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Autore: Mia Swatt    16/09/2011    9 recensioni
Isabella Marie Swan Cullen, ormai vampira da cento anni, non riesce ad accettare la sua trasformazione – per mano di Alice – avvenuta dopo la tragica morte di Edward. Tutto si svolge come scritto dalla Meyer: Edward lascia Bella dopo un diciottesimo compleanno disastroso, ma succede l’irreparabile. Bella non arriva in tempo a Volterra e vede il suo grande amore perire sotto la morsa di Felix. Tornata a Forks, insieme ai Cullen, la ragazza non riesce a superare la perdita, così tenta il suicidio. Alice, troppo scossa per la morte del fratello, non vuole perdere anche Bella – perciò la trasforma. Passano diversi decenni da quel giorno. Bella, a fatica, riesce a perdonare la piccola vampira trovando un macabro senso di poesia in quel gesto. Alice, secondo Isabella, le ha donato la forza per contrastare i Volturi, vendicando così Edward. Ma tutto cambia quando arrivati Londra, i Cullen fanno la conoscenza di uno studente particolare: Eric Hunter.
Genere: Fantasy, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: New Moon
Capitoli:
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Buon pomeriggio! Lo so, sono leggermente in ritardo, ma ho fatto un doppio turno a lavoro! Scusatemi XD
Se per caso ci sono errori nel testo, perdonatemi! Lo avevo riletto qualche giorno fa, ma solitamente lo rileggo prima di postare, ma sono di fretta oggi. Poi più avanti lo correggo, ma se trovate qualche errore di battitura avvisatemi, ok? Grazie, vi adoro! <3
Ora bando alle ciance! Vi lascio al capitolo, buona lettura!


Terzo Capitolo

« Allora, dimmi quando il mio silenzio è finito.
Tu sei la ragione per cui resto vicino.
Dimmi quando mi senti cadere.
C’è una possibilità che non avrei mostrato. »
Possibility – traduzione di Lykke Li.

Non potevo crederci. Non riuscivo a crederci. Erano settimane che, senza farci beccare, osservavamo da lontano il ragazzo dai capelli bronzei, dagli occhi verdi come smeraldi, dai modi piuttosto da bulletto… insomma, Eric Hunter.
Facevo ben attenzione a non incrociarlo per i corridoio o rimanere da sola con lui. In primis, la somiglianza con Edward era inquietante. In secundis, non riuscivo a credere che potesse essere realmente Edward. Il mio Edward. Che diavolo! Si era sempre opposto alla mia trasformazione perché, a detta sua, i vampiri non avevano anima. E adesso? Io lo avevo visto morire a Volterra, per mano di Felix. Io, dopo essermi ripresa dallo shock, avevo visto il suo corpo venire dato alle fiamme – da Jane e suo fratello, Alec. Era impossibile che quel ragazzo – così dannatamente somigliante al mio ragazzo – fosse la quella stessa persona.
Eppure c’era qualcosa che mi diceva tutto il contrario. Qualcosa che mi spingeva, veramente, a credere che Eric, in realtà, fosse proprio Edward. Perfino Rosalie sosteneva questa assurda, e al quanto fantascientifica, teoria.
― Ha il suo odore. ― aveva detto la vampira bionda, subito dopo il rientro a casa. Dopo averlo visto in quel dannato parcheggio, la prima volta.
― Rosalie ha ragione. ― si era intromesso Jasper ― L’odore è diverso, perché è umano, ma la fragranza è quella di Edward.
Mi sentivo inutile e, per la prima volta dopo più di cento anni, impotente.
Non ero una vampira quando stavo con Edward, perciò non conoscevo il suo odore. O meglio, sì lo conoscevo, ma non appieno. Era solo il debole ricordo di una stupida ragazzina umana. Mio Dio, che nervoso!
Senza rendermene conto, sbattei a terra il tavolo del salotto. Rompendolo.
― Bella! ― urlò Esme, con tono di rimprovero. Se avessi potuto, sarei arrossita.
― Scusa Esme. ― risposi, mordicchiandomi il labbro inferiore. Quella era l’unica abitudine umana che non avevo perso, o dimenticato. I miei ricordi, i miei vecchi ricordi, svanivano ogni decennio che passava. Rammentavo ancora mio padre o mia madre – quelli veri – ma molte cose si dissolvevano col tempo. Il calore dei loro abbracci, il loro odore, il colore dei loro occhi, oppure – la cosa che più rattristava – i momenti passati insieme. La mia mente aveva fatto uno sforzo tremendo per tenere vivido il ricordo di Edward. Tutto il resto, purtroppo, era andato in secondo piano. Avevo fatto una scelta, ora dovevo pagarne le conseguenze.
― Bambina mia, so che per te deve essere dura tutta questa situazione. ― disse, cingendomi le spalle e facendomi accomodare con lei sul divano ― Ma devi cercare di essere lucida, la rabbia non serve a nulla. Andremo a fondo di questa faccenda, te lo prometto. Ma devi cercare di controllare i tuoi istinti, Bella.
― Lo so. ― risposi, tremante. Quanta voglia che avevo di piangere… ― È solo che è difficile. ― ammisi, per la prima volta anche a me stessa ― Credevo di averlo perso, Esme. Ho passato cento anni a ricostruire una vita, senza di lui. A pensare a… a quello che avrei dovuto fare, ora che lui non c’era più. E poi? Dopo tanta fatica, dopo tanto tempo speso a trovare una motivazione per vivere, se è così che si può chiamare questa esistenza, compare questo ragazzino!
― Tu non credi che possa essere mio figlio, vero?
― Io non so cosa pensare. ― dissi ― Ha tutto di Edward. I lineamenti – meno marcati di quelli di un tempo, però – la sua voce, gli occhi… quelli sono suoi, anche se di un colore diverso rispetto a quelli che ricordavo.
― Quando era umano, Edward aveva gli occhi di un verde intenso.
― Eric ha gli occhi di un verde molto intenso. ― ammisi, abbassando lo sguardo.
― Ascoltami bene, piccina. ― disse Esme, prendendo le mie mani tra le sue ― Io credo nei miracoli. Lo so, forse è sciocco per una vampira dire una cosa del genere, ma ci credo. Nonostante tutte le cose orribili che questo mondo ci mostra, ve ne sono molte altre che hanno del miracoloso. La magia esiste ovunque, Bella. In un sorriso, nel sole che splende ogni mattina, nella luna che sorge ogni sera… Tutto è magico. Tutto è possibile. Siamo noi a credere che le cose siano impossibili, capisci? Ascolta il tuo cuore, Isabella. Lui ti dirà ciò che vuoi sapere. ― l’abbracciai di slancio, stringendola forte a me.
― Grazie, mamma. ― sussurrai quella parole come se fosse stato un bene prezioso. Erano rare le occasioni in cui chiamavo Esme in quel modo, ma quando lo facevo sapevo di donarle una gioia immensa.
― Non devi ringraziarmi, figlia mia. ― rispose, alzandosi dal divano mentre mi accarezzava una guancia ― Ora però metti tutto in ordine, intesi? Io vado a caccia. Quando torno voglio trovato il soggiorno pulito e un nuovo tavolo montato, con sopra lo stesso vaso di fiori che era su quello vecchio. ― sorrise beffarda e uscì con Carlisle. Fantastico, pensai, dove diavolo lo trovo un tavolo identico a quello che ho appena distrutto alle quattro di mattina? Sbuffai, ma in fin dei conti Esme merita il suo tavolo.

Erano quasi le otto di mattina quando finii di montare il tavolo in legno, di forma ovale, che avevo miracolosamente trovato in un negozio di antiquariato aperto ventiquattro ore su ventiquattro. L’oggetto non era per niente male: legno di quercia, laccato nero. Nel mezzo avevo messo un piccolo centro tavola, fatto all’uncinetto bianco, con sopra un vaso – largo e lungo, da una forma piuttosto curiosa – all’interno del quale un mazzo di girasoli faceva da padrone.
― Per la miseria, Bella! ― tuonò Alice, scendendo le scale ― Tra poco iniziano le lezioni e tu sei ancora in… ma quella è una tuta?
― Ho distrutto il tavolo del salotto, questa notte. ― risposi, senza smettere di sistemare ― Esme mi ha raccomandato di pulire di tutto, altrimenti sarei stata nei guai.
― Uh, mi ricordo quando Rosalie aveva rotto l’insalatiera! ― la prese in giro, Emmett. Ottenne, così, una gomitata nello stomaco.
― Io avrò anche rotto l’insalatiera, ma tu, mio caro, hai sempre distrutto parecchia roba mentre giocavi o correvi per casa come un bambino. ― ribatté la bionda.
― Non ha tutti i torti. ― disse, calmo, Jasper.
― Ehi, tu da che parte stai? ― domandò Emmett, puntando un dito contro Jasper.
― Da nessuna, fratello. ― rispose quest’ultimo ― Ma siamo in minoranza numerica. Quattro donne contro tre uomini, di cui uno è quasi sempre fuori. È meglio non farle arrabbiare, possono diventare molto sgradevoli.
― Secondo te, io potrei diventare molto sgradevole? ― piagnucolò Alice, facendo gli occhi da cucciola.
― No, tesoro. ― rispose Jazz ― Tu assolutamente no, sei la vampira più gradevole del mondo.
― Lecchino. ― lo stuzzicò Emmett, facendo scoppiare tutti a ridere.
Da quando Edward, o Eric, era entrato – se pur indirettamente – nelle nostre vite, era tornata un po’ di serenità famigliare.
― Bella, tu cosa fai? ― mi domandò Rosalie, poco dopo.
― Voi andate. ― risposi ― Io mi faccio una doccia, per togliere di dosso tutta questa roba, e poi prendo l’auto e vi raggiungo a scuola.
― Hai novità da Lidia? ― chiese Alice, titubante.
― Sì. ― risposi. Avevo avuto modo e tempo di conoscere di più quella simpatica ragazza dai capelli scuri. E la mia prima impressione non era affatto sbagliata. Lidia aveva avuto un’infanzia particolare. Era cresciuta con la nonna, dopo che suo padre impazzì. Picchiò lei e sua madre, numerose volte. Quest’ultima, troppo cieca e innamorata per capire quale fosse la cosa più giusta da fare, dopo anni trovò il coraggio di denunciarlo. Prima di venire arrestato, l’uomo picchiò sua moglie provocandole diversi problemi di salute. La madre di Lidia passò molto tempo in ospedale, così crebbe con la nonna materna. Eric era stato da sempre al suo fianco. Quando i bambini – alle elementari – la prendevano in giro a causa dei suoi occhiali da sole in inverno, o delle maniche lunghe in estate – non sapendo che quelle stranezze servivano a nascondere le percosse di un padre violento – lui li metteva tutti a posto. Era il suo cavaliere dall’armatura nera – a causa del suo abbigliamento sempre piuttosto scuro. Questo mi aveva detto lei. Non c’era, né mai c’era stata, nessuna implicazione sentimentale tra i due. Se Eric era realmente Edward, questo mi tranquillizzava non poco. Ma la vita di Eric Hunter non era tutta rose e fiori, anzi. Era il classico tipo che faceva a pugni, anche solo perché qualcuno gli sbarrava la strada. Non se la prendeva, però, con quelli più piccoli o più indifesi di lui. Non sarebbe giusto, non lotterei nemmeno ad armi pari. Era quello che le ripeteva sempre lui.
― È stato dentro. ― dissi tutto d’un fiato.
― Che cosa?! ― strillarono all’unisono i miei fratelli, fracassandomi i timpani.
― Come dentro? ― la voce di Emmett continuò le sue domande ― In galera? Cioè è stato in prigione? Perché?
― Rissa in un locale. ― risposi, voltandomi per fissarlo negli occhi ambra ― Un rave party, qualche mese fa. Lo aveva organizzato lui, in un edificio abbandonato in un quartiere di Londra. Il baccano era troppo assordante, così qualcuno ha chiamato la polizia. Quando le volanti sono arrivate, chiedendo chi lo avesse organizzato, hanno subito indicato Eric. Peccato che stesse facendo a botte, con una bottiglia di alcool in mano.
― Per la miseria! ― sbottò, sconcertato Jasper.
― Puoi dirlo forte, fratello. ― disse Emmett, con gli occhi sgranati.
― Non può essere Edward. ― sussurrò Rosalie, sgretolando ogni mia piccola illusione ― Andiamo, conosciamo tutti Edward! Credete veramente che, umano o meno, reincarnato o meno, rinato o no, sarebbe capace di una bravata simile?
― Noi non lo conoscevamo da umano, Rosalie. ― le fece notare Alice.
― Certo, è vero. Non lo conoscevamo, ma Carlisle ci ha parlato spesso della vita di Edward da umano e non era di certo così.
― Carlisle, ci ha parlato anche della sua vita poco dopo la trasformazione, Rosalie. ― disse Emmett ― Edward, non ha sempre avuto un passato roseo e tranquillo.
― Inoltre, quando era umano, erano altri tempi. ― puntualizzò, ancora una volta, il folletto ― Erano i primi del Novecento, Rosalie, ora siamo nell’era della tecnologia, dell’evoluzione dei computer. È ovvio che rinascendo in questo luogo, in questo tempo, sia diverso.
― Forse. O forse ci stiamo solo sbagliando.
― Ragazzi, muoviamoci o faremo tardi. ― si intromise Jasper, accarezzando il braccio di sua moglie. Alice voltò lo sguardo verso di me, annuii sorridendole.
― Andate. ― dissi ― Io arriverò un po’ più tardi, il tempo di prepararmi.
Mi salutarono tutti e andarono via. Sfrecciai – a velocità vampiresca – al piano di sopra, mi tuffai sotto la doccia gelida e mi vestii. Nulla di troppo sfacciato: jeans skinny a vita bassi, grigi, camicetta nera a maniche lunghe e il mio giubbetto di pelle, dello stesso colore della camicia. Misi le scarpe, non troppo alte, presi la borsa e afferrai le chiavi della mia macchina.
Ognuno di noi aveva un’auto propria, non si poteva mai sapere. Poteva servire averla. Io avevo conservato la Aston Martin di Edward, anche se non la guidavo mai – nessuno la guidava mai.
La mia era un piccolo gioiellino nero lucido, una Mercedes Guardian. Gli interni erano grigio perla, in pelle. Cinque posti, quattro porte. Vetri totalmente oscurati – come tutte le altre, del resto – doppio cambio differenziale a sette marce. Me l’aveva regalata Carlisle, un mese prima del nostro trasferimento a Londra.
Aprii con il telecomando la portiera ed entrai nel caldo e accogliente abitacolo. Accesi il motore – sentendolo ruggire – e accesi lo stereo. Ad attendermi, come ogni mattina, c’era Debussy, con Claire de Lune. I tempi cambiavano, ma non le nostre abitudini o le nostre passioni. Quella melodia, seguita dalla ninna nanna che Edward aveva composto per me, era la mia preferita. Era un filo, un legame, che mi collegava a lui. Mi resi conto che quando Eric aveva fatto la sua entrata in scena, senza nemmeno saperlo, la mia prospettiva di vendetta era passata in secondo piano. E come poteva essere altrimenti? Prima di tutto ero una donna, non una vendicatrice. Se Eric fosse risultato essere Edward ne sarei stata felice, piuttosto confusa, ma felice. E i Volturi… loro avrebbero comunque pagato. Cento anni di dolore, di angoscia, di vuoto, non si dimenticano così da un giorno all’altro. Aro, insieme a tutta la sua reale famiglia, avrebbe conosciuto la morte. Per mano mia.
Senza che me ne rendessi conto, ero giunta a scuola. Notai che il parcheggio accanto alla macchina di Emmett era vuoto, così posteggiai lì. Raccolsi in fretta tutta la mia roba e corsi, con un’andatura umana, fino all’entrata. Mi scontrai con qualcuno, però.
― Scusami, non ti ho vista entrare. ― restai immobile, a fissare due gemme verdi ― Ti sei fatta male? ― scossi la testa, facendo di no ― Meglio così. ― disse, scrollando le spalle. Mi superò, dirigendosi verso il parcheggio.
― Non vieni a lezione? ― domandai, notando il suo abbigliamento. Eric, indossava un paio di jeans stretti neri, una maglietta a maniche lunghe verde scuro e un chiodo nero. Ai piedi degli anfibi nel medesimo colore della giacca. Avevo notato che aveva il piercing sulla lingua, e uno sul sopracciglio destro – fortunatamente era un pallino molto piccolo, quasi non si notava. Gli donava, però.
― Non è evidente la risposta? ― rispose, voltandosi leggermente.
― Te ne stai andando?
― Tu cosa dici?
― Perché? ― tentai un approccio. Esme aveva detto di seguire il cuore, bene. Esso mi stava dicendo di provare a capire chi fosse davvero Eric Hunter.
― Non credo siano affari tuoi. ― rispose ― Tu sei Isabella Cullen, giusto?
― Bella basta.
― Bene, Bella… ― disse il mio nome in un tono strano, quasi con aria di scherno ― Tu sei molto amica di Lidia, dico bene? ― annuii, non capendo dove volesse arrivare ― Gli amici di Lidia sono anche miei amici, ma ciò non vuol dire che solo perché lei ti trova simpatica o si confida con te io, Eric Hunter, debba fare lo stesso.
Restai di sasso. Come riusciva a rispondermi in quel modo? Perché non restava folgorato dalla mia presenza? Cavolo, non ero mai stata così vanitosa. Ma tutti quelli che ci incontravano rimanevano ammaliati dalla nostra bellezza disumana. Tutti, tranne lui.
― Se ti stai chiedendo perché non mi inchino alla tua straordinaria bellezza, la risposta è molto semplice: non mi fermo a quello. ― disse, facendo un saluto col capo. Salì su una moto nera e sfrecciò via.
Restai lì, imbambolata come una povera deficiente, mentre una sensazione si faceva largo nel mio cuore e nella mia testa: Eric Hunter era Edward Cullen. O almeno, un tempo lo era stato. Era diverso, adesso. Ma questo non mi spaventava.

Il suono della campanella mi fece trasalire, così cominciai a correre per raggiungere l’aula di Biologia. Avevo ancora una possibilità per essere felice. Entrambi, forse, avevamo ancora una possibilità.

Ecco qui il capitolo, un pò in ritardo d'orario ma puntuale di giornata. Cosa ne pensate? Bella e Eric hanno parlato, anche se in un piccolo pezzetto, Eric Hunter, ha fatto finalmente il suo ingresso. Isabella si è convinta che Eric sia Edward, ma sarà vero? E se così fosse, com'è possibile? I vampiri non hanno anima, ha sempre detto Edward, perciò quando muoiono non tornano in vita. Ma sarà davvero così? Per scoprirlo dovete solo continuarmi a seguirmi... Al prossimo Venerdì! ;)

  
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