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Autore: rainandteardrops    17/09/2011    11 recensioni
Era a pochi centimetri da me. E non ero immobile perché ero troppo impegnata a contarli; ero immobile perché i suoi occhi mi avevano paralizzata.
Avevo i muscoli atrofizzati. L'unico ancora in vita era il mio cuore, ma se si fosse avvicinato ancora non avrei più sentito i suoi battiti.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Harry Styles, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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blackout - part one.


Corsi in camera mia in fretta e furia dopo aver passato un pò di tempo a chiacchierare con i ragazzi, chiusi la porta a chiave, e mi diressi verso la cassettiera per trovare qualcosa di decente. Scartavo vestiti su vestiti, con le mani tremanti. 
Nella mia testa sentivo ancora le sue parole, accompagnate dal sorriso più bello che avessi mai visto: «Ti va di fare una passeggiata?», mi aveva chiesto, speranzoso.
Non sapevo come - soprattutto dopo essere sprofondata negli abissi dell'imbarazzo - ma ero riuscita a fare un cenno della testa, accettando la sua proposta.
Erano quasi le cinque del pomeriggio. Ricordavo a stento il sole che batteva cocente a quell'ora, dato che ormai non si faceva vedere da quasi un giorno intero, e di solito un tempaccio simile in un altro momento avrebbe urlato: "rintantati sotto le coperte e fatti un sonnellino!". Invece, in quell'istante, pensavo solo all'imminente uscita con Harry.
Non sapevo se considerarlo un appuntamento, ma mi piaceva pensarlo. 
Un appuntamento con Harry Styles, l'aspettavo da una vita. Ed eccolo lì, servito su un piatto d'argento. 
Mi sfilai quel pigiama infantile - benchè mi piacesse tanto - e indossai dei vecchi jeans strappati, converse e una maglietta bianca e nera. 
Mi guardai nello specchio, pronta a sistemarmi finalmente quella massa inguardabile chiamatasi capelli.
La mia immagine riflessa, come al solito, non mi soddisfò. Non ero bellissima, non lo ero mai stata, e situazioni del genere mi facevano sentire ancora più insignificante, come se non potessi meritarle. Eppure mi bastava un suo sguardo, un suo sorriso, per dimenticarmi di tutto e per sentirmi speciale, anche se solo per qualche secondo.
Districai con tanta pazienza tutti i nodi, e spazzolai i capelli con vigore, quasi volessi strapparmeli alla radice. Se non avessi mantenuto il controllo, l'avrei fatto.
Fortunatamente, quel giorno non erano così indomabili: riuscii infatti ad ottenere delle morbide onde. 
Ero piuttosto contenta del risultato, un pò meno delle farfalle che girovagavano nel mio stomaco. Stava accadendo tutto troppo in fretta, e tutte quelle attenzioni, che non avevo mai avuto, mi scombussolavano non poco.
Con un respiro profondo, provai a calmarmi, e uscii dalla mia stanza, un po' più tranquilla di prima. 
Mi aspettava appoggiato al muro, poco distante. 
Aveva indossato dei pantaloni beige, delle semplici scarpe bianche, e una giacca nera, che copriva un'immacolata t-shirt. 
Non avevo ancora visto Harry con la giacca, non dal vivo almeno, e quel cambiamento di look mi fece sentire... strana? Era più elegante del solito, e la meta della passeggiata mi era ancora sconosciuta.
All'improvviso scosse la testa, e con una mano si sistemò i ricci, voltandosi contemporaneamente verso di me. 
Gli sorrisi istintivamente, lui fece lo stesso.
Mi avvicinai con decisione, finché non fummo faccia a faccia. «Sono pronta», dissi, rendendomi davvero conto che saremmo stati solo io e lui. Il mio sorriso si spense, rimpiazzato dall'ansia.
Probabilmente, lui la colse. «Tutto bene?», mi chiese, con fare preoccupato. Ma come diavolo faceva? 
Per me era terribilmente difficile scoprire ciò che provava, ciò che pensava. Perchè invece per lui io ero così facile da leggere? Non ero mai stata un libro aperto prima d'ora. 
«Sì, tutto okay», risposi, mentre lui mi fissava con quegli occhioni verdi.
Attese qualche istante, poi sorrise. «Oh, avanti. Lo so che sei agitata», constatò, ridacchiando, cingendomi le spalle con un braccio con fare disinvolto. Il contatto mi cosparse di brividi; cercai di non fargli notare che ero rimasta pietrificata. «Non voglio rapirti, eh! Stai tranquilla», continuò, sempre con il sorriso sulle labbra. Alzai la testa per guardarlo, lui abbassò la sua: la visuale era splendida. 
«Lo so», mormorai, e abbassai lo sguardo, sentendomi arrossire. Cominciammo a camminare, e uscimmo dall'hotel velocemente, senza più proferire parola.
La sua mano penzolava dalla mia spalla, e quel braccio intorno al mio collo mi stava facendo letteralmente impazzire. 
Nel vialetto non c'era nessuno, non ancora almeno. Vidi Harry indossare degli occhiali da sole, benchè non ci fosse il minimo raggio di sole. 
«Piccole precauzioni», mormorò tra sè.
«Non credo bastino gli occhiali da sole per renderti irriconoscibile», commentai.
Ci guardammo nello stesso istante. Distolsi subito lo sguardo. «Lo credo anch'io».
Passeggiammo per qualche metro, nei pressi del parco, finchè vidi una ragazza indicare Harry, la bocca spalancata per la sorpresa. Poi sentii urlare il suo nome.
Attirò l'attenzione di alcune ragazze nei dintorni, e ci ritrovammo circondati da fans, di nuovo. 
Harry cercava di liberare le braccia, per firmare più autografi possibili, quanto più velocemente poteva. Per qualche minuto io e lui tacemmo. Io aspettavo che terminasse di accontentare tutte, lui abbracciava le fans e firmava i fogli improvvisati di tutte.
«Lizzie?», mi chiamò all'improvviso, tra le urla. Non c'erano molte ragazze, ma provvedevano a far casino peggio di una folla. «Sono qua», risposi, senza lasciare che il panico si impadronisse di me.
«Resta accanto a me, okay?», mi disse, lasciando scivolare la penna su un piccolo bloc-notes. "Okay", pensai mentalmente, mentre guardavo il suo profilo. Ma le ragazzine mi superarono, ed io non riuscii ad obbedire alla sua richiesta. Pian piano fui spinta fuori dal cerchio.
Harry se ne accorse, lanciandomi una breve occhiata, poi consegnò la penna ad una ragazza, salutò tutte lanciando un bacio e si diresse verso di me.
All'improvviso sentii la sua pelle a contatto con la mia, le nostre dita che si intrecciavano. Cominciò a camminare a passo veloce, tirandomi, per lasciarsi indietro la piccola orda di fans. Procedemmo per un po', poi appena svoltammo l'angolo, rallentò. 
«Stai bene?», mi chiese, guardandosi intorno. Poi focalizzò la sua attenzione su di me, che lo guardavo sopraffatta. 
Ero sorpresa della sua calma, della sua disponibilità, della sua preoccupazione verso una ragazza che conosceva da un giorno o poco più. Ciò che provavo cominciava a rafforzarsi, e forse era così anche per lui. O almeno, lo speravo. 
Lo deducevo dal suo modo di comportarsi in mia presenza, dai suoi sorrisi, dagli sguardi indecifrabili che mi lanciava, ma forse era solo la mia testa che esagerava con le deduzioni.
«Ehi?», sentii la sua mano calda appoggiarsi sulla mia guancia. Lo stavo ancora guardando, senza accorgermene, senza minimamente vederlo. Appena sentii quel contatto, però, tutto ritornò alla normalità. Tutto tranne il mio viso. 
«Sì, sto bene, grazie», voltandomi e lasciando cadere la sua mano nel vuoto. «Dove mi porti?», domandai.
Mi guardava ancora incerto, come se la mia fosse stata una bugia. Forse aveva ragione, in parte. Era una mezza verità. 
«Non so, visto che abbiamo fatto colazione a ora di pranzo, ti va di andare da Starbucks?»
«D'accordo», acconsentii sorridendo, per tranquillizzarlo.
Mi cinse di nuovo le spalle con un braccio e continuammo a passeggiare. Non osavo immaginare come gli altri potevano vederci, ma non riuscii ad evitare di pensarci. Sì, sembravamo due fidanzatini, dannazione. E non mi aiutava.
«Allora? Mi parli un pò di te?», domandò. «Credo che ormai tu mi conosca alla perfezione». Sbagliato.
«Cosa vuoi sapere?»
Ci pensò su. «E' scortese chiederti quanti anni hai?».
«Lo è ma non m'importa», risposi. «Ho compiuto da poco diciotto anni»
Ridacchiò. «Cavolo, non credevo di essere più piccolo di te», disse, divertito.
«In effetti non lo sembri, alto come sei»
Arrivammo finalmente da Starbucks, dopo aver subito un'altra piccola interruzione da una fan solitaria. Mollò la presa intorno a me, e mi accompagnò dentro, poggiandomi una mano sulla schiena. 
Ormai aveva preso confidenza e dovevo abituarmi a quei contatti, ma sapevo che non sarebbe stato facile trattenere i brividi. 
Prendemmo entrambi dei muffin al cioccolato e un frappuccino, e ci sedemmo all'unico tavolo libero. 
Harry partì con l'interrogatorio, chiedendomi dove vivessi, con chi, e se avessi fratelli o sorelle. Quando parlai della mia famiglia, non potei fare a meno di pensare al divorzio dei miei.
Era stato un duro colpo, soprattutto l'allentarsi del rapporto con mio padre. Lo odiavo per aver tradito la mamma, lo odiavo per averlo tenuto nascosto per due lunghissimi anni. 
Ma evitai di dirlo ad Harry. Non volevo che quella sorta di appuntamento si trasformasse in una sessione di sfogo personale con tanto di lacrime. Così, gli sorrisi: una volta in più non avrebbe fatto male a nessuno.
Lo fece anche lui. «Sei più tranquilla ora, vero?», osservò.
Abbassai lo sguardo, ridendo tra me. «Come fai?», gli domandai, finalmente. «Come fai a capire quello che provo?», incrociai di nuovo il suo sguardo.
Assumeva un viso buffo mentre sorseggiava il suo frappuccino.
«Superpoteri», disse serio.
Scoppiai a ridere, talmente forte che mi tappai la bocca. Era una risata colma anche di nervosismo. «D'accordo», mormorai, dopo un pò.
Diedi un morso al mio enorme muffin. La mamma li faceva molto più piccoli.
«Quanto tempo resti qui?», mi chiese. 
Attendevo quella domanda da molto tempo. Desideravo sapere se la scarsità di tempo preoccupava anche lui.
«La vacanza termina sabato prossimo», gli risposi, bevendo un pò della mia bibita, vigilando la sua reazione. 
Sentii chiaro il rumore fragoroso di un tuono.
Lui annuì, alzando le sopracciglia. Come sempre, non riuscii ad interpretarlo. 
«Purtroppo», aggiunsi, sperando di vedere una reazione chiara da parte sua. Sfortunatamente potevo contare solo sulle sue parole. 
Si portò un ciuffo di capelli all'indietro, e si alzò, facendo stridere la sedia al pavimento. 
«Meglio tornare a casa», disse, e sentii sfumare la possibilità di capirne qualcosa in più. Fuori il cielo era plumbeo. Le nuvole si erano ammassate; erano quasi nere, minacciavano un temporale in piena regola, peggiore di quello della sera precedente. In strada erano già accesi i lampioni, ed erano appena le otto di sera. I fari delle auto illuminavano tutto, come se fosse già calata la notte. Dovevamo correre ai ripari prima che cominciasse a piovere, e la missione era quasi impossibile. 
«Sei pronta a correre?», mi chiese Harry, piegando le labbra all'insù e mostrandomi nuovamente quelle adorabili fossette.
La corsa cominciò appena mettemmo piede fuori. Mi prese di nuovo per mano, inaspettatamente, ed io fui di nuovo senza parole. 
Correvamo insieme per le strade di Londra, mentre la sua giacca aperta svolazzava e i suoi ricci rimbalzavano come molle. Il sorriso sul suo volto mi riempiva di gioia.
All'improvviso vidi delle gocce di pioggia bagnare l'asfalto, ed eravamo ancora a metà strada. «Corri!», urlò, ridendo. E lo feci, mentre ascoltavo il suono della sua voce. 
Quella corsa fu la parte più bella dell'appuntamento. Sfrecciavamo lungo i marciapiedi, attraversavamo la strada come dei forsennati scavalcando le auto ferme ai semafori mentre la pioggerellina leggera ci bagnava i vestiti.
Non ci fermammo nemmeno quando tutto fu illuminato dai lampi, scosso dai tuoni e immerso nell'oscurità.
Un blackout aveva bloccato Londra. 
I fari delle vetture ci aiutavano a trovare la strada, la pioggia si faceva più insistente. Arrivammo all'entrata dell'hotel completamente fradici, le risate ancora stampate sui nostri volti. 
Lo spettacolo che ci accolse per me era inquietante: l'insegna dell'albergo era spenta, la hall era buia. Il signor Dwayne ci accolse fornendoci delle candele bianche. «Le luci d'emergenza nei corridoi sono accese, ma le stanze non ne sono fornite. Siamo terribilmente dispiaciuti», si scusò. «In attesa che tutto torni alla normalità usate queste». 
Io ed Harry salimmo le scale in silenzio, mentre la mia testa pullulava di domande. Diedi sfogo alla mia curiosità. 
«I ragazzi se ne sono andati?».
«Sì. Liam mi ha mandato un sms dicendomi che sarebbero ritornati a casa. Chelsea è con loro».
La mia risposta geniale fu: «Ah».
Arrivammo nel corridoio. Le luci fornivano una scarsa illuminazione, forse perchè erano situate troppo in alto. 
Arrivata davanti alla porta della mia camera, con il cuore a mille e il fiato corto domandai ad Harry, che mi aveva seguita in silenzio: «Tu resti?»
Fece spallucce, serio in volto. «Se ti fa piacere, sì».
Lo osservai, annuendo e deglutendo, poi mi voltai. Faticai ad inserire la chiave nella toppa, perchè la mia mano non voleva smetterla di tremare. Alla fine, con un debole rumore, la porta si aprì.
La mia voce era un soffio. «Entra».


ringrazio tutte per aver commentato, per aver messo la storia nei preferiti o nelle seguite *-* Ho dovuto dividere in due perchè altrimenti sarebbe stato troppo lungo. Domani credo di scrivere il continuo, quindi non vi farò stare troppo in ansia.
spero in tante recensioni. vi amo lo stesso, anche se leggete di nascosto ahahah <3 un bacio!
  
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