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Autore: Sonecka    17/09/2011    4 recensioni
Tump Tump … Tump Tump … Tump Tump … Il battito del mio cuore si confondeva con il rumore sordo dei miei passi sulla superficie liscia su cui stavo camminando. Era tutto buio e non riuscivo a vedere niente tranne il mio riflesso messo in evidenza da una luce fioca proveniente chissà da dove. Mi guardavo attorno sperando di riuscire a trovare una via d’uscita da quel posto, ma ben presto il buio divenne sempre più fitto finchè non vidi più nemmeno il mio riflesso.
Genere: Guerra, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Hinata/Sasuke
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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Capitolo  8^  Ribellione. Forse non è tutto come pensi.

 

Ero circondato da piume bianche che assomigliavano a tanti piccoli fiocchi di neve ogni volta che le sollevavo, spostandomi per la stanza. Camminavo a tentoni tra l’accozzaglia gettata a terra e ispezionavo  con attenzione ogni angolo della stanza, frugai e rovistai ovunque; non mancava niente, anzi c’era qualcosa in più: la spilla di Karin. Mi buttai sul letto con un tonfo leggero alzando una nebbiolina di piume e appoggiai la schiena al muro. Con la testa incassata nelle spalle guardai la spilla che tenevo tra le dita  e feci vagare la mente a tutte le volte che l’avevo incontrata. La prima volta in infermeria, la seconda nell’ufficio del comandante, poi mentre controllavo il mio caccia, durante un attacco alla città vicina, in mensa e infine nel pub,  pochi minuti prima.

Perché mi stava così attaccata? E perché aveva buttato all’aria il mio alloggio?

Sentii dei passi sordi e irregolari nel corridoio, insieme a varie imprecazioni. Mi affacciai ritrovandomi Naruto a una spanna dal naso, mentre alitava con il suo fiato che puzzava d’alcool. Aveva le guance infiammate di rosso e i capelli bagnati che gocciolavano per  terra. Mi spostai per farlo entrare mentre lui osservava la mia stanza.

“Sasuke … cosa … cos’è successo qui? Perché è tutto a soqquadro? Cosa avevi … detto al telefono?” 

Barcollò appoggiandosi allo stipite della porta e sorreggendosi  al muro arrivò al letto.

“Ti ho chiamato per dirti che qualcuno  è entrato nella mia camera e ha lasciato un suo effetto personale. Diavolo quanto sei ubriaco!”

Gli lanciai in mano la spilla e lui la prese mollemente lasciandosi cadere sui resti del cuscino stracciato. “Beh sai non era nei miei programmi di stasera indagare su un ladro o scassinatore o … non so cosa. Mi sono anche versato un’intera bottiglia d’acqua in testa ma non  funziona con i super alcolici … Comunque di chi sarebbe questo fermaglio?” Biascicò.

Sbuffai. “Non hai nemmeno un briciolo d’osservazione? E’ la spilla di Karin, ce l’aveva stasera al pub, ma continuava a scenderle e probabilmente l’ha persa senza accorgersene.” Mi sedetti di fianco al biondo.

“Quindi è stata lei a fare tutto questo …? E perché?”

 “Penso di sì. Ma sarà così?”

“Ha-hai … le pro … ve, no?” Naruto sbadigliò in preda al sonno.

“Non è detto.  Che sia lei, allora, l’infiltrato?” Aggrottai la fronte. “Modo azzardato di muoversi, non trovi, Naruto?”

“Già … fin troppo. Uno bravo si sarebbe mosso senza lasciare tracce trovando quello che voleva.” La voce di Naruto si faceva sempre più strascicata.

“Sì, ma siccome Kabuto ha svelato la sua presenza, non avrebbe più alcun motivo di nascondersi.  Sembra quasi che abbia lasciato il fermaglio apposta … come se mi stesse lanciando una sfida.”

Ghignai. Davvero pensava che mi sarebbe potuta sfuggire una volta che l’avrei smascherata?

“In ogni caso, terrò d’occhio le conversazioni al telefono, i messaggi via radio e computer che avvengono nella base … terrò d’occhio anche le mosse dei nostri maggiori, non si sa mai … prima o poi la beccheremo.”  Il biondo chiuse gli occhi.

“D’accordo. Sta attento a non farti scoprire dagli alti ufficiali, o saranno guai seri.”

“Certo che no Sas’ke. Con chi credi di avere a che fare?”

 

***

 

Il ticchettio dell’orologio risuonava nell’ufficio. Il sole stava ormai sorgendo all’orizzonte e i suoi raggi filtravano attraverso le persiane abbassate; l’unica fonte di luce oltre il sole era una lampada verde vecchio stile, che illuminava i fogli del rapporto che avevo scritto. Gli occhi del Colonnello saettavano da una riga all’altra e di tanto in tanto si soffermavano su alcune parole, alla fine l’ufficiale si alzò dalla sua poltrona e prese a sfogliare più velocemente il blocco di fogli, d’accapo.

“Quindi non le hanno rubato niente?”

“No, signore.”

“E lei sospetta che sia stato un infiltrato del nemico a fare questo?” Chiese inchiodandomi con i suoi occhi scuri,  resi intimidatori dalla luce verdastra della lampada.

“Temo di sì, Kakashi.  È  stato lo stesso Kabuto  a dirmi che c’era una spia.” Non sopportavo quando assumeva quell’aria minacciosa senza motivo apparente.

“E perché e cosa avrebbe dovuto cercare nel tuo alloggio? Sarebbe stato più logico rovistare nell’ufficio di un comandante per avere informazioni sulle prossime mosse delle truppe, non credi?” Disse pedante,  andando ad aprire la finestra per fare entrare l’aria del mattino.

“Penso di sì. Ma, come ben sai, Kabuto ha avuto stretti rapporti con la mia famiglia.” Dissi tra i denti, disgustato dalla mia stessa affermazione ma mantenendo sempre un tono impassibile. 

“E’ vero, tuttavia ci deve essere un motivo ben preciso per curiosare tra le tue cose.” Si grattò la testa arruffando i capelli argentei,  già disordinati per il sonno da cui era stato svegliato poco prima. Sbadigliò perdendo tutta la sua aria autoritaria e mi si avvicinò.

“Non so cosa dirti, Colonnello.”

“Davvero?” mi guardò fisso negli occhi, inchiodandomi sul posto. “Davvero non ti viene in mente neanche un motivo per cui ti dovrebbe tener d’occhio? Un ricordo, forse, di quando stava ancora con tua madre?”

Il suo tono mi fece rabbrividire, dovetti schiarire la voce per parlare. “No.  Perché dovrebbe? Se fosse così  te lo avrei detto cinque anni fa, quando mi hai proposto di arruolarmi da bravo amico di mia madre.”

Sorrise. “Già, ma io non volevo farti seguire la via della vendetta, ma solo darti la possibilità di sfogarti in un qualche modo. E poi avevi dimostrato di avere un’affinità innata con gli aerei da guerra.”

sogghignai, ricordavo ancora la prima volta che ne avevo visto uno, in una gita alla base appena fuori  Tokio con lui e quel verme di Kabuto. Mi avevano buttato in una cabina di pilotaggio e io ne avevo inspiegabilmente capito quasi tutti i meccanismi dopo poche spiegazioni. Scrollai la testa.

“Non importa. Comunque  terrò gli occhi aperti insieme a Naruto Uzumaki.”

“Ha forse già un’idea di chi possa essere questo informatore?”

“No, signore.”  Io e Naruto avevamo già deciso di tenerci per noi i dettagli e i sospetti per non dare nell’occhio.

“Capisco.”

Battei i tacchi e feci per andarmene.

“Sasuke ....” Mi fermò. “ … Non dire a nessun’altro dell’infiltrato: non vorrei che scoppiasse una caccia aperta e che lui sparisse dalla circolazione, dobbiamo prenderlo e tenere la massima riservatezza.”

Annuii. “Ho capito.”

 

 

 

 

La testa mi girava. Arrancai su per le scale fino alla porta dell’appartamento, infilai la chiave nella toppa  ed  entrai barcollando, ancora shockata da quello che avevo visto e sentito nel pomeriggio.

“Ciao Hinata. Dove sei stata oggi? Aspetta,  dove corri?!”

A capo chino mi scaraventai in camera non badando a mia madre, che tentò di fermarmi prendendomi per il braccio,  e  chiusi a chiave la porta alle mie spalle. Sentivo un tremolio scorrere lungo tutto il mio corpo, cercai di calmarmi cominciando a fare respiri profondi e mi lasciai scivolare per terra. Dietro di me la porta era scossa dai colpi di mia madre.

“Hinata, aprimi! Ma che ti è preso?”

Scossi forte la testa per togliermi di dosso la sua voce. La mia mente era dominata da un unico pensiero: dovevo avvertire immediatamente i capi dei Sudisti, in un qualche modo avrebbero   no, non mi avrebbero mai ascoltata dal momento che ero la figlia di un magnate del Nord.

Gemetti disperata, rassegnata al non essere mai ascoltata per il resto della vita. Perché tutti dovevano essere così ciechi e radicati nelle loro idee? Però … Sasuke mi avrebbe di certo ascoltata! Sì lui era l’unico che si preoccupava per  me, quindi mi avrebbe creduto.

Mi rialzai a stento e  feci correre lo sguardo per tutta la stanza in cerca del telefono e del foglietto dei numeri che Sakura mi aveva dato all’aeroporto. Li trovai entrambi sul comodino e gli afferrai leggendo velocemente il pezzo di carta, mentre digitavo il numero della caserma sul cellulare.

Mia madre continuava a chiamarmi per nome e ad invitarmi ad aprirle, la sua voce era spaventata, sembrava che mi stesse supplicando.

Strinsi le labbra e premetti il tasto di chiamata col cuore che aveva cominciato a battere forte, non per il contesto in cui mi trovavo, ma per l’eccitazione di sentire Sasuke.

Aspettai pochi attimi e il centralino rispose, chiesi di poter parlare col sergente Uchiha e venni accontentata: dopo poco sentii la sua voce atona e profonda.

“Pronto?”

Mi mancò quasi il respiro. “Sa-sasuke … ciao! Sono io, Hinata. Scusa se ti chiamo a quest’ora, lì a Tokyo sarà l’alba e tu ti sarai appena svegliato e …”

* Non perderti in chiacchiere, hai poco tempo! *

“ … e … e ti devo dire una cosa importantissima.”

“Hinata! Stai bene? Perché sei  agitata? E’ successo qualcosa? Dimmi tutto.”

Sobbalzai, impreparata al suo forte interesse. Lui sapeva sempre come mi sentivo ascoltando solo la mia voce: per lui ero come un libro aperto e questo mi faceva sentire più sicura, ma anche più vulnerabile. Sentii dei colpi più decisi sulla porta e l’agitazione cominciò ad assalirmi.

“Beh ecco … ho sentito una conversazione tra mio padre e un certo …”

“HINATA!! SORELLOOOONA! Apri, dai, che è arrivato anche papà!”

Trasalii spaventata. Dovevo dire tutto al più presto.

“ E un certo Ka …”

La porta si aprì cigolando dietro di me. Rimasi pietrificata appena sentii una mano dalla stretta ferrea stringermi la spalla.

“Hinata, cosa c‘è? Perché ti sei chiusa dentro?”

La voce fredda di mio padre echeggiò nella mia testa. Boccheggiai.

“Hinata che succede? Chi c’è lì con te? Rispondimi accidenti!” Sasuke era allarmato.

Se gli avessi risposto mi sarei tradita da sola e avrei rivelato a Hiashi che sapevo tutto, se non l’avessi fatto, invece, mi sarei salvata, almeno per poco e avrei potuto dirgli tutto in un altro momento; perciò riattaccai il telefono con mani tremanti e con la massima riluttanza. Poi,  guardai mio padre e gli rivolsi un sorriso rassegnato, maledicendomi per non aver lasciato la chiave nella serratura, per non essermi ricordata che lui possedeva una copia di tutte le chiavi dell’appartamento.

“Sakura mi aveva contattata per una cosa importante. Non volevo essere disturbata, tutto qua.” Dissi con voce scossa.

“Certo, capisco.”

Hiashi si scrollò di dosso Hanabi che gli abbracciava le gambe affettuosamente, con grande disappunto della bambina.

“Hanabi, vai in camera tua, dovrei parlare con tua sorella.” Con un cenno del capo mi invitò a seguirlo in salotto. Una volta che la piccola se ne fu andata e che fummo al centro della stanza, davanti a mia madre, cominciò  a parlare  guardandomi in cagnesco.

“Sakura sta bene? Dove si trova ora?”

Feci un respiro profondo e fissai gli occhi a terra. “S-sì … ha detto che st-sta par-partendo per il Nord …”

 “Oh davvero? Ho appena chiamato suo padre e ha detto che lavora nella Croce Rossa.”

Trasalii atterrita.

“Sai non mi ha convinto affatto la scusa che hai usato prima, devi diventare più brava a mentire.”

Sentivo gocce di sudore freddo imperlarmi  la fronte e una stretta allo stomaco che mi toglieva il respiro.

“Co-come? ma di che parli?” La testa mi girava e non riuscivo a guardare l’uomo negli occhi.

“Oh andiamo! Credi forse che non ti abbia vista al Rockefeller Center? Credi  forse che non ti abbia riconosciuta? Tu stavi telefonando a Sasuke per dirgli tutto!”

Strinsi i denti e mi guardai attorno in cerca di aiuto che naturalmente non sarebbe mai arrivato. Vidi mia madre guardarmi accusatoria. Anche lei sapeva. Ecco spiegata la conversazione al telefono tra lei e mio padre tre giorni prima e la sua  preoccupazione. Lei sapeva dell’accordo tra Hiashi e Kabuto e temeva che qualcuno lo scoprisse.

Mi strinsi le braccia al petto come se quel gesto mi potesse aiutare a uscire da quella situazione.

“Spero che tu non abbia fatto in tempo a dirgli nulla, perché dora in poi sarai nostra complice.” Sibilò gelido, per poi indicare un punto oscuro della stanza, vicino alla porta d’ingresso. “E in questa occasione, visto che ormai sei partecipe,  ti presento il tuo futuro compagno di vita e d’affari, anche se non credo che ci sia bisogno di presentazioni.”

Un riflesso argentato nel buoi, fu allora che vidi una persona che non avevo notato prima, fu allora che fissai per la prima volta negli occhi Kabuto Yakushi e fu allora che, dietro al velo del suo sguardo amichevole, vidi un uomo subdolo e perverso.

“No …!” Il mio fu un grido sommesso e pieno di sorpresa e spavento, indietreggiai  per allontanarmi da lui che intanto mi porgeva la mano.

“Piacere di conoscerti, piccola Hinata.” Il suo sguardo viscido mi percorse da capo a piedi e provai un senso di disgusto, gli occhi cominciarono a bruciarmi, vogliosi di dare sfogo alla mia disperazione.

“Dunque è deciso! Kabuto, ti do il benvenuto nella famiglia. In poco tempo voi due sarete marito e moglie e mi renderete l’uomo più potente del Giappone!” 

Hiashi sorrise soddisfatto che il suo affare fosse giunto quasi a compimento: finalmente quel fallimento di sua figlia avrebbe portato a qualcosa di buono, rendendolo molto più ricco, l’avrebbe reso padrone del Giappone intero e poi chissà forse di altri territori sparsi nel mondo. Finalmente quell’oggetto di poco valore sarebbe servito a qualcosa. L’oggetto insulso con un altro di grande valore. L’accoppiata perfetta.

Mi morsi il labbro fino a farlo sanguinare. Avrei vissuto la mia vita insieme a quell’individuo. Avrei condannato la mia vita a fare la bella mogliettina di un essere malvagio.

“No …”

Mio padre si voltò a guardarmi e anche mia madre lo fece. “Come?”

Strinsi i pugni. “No.” Scossi la testa. “No. No … NO, NO  E ANCORA NO!” Gridai  furiosa guardando con occhi ardenti Hiashi, che rimase spiazzato dalla mia reazione. “Non intendo sposare quest’uomo! Hai capito?”

Mi accorsi di aver perso la balbuzie che mi caratterizzava ogni volta che parlavo a mio padre. Sorrisi come mai avevo sorriso in vita mia: beffarda, arrogante, fiera.

“Non intendo fare mai più quello che vuoi tu. Sei solo un uomo egoista e senza cuore che se ne frega della famiglia! Ogni volta che ho cercato di essere come mi volevi, mi hai sempre rifiutato, perché non ero mai abbastanza intelligente, bella, educata.  Hai frapposto un muro impenetrabile tra me e te, per allontanare ancora di più quella figlia che non era il tanto desiderato figlio maschio, primogenito, che avrebbe potuto ereditare tutto senza problemi. La tua mentalità antica in cui la donna non può fare ed essere quello che vuole mi dà la nausea!  Sai che ti dico? Deciderò io chi sarò e cosa farò nella vita e,  quando sarà ora, insieme a chi starò per il resto della mia esistenza!”

Fu come togliersi un peso di dosso, in quel momento mi sentii leggera e più potente che mai.  Adocchiai la porta d’ingresso. Probabilmente Kabuto e Hiashi lo notarono perché mi si avvicinarono nel tentativo  di trattenermi, ma io diedi un forte spintone a mio padre, che indietreggiò abbastanza da farmi passare. L’adrenalina cominciò a scorrermi nelle vene e una certa eccitazione nello stomaco mi dava la carica nella corsa verso la porta. Ero quasi riuscita ad abbassarne la maniglia, quando sentii tirarmi indietro e il colletto della felpa stringermi il collo, strozzandomi: Kabuto era riuscito ad acchiapparmi per il cappuccio. Mi sfuggì un grido, ma vidi con speranza che la porta nonostante tutto si era aperta. Un colpo secco risuonò nella stanza e subito sentii un forte bruciore alla guancia sinistra: quel farabutto di Kabuto mi aveva schiaffeggiata senza ritegno. Mi voltai di scatto, aggrottai la fronte indignata e sibilai mentre con una mano gli graffiavo il volto, lasciando dei segni rossi di sangue sui suoi zigomi, poi gli tirai un pugno ben assestato sul polso della mano che teneva stretto il mio cappuccio. L’uomo lasciò la presa e urlò insultandomi. Sfuggii anche alle mani di mio padre e finalmente potei correre fuori dalla casa e poi giù per le scale.

* Ce l’ho fatta! *

Uscii  in strada con Hiashi alle calcagna corsi per mezzo isolato e non appena vidi un autobus fermarsi ad una fermata  mi ci fiondai dentro  e la corriera partì.  Lì per lì, Hiashi tentò d’inseguirmi a piedi, in seguito si mise a cercare un taxi.

* Non posso farmi seguire! *

Non appena Hiashi si fu girato per fermarne uno, aprii con la serratura d’emergenza le porte del bus, provocando il panico a bordo. Quindi saltai giù e mi nascosi dietro a un taxi parcheggiato lì di fronte. Che colpo di fortuna! Salii a bordo e mi acquattai sul sedile posteriore, spiando fuori dal finestrino.

“Hey! What are you doing?! You’re crazy to get into a car like that!” esclamò il tassista sbigottito.

Non appena il taxi di Hiashi sorpassò il mio, mi misi a sedere normalmente e con un sorriso sgargiante e la voce acuta per l’eccitazione risposi al tassista.

“Take me to the Grand Central Station, please. Fast, fast!”

 

 

 

 

Guardavo lo schermo nero del cellulare con la speranza che Hinata richiamasse al più presto. Se l’avessi chiamata probabilmente l’avrei messa nei guai, se aveva interrotto la chiamata della massima importanza,  voleva dire che si trovava in una situazione scabrosa. Forse era in pericolo. Strinsi i denti e sbattei un pugno sul tavolo della mensa in cui mi trovavo, rovesciando la tazza di caffè che mi avevano appena portato. Era talmente straziante non sapere cosa le stesse succedendo e non poter raggiungerla al più presto …

“Che succede, Sergente? Perché quella reazione alla chiamata di una ragazza?”

Karin. Come negli ultimi tempi era appostata dietro di me e naturalmente aveva ascoltato tutto.

“Non sono affari suoi se mi permette.” Dissi glaciale, ormai i dialoghi con lei diventavano sempre più irritanti e sforzati: sapevo che era lei la talpa e non volevo farmi sfuggire nulla d’importante, diversamente,  sarebbe stato un guaio.

“Calma, Sergente, non si usa questo tono con un superiore. E dunque dimmi, chi è questa ragazza?”

 “ È  un’amica. Dovrei andare ora, se non le dispiace.” Dissi sbrigativo nel tentativo di ricontattare Hinata al più presto. Uscii dalla mensa ma prevedibilmente Karin mi fermò appena fuori.

“No, secondo me non è una semplice amica a giudicare dal tuo comportamento. Secondo me è qualcosa di molto di più, sbaglio?”

Assottigliai gli occhi. Mi dovevo forse assorbire un discorso sulla mia situazione sentimentale dalla possibile infiltrata, quando potevo farle io un discorso e incastrarla con semplici prove?

“E con questo?”

Karin mi fulminò con lo sguardo, ancora la voglia di scappare. In quel momento venne in mio aiuto il cellulare, che vibrò nella mia tasca, lo presi frettoloso e senza nemmeno guardare il numero risposi, sperando che fosse Hinata.

“Hinata!”

“No Sas’ke, sono Naruto. Ci siamo: l’ho beccato! L’intruso sta parlando in questo momento al telefono col tuo amichetto di famiglia, ma non riesco a capire se si tratta di Karin perché il numero è nascosto e la voce è troppo alterata, ma l’ho  localizzato!”

Rimasi di sasso. “Come … hai localizzato la talpa? Dove si trova?” Quasi urlai e fissai la rossa davanti a me, che aveva sgranato gli occhi non appena aveva sentito la parola ‘talpa’.

“Nell’hangar n° 13. Se ti sbrighi potresti catturarlo e vedere se è davvero Karin.” La voce di Naruto era euforica.

Aggrottai le sopracciglia. “No. È impossibile che sia Karin perché ce l’ho davanti! Deve essere per forza un altro!”

La rossa alzò un sopracciglio e mi guardò dubbiosa, stava per chiedermi perché l’avessi tirata in ballo in un argomento così delicato, ma io cominciai a correre svelto in direzione degli hangar. Dall’altro capo del telefono, il mio migliore amico mi chiedeva come era possibile, come poteva essere che fossimo stati ingannati dal momento che le prove portavano tutte a quella strana ragazza, sbucata fuori dal nulla per tormentarmi. Forse aveva avuto ragione lui fin dal principio: lei era solo interessata a me, anche se con una certa ossessività. Oltrepassai file di soldati che si stavano addestrando al campo, sbattendoci contro, rischiai di essere investito da una gip. Presi diverse scorciatoie tra i vari edifici che componevano la Caserma fino ad arrivare finalmente agli hangar e mi fermai davanti al numero 13. Ripresi fiato, piegandomi sulle ginocchia. Goccioline di sudore mi bagnavano i capelli e percorrevano la mia fronte. Riportai il telefono all’orecchio.

“Naruto, sto per entrare. Tieniti pronto a chiamare rinforzi se senti che le cose si mettono male per me, capito? Terrò il cellulare nella tasca con la chiamata aperta.”

“Certo Sas’ke.  Sta attento mi raccomando.”

Annuii e misi in tasca il telefono, quindi presi la pistola in mano e mi accostai al portone scorrevole dell’aviorimessa, che era socchiuso. Vi guardai dentro e non vidi nessuno, l’ambiente era immerso nella semioscurità e potevo distinguere solo le ali degli aerei che splendevano alla poca luce che le raggiungeva. Entrai con cautela e con la pistola alzata, pronto a sparare a chiunque mi si fosse parato davanti.

 

 

 

 

Tump Tump … Tump Tump … Tump Tump …

Il battito del mio cuore e il rumore dei miei passi si perdevano  nel buio.

Tump Tump … Tump Tump … Tump Tump …

Ero finita ancora una volta in quella dimensione fatta di oscurità, dove camminavo su una superficie lucida e perfettamente liscia. Guardai il mio riflesso sul piano oscuro, il mio viso era pervaso da un’espressione accigliata. Sapevo quello che avrei rivisto nel mio sogno e l’idea non mi piaceva, avrei voluto  vedere qualsiasi altra cosa.

Chiusi  gli occhi per concentrarmi, infondo era il mio sogno, lo potevo comandare come volevo. Ma il buio si fece denso attorno a me e mi avvolse  in una stretta gelida che mi soffocò. Anche ‘sta volta sentii l’odore di cenere e terra bruciata, riaprii piano le palpebre per abituare la vista a tutto quel fumo che mi faceva tossire. Il grido del falco mi fece sussultare e fissai lo sguardo al cielo; eccolo, girava veloce sopra la mia testa ed era più agitato che mai. Intravidi un’ombra, tra il miasma grigio, attraversare il mare rosso del cielo e ingaggiare una lotta furiosa col mio falco.

 

 

Quella volta non vidi apparire davanti a me Sasuke, ma solo il falco e l’ombra che combattevano senza sosta sino a che non venni svegliata dalla frenata del taxi, che rimaneva bloccato nel traffico cittadino. In quel momento mi sentii oltre modo sconfortata, sia dal sogno che dai fatti avvenuti pochi minuti prima. Le uniche persone che mi volessero davvero bene erano lontane centinaia di chilometri e la mia famiglia, il mio peggior nemico, mi stava alle calcagna. In quel momento avrei voluto avere Sasuke vicino a me.

 

 

 

 

I miei passi rimbombavano nell’ampio capanno, perciò, con tutta probabilità chiunque io stessi cercando sapeva della mia presenza. Cercai di fare meno rumore e mi guardai attorno con cura finchè non vidi un lieve bagliore blu in fondo all’hangar.

 * È lui. *

Mi avvicinai a quella luce; incredulo la raggiunsi senza problema, ma con mio grande rammarico vidi che c’era solo un cellulare abbandonato a terra e nessun’altro.

“Maledizione!” Borbottai, non potei dare sfogo alla mia frustrazione perché qualcuno di fianco a me si alzò dall’ombra e mi colpì al mento facendomi indietreggiare. Quel che vidi mi lasciò impietrito: la luce bluastra illuminò un viso che io conoscevo bene, un viso che mi dava rassicurazione non appena lo vedevo, un viso che avevo incontrato quella mattina stessa. Un nome che non voleva uscire dalla mia bocca, un titolo militare. Lo shock durò poco, sfruttai la poca luce a mia disposizione per bloccare il traditore con un braccio e scaraventarlo a terra. La colluttazione durò poco, solo alcuni pugni e calci finchè non lo bloccai contro il muro e gli puntai la pistola all’incavo del collo.

“Kakashi …!”

Finalmente la mia voce volle uscire. I miei occhi si erano abituati al buio e riuscivo a distinguere bene ogni lineamento di quella persona che mi aveva aiutato da ragazzino. Intravidi un ghigno sotto quella sua maschera, gli occhi attraversati da una luce inquietante.

“Finalmente mi hai scoperto Sasuke. Allora tu e il tuo amico non siete poi così tardi.”

Scoprii i denti in una smorfia rabbiosa, non sopportavo di essere stato una marionetta inconsapevole per tutto quel tempo.  Mi feci prendere dalla rabbia e lo colpii al viso con il calcio della pistola; del rosso macchiò la sua maschera all’altezza della bocca. Lo sbattei di nuovo contro il muro, prendendolo per il colletto  della giacca.

“Ora, tu mi dirai tutto quello che devo sapere su di te e Kabuto.”  Ringhiai.

Non sapevo ancora che piega avrebbe preso la mia vita da quel giorno, da quella scoperta.

 

 

 

 

 

 

Spazio autrice:

Ciao a tutti!!! Finalmente un capitolo in cui succede qualcosa e che porta avanti la storia, mi direte, dopo più di un mese d’attesa! E si al posto di finire i compiti (che sarebbe meglio) ritorno a rompervi le scatole con un nuovo cap della storia :D spero vi piaccia perché ci ho messo molto impegno a scriverlo ^^

Grazie per tutte le recensioni che ho ricevuto!! E grazie a chi messo la storia tra le seguite e le preferite!!!

   
 
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