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Autore: Grouper    26/09/2011    9 recensioni
‎'Buonanotte amore mio'; che poi mia non sei, che poi amore non è, che poi non è neanche notte,ma ho sonno, ti voglio, e per me, nonostante tutto sei mia. 'Buonanotte amore mio' che forse mia un pò lo sei sempre stata, che forse un giorno sarà amore, che forse la notte è già qui. 'Buonanotte amore mio' che voglio davvero che tu sia mia, che ora so che tutto questo è amore, che ormai la notte è davvero qui. 'Buonanotte amore mio' che oggi, ti amo anche io.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Zayn Malik
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La solita routine: il solito caffè, la solita doccia bollente e la solita metro. Una mattina normale, se non fosse per il fatto che in quella presunta mattina normale, Aurora avrebbe varcato per la prima volta la soia di quell'edificio imponente come una sua vera e propria studentessa. Quella mattina normale sarebbe stato il primo giorno effettivo di università: un sogno vagante per il grande bagaglio di desideri che si portava in giro Aurora da ormai cinque anni. Si ricordava ancora la prima volta in cui entrò all'interno del Parlamento Europeo a Bruxelles e ne rimase affascinata: quante menti dietro ad un piccolo ma grande continente! Quel giorno si innamorò di quel mondo burocratico, e non abbandonò mai l'idea di voler diventare una diplomatica, di laurearsi in legge per poi andare a lavorare ad un'ambasciata o per grandi organizzazioni mondiali. Pensava e Sognava in grande, Aurora, senza mai essere capita da nessuno fuorché da suo padre; era sempre stata una ragazza dolce, solare e amava fare conversazione: dire la cosa giusta al momento giusto era forse l'unica cosa che sapesse fare con decenza. Gran vantaggio voi direte, ma non sempre le cose vanno come programmate: per qualche motivo Aurora non riusciva mai a trovare grandi amici, quelle persone su cui ti fiondi se hai un problema, quelli con cui passi tutti i fine settimana senza mai annoiarti; in diciannove anni di vita aveva avuto solo un ragazzo, alll' ultimo anno di liceo; una storia un po' tormentata per la sua apatica vita sentimentale.
Ma erano solo ricordi passati di mesi intensi, di un amore burrascoso che Aurora si era, non facilmente, lasciata alle spalle con successo; la sua vita in quel momento era di nuovo proiettata al futuro, ad una carriera brillante e niente di più.
Il grande prato verde del King's College si aprì davanti ad Aurora dopo aver camminato per dieci minuti buoni dalla fermata della metro al cancello d'entrata. Era un edificio a dir poco enorme, che somigliava più ad una cattedrale che ad un'università; non era esattamente quello che si aspettava fino a poco tempo prima: pensava di finire a Roma, in una grande università prestigiosa, avrebbe cambiato paese e l'avrebbe fatto volentieri: l'Italia, il sole, la bella vita! Lo aveva visto solo nei film, ma le era bastato per farsi un'idea e per volerci abitare disperatamente. Ma quello era il suo presente, e si trattava comunque di una delle più grandi e importanti università al mondo, e non poteva che esserne orgogliosa.
Si incamminò sulle grandi mattonelle grigie che portavano all'entrata vera e propria dell'edificio. Era ancora relativamente presto, e attorno a sé non c'erano troppe persone, giusto qualche gruppo di ragazzi distesi con un telo sul prato pronti a godersi gli ultimi attimi di libertà prima dell'inizio del semestre autunnale. Aurora respirò a pieno l'aria fresca che la circondava: la sera prima era piovuto e l'odore che emanava l'erba dopo la pioggia era qualcosa di indescrivibile; si guardò attorno per memorizzare bene quel posto, quella gente e quelle mura: sarebbero state la sua vita per i prossimi cinque anni, e ciò la rendeva assolutamente entusiasta.
Una volta entrata, Aurora si perse tra i grandi corridoi decorati ad arte: quell'università era imponente, sia da fuori che da dentro; c'erano tantissimi dipinti sparsi per le mura grigie e mobili antichi risalenti a chi sa quale anno disposti meticolosamente per tutta la lunghezza dei corridoi.
Tutto aveva mantenuto un'aria e un'atmosfera antica, gotica, ma allo stesso tempo tra una stanza e l'altra si trovavano zone più moderne e funzionali.
Dopo aver vagato senza meta, troppo affascinata da ciò che la circondava, Aurora ebbe la brillante idea di tirare fuori la mappa dell'università alla ricerca della sua aula. Dopo aver smanettato tra orari vari, scartoffie infinite e mappe incomprensibili, scoprì che l'aula in cui doveva arrivare Aurora da lì a cinque minuti si trovava al secondo piano sulla sinistra. Si guardò in torno per qualche secondo, alla ricerca disperata di una scala o di un'ascensore: salì in fretta e furia i gradoni della rampa larga più di venti metri, e una volta arrivata all'interno dell'aula con il fiato corto, si rese conto di essere tra i primi studenti ad essere in anticipo.
Varco la soglia, un po' titubante. Sulla grande cattedra era seduto un presunto professore con una gobba che poteva competere con quella di Quasimodo, un naso aquilino con sopra due spesse lenti: se ne stava ricurvo su un mazzo di fogli poco identificabili e non degnava di uno sguardo nessuno. Quando Aurora azzardò un “Buongiorno” da persona educata quale era, il vecchio professore si limitò solo ad annuire con la testa, senza spostare lo sguardo dalla carta. Aurora arricciò le labbra, alzando un sopracciglio, e scocciata si avviò a prendere posto sulle grandi pedane poste in salita rispetto alla cattedra. Essendo abituata a passare ore interminabili su un banco sporco e striminzito, quella soluzione di fare un banchi unici, un po' come una gradinata di uno stadio, lì per lì la stranì un po', ma riuscì dopo poco tempo a trovarcisi stranamente a suo agio.
Posò la borsa marrone sopra la superficie di legno scuro davanti a lei, in attesa che quel vecchietto si decidesse a presentarsi e a degnare i ragazzi di qualche attenzione. Aurora si guardò un po' attorno, come tutti gli altri studenti: accanto a lei c'era una ragazza mora con due grandi occhi marroni incredibilmente belli e luminosi; quando i loro sguardi si incontrarono, la studentessa rivolse un grande sorriso ad Aurora, che non poté fare a meno di ricambiare. La mora si spostò un po' verso destra fino ad arrivare vicino a lei e allungarle la mano affusolata: “Piacere, mi chiamo Beatrice, ma puoi chiamarmi Bea.” disse sorridendo. “Aurora, molto piacere.” rispose ricambiando la stretta di mano. “Ma sei per caso italiana? Hai un nome così bello!” continuò Aurora sciogliendo la stretta; Beatrice sorrise e inclinò la testa verso destra, timidamente. “Beh, sì in realtà! Spero tu l'abbia capito veramente dal nome e non dall'accento.” disse soffocando una timida risata tra le lentiggini che le coloravano il naso. “Ma scherzi? Hai un accento impeccabile, anzi devo farti i complimenti.” disse sorridente Aurora, facendo però sentire Beatrice ancora più in imbarazzo. “Oh, grazie, mi ci sono impegnata tanto in realtà...” continuò la mora cercando di smaltire l'arrossamento in viso. “Tu invece sie di qui?” disse poi, curiosa. Aurora sospirò, guardò per un secondo la sua borsa e poi con un piccolo sorriso si girò di nuovo verso gli occhi marroni della ragazza. “Ahimè! Sì, Londra.” Beatrice sgranò gli occhi, sorpresa. “Ahimè?! Ma scherzi? Io pagherei per essere inglese, figuriamoci londinese!” - “Penso sia normale per ognuno di noi desiderare di vivere in un altro posto, lontano dalla tua città natale. E' un processo che colpisce gran parte di noi giovani, è inevitabile.” Beatrice la guardò di sbieco, e poi scoppiò a ridere; Aurora alzò un sopracciglio e sorridendo disse: “Che c'è?!” Beatrice tossì, per riprendersi dalle risate. “No, niente, scusa. Comunque non pensavo che anche a Londra si avesse questo desiderio, insomma: Londra è Londra!” Ci pensò un attimo, storcendo le labbra, e poi le chiese: “Da dove vieni di preciso?” “Roma” rispose Beatrice. Aurora spalancò la bocca e gli occhi cominciarono a luccicarle. “E tu te ne sei andata da Roma?” - “Eh già! Troppo caldo, troppo sole, troppi ricordi... Era ora di cambiare.” disse Beatrice guardando in basso e giocherellando con un nastro attaccato alla sua collana.
“Tu dov'è che volevi andare?” chiese poi la mora alzando di scatto la testa. “Italia, proprio a Roma. Volevo entrare alla LUISS, e invece eccomi qua.” disse Aurora cercando di sorridere ma rivolgendo inevitabilmente un angolo della bocca verso il basso. Si guardò in giro: la classe cominciava a riempirsi a poco a poco, mentre il professore con la gobba se ne stava sempre chino sulle sue scartoffie.
“E cos'è andato storto?” chiese Beatrice dopo aver fatto un giretto anche lei con lo sguardo. “Ho avuto la presunzione di credere di riuscir ad imparare una lingua a me totalmente sconosciuta in poco tempo: non ho passato il test di italiano.” disse abbassando la testa, un po' a disagio. Era difficile per Aurora riuscir ad ammettere i suoi errori, odiava fallire, eppure era capitato anche a lei.
“Guarda, ti assicuro che l'italiano è difficile anche per gli italiani stessi. Ti capisco perfettamente, è davvero una lingua difficile!” Aurora le rivolse un sorriso, stava per aprire bocca quando il professore si alzò dalla sedia e un roboante colpo di tosse echeggiò per tutta l'aula, attirando l'attenzione di tutti.
“Buongiorno, Io sono il Professor Hastings.” disse con una voce profonda ma allo stesso tempo stridula. Aurora alzò le sopracciglia e sottovoce disse: “Oh, finalmente!”.
Mentre il vecchietto introduceva il programma di legge, ad un certo punto Aurora sentì la porta chiudersi, più in basso della sua pedana: non ci fece troppo caso, alzò lo sguardo per un attimo senza nemmeno fare caso su chi fosse entrato e, per paura di perdere il filo del discorso, tornò sui suoi appunti. Il professore fece una pausa, e tornò per un attimo sulla cattedra e scarabocchiò su un foglio, probabilmente stava firmando qualche altra scartoffia di cui si era ricordato all'improvviso. Aurora prese quel minuto di tempo per guardare il ragazzo che era entrato: moro, carnagione olivastra, mezzo orientaleggiante, due occhi color ambra che si riuscivano a vedere perfettamente anche a quella distanza. Aurora era paralizzata, letteralmente: la penna le era caduta dalle dita senza che queste si fossero mosse di un millimetro; teneva la bocca socchiusa, gli occhi fissi su quella sagoma perfetta. “Ambè, poco bello il ritardatario...” sussurrò Beatrice mentre fissava anche lei quel ragazzo dannatamente bello. Aurora continuava a non muoversi: il caos più totale in testa, il panico saliva e scendeva di corsa dalla testa ai piedi. Continuava a fissare quel ragazzo come se avesse visto un fantasma, era sbiancata all'improvviso, e a tratti restava in apnea, mentre i suoi organi interni si divertivano a fare tante capriole e ad intrecciarsi a dovere. Beatrice spostò lo sguardo sulla ragazza per un attimo e aggrottò le sopracciglia: “Ehi, tutto okay?” disse poi preoccupata. In quel momento il ragazzo che si era seduto una pedana più in basso rispetto a loro, si guardò intorno, un po' a disagio, fino ad incontrare i loro sguardi. Continuò a guardare altrove per un secondo, e poi tornò di scatto sugli occhi di Aurora. Si fissarono entrambi increduli, entrambi paralizzati. “Aurora...?” La voce preoccupata di Beatrice risuonò nella testa della ragazza che scosse la testa e si rivolse di scatto verso di lei. “S-s-sii?” disse con voce tremante, ancora incredula. Bea alzò un sopracciglio: “No, dico.. tutto ok?” Aurora si voltò di nuovo verso il moro che ancora non le aveva tolto gli occhi di dosso: deglutì, aprì ancora di più la bocca per prendere fiato e poi si rivolse di nuovo alla mora accanto a sé: “C-c-certo! Ovvio!” abbozzò un sorriso che sembrava più una smorfia isterica, e cominciò a tamburellare le dita sul legno pesante. Il professore ricominciò a parlare; Beatrice non indagò oltre, e si limitò a sussurrare un “Mah!”. Aurora non riuscì a concentrarsi a pieno quell'ora, e la stessa cosa accadde al moro, era evidente: i due a tratti si fissavano, uno più incredulo di quell'altro, a tratti non riuscivano a sopportare quella situazione e si fiondavano sui loro quaderni.
Non era possibile, no. Non era lui, era un sosia. Non poteva essere vero. Non poteva ripiombare così a sproposito nella vita di Aurora, no. Doveva esserci un errore, senza dubbio; non poteva essere lui, non poteva essere Zayn, di nuovo. 


Notaaaaaare beeeene:
Non mi avete dovuto aspettare più di tanto, sono tornata dopo poco tempo con una nuova ff! 
Ehm, ho un'idea VAGA di cosa succederà in questa storia, ma non ne conosco i dettagli quindi... suppongo che li scopriremo insieme! (Sii dai, vieni alla scoperta di questa storia con Dora l'esploratrice! .__. ) 
Okay, ditemi che ne pensate come primo capitolo e ditemi se vi alletta come storia: un amore burrascoso che ritorna nella vita di una ragazza che aveva perso la testa e che finalmente aveva ritrovato la sanità mentale! ( difficile da mantenere con un bocconcino come Malik, tsè!) 
Okaaaay, mie care future lettrici, 
Tante caramelle per voi! (e cocomerini zuccherosi per qualcuno, lalala!) 
un bacione, vichi.

 

  
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