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Autore: Night Sins    22/09/2011    1 recensioni
Conoscevo Beo solo da sette mesi, ossia da quando si era trasferito nella nostra scuola, a anno già iniziato.
Non dirò che è stata una di quelle storie da «e l’unico banco libero era quello accanto al mio e diventammo subito grandi amici», anzi, non mi accorsi nemmeno di quando arrivò - non per cattiveria, stavo dormendo, per niente preoccupato dal compito di Castellano che ci sarebbe stato di lì a due ore.
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Avevo programmato di restare cinque giorni alla fattoria e tornare a casa la domenica sera - mi pare perché al cinema c’era un film che volevo vedere, ma non ricordo con esattezza - però la presenza di Beo cambiò di parecchio i miei piani.

Innanzi tutto studiai più di quanto avessi previsto, Alejandro ci ha tenuti sulla retta via di studenti liceali; e, evidentemente, avere Melibeo lì e ‘aver risolto’ la questione è stato d’aiuto a non perdermi in pensieri che lo riguardassero - o non troppo, almeno, sebbene mi sorpresi diverse volte ad essere totalmente rilassato in sua presenza, come se fossi letteralmente in pace con il mondo.
Avrei pensato, se qualcuno mi avesse detto che mi sarei trovato nuovamente da solo con lui, che gli avrei confessato tutto, eppure vederlo nel ‘suo ambiente‘, vedere la situazione in cui si trovava, mi ha trattenuto.
In quei giorni, ogni volta che mi decidevo a cercare di dirglielo, ripensavo a come mi ero sentito io, scoprendo i miei sentimenti, e non credevo che gli avrebbe fatto bene sapere così all’improvviso che un ragazzo era innamorato di lui. Inoltre sembrava difficile perfino credere che avesse mai pensato ad una cosa come l’amore, non in senso generale, proprio ad avere una ragazza (ovviamente, non ho mai pensato che potesse ricambiarmi).

Poi l’arrivo di mia madre nel weekend successivo, come aveva promesso, rese inutile - a loro dire - il mio rientro a casa, “solo per stare da solo”, quindi la mia permanenza fu praticamente allungata fino al giorno prima dell’esame.
Non che ne fossi totalmente dispiaciuto, ma non sapevo più come gestire quella nuova situazione.
Come già detto, ero ovviamente contento di passare del tempo con lui - ed eravamo spesso da soli o con sua nonna, che praticamente era la stessa cosa. Però certe volte, specie la notte o in momenti ‘vuoti’, mi sentivo anche triste; dovevo trattenere molti dei miei sentimenti, ed io non ero il tipo da trattenermi, avevo sempre agito d’impulso.
Ammetto che, okay, la presenza di mia madre è stata anche un buon deterrente, ma a sua volta è stata proprio mia madre ad avere l’idea più folle di tutte, per la quale non sapevo se amarla o odiarla.
Beo le aveva raccontato tutta la storia e lei - intenerita, o impazzita - lo ha invitato a casa nostra per il periodo degli esami, dato che abitavamo abbastanza vicino alla scuola.
Lui è stato inizialmente contrario all’idea, per via di sua nonna, ma dopo mille rassicurazioni da parte di Alejandro ha accettato, ringraziando infinitamente lui e mia madre.
Quindi, arrivammo a casa mia il giorno prima dell’esame; Beo era molto agitato, specie per la prima prova. Nonostante fosse migliorato molto, aveva ancora incertezze sullo Spagnolo.
Mia madre lo tranquillizzò e preparò per cena dei piatti greci, scusandosi del risultato - per me ottimo - perché era la prima volta che faceva qualcosa di simile e sperando che le ricette che aveva trovato su internet fossero giuste.
Il mio amico sembrò apprezzare molto quella gentilezza e riuscì, per qualche ora, a non pensare all’esame imminente.
Dal canto mio, mi sentivo tranquillo - più di quello che avrei dovuto essere - e proposi a Beo di giocare un po’ con la Playstation prima di dormire (mamma aveva messo un sacco a pelo accanto al mio letto, per me, ma a seguito dell’insistenza di Beo sul non voler ‘approfittare oltre’, facendomi dormire per terra, mamma mi fece spostare il letto contro la parete e poi andò a prendere anche il suo sacco a pelo,“così non ci sono diseguaglianze“).

Vorrei scendere nei particolari di quei giorni, ma non ne ho più molta memoria. Ricordo alcune battute con gli altri ragazzi, qualche partita a pallone - in corridoio, con la palla di carta e stagnola - fatta per allontanare la tensione, ma non chiedetemi quali erano le tracce assegnateci che non saprei dirle.

Non successe nulla di rilevante nemmeno sul lato ‘sentimentale’, se così vogliamo dire.
Quei giorni furono totalmente veloci e preda dell’esame che a mala pena avevamo tempo per pensare ad altro.
Inoltre, fortuna - o sfortuna - volle che al sorteggio per gli orali Beo fosse tra i primi a dover sostenere quell’ultima prova. Contento di essere giunto indenne alla fine di quell’ardua impresa, Melibeo lasciò la mia casa il giorno dopo per tornare da sua nonna. Io avrei dovuto sostenere gli orali due giorni dopo di lui, per questo non potei accompagnarlo.
Uno strano senso di malinconia e nostalgia si impadronì di me nel vederlo andar via, talmente forte che mi rifiutai anche di andare alla stazione e mi chiusi in camera senza uscirne nemmeno per cena, con la scusa che volevo studiare per bene per l’interrogazione.

L’orale andò. Avrei potuto fare di meglio, ma con tutto quello che era successo nei giorni precedenti, credo di poter essere soddisfatto di me stesso.
I giorni subito seguenti furono un misto di strana euforia e ben mascherata insoddisfazione. Non avevo sentito Beo da quando se ne era andato e non avevo il coraggio di chiamare nemmeno solo per chiedergli come andava con sua nonna, o qualche altra scemenza simile. D’altro canto, nemmeno lui si era fatto vivo, quindi forse non era interessato a farlo.
Sì, sa di storia già sentita, me ne rendevo conto anche allora, ma non riuscivo a non pensarlo anche se mi sforzavo di non darlo a vedere, riempiendo le mie giornate di uscite con gli amici e prove teatrali (che avevo sospeso per l’esame), implorando quasi il nostro insegnante di darmi una parte, una qualsiasi, nel saggio che avremmo fatto a fine luglio.
Feci di tutto per tenere la mente occupata, tanto che mi scordai perfino che sarebbero usciti i quadri dell’esame.

– Allora, pronto per domani? – mi domandò mia mamma a cena. – Chissà se Melibeo riuscirà a venire…
– Eh? – domandai io, dopo aver ingoiato a fatica un sorso d’acqua.
– Il diploma!, Jav, ve lo danno domani – rispose ovvia, mettendosi a ridere. – L’avevi scordato?
– Oh… sì – ammisi e lei borbottò qualcosa sul fatto che i giovani perdono la testa presto, di questi tempi.
No, non è vecchia, ma credo d’aver preso il mio lato teatrale da lei.
– Sempre che io sia passato – commentai, vagamente non curante, ma ammetto che era più per farla esasperare.
Alzò gli occhi al cielo, infatti. – E sentiamo, perché non dovresti essere passato?
– Non si sa mai, nella vita…
– Eh, eccolo!, il grande filosofo. Smettila di fare lo scemo e aiutami a sparecchiare – sbottò, lanciandomi contro il suo tovagliolo e alzandosi per portare nel lavello i piatti sporchi.

Il giorno dopo mi alzai di buon’ora e, con un’insolita energia che non mi apparteneva di prima mattina, mi feci la doccia. Non so se ero più eccitato dall’idea di sapere i risultati o da quella di rivedere Beo.
Quando uscii dal bagno, mia madre si era appena alzata e prese il mio posto lasciandomi il compito di preparare la colazione. Compito che, una volta ogni tanto, non mi dispiaceva.

Mancava ancora un po’ prima dell’orario in cui dovevamo essere a scuola per ritirare il diploma così, mentre mia madre si occupava di faccende domestiche varie, io mi chiusi in camera mia a giocare con la playstation fino a che non mi venne a chiamare.
Arrivati a scuola vi trovai ad aspettarmi mio padre e Natalia, che già faceva mostra di un bel pancione.
– Non volevo venire, ma Enrique ha insistito… – si scusò lei, dopo averci salutato.
– Non è un problema per me, se non lo è per Javier – rispose mia madre, diplomatica, guardandomi.
– E’ tutto OK – assicurai, mentre mio padre non riuscì a trattenere un sospiro sollevato.
– Mi sa che è ora di entrare – dissi poi, notando i miei compagni accalcarsi all’interno della scuola.
Non avevo notato, preso dalle questioni familiari, l’assenza di Melibeo e, ammetto con un po‘ di sofferenza, non ci feci caso fino a che non fu il suo turno di ritirare il diploma.
Quando il preside fece il suo nome e nessuno rispose, mi guardai attorno preoccupato. Nessuno sapeva il perché della sua assenza.
La risposta la diede, svariati minuti dopo, mia madre - riapparsa dopo essersi allontanata per rispondere al cellulare.
Si avvicinò agli insegnanti e parlò velocemente con loro prima di tornare al mio fianco.
– Che cosa è successo? Chi era al telefono? – le domandai mentre i miei compagni che ancora non avevano ricevuto il diploma venivano chiamati.
Lei sospirò. – Era lo zio Alejandro. Ha chiamato dall’ospedale-
– Come sta? – domandai velocemente, interrompendola.
– Lui sta bene… La nonna di Beo è stata ricoverata, pare che si sia sentita male questa mattina presto…
Mentre parlava non riuscivo a fare altro che fissarla a bocca aperta.
– Come…
– Non lo so, sembra che i medici la stiano ancora visitando.
– Mamma, posso… possiamo andare a trovarli? – domandai ancora, quasi timidamente. Non so se era per lo shock o solo per una qualche insicurezza.
Mia madre annuì e mi abbracciò. Per una volta, me ne fregai di quello che avrebbero pensato i miei compagni.

Quaranta minuti più tardi eravamo all’ospedale. La versione che lo zio aveva dato a mia madre era un po’ edulcorata rispetto alla realtà. La signora Evanthia era stata operata; al nostro arrivo l’intervento era terminato, ma lei stava ancora dormendo sotto l’effetto dell’anestesia.
Beo ci spiegò che era caduta quella notte e poi non aveva più ripreso i sensi. Lui era andato nel panico e aveva svegliato Alejandro, che aveva subito allertato il 112. Si era quasi scordato, comprensibilmente, della consegna dei diplomi fino alla tarda mattinata, quando poi lo zio chiamò mia madre.
– Non so cosa avrei fatto, oggi, senza di lui – mi confessò, infine, Beo.
Istintivamente ci voltammo entrambi verso lo zio; era seduto ad alcuni metri da noi, accanto a mia madre che gli teneva premurosamente la mano.
Accennai appena un sorriso, intenerito dalla scena probabilmente, non sicuro su cosa dire.
– Comunque, mi fa piacere che tu e tua madre siate venuti – riprese lui. – Non ti nego che è stato un po’ inaspettato, ma…
La frase venne interrotta dall’arrivo di una infermiera che lo chiamò e ci informò che la signora Evanthia si era svegliata e potevamo andare a salutarla - anche se avrebbe preferito che ci andasse solo Beo, però acconsentì a lasciar entrare anche Alejandro, se avessero fatto a turno.
Le condizioni non erano ancora ottimali, ma sembrava aver risposto bene all’intervento.
– Quindi… sta bene… si riprenderà? – domandò Melibeo.
– Sembrerebbe che debba procedere tutto per un graduale, ma sicuro, miglioramento – rispose la donna, cauta con le parole, e, accertatasi che non ci fossero altre domande, ci lasciò nuovamente soli.
La felicità era ben visibile sul volto di tutti, ma specialmente su quello di Beo e Alejandro.
– Vai prima tu – disse Beo.
– Ma…
– Ti prego. E’ merito tuo se è viva…
Lo zio non riusciva quasi a parlare, gli occhi lucidi, ma annuì. – Grazie.

– Credo che ci sia bisogno di un po’ d’acqua per tutti – disse mia madre – torno subito.
Quando rimanemmo soli, Beo sembrava ancora incapace di accettare che quella fosse la realtà. – Sta bene – mormorò guardandomi.
Io annuii.
– Sta bene – ripeté, mentre un sorriso gli illuminava il volto e una strana, per me che ero abituato a vederlo sempre composto e trattenuto, euforia si impossessò di lui.
Sembrava incapace di stare fermo, continuava a fare avanti e indietro nei pochi metri tra me e la porta del reparto rianimazione.
Poi, senza preavviso, all’ennesima volta che mi era davanti, mi prese il volto tra le mani e mi stampò un bacio sulle labbra.
Velocemente come aveva annullato la distanza tra di noi, si allontanò senza guardarmi in volto.
– Grazie – mormorò soltanto.
Io non mi ero mosso di un millimetro e non sono sicuro su quali fossero le mie capacità cerebrali in quel momento. Mi rendevo appena conto che Beo avesse ripreso a camminare, ma ora stava attento a non avvicinarsi troppo.
Mi ridestai solo quando tornò mia madre con due bottigliette d’acqua, una delle quali la diede a Beo e poi mi raggiunse.
– Tutto a posto?
– Sì – risposi, senza poter trattenere un sorriso.

***

Javier si bloccò ad osservare la pagina e poi salvò il documento.
“Andiamo, ancora non sei pronto?”
“Arrivo.”
“Che stai scrivendo?” domandò il ragazzo appena arrivato, osservando lo schermo del computer da sopra la sua spalla.
Javier chiuse il portatile. “Ho iniziato la mia autobiografia. Il mondo deve sapere com’è stata la vita di un grande attore!”
Una risata genuina e spontanea lo prese bonariamente in giro. “Oh, sì, ventitre anni di onorata vita da bambino e poi ragazzo di città saranno molto interessanti.”
“Assolutamente, lo sono”, rispose Javier, alzandosi e raggiungendolo per abbracciarlo e baciarlo sul collo.
“Oh, per favore, siamo in ritardo!” sbuffò il compagno.
Fu la volta del giovane attore di ridere. “Per fa-vo-re”, scandì lentamente.
“Ho già imparato, grazie. Muoviti!”
“Sarò pronto in dieci minuti”, assicurò, lasciandolo per dirigersi in bagno.

Fin

   
 
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