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Autore: LadyMorgan    27/09/2011    4 recensioni
Dopo più di un anno che questa storia languisce nel mio PC, mi sono trovata per puro caso a riaprirla con la ferma intenzione di finirla per poterla poi pubblicare. Non fosse per il fatto che non ci riesco. Così è nata e così morirà, perchè aggiungere qualunque altra cosa a questo punto mi suonerebbe francamente ridicolo.
Non è né aspira ad essere uno dei miei lavori migliori, ma chiuso nel cassetto era sprecato e inutile. Perciò eccolo qui.
[...]
«Quando accetterai di fuggire via con me, per curiosità?»
Albus sorrise appena. «Non tentarmi, per favore» lo implorò ironicamente cominciando ad alzarsi. «A volte rischio veramente di accettare.»
«Sarebbe pure ora» ribatté l’altro. «Tutto questo spirito di abnegazione comincia a essere fastidioso.»
Albus rise mentre guardava l’orologio poggiato sulla scrivania. Inarcò un sopracciglio. «A cosa devo questo assai tardo piacere, Gellert?»
«Te l’ho detto, mi annoiavo»
[...]
Genere: Generale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Albus Silente, Gellert Grindelwald
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra
- Questa storia fa parte della serie 'For the Greater Good'
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Συναισθηματική Καταιγίδα

‘Violento come una tempesta estiva’ era un assioma abbastanza diffuso.

Poche cose avevano la brutalità di quelle rare, e brevi, ore in cui il cielo perdeva ogni colore e ogni suono era coperto dal frastuono del vento e dal fragore dei tuoni.

Eppure c’era qualcosa di stranamente voluttuoso nella forza dispiegata della natura, come se improvvisamente tutta la violenza accumulata in mesi di calma piatta si fosse riversata fuori in poche ore, non lasciando niente dietro di sé.

Era una di quelle notti in cui si poteva o nascondere la testa sotto il cuscino, in preda ad un impotente terrore, o semplicemente andare alla finestra e osservare insonni quel terrificante ed affascinante spettacolo.

Invece, la figura in quella stanza immersa nel buio stava semplicemente dormendo. I lampi occasionalmente illuminavano le occhiaie scure che circondavano i suoi occhi o le pieghe amare attorno alle labbra, ma il grido del vento e lo strepitio dei tuoni non lo sfioravano nemmeno, racchiusi al di fuori delle finestre sigillate.

La figura si rigirò inquieta nel letto, gemendo appena, quando i vetri si aprirono di scatto facendo entrare la furia della natura anche in quella bolla silenziosa, scuotendo i tendaggi del letto, trasformando le carte sullo scrittoio in un mulinello informe.

Due scintillanti occhi chiari si spalancarono.

«Lo sai? Hai un’aria singolarmente innocente quando dormi.»

Con la mente ancora ottenebrata dal sonno interrotto, la figura agì d’istinto muovendo il braccio destro in un ampio semicerchio.

Dalla bacchetta stretta nel pugno partì una luce bianca in direzione della voce, che scoppiò a ridere. «Albus, Albus, Albus, un solo giorno e già provi ad uccidermi?»

L’ululato del vento venne chiuso nuovamente fuori.

Un nuovo movimento della bacchetta, e una luce tenue e diffusa illuminò la stanza.

Stravaccato sulla poltrona nell’angolo con l’aria di essere sempre stato lì, una gamba piegata sul bracciolo e un gomito poggiato al ginocchio per sorreggere la testa, stava un sorridente ragazzo di sedici-diciassette anni dagli occhi tanto scuri da sembrare neri, i capelli di un biondo dorato che pareva assorbire la luce dell’incantesimo.

«Gellert!» esclamò Albus tirandosi a sedere. «Cosa stai facendo qui, nel nome di Merlino?»

«Mi annoiavo disperatamente» rispose lui tranquillamente alzando la testa. «Mi hai trascurato tutto il giorno e fra la zia Batty che continuava a chiedermi “Quando arriva Albus?” e uno stramaledetto viavai di postini babbani e vecchi rinsecchiti venuti per un tè ho seriamente creduto di impazzire per la noia.»

Con un sorriso di scuse, Albus spiegò: «Ariana ha avuto uno dei suoi attacchi, oggi. Ha praticamente spedito un pentolone d’acqua bollente addosso a Abeforth e poi… poi deve aver in qualche modo recepito quello che ha fatto e ha… avuto una specie di crisi isterica.» Si strofinò una tempia. «E sedarla non è stato affatto facile, con Abeforth che continuava a ripetere che non l’aveva fatto apposta, e che non capiva, e che…»

«Ho capito, ho capito» lo interruppe Gellert con una smorfia. «Ti prego di non andare avanti, non credo di avere uno stomaco abbastanza resistente.» Tirò giù la gamba dal bracciolo della poltrona e la accavallò all’altra. «Quando accetterai di fuggire via con me, per curiosità?»

Albus sorrise appena. «Non tentarmi, per favore» lo implorò ironicamente cominciando ad alzarsi. «A volte rischio veramente di accettare.»

«Sarebbe pure ora» ribatté l’altro. «Tutto questo spirito di abnegazione comincia a essere fastidioso.»

Albus rise mentre guardava l’orologio poggiato sulla scrivania. Inarcò un sopracciglio. «A cosa devo questo assai tardo piacere, Gellert?»

«Te l’ho detto, mi annoiavo» rispose lui sprofondando ulteriormente nella poltrona. «E gli incantesimi di protezione che hai piazzato attorno alla casa sono scandalosamente facili da rompere, fra parentesi» aggiunse indicando con un gesto da teatrante lo spazio attorno a sé. «Per non parlare di quella ridicola mezza fattura alla tua finestra» precisò con una smorfia di disgusto. «Seriamente, Albus, devo presupporre che le tue doti magiche siano vergognosamente calate o che stessi aspettando qualcuno?»

L’altro rise. «Credo dipenda più dal fatto che non mi aspetto nessuno, Gellert» disse alzandosi e dirigendosi verso una sedia dove era poggiata una vestaglia scura. «Chi vuoi che venga a interrompere la tranquilla routine di questa pacifica cittadina di periferia?»

Gellert si strinse nelle spalle e si indicò con un gesto fin troppo ostentato.

«Visto che fin’ora non hai compiuto attentati alla mia vita più gravi di farmi assaggiare quell’orrido piatto tedesco, credo di poter ragionevolmente considerare il rischio basso.» Si infilò la lunga vestaglia e si girò verso l’amico, che se ne uscì con un verso di disgusto.

«Voi inglesi siete una cosa impossibile» disse schifato guardandolo dalla testa hai piedi. «Come fate ad avere una tale mancanza di gusto, non lo capirò mai.» Si alzò e gli andò incontro con una critica aria nauseata. «Albus, visto il colore dei tuoi capelli è assolutamente indecente avere una vestaglia di quel colore» gli disse cominciando a girargli attorno come sperando che visto da altre angolazioni il soggetto migliorasse. «Assolutamente! Dovrebbe esserci una legge contro le vestaglie di questo… questo… questa specie di prugna farcito con quelle ridicole stelline. Specie guardando la lunghezza altrettanto indecente a cui tieni i tuoi capelli.» Ne afferrò una ciocca e la lasciò ricadere. «Visto da dietro potresti sembrare tua sorella, Albus, e ti prego di credere che non sto scherzando» aggiunse, visto che l’altro sembrava molto incline a ridere. «Ma non puoi avere quel cappuccio di capelli rossi su una vestaglia prugna, Albus, è un pugno in un occhio.»

«Non tutti abbiamo i tuoi vantaggi, Gellert» rispose imperturbabile lui guardando la camicia bianca, gli stivali di pelle e i pantaloni neri dell’altro.

Gellert gli rivolse una smorfia. «Se solo la smettessi di vestirti esattamente con i colori che ti stanno peggio riusciresti a migliorare anche tu» gli fece notare buttandosi di nuovo sulla poltrona. «Hai tutte le tonalità del blu a disposizione. Il nero, che è sempre un ottimo compromesso. Il bianco, per quanto io lo trovi estremamente scomodo. Il verde, tutt’al più, non troppo brillante, ovviamente, ma per esempio un verde bosco potrebbe…»

«Gellert, non credo tu sia qui per discutere dei miei gusti in fatto di abbigliamento» gli fece stancamente notare Albus sedendosi allo scrittoio.

«No, ma non possiamo non discuterne, Albus, visto come ti ostini a vestire» ribatté l’altro agitando una mano verso di lui. «E per inciso, suppongo che tu non tenga del vino in camera, no?»

«Supposizione stranamente corretta» replicò lui con un mezzo sorriso. «Gellert, sono quasi le quattro. Non ti fa affatto bene bere a quest’ora.»

L’altro si strinse nelle spalle e tirò fuori la bacchetta. Dal nulla apparvero una bottiglia e un calice che venne velocemente riempito col liquido rosso scuro della stessa.

«Molto meglio» commentò portando di nuovo la gamba al bracciolo. «Ma tornando a quell’oscenità di vestaglia, essendo parte del tuo corredo da letto potresti permetterti di usare un colore chiaro. Non so, un celeste pallido, tipo i tuoi occhi? Leggermente sfumato, forse.» Agitò nuovamente la bacchetta, trasfigurando il colore dell’offensivo capo.

Albus sospirò con una punta d’ironia. «Ti ringrazio molto dell’interessamento, Gellert, ma credo che me la terrò così com’è.» Agitò quasi distrattamente la sua, e la vestaglia tornò al suo colore originario.

Gellert rispose con una nuova smorfia. «Speravo che se non proprio l’esperienza, almeno la mia presenza avesse ficcato un po’ di buonsenso in quella testaccia dura e flemmatica»

«Sempre dolente di distruggere false speranze» rispose l’altro computo congiungendo le mani.

Gellert se ne uscì con un mezzo sbuffo e alzò gli occhi al cielo.

«Gellert, basta giocare, ora» disse stancamente Albus appoggiando un gomito allo scrittoio e la testa alla mano. «Cosa diavolo ci fai in camera mia alle quattro di notte nel bel mezzo di una delle tempeste più violente che ricordo di aver mai visto?»

«Sono così sgradito, Albus?» ribatté l’altro evitando machiavellicamente la domanda.

«Herr Grindelwald…»

«Ho capito, ho capito» sbuffò Gellert. «Risparmiami le tue ‘r’, per favore. Amo troppo la mia lingua per vederla inglesizzata a questo modo.» Gli rivolse un sorriso ironico, che si ampliò notevolmente quando proseguì: «Ad ogni modo, sono qui perché sono modestamente un genio e non c’era nessuno intorno a dirmelo con cognizione di causa, il che era immensamente frustrante.»

«Ma io non ho nessuna cognizione per cui dovrei chiamarti genio, Gellert» gli fece garbatamente notare Albus trattenendo un sorriso all’angolo della bocca.

L’altro se ne uscì con una risata a piena gola, che lo rovesciò sulla sedia dove si trovava mentre i suoi capelli dorati uscivano dal molle nodo che li teneva dietro la testa. Quando riuscì a controllarsi, agitò appena la bacchetta e un cilindro di quello che sembrava legno chiaro si materializzò nella sua mano. «Dai un’occhiata a questo» gli consigliò con un caloroso sogghigno tirandoglielo con la sinistra.

Albus lo afferrò al volo e lo stappò con un veloce incantesimo. Ne uscì un rotolo di pergamena che, anche dall’odore, era chiaramente vecchio. Aggrottando appena le sopracciglia, lo aprì con delicatezza e cominciò a leggerlo. Già dalle prime righe, uno sguardo che era un perfetto misto di stupore, incredulità e gioia gli cominciò a segnare i lineamenti.

«Gellert…» se ne uscì dimenticandosi di strascicare appena la voce come era solito e senza riuscire a distogliere gli occhi da quanto stava leggendo.

«Zitto. Potrai parlare solo per dirmi “Non capisco per quale congiunzione astrale possa essere nato un genio così geniale come te”» lo tacitò immediatamente l’altro con un ghigno divertito che gli andava da un orecchio all’altro.

«Magari rivedrò un po’ la grammatica…» mormorò assente Albus continuando a leggere. Quando arrivò in fondo, chiuse per un attimo gli occhi e fece un sospiro profondo. «Lo sai cosa significa questo, vero?» chiese controllando attentamente la voce. «Se davvero è stato il fratello di Loxias* a finirlo e poi è fuggito all’estero con l’aiuto di sua madre…»

«Vuol dire che dovremo andare a cercare nuove documentazioni nella mia amata madrepatria, esatto» rispose Gellert. «E vuol dire anche» aggiunse con un sorrisetto irritante, «che la tua sentimentale teoria della madre che aveva dichiarato di ucciderlo per garantire al figlio un po’ di pace era completamente campata per aria.»

«Ma questo vuol dire che abbiamo riallacciato la pista!» esclamò Albus incapace di trattenere l’eccitazione. «Significa che abbiamo trovato quel piccolo pezzo che serviva per completare il quadro del Settecento! Gellert…»

«Non ti ho ancora sentito dire “Sei un genio”, amico mio» gli fece notare Gellert con aria di rimprovero. «E ti assicuro che il mio amor proprio sta soffrendo le più crudeli torture per questo…»

«Sei un genio» mormorò Albus leggendo una seconda volta. Si girò poi allo scrittoio ed evocò un foglio su cui era stato tracciato quello che sembrava, a prima vista, un albero genealogico. «Loxias…» mormorò guardando verso il fondo della pagina. «Se è stato suo fratello con la complicità della madre a finirlo con tutte le probabilità le date che abbiamo sono esatte» mormorò appellando silenziosamente i suoi occhiali ed afferrando una penna. «Vuol dire che Hecatos** ha preso la bacchetta intorno al 1738… ma perché portarla all’estero?» chiese quasi a sé stesso. «Se aveva già ucciso il fratello…»

«Vorrei ricordare alla tua mente acuta e penetrante che Hecatos era superstizioso peggio di un Babbano nel Medioevo di fronte a una cometa» gli ricordò Gellert guardando il soffitto con un sorriso. «Con tutte le probabilità del mondo avrà visto un’ombra sulla parete il giorno dell’omicidio e si sarà convinto che le Erinni lo avrebbero perseguitato fino alla fine dei suoi giorni…»

«Oppure…» mormorò Albus con lo sguardo di chi si trova di fronte un calcolo matematico di notevole portata, «oppure per nasconderla da sua madre… dopotutto Keladeina* era stata passabile di condanna per omicidio per un motivo…»

«Già, un personaggio delizioso» commentò Gellert. «Vorrei averla conosciuta… pare che fosse una pozionista straordinaria…»

«Sei assolutamente privo di qualunque accenno di coscienza, Gellert» lo informò distrattamente Albus mentre tirava fuori altre carte e cominciava a guardarle.

Lui rise. «Almeno non mi nascondo dietro la falsa certezza di averne una» rispose sogghignando. «Almeno io sono onesto…»

«Non so di cosa tu stia parlando» rispose Albus sfogliando un grosso libro. Sospirò. «Quindi ci manca la connessione con Arcus e Livius*…»

«Sempre se prendi per buona la versione che Arcus e Livius effettivamente presero possesso della Bacchetta» ribatté Gellert incrociando le mani dietro la testa. «Personalmente credo che le fonti che abbiamo trovato fin’ora a loro carico siano abbastanza inconsistenti.»

«Hecatos… Hecatos potrà anche essere stato un superstizioso, ma a quanto sappiamo era anche un grande mago» riprese Albus scrutando con ansia febbrile le carte davanti a lui. «Chi abbiamo in questo periodo che avrebbe potuto sconfiggerlo… o imbrogliarlo?» Sbuffò, d’improvviso seccato. «Non hai notato come un oggetto che doveva essere invincibile causasse facilmente morte a chiunque lo sfiori?»

«Dimentichi la Pietra e il Mantello, Albus» lo rimproverò Gellert. «Serve la Triade per essere invincibili…»

Il ragazzo si irrigidì appena. «Non li dimentico mai, Gellert» disse piano. «Mai. Stavo solo rimarcando il fatto che nessuno dei possessori della bacchetta che abbiamo trovato fin’ora – e stiamo parlando di più di sette secoli – è morto di morte naturale, o ha perso il controllo della bacchetta in seguito a un duello.»

«Se fosse stata una questione di duelli non avrebbero perso» ribatté l’altro portandosi nuovamente il bicchiere alla bocca. Sorrise. «Sette secoli passati ad assorbire magia… riesci a immaginarlo, Albus?»

Quasi involontariamente, un sorriso si disegnò anche sulle labbra di Albus. «Otto e mezzo, Gellert. Devi ancora arrivare al nostro, di secolo.»

Di scatto, senza che nessun suono lo potesse preavvisare, Gellert era dietro di lui e gli stringeva entrambe le braccia poco sopra i gomiti. «Un potere incontenibile, non ti sembra?» Il suo fiato caldo appena sopra l’orecchio gli spedì un brivido direttamente lungo tutta la spina dorsale.

Gellert sentì i muscoli sotto le sue dita contrarsi automaticamente mentre il compagno rilasciava il più quietamente possibile il respiro. «Gellert» disse Albus pesando attentamente ogni lettera, «questo non è il modo migliore per farmi mantenere la concentrazione.»

Sentì più ancora che udire la sua risata nei capelli. «Non sottovalutarti, Albus» mormorò la voce perfetta troppo vicina al suo collo. «Hai molta più tempra di quanto non vorresti darmi a vedere…»

 

 

 

* Presunti possessori della Bacchetta di Sambuco nel corso dei secoli, secondo Le Fiabe di Beda il Bardo (maggiori informazioni qui) [N.d.A.]

** Personaggio inesistente nel Canon, inventato da me per ovvi motivi di trama. Il nome, Hecatos, è nato dal fatto che il nome del possessore della bacchetta indicato dal Canon, “Loxias” – in greco “obliquo”, “ambiguo” – era un epiteto del dio greco Apollo. “Hecatos” era un altro epiteto riferito all’Apollo “che uccide molti (con una piaga)”, e mi sembrava quindi adatto al ruolo che ho affidato a questo personaggio. [N.d.A.]

  
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