho amorevolmente chiacchierato durante la scrittura!
Grazie! 

 

   
 
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