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Autore: Circe_laMaga    25/09/2011    1 recensioni
Otto anni che non vedevo la mia famiglia: perché loro erano la mia famiglia.
Tante cose erano cambiate, nessuno era rimasto lo stesso. Vedevo il dolore nei loro visi. Tante domande affollavano il loro volto.
"Issa, perché?" Ecco cosa mi chiedevano tutti.
Mi sentivo più viva con loro, ma... il mio ritorno avrebbe svegliato i fantasmi del passato?
Una storia senza pretese, inventata così di getto.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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IV°


Quella notte non riuscii a dormire. Era solamente il primo giorno che ero in quella cittadina dimenticata da dio, ma già sentivo l’ansia che assaliva. Un masso che pesava sui miei polmoni e mi faceva respirare a fatica.
Cercai il pacchetto di sigarette di scorta che tenevo nella borsa e uscii sul balcone. Ero solita farlo da adolescente: stare fino alle quattro di mattina ad ascoltare musica con l’aria fresca che mi faceva venire i brividi.
Riabbracciare Sel mi aveva fatto tornare a quei quattordici anni, dove eravamo unite più che mai. L’avevo conosciuta in prima media, dove io ero ancora una bambina che si vestiva con le tute della Nike, occhiali sbilenchi e capelli arruffati. Sel era sempre stata una ragazzina particolare, dove giorni ti contagiava con la sua solarità e la sua risata e altri dove era già tanto che ti rivolgeva la parola. Poi, nell’estate della terza media, mi aveva sostituito con ragazze più carine, simpatiche e popolari di me e il mondo era crollato. Era la mia unica amica e capii quanto era importante per me quel legame. Riuscii a rilegarci e fu la prima a sapere tutti i miei segreti. Poi tutto si rovinò di nuovo. Non ero disposta a sciogliere quel legame, però, non ce la facevo. Era l’unica che mi teneva legata a quel topo da biblioteca che ero, prima di cambiare.
Rivederla mi aveva scombussolato. Aveva portato alla mente troppi ricordi, troppi litigi e troppe cazzate. Avevo un nodo all’altezza dell’esofago che non si sarebbe sciolto neanche avessi ingerito dell’acido. La guancia faceva ancora male per quello schiaffo, ma come biasimarla? Di certo, io mi sarei incazzata non poco se l’avesse fatto lei. Il bello di Sel, però, era che non era orgogliosa e pensavo fosse questo che la spinse a rispondere per prima a quello squallido messaggio, preceduto da una mail qualche giorno prima.
Mi sentivo uno schifo ad aver fatto loro questo. Non tanto per il fatto di aver lasciato i miei amici, quanto per essere ritornata così, da un giorno all’altro, e imporre la mia presenza.
 
Mio figlio mi svegliò saltandomi sulla pancia e gridando un sonoro “SVEGLIA DORMIGLIONA!”
Io sussultai e appena aprii gli occhi, mi ricordai dell’incontro con Seline la sera prima. Incinta, dio mio!
Mi alzai malamente e mi preparai per portarlo a fare colazione al bar. Andai al bar della stazione, dove ero solita rintanarmi nei pomeriggi freddi dei miei quattordici anni e dov’ero una cliente fissa per comprare le sigarette. Avevo diminuito molto la quantità da quando era nato Alan, ma tornare in quella città mi spinse a comprarle di nuovo. Dannato vizio … dannata città. Portai mio figlio a fare un giro del centro e mi persi nel raccontargli storie della mia adolescenza.
“Mamma, perché te ne sei andata?” mi chiese, vedendo i miei occhi lucidi a rivedere tutti quei posti. Era strano rivisitare quei posti, fulcro della mia vita. Mi trascinarono nella malinconia più estrema, quasi potessi vedere, dal di fuori, io adolescente che camminavo, parlavo e ridevo. La piazza, dove si trovava il comune, mi ricordava terribilmente Selina. Quante volte ci eravamo fermate lì a giocare come due bambine, a rincorrerci e ad insultarci. Poi c’era quel parco, il parco dove passavo i miei pomeriggi, dove avevo preso le mie sbornie più epiche. Il parco, che era come una casa per me e Roby. Mi sembrava quasi di rivederla, mentre passavo sotto il gazebo, con quei suoi capelli rossi e quel suo portamento da mammut. Con quei suoi sorrisi, con quella sua spontaneità. Roby era l’unica che riusciva a capirmi, in un modo o nell’altro. Tra noi non esistevano segreti. Almeno, finché non cambio. Avevo sofferto molto per quel suo cambiamento. Era diversa, con me. Quasi non ci vedevamo più e i nostri rapporti si erano raffreddati. L’unica certezza che non me la fece perdere, era che da qualche parte, quella mia migliore amica stordita era rimasta.
“Sai, Alan. Non ho avuto scelta. E’ stato meglio così, però” dissi, stringendo la sua piccola manina. Quel bambino era la mia vita, tutto ciò che mi era rimasto.
Lo portai a mangiare al Mc Donald. Lui era tutto felice con quel suo Happy Meal, ma la malinconia ancora attanagliava la mia anima. D’un tratto, entrarono tre ragazzi e mi venne in mente quando ero io, con Roby e Max, ad entrare da quella porta, con i sorrisi sul volto, perché probabilmente avevamo detto qualche battuta idiota.  Il cellulare squillò. Un messaggio, era arrivato un messaggio.
“Ciao Issa. Pensi sul serio che non ti voglia vedere? Che ne dici di una cenetta al solito cinese? Ho voglia di riabbracciarti!”
Mittente: Kiara. 


Angolo autrice:
Scusate del ritardo mostruoso, ma la scuola è iniziata e scrivo solo durante le ore di matematica. Questo è un capitolo di passaggio, come quello prima, ma i veri capitoli stanno per arrivare. Sto cercando di studiare anche un po' di grammatica, quindi spero sia un minimo migliorata. Recensite, grazie mille che mi leggete! (Un ringraziamento speciale a 
  
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