Se per caso ci sono errori nel testo, perdonatemi! Lo avevo riletto qualche giorno fa, ma solitamente lo rileggo prima di postare, ma sono di fretta oggi. Poi più avanti lo correggo, ma se trovate qualche errore di battitura avvisatemi, ok? Grazie, vi adoro! <3
Ora bando alle ciance! Vi lascio al capitolo, buona lettura!
Terzo Capitolo
« Allora,
dimmi quando il mio silenzio è finito.
Tu sei la ragione per cui resto vicino.
Dimmi quando mi senti cadere.
C’è una possibilità che non avrei
mostrato. »
Possibility
– traduzione di Lykke Li.
Non
potevo crederci. Non riuscivo a
crederci. Erano settimane che, senza farci beccare, osservavamo da
lontano il
ragazzo dai capelli bronzei, dagli occhi verdi come smeraldi, dai modi
piuttosto da bulletto… insomma, Eric Hunter.
Facevo
ben attenzione a non incrociarlo per i corridoio o rimanere da sola con
lui. In
primis, la somiglianza con Edward era inquietante. In secundis, non
riuscivo a
credere che potesse essere realmente
Edward. Il mio Edward. Che diavolo!
Si era sempre opposto alla mia trasformazione perché, a
detta sua, i vampiri
non avevano anima. E adesso? Io lo
avevo visto morire a Volterra, per
mano di Felix. Io, dopo essermi ripresa dallo shock, avevo visto il suo
corpo
venire dato alle fiamme – da Jane e suo fratello, Alec. Era
impossibile che
quel ragazzo – così dannatamente somigliante al mio ragazzo – fosse la quella
stessa persona.
Eppure
c’era qualcosa che mi diceva tutto il contrario. Qualcosa che
mi spingeva,
veramente, a credere che Eric, in realtà, fosse proprio
Edward. Perfino Rosalie
sosteneva questa assurda, e al quanto fantascientifica, teoria.
―
Ha il suo odore. ― aveva detto la vampira bionda, subito dopo il
rientro a
casa. Dopo averlo visto in quel dannato parcheggio, la prima volta.
―
Rosalie ha ragione. ― si era intromesso Jasper ― L’odore
è diverso, perché è
umano, ma la fragranza è quella di Edward.
Mi
sentivo inutile e, per la prima volta dopo più di cento
anni, impotente.
Non
ero una vampira quando stavo con Edward, perciò non
conoscevo il suo odore. O
meglio, sì lo conoscevo, ma non appieno. Era solo il debole
ricordo di una
stupida ragazzina umana. Mio Dio, che nervoso!
Senza
rendermene conto, sbattei a terra il tavolo del salotto. Rompendolo.
―
Bella! ― urlò Esme, con tono di rimprovero. Se avessi
potuto, sarei arrossita.
―
Scusa Esme. ― risposi, mordicchiandomi il labbro inferiore. Quella era
l’unica
abitudine umana che non avevo perso, o dimenticato.
I miei ricordi, i miei vecchi
ricordi, svanivano ogni decennio che passava. Rammentavo ancora mio
padre o mia
madre – quelli veri – ma molte cose si dissolvevano
col tempo. Il calore dei
loro abbracci, il loro odore, il colore dei loro occhi, oppure
– la cosa che
più rattristava – i momenti passati insieme. La
mia mente aveva fatto uno
sforzo tremendo per tenere vivido il ricordo di Edward. Tutto il resto,
purtroppo, era andato in secondo piano. Avevo fatto una scelta, ora
dovevo
pagarne le conseguenze.
―
Bambina mia, so che per te deve essere dura tutta questa situazione. ―
disse,
cingendomi le spalle e facendomi accomodare con lei sul divano ― Ma
devi
cercare di essere lucida, la rabbia non serve a nulla. Andremo a fondo
di
questa faccenda, te lo prometto. Ma devi cercare di controllare i tuoi
istinti,
Bella.
―
Lo so. ― risposi, tremante. Quanta voglia che avevo di
piangere… ― È solo che è
difficile. ― ammisi, per la prima volta anche a me stessa ― Credevo di
averlo
perso, Esme. Ho passato cento anni a ricostruire una vita, senza di
lui. A
pensare a… a quello che avrei dovuto fare, ora che lui non
c’era più. E poi?
Dopo tanta fatica, dopo tanto tempo speso a trovare una motivazione per
vivere,
se è così che si può chiamare questa
esistenza, compare questo ragazzino!
―
Tu non credi che possa essere mio figlio, vero?
―
Io non so cosa pensare. ― dissi ― Ha tutto di Edward. I lineamenti
– meno
marcati di quelli di un tempo, però – la sua voce,
gli occhi… quelli sono suoi,
anche se di un colore diverso rispetto a quelli che ricordavo.
―
Quando era umano, Edward aveva gli occhi di un verde intenso.
―
Eric ha gli occhi di un verde molto
intenso. ― ammisi, abbassando lo sguardo.
―
Ascoltami bene, piccina. ― disse Esme, prendendo le mie mani tra le sue
― Io
credo nei miracoli. Lo so, forse è sciocco per una vampira
dire una cosa del
genere, ma ci credo. Nonostante tutte le cose orribili che questo mondo
ci
mostra, ve ne sono molte altre che hanno del miracoloso. La magia
esiste
ovunque, Bella. In un sorriso, nel sole che splende ogni mattina, nella
luna
che sorge ogni sera… Tutto è magico. Tutto
è possibile. Siamo noi a
credere che le cose siano impossibili,
capisci? Ascolta il tuo cuore, Isabella. Lui ti dirà
ciò che vuoi sapere. ―
l’abbracciai di slancio, stringendola forte a me.
―
Grazie, mamma. ― sussurrai quella
parole come se fosse stato un bene prezioso. Erano rare le occasioni in
cui
chiamavo Esme in quel modo, ma quando lo facevo sapevo di donarle una
gioia
immensa.
―
Non devi ringraziarmi, figlia mia. ― rispose, alzandosi dal divano
mentre mi
accarezzava una guancia ― Ora però metti tutto in ordine,
intesi? Io vado a
caccia. Quando torno voglio trovato il soggiorno pulito e un nuovo
tavolo
montato, con sopra lo stesso vaso di fiori che era su quello vecchio. ―
sorrise
beffarda e uscì con Carlisle. Fantastico,
pensai, dove diavolo lo trovo un tavolo
identico
a quello che ho appena distrutto alle quattro di mattina?
Sbuffai, ma in
fin dei conti Esme merita il suo tavolo.
―
Per la miseria, Bella! ― tuonò Alice, scendendo le scale ―
Tra poco iniziano le
lezioni e tu sei ancora in… ma quella è una tuta?
―
Ho distrutto il tavolo del salotto, questa notte. ― risposi, senza
smettere di
sistemare ― Esme mi ha raccomandato di pulire di tutto, altrimenti
sarei stata
nei guai.
―
Uh, mi ricordo quando Rosalie aveva rotto l’insalatiera! ― la
prese in giro,
Emmett. Ottenne, così, una gomitata nello stomaco.
―
Io avrò anche rotto l’insalatiera, ma tu, mio
caro, hai sempre distrutto
parecchia roba mentre giocavi o correvi per casa come un bambino. ―
ribatté la
bionda.
―
Non ha tutti i torti. ― disse, calmo, Jasper.
―
Ehi, tu da che parte stai? ― domandò Emmett, puntando un
dito contro Jasper.
―
Da nessuna, fratello. ― rispose quest’ultimo ― Ma siamo in
minoranza numerica.
Quattro donne contro tre uomini, di cui uno è quasi sempre
fuori. È meglio non
farle arrabbiare, possono diventare molto sgradevoli.
―
Secondo te, io potrei diventare molto sgradevole? ―
piagnucolò Alice, facendo
gli occhi da cucciola.
―
No, tesoro. ― rispose Jazz ― Tu assolutamente no, sei la vampira
più gradevole
del mondo.
―
Lecchino. ― lo stuzzicò Emmett, facendo scoppiare tutti a
ridere.
Da
quando Edward, o Eric, era entrato – se pur indirettamente
– nelle nostre vite,
era tornata un po’ di serenità famigliare.
―
Bella, tu cosa fai? ― mi domandò Rosalie, poco dopo.
―
Voi andate. ― risposi ― Io mi faccio una doccia, per togliere di dosso
tutta
questa roba, e poi prendo l’auto e vi raggiungo a scuola.
―
Hai novità da Lidia? ― chiese Alice, titubante.
―
Sì. ― risposi. Avevo avuto modo e tempo di conoscere di
più quella simpatica
ragazza dai capelli scuri. E la mia prima impressione non era affatto
sbagliata. Lidia aveva avuto un’infanzia particolare. Era
cresciuta con la
nonna, dopo che suo padre impazzì. Picchiò lei e
sua madre, numerose volte.
Quest’ultima, troppo cieca e innamorata per capire quale
fosse la cosa più
giusta da fare, dopo anni trovò il coraggio di denunciarlo.
Prima di venire
arrestato, l’uomo picchiò sua moglie provocandole
diversi problemi di salute.
La madre di Lidia passò molto tempo in ospedale,
così crebbe con la nonna
materna. Eric era stato da sempre al suo fianco. Quando i bambini
– alle
elementari – la prendevano in giro a causa dei suoi occhiali
da sole in
inverno, o delle maniche lunghe in estate – non sapendo che
quelle stranezze
servivano a nascondere le percosse di un padre violento – lui
li metteva tutti
a posto. Era il suo
cavaliere dall’armatura nera
– a causa del suo abbigliamento sempre piuttosto scuro.
Questo mi aveva detto
lei. Non c’era, né mai c’era stata,
nessuna implicazione sentimentale tra i
due. Se Eric era realmente Edward, questo mi tranquillizzava non poco.
Ma la
vita di Eric Hunter non era tutta rose e fiori, anzi. Era il classico
tipo che
faceva a pugni, anche solo perché qualcuno gli sbarrava la
strada. Non se la
prendeva, però, con quelli più piccoli o
più indifesi di lui. Non sarebbe
giusto, non lotterei nemmeno ad
armi pari. Era quello che le ripeteva sempre lui.
―
È stato dentro. ― dissi tutto d’un fiato.
―
Che cosa?! ― strillarono all’unisono i miei fratelli,
fracassandomi i timpani.
―
Come dentro? ― la voce di Emmett
continuò le sue domande ― In galera? Cioè
è stato in prigione? Perché?
―
Rissa in un locale. ― risposi, voltandomi per fissarlo negli occhi
ambra ― Un
rave party, qualche mese fa. Lo aveva organizzato lui, in un edificio
abbandonato in un quartiere di Londra. Il baccano era troppo
assordante, così
qualcuno ha chiamato la polizia. Quando le volanti sono arrivate,
chiedendo chi
lo avesse organizzato, hanno subito indicato Eric. Peccato che stesse
facendo a
botte, con una bottiglia di alcool in mano.
―
Per la miseria! ― sbottò, sconcertato Jasper.
―
Puoi dirlo forte, fratello. ― disse Emmett, con gli occhi sgranati.
―
Non può essere Edward. ― sussurrò Rosalie,
sgretolando ogni mia piccola
illusione ― Andiamo, conosciamo tutti Edward! Credete veramente che,
umano o
meno, reincarnato o meno, rinato o no, sarebbe capace di una bravata
simile?
―
Noi non lo conoscevamo da umano, Rosalie. ― le fece notare Alice.
―
Certo, è vero. Non lo conoscevamo, ma Carlisle ci ha parlato
spesso della vita
di Edward da umano e non era di
certo
così.
―
Carlisle, ci ha parlato anche della sua vita poco dopo la
trasformazione, Rosalie.
― disse Emmett ― Edward, non ha sempre avuto un passato roseo e
tranquillo.
―
Inoltre, quando era umano, erano altri tempi. ― puntualizzò,
ancora una volta,
il folletto ― Erano i primi del Novecento, Rosalie, ora siamo
nell’era della
tecnologia, dell’evoluzione dei computer. È ovvio
che rinascendo in questo
luogo, in questo tempo, sia diverso.
―
Forse. O forse ci stiamo solo sbagliando.
―
Ragazzi, muoviamoci o faremo tardi. ― si intromise Jasper, accarezzando
il
braccio di sua moglie. Alice voltò lo sguardo verso di me,
annuii sorridendole.
―
Andate. ― dissi ― Io arriverò un po’
più tardi, il tempo di prepararmi.
Mi
salutarono tutti e andarono via. Sfrecciai – a
velocità vampiresca – al piano
di sopra, mi tuffai sotto la doccia gelida e mi vestii. Nulla di troppo
sfacciato: jeans skinny a vita bassi, grigi, camicetta nera a maniche
lunghe e
il mio giubbetto di pelle, dello stesso colore della camicia. Misi le
scarpe,
non troppo alte, presi la borsa e afferrai le chiavi della mia macchina.
Ognuno
di noi aveva un’auto propria, non si poteva mai sapere.
Poteva servire averla.
Io avevo conservato
La
mia era un piccolo gioiellino nero lucido, una Mercedes Guardian. Gli
interni
erano grigio perla, in pelle. Cinque posti, quattro porte. Vetri
totalmente
oscurati – come tutte le altre, del resto – doppio
cambio differenziale a sette
marce. Me l’aveva regalata Carlisle, un mese prima del nostro
trasferimento a
Londra.
Aprii
con il telecomando la portiera ed entrai nel caldo e accogliente
abitacolo.
Accesi il motore – sentendolo ruggire – e accesi lo
stereo. Ad attendermi, come
ogni mattina, c’era Debussy, con Claire
de Lune. I tempi cambiavano, ma non le nostre abitudini o le
nostre
passioni. Quella melodia, seguita dalla ninna nanna che Edward aveva
composto
per me, era la mia preferita. Era un filo, un legame, che mi collegava
a lui. Mi
resi conto che quando Eric aveva fatto la sua entrata in scena, senza
nemmeno
saperlo, la mia prospettiva di vendetta era passata in secondo piano. E
come
poteva essere altrimenti? Prima di tutto ero una donna, non una
vendicatrice.
Se Eric fosse risultato essere Edward ne sarei stata felice, piuttosto
confusa,
ma felice. E i Volturi… loro avrebbero comunque pagato.
Cento anni di dolore,
di angoscia, di vuoto, non si dimenticano così da un giorno
all’altro. Aro,
insieme a tutta la sua reale famiglia, avrebbe conosciuto la morte. Per
mano mia.
Senza
che me ne rendessi conto, ero giunta a scuola. Notai che il parcheggio
accanto
alla macchina di Emmett era vuoto, così posteggiai
lì. Raccolsi in fretta tutta
la mia roba e corsi, con un’andatura umana, fino
all’entrata. Mi scontrai con
qualcuno, però.
―
Scusami, non ti ho vista entrare. ― restai immobile, a fissare due
gemme verdi
― Ti sei fatta male? ― scossi la testa, facendo di no ― Meglio
così. ― disse,
scrollando le spalle. Mi superò, dirigendosi verso il
parcheggio.
―
Non vieni a lezione? ― domandai, notando il suo abbigliamento. Eric,
indossava
un paio di jeans stretti neri, una maglietta a maniche lunghe verde
scuro e un
chiodo nero. Ai piedi degli anfibi nel medesimo colore della giacca.
Avevo
notato che aveva il piercing sulla lingua, e uno sul sopracciglio
destro –
fortunatamente era un pallino molto piccolo, quasi non si notava. Gli
donava,
però.
―
Non è evidente la risposta? ― rispose, voltandosi
leggermente.
―
Te ne stai andando?
―
Tu cosa dici?
―
Perché? ― tentai un approccio. Esme aveva detto di seguire
il cuore, bene. Esso
mi stava dicendo di provare a capire chi fosse davvero Eric Hunter.
―
Non credo siano affari tuoi. ― rispose ― Tu sei Isabella Cullen, giusto?
―
Bella basta.
―
Bene, Bella… ― disse il
mio nome in
un tono strano, quasi con aria di scherno ― Tu sei molto amica di
Lidia, dico
bene? ― annuii, non capendo dove volesse arrivare ― Gli amici di Lidia
sono
anche miei amici, ma ciò non vuol dire che solo
perché lei ti trova simpatica o
si confida con te io, Eric Hunter, debba fare lo stesso.
Restai
di sasso. Come riusciva a rispondermi in quel modo? Perché
non restava
folgorato dalla mia presenza? Cavolo, non ero mai stata così
vanitosa. Ma tutti
quelli che ci incontravano rimanevano ammaliati dalla nostra bellezza disumana. Tutti, tranne lui.
―
Se ti stai chiedendo perché non mi inchino alla tua
straordinaria bellezza, la
risposta è molto semplice: non mi fermo a quello. ― disse,
facendo un saluto
col capo. Salì su una moto nera e sfrecciò via.
Restai
lì, imbambolata come una povera deficiente, mentre una
sensazione si faceva
largo nel mio cuore e nella mia testa: Eric Hunter era Edward Cullen. O
almeno,
un tempo lo era stato. Era diverso, adesso. Ma questo non mi
spaventava.
Il suono della campanella
mi fece trasalire, così cominciai a correre per raggiungere
l’aula di Biologia.
Avevo ancora una possibilità per essere felice. Entrambi, forse, avevamo ancora una possibilità.
Ecco qui il capitolo, un pò in ritardo d'orario ma puntuale di giornata. Cosa ne pensate? Bella e Eric hanno parlato, anche se in un piccolo pezzetto, Eric Hunter, ha fatto finalmente il suo ingresso. Isabella si è convinta che Eric sia Edward, ma sarà vero? E se così fosse, com'è possibile? I vampiri non hanno anima, ha sempre detto Edward, perciò quando muoiono non tornano in vita. Ma sarà davvero così? Per scoprirlo dovete solo continuarmi a seguirmi... Al prossimo Venerdì! ;)