EH? Inizio a sospettare che mi
abbiano sostituito con un’altra persona. Davvero, già un aggiornamento? È anche
vero che alla fine di SEVEN sono stata presa da una spossatezza letteraria
orrenda, non riuscivo a scrivere nulla :I ora mi sto riprendendo un po’… forse.
Vabbè, sapete cosa aspettarvi, lol. Solita
lunghezza non voluta, solito stile strano a frasi corte, semplici ed efficaci
(??), solito ambiente, soliti idioti. Anche se questo capitolo non l’avevo
neanche citato negli esempi xD Peròòò
ne volevo uno che fosse adatto all’apertura di questa serie, e questo aveva a
mio parere i requisiti necessari. Per evitare che commentiate la mia mancanza
di originalità, questa fic, puntando abbastanza sulla
semplicità e il plot non troppo elaborato, vede molti fatti del libro di Harry
Potter traspostati in questa storia. Il lancio di una Ricordella,
il contrabbando di draghi e cicatrici da Anatema non dovrebbero essere cose
nuove per voi e con questa fic non miravo a ricreare
un’intera storia xD comunque, I PROSSIMI CAPITOLI.
NON SARANNO. COSI’ LUNGHI. CRIBBIO CAV—
Disclaimer: semplicemente, no.
.
How Lavi knew
about Allen’s scent
( S E V E N
)
.
Lavi si
precipita su per l’ennesima rampa, premendosi una mano sul fianco per alleviare
al meglio il dolore bruciante alla milza, e pregando ardentemente che le scale
non decidano di giocare qualche scherzo proprio ora.
Si guarda
intorno, nel buio fitto che invade il corridoio in cui è appena giunto,
cercando di distinguere dei punti di riferimento che gli confermino di essere
sulla strada giusta. Strizzando l’occhio nel tentativo di abituare la vista,
intravede finalmente l’enorme e familiare arazzo con i troll e, dopo aver
tirato un sospiro di sollievo, si lancia di nuovo in una corsa sfrenata.
Palesando
una sorprendente forza fisica di riserva, liberata dalla gioia data dal
riconoscimento dell’arazzo o forse dalla vicina presenza della loro unica
possibilità di salvezza, Allen compie un ammirabile slancio in avanti,
nonostante il respiro affannoso, e lo supera.
Mentre si sforza di raggiungerlo, Lavi lo guarda scattare freneticamente
avanti e indietro a ridosso del muro. Alla sua terza inversione di marcia, i
contorni di una stretta porta rettangolare si delineano magicamente sulla
parete precedentemente vuota. Allen non fa neanche in tempo ad aprirla
completamente che Lavi lo spintona dentro a forza, seguendolo e chiudendosi la
porta alle spalle.
La
continuata assenza di luce e l’improvvisa impossibilità di muoversi senza
sbattere contro la porta o la schiena di Allen lo lascia perplesso.
“Ma che
cazzo, Allen,” commenta faticosamente tra un ansito e l’altro, con una nota di
fastidio misto a curiosità. “Uno sgabuzzino. Ma perché.”
“Non lo so,
Lavi! Io ho solo pensato a ‘un posto dove potersi nascondere’,” risponde Allen
con agitazione, ed inizia a dimenarsi sul posto. Lavi lo sente sbattere i palmi
delle mani contro le strette pareti. “Non posso…
muovermi—grazie al cielo non siamo claustrofobici.” E si lascia mollemente
cadere all’indietro, contro il petto ancora ansante di Lavi.
Lavi emette
una specie di rantolo di sorpresa. Si appoggia a sua volta alla porta, e chiude
gli occhi – non che faccia molta differenza. “Non so, Allen, vuoi anche un
cuscino?”
“Eh, perché
no.” Allen sistema con disinvoltura la testa in una posizione più comoda,
all’altezza del suo sterno. “Il tuo petto è troppo duro qua.” E dimostra la sua
teoria picchiando qualche debole colpetto con la nuca sulla parte interessata.
In tutta
risposta, Lavi gli ficca spietatamente due dita in un fianco.
Mentre Allen
si contorce convulsamente per il solletico e la sorpresa, ridacchiando senza
fiato, il rosso sogghigna e prolunga la tortura soffiandogli nell’orecchio.
“Lavi,
basta! Che rischiamo di cadere fuori!” lo sgrida Allen, ma Lavi non gli
risponde, rimanendo fermo ad annusare più attentamente il collo dell’altro.
“Lavi… cosa stai facendo.”
Lavi non fa
troppo caso al nervosismo nella sua voce, e lo blocca rapidamente in un
abbraccio a tenaglia. A un certo punto solleva la testa e risponde sorpreso:
“Hai un buon odore!”
Anche se non
c’è alcuna luce in quello sgabuzzino, Lavi vede nella sua mente, con estrema
chiarezza, l’espressione scettica che Allen di certo indossa in quel momento.
“Capita,
quando ci si lava. Dovresti provare, sai. Una bella sensazione.”
“Haha, molto
spiritoso. Ma intendo dire che hai un odore strano addosso. Il tuo odore,
penso. Tuo tuo.
È strano, è come un incrocio tra il dolciastro e qualcosa di più fresco. Ma che
shampoo usi?”
“Stiamo
davvero avendo questa conversazione o sto solo sognando?”
“No, dai, è
buono!” ripete Lavi, stranamente stupito dalla constatazione, e rituffa il naso
nell’incavo del collo dell’altro come per accertarsene di nuovo, ignorando le
vaghe proteste sempre più nervose di Allen. “Voglio conoscere il tuo segreto.
Le ragazze vanno pazze per i buoni odori.”
“Chissà
perché, eh?” fa Allen con tono sarcastico. “Comunque non lo so, non c’ho mai
fatto ca—” Si blocca di netto alla sillaba, e il suo
corpo s’irrigidisce di scatto. Lavi sta per chiedergli cosa c’è che non va,
quando sente il rumore di passi irregolari rimbombare all’interno dello
sgabuzzino come se la persona fosse esattamente davanti alla loro porta, o
persino dentro lo sgabuzzino stesso.
La voce
baritonale di Lvellie impreca coloritamente, segnata
dalla fatica della corsa.
Lavi prega
con tutto il suo cuore che il loro inseguitore riprenda la sua perlustrazione,
e con il fiato sospeso attende di sentire i passi dell’uomo allontanarsi.
Ma quel
rumore non giunge, se non dopo qualche interminabile minuto, dopo cui Lvellie non sembra né allontanarsi né avvicinarsi.
“Aspetta
aspetta aspetta… non dirmi che conosce questo posto,”
sussurra Allen terrorizzato.
“Allen, non
lo so… Cristo… non dovrebbe essere insonorizzata questa stanza?”
chiede Lavi in un bisbiglio. “Perché lo sentiamo così bene?” Ma soprattutto, lui riesce a sentire loro? Ma questo, Lavi non lo domanda. Sa
perfettamente che Allen si sta tormentando sullo stesso dubbio.
All’esterno,
Lvellie fa avanti e indietro per il corridoio, come
se stesse riflettendo profondamente o stesse…
cercando qualcosa.
“Malcolm… cosa ci fai qui?” dice una voce all’improvviso.
Lavi non lo
credeva possibile, ma Allen riesce a schiacciarsi ancora di più contro di lui,
quasi togliendogli il fiato. Il rosso non trova le forze per spingerlo via. Nel
silenzio generale, si sente perfettamente la brusca inspirazione di Lvellie alla comparsa del nuovo arrivato.
“Potrei
chiederti la stessa cosa, Komui,” risponde aggressivo
il loro professore.
Un attimo di
silenzio, e Lavi riesce quasi a visionare lo sguardo perplesso che il professor
Lee deve avergli lanciato. “Stavo tornando dall’Ufficio del Preside.”
“E quali
affari ti avrebbero trattenuto con il Preside così a lungo da fare le due di
notte?” chiede Lvellie con un’odiosa voce viscida dal
tono sospettoso.
Un’altra
pausa. “Affari privati, direi,” gli
risponde asciutto Komui. “E quali affari avrebbero
trattenuto te in un corridoio buio
del settimo piano fino alle due di notte?”
Lvellie sbuffa sonoramente, prima di ricominciare a camminare. “Per tua
informazione, Lee, nutro la certezza
che alcuni studenti siano fuori dai loro letti e in giro per i corridoi. Alcuni
studenti della tua Casa, per inciso.”
I passi
accelerano, decelerano, si avvicinano e si allontanano in continuazione.
“E come fai
ad avere questa certezza, se posso chiedere?” lo interroga Komui
dopo un po’.
Lvellie compie altri pochi passi, e si ferma. “Come? È molto semplice, il
come,” comincia con tono mellifluo. “Poco fa ho ricevuto l’informazione da un
altro studente che questa notte si sarebbe verificata una…
gita notturna non autorizzata nei
paraggi della Torre di Astronomia. Effettivamente, quando sono andato a
controllare, ho sorpreso qualcuno. Ma sfortunatamente…
dopo un arduo inseguimento, ho perso le loro tracce in questa zona. Sospetto
che ci sia… qualcosa, vicino a questo corridoio. Non
è possibile che li abbia persi completamente all’improvviso.”
“Te l’avevo
detto,” bisbiglia Allen, iroso, “quel bastardo di Tyki
ci ha mpfhh—”
Lavi gli ostruisce prontamente la bocca con la mano per zittirlo, troppo
impaurito dall’idea che possano scoprirli. Allen soffoca quasi subito ogni
protesta, e si lascia di nuovo andare contro il suo petto.
“Mi vuoi
dire, caro Malcolm,” indaga Komui, apparentemente
sorpreso, “che non sei riuscito a fermare uno o più ragazzini che scappavano da
te nel buio quando tu invece potevi
rendere nota la tua posizione senza problemi e tentare di ostacolarli con l’uso
di incantesimi?”
Lvellie sputacchia qualcosa, ma si blocca subito. Lavi trattiene a stento
una risata.
“Inoltre,”
continua Komui, ora severo, “se uno studente te l’ha
detto ‘poco fa’ vuol dire che l’hai incontrato all’esterno dei suoi dormitori.
Spero che l’abbia messo in castigo con la stessa severità con cui intendevipunire gli altri…
fuggitivi.”
Lvellie risponde prontamente con voce composta: “Era fuori perché tentava
di sventare la fuga degli altri due, ovviamente. Scoprire quali erano i loro
piani. E riferirli a me, in futuro.”
“Non è accettabile
fare preferenze di questo genere, Malcolm,” e il tono di Komui
non ammette repliche. “Spero tu te ne renda conto. Uno studente fuori dal suo
dormitorio è uno studente fuori dal dormitorio, a prescindere dalla Casa a cui apparteniene e quali siano i suoi fini. Quindi, se mi puoi
dire il nome, provvederemo alla sua punizione.”
Lvellie si chiude per qualche secondo in un silenzio oltraggiato, per poi
tornare all’attacco. “Desidero che lei
venga con me alla Torre dei Grifondoro.”
“Per la
barba di Merlino, per quale motivo?” chiede Komui,
stupito. Di certo il cambio della persona non è passato inosservato a nessuno.
“Lei lo sa
bene! Sa chi sono i criminali in questione, signor Lee, non faccia finta di
nulla!” sbraita Lvellie, le sue parole che risuonano
macabre nel corridoio. “Deve venire con me al dormitorio dei Grifondoro perché io non conosco la parola d’ordine, e così
potremo controllare chi è fuori dal proprio letto.”
“Mi
dispiace, signor Lvellie,” risponde Komui, senza più nascondere il suo astio, “ma non verrò
alla Torre con lei. In questo
corridoio non c’è nulla di nulla, nessun nascondiglio, le posso assicurare.
Perciò gli studenti in questione, di qualsiasi Casa siano, se davvero erano in
giro, saranno tornati a dormire ormai. Mi dispiace dirle che probabilmente li
ha solo persi di vista. …Di certo non sono nascosti
qui, dietro il nostro amato arazzo di Barnaba il
Babbeo. Non le pare?” Sospira, e con un sorriso nella voce aggiunge
stancamente: “Vai a dormire anche tu, Malcolm. Si metta il cuore in pace.
Rimarrò qui io per un po’, a controllare che non passi nessuno o nessuno… esca da dietro le armature.”
Segue un
silenzio pregno di tensione, in cui Lavi e Allen tengono la bocca serrata, per
la paura che anche un solo respiro possa tradirli, e Lvellie
probabilmente lancia occhiate in cagnesco a Komui
aggrottando le sue brutte sopracciglia nella concentrazione per trovare una
scappatoia per ottenere ciò che vuole: rimanere in quel dannato corridoio a
perlustrare ogni suo singolo angolo.
Ma a quanto
pare Lvellie si arrende, perché a un certo punto lo
sentono ringhiare e picchiettare rabbiosamente un piede per terra.
“Questa
storia non finisce qui, Komui,” sentenzia
minacciosamente Lvellie, e si sente un fruscio di
vestiti che probabilmente accompagna il suo gesticolare frenetico. “Prima o poi
li metterò con le mani nel sacco, quei mocciosetti.”
“Sì, ne sono
convinto. A domani, Malcolm.”
Passano
svariati minuti, che il cuore di Lavi sfrutta famelicamente per decelerare il
suo battito, ma durante i quali sia lui che Allen sono sicuri di non sentire i
passi di entrambi gli uomini
allontanarsi. Il che significa che probabilmente Komui
è ancora vicino a loro. Seppure essere trovati dal professore di Pozioni li
spaventi molto meno rispetto all’essere beccati da Lvellie,
tutto ciò costituisce comunque un problema. Per di più, Lavi è sicuro di non
poter rimanere per tutta la notte in piedi in uno sgabuzzino, troppo stretto
persino per poter piegare le gambe.
Ma il cuore
gli finisce dritto in gola, e lo spavento gli fa girare la testa, quando la
porta della Stanza delle Necessità si apre davanti a loro, e la faccia del
professor Lee spunta nella biancastra luce della sua bacchetta.
“Beh,
buonasera, ragazzi,” commenta Komui, poco sorpreso.
Quando la porta è completamente aperta, butta un occhio all’interno. “Perché
uno sgabuzzino?” domanda perplesso.
Lavi è
ancora pietrificato sul posto, indeciso su cosa fare, se uscire o rimanere
dentro lo stanzino a fare la statua, nella speranza che Komui
non l’abbia davvero visto. Ma Komui sorride loro,
stanco ed affabile, e il suo battito cardiaco rallenta, tranquillizzato. Dato
che Allen sembra ancorato al suo posto, davanti a lui, Lavi lo spinge fuori
dalla Stanza delle Necessità, seguendolo a ruota.
“Lo chieda
ad Allen,” risponde mentre richiude la porta, lasciandosi scappare una risatina
innaturale che spera allenti la tensione – la sua in particolare, che avvolge
il suo cervello in una morsa che lo fa sentire frastornato.
Allen gli
lancia un’occhiata omicida, prima di tornare a fissare con sguardo mortificato
il professore. “Ci dispiace, professore. Ci dispiace davvero tantissimo. C’è un
motivo per tutto questo, ma… non possiamo—”
“Avete
affidato la Pianta Carnivora di Crowley al Comitato
per il Controllo delle Piante Letali.” Le parole di Komui
suonano innegabilmente come un’affermazione.
La mandibola
di Lavi quasi tocca per terra, e quella di Allen sembra sulla medesima rotta. “Come… perché…” cerca di dire
Lavi, ma lo sgomento gli impedisce di formulare una frase logica.
Il
professore ridacchia silenziosamente, grattandosi il mento sovrappensiero. “Io
e il Preside l’abbiamo scoperto poco fa. Poche cose avvengono in territorio
scolastico senza che il Preside lo scopra,” spiega, e il divertimento che mostra
alla vista delle loro facce viene quasi subito sostituito da una certa
severità. “E per quanto io e il Preside ammiriamo la vostra abnegazione verso
chiunque voi consideriate un caro amico, vi prego di non tenere segreti
problemi di questo genere, se dovesse accadere di nuovo. La Pianta Carnivora di
Crowley era sì una pianta assolutamente illegale, ma
spero abbiate ormai capito che in queste faccende… io
e il Preside siamo sempre inclini a… chiudere un
occhio, e aiutare come meglio si può.” Komui fa loro
l’occhiolino, prima di alzare la bacchetta e approfittare della loro allibita
immobilità per Disilluderli.
All’improvviso
una spiacevole sensazione di freddo gli cola dalla testa fino alla punta dei
piedi, e in un attimo, guardando giù, Lavi non riesce più a scorgere con
nitidezza le fattezze del suo corpo.
“Così
dovrebbe bastare.” Komui volta loro le spalle, e
comincia a camminare nella direzione opposta da cui è arrivato. “Questa volta
avete rischiato grosso, ragazzi. Fate in modo da non cacciarvi in un altro
guaio nell’immediato futuro. E badate a fare silenzio: Lvellie
se n’è andato con gran lentezza. Potrebbe essere ancora in giro a perlustrare
la zona.”
E detto ciò,
se ne va con devastante tranquillità.
Lavi e Allen
rimangono fermi come stoccafissi ancora per un po’, nel corridoio completamente
buio, con delle espressioni ebeti stampate in faccia.
“…Non ci credo. Credevo che questa volta sarebbe stata la
fine. Che sarei dovuto tornare a casa con Cross per sempre,” bisbiglia Allen, e
nella sua voce c’è un senso così profondo di sollievo e gratitudine verso Komui e la vita in generale che quasi Lavi si commuove.
“Sei un
pessimista, Mammoletta. Io ero sicuro che saremmo
scampati anche a questa.” E sorride all’inevitabile rimbeccata furente
dell’amico.
Il ritorno
alla Torre di Grifondoro è un successo, grazie anche
agli ottimi Incantesimi di Disillusione di Komui. Con
un po’ di insistenza da parte di Lavi e soprattutto di carinerie da parte di
Allen dirette alla Signora Grassa, questa li lascia entrare sonnacchiosa nella
Sala Comune. Una volta dentro, i due si afflosciano con poca grazia sul divano
che fronteggia il camino, le gambe sull’orlo di trasmutarsi in gelatina.
“Dobbiamo
andare a recuperare il Mantello dell’Invisibilità, in questi giorni,” commenta
Allen sfinito, guardando assentemente le ceneri della legna.
Lavi
annuisce, altrettanto privo di forze. “Ci ricorderemo…
Come diavolo abbiamo potuto dimenticarci il Mantello in cima alla Torre? È
stata una nottata terribile, tra questo e il fatto che Tyki
sapeva tutto e c’ha messo alle calcagna quell’idiota di Difesa Contro le Arti Oscure… Giuro che se l’anno prossimo non cambia ancora, me
ne vado.” Si gratta una guancia, sbuffando sonoramente più volte. “Ma perché Crowley si è procurato illegalmente una Pianta Carnivora? –
e le ha anche dato un nome, Allen, un nome!
Come puoi chiamare una… cosa che può ingoiare per
intero la tua testa ‘Rosanne’?! – Ma soprattutto,
perché poi dobbiamo occuparci sempre noi dei casini in cui si caccia lui?
Salire su quella Torre di Astronomia di nascosto per contrabbandare una Pianta
Carnivora con i parenti di Fou… Mai più.”
“Io
aggiungerei,” continua Allen, che ha chiuso momentaneamente gli occhi, “perché
non abbiamo pensato di chiedere aiuto al Preside? Avrebbe di certo dato una
mano a Crowley…”
“Già…” concorda Lavi fiaccamente, prima di impensierirsi.
“Ma Allen… Davvero, perché uno sgabuzzino? Come ti è
venuto in mente?”
Allen fa un
verso inconsulto, probabilmente di esasperazione, e alza gli occhi al cielo.
“Perché siete tutti così fissati con questo sgabuzzino?” chiede stizzito. “Ho
sbagliato, okay? Mi dispiace!”
Lavi si tira
un po’ su con la schiena, e guarda meglio Allen, con un mezzo sorriso sulle
labbra. “Non è questione di fissa, è che… con tutto
quello a cui potevi pensare come ‘posto per nascondersi’ e quello in cui la
Stanza poteva trasformarsi, è venuto fuori uno sgabuzzino. È assurdo. Devi
averlo pensato specificatamente! E quindi mi chiedo: come ti è venuto in
mente?”
Allen sprofonda il viso tra le mani, e le ciocche
di capelli bianchi gli ricadono in avanti, coprendo completamente i suoi
lineamenti.
In quel
momento, Lavi realizza che c’è qualcosa di strano e doloroso nel comportamento
di Allen, e rimpiange di essersi lasciato trasportare dalla curiosità. Sta per
dirgli di lasciar perdere, quando Allen parla.
“Non sono
sicuro del perché. In realtà io non ho pensato consciamente allo sgabuzzino.
Era più un pensiero di passaggio… Potrebbe essere per
più di un motivo,” rivela, prima di sprofondare in un momentaneo silenzio di
riflessione, in cui Lavi non fa altro che mordersi il labbro e cercare di
sputare fuori quelle due paroline, ‘lascia perdere’. Ma la sua curiosità è
sempre stata contro di lui.
“Probabilmente
è stato a causa di un ricordo che avevo… legato alla
scuola Babbana in cui andavo da piccolo,” risponde
Allen bruscamente, e Lavi non può fare a meno di notare che ha quasi sputato
fuori quelle parole, come se gli costasse un grande sforzo ammettere quella
verità.
Non sa come
rispondere. Vorrebbe ancora rimangiarsi la sua ultima domanda, ma non ci riesce
e ormai il danno è fatto, perché Allen sembra sull’orlo di una crisi di nervi,
e piuttosto imbarazzato. Vorrebbe posare una mano sulla sua spalla per
incoraggiarlo, ma ha timore di fargli un dispetto infrangendo la privata bolla
di solitudine che si è creata intorno a lui.
Non conosce
alla perfezione il passato di Allen, ma sa che non è stato uno dei migliori.
Tra i genitori e il padre adottivo morti a qualche anno di distanza gli uni
dall’altro, e infine la sua infanzia passata sotto l’ala decisamente poco
protettiva del suo tutore donnaiolo e con il vizio del gioco e dell’alcool,
Lavi comprende che non dev’essere stato facile. Ma
Allen non racconta spesso del suo passato, di Cross e della sua scuola Babbana precedente, e Lavi ha sempre evitato di indagare –
quello che emergeva era sufficiente a disegnare un quadro piuttosto preciso del
suo passato.
Ma Allen ad
un tratto, con le guance un po’ arrossate, sospira e poi riprende fiato. “È che… andavo in questa scuola Babbana,
prima di scoprire di essere un mago, no? E non era…
una bella scuola. Gli episodi di bullismo nei confronti di bambini e bambine
erano all’ordine del giorno, e i maestri se ne occupavano sì e no. C’era un
bambino, in particolare, che era… un maiale. Nel
senso che aveva proprio la faccia da maiale, davvero, era una palla di lardo
con la faccia schiacciata di un barboncino e il naso—sono serio, Lavi!” ribatte
concitato alla risata divertita di Lavi, ma con un mezzo sorriso sulle labbra
che fa capire a Lavi di aver reagito nella maniera giusta. “Era un bambino
orrendo. E ovviamente era il bullo numero uno della scuola. Non aiutava il
fatto che facesse Judo già a quell’età.”
“Ahi,”
intercala Lavi con una smorfia di sofferta comprensione.
“Già, ma grazie
al cielo era negato. Comunque, io ero tra i bambini più gettonati su cui fare
del bullismo. Ero piccolo, gracilino, avevo i capelli inspiegabilmente bianchi
e quest’odiosa cicatrice sulla faccia.” Allen si passa assentemente un dito
sulla lunga cicatrice rossa che gli percorre il lato sinistro del viso, e a
Lavi viene voglia di dargli uno spintone e rivelargli con entusiasmo che quella
cicatrice è la cosa più cool
che abbia visto in faccia a qualcuno, ma evita. “Non ero famoso come lo sono
nel mondo dei maghi. E nei primi anni di scuola…
avevo davvero paura. La prima volta, quando avevo reagito ai suoi insulti, mi
ero ritrovato con un labbro sanguinante e un dolore lancinante allo stomaco, e
per di più chiuso a chiave nel bagno delle femmine. Abbastanza imbarazzante.
Perciò ho passato i miei primi anni di scuola a scappare da quel tizio e i suoi
compari, con la coda tra le gambe.” Allen pronuncia le ultime parole con un
tale disprezzo che Lavi questa volta gli dà davvero un spintone.
“Allen, eri
un bambino di quanti, sette o otto anni? È perfettamente comprensibile,” gli
dice Lavi, ma con suo dispiacere Allen si esibisce in una smorfia di vergogna.
“Sì, ma ero
terrorizzato da lui, e schifato dal modo in cui mi faceva sentire. Ma comunque,
in tutta questa vicenda, ogni tanto succedevano cose strane. Quando quel
bambino e i suoi amichetti mi inseguivano, decisi a darmi una lezione, io
scappavo da loro e, non sapevo come, spesso ad un tratto mi ritrovavo in un
ripostiglio. Si trovava in un’ala poco utilizzata della scuola, uno stanzino di
cui non molti ricordavano l’esistenza, ed era piccolo, stretto, buio e
puzzolente, ma allora ero così piccolo che sarei potuto stare in un armadietto
senza problemi, e così impaurito che avrei sopportato di tutto. Mi ci ritrovavo
sempre per caso, e allora giustificavo quella confusione con il panico che
provavo in quei momenti – ora so che la faccenda era un po’ diversa, haha.” Allen si porta le ginocchia al petto, allacciando le
dita sopra gli stinchi. “Quando questa notte… sentivo
i passi di Lvellie dietro di noi, mi sono tornati
alla mente quei giorni, e la paura che provavo allora – forse anche alimentata
dal terrore dell’espulsione e dall’idea di dover fare eventualmente ritorno in
quel paese orrendo, a vivere con Cross tutti i giorni della mia vita e dover
sopportare le versioni cresciute di quegli stupidi ragazzini.”
Lavi lo
guarda con rimorso. “Mi dispiace, Allen… Non volevo
farti ricordare certe cose.”
E Allen,
sorprendentemente, gli sorride, con apparente leggerezza. “Oh, ma non è un
ricordo così tremendo.”
Lavi lo
squadra, critico. “Cosa sei, masochista?”
Il più
giovane ridacchia, e poggia una guancia sulle ginocchia, guardando il suo
amico, divertito. “Non esattamente. Il fatto è che un giorno come tanti, quel
bambino decise di infastidire una bambina con un problema alla gamba. Non
camminava bene, forse, non ricordo. E io sono andato a difenderla. E quel
giorno la magia, invece che farmi Materializzare dentro un orrendo sgabuzzino,
si ritorse contro il bambino e gli altri. Devo confessarlo,” conclude Allen con
un sorrisetto di soddisfazione, che Lavi ricambia con un accenno di risata,
“non ho mai visto code di maiale così lunghe e arricciate in vita mia. Un bel
ricordo.”
“Questo però
non spiega perché sentissimo tutto come se la porta fosse fatta di carta,”
medita il rosso, ancora ridacchiando.
Allen
scrolla le spalle. “Forse sempre per lo stesso motivo. Dalla porta del
ripostiglio stavo sempre ad ascoltare se arrivassero i passi di qualcuno, per
sapere quando potevo uscire o meno.”
Lavi
annuisce, sufficientemente convinto da questa teoria. “Comunque non credo che
ci sentissero dall’altra parte. Ma… l’altro motivo
che avevi mente per spiegare tutto questo?”
Con suo
stupore, la faccia del suo amico avvampa prontamente di rosso a quelle parole.
“Beh, no… non era un’idea seria, solo un vago sospetto…” spiega, con ovvia reticenza.
Lavi lo
osserva di sottecchi per un attimo, prima di decidere che non vale la pena
stressare ancora Allen – anche se quel rossore apparentemente immotivato lo
incuriosisce abbastanza.
“Sai,
Allen,” constata, divertito, “sei davvero cambiato da quando ti ho conosciuto.”
Allen si
acciglia, e gli indirizza uno sguardo interrogativo. “In bene o in male?”
“In bene,
direi,” ride Lavi. “Ma non è che se non fossi cambiato, ora non mi piaceresti.
È solo che… in prima eri così…
riservato e timido. Era come se non fossi disposto ad aprirti con le persone,
come se avessi paura del contatto umano. Cosa che di per sé riesco a capire, da
quello che so di te su quegli anni. Ma era…
profondamente frustrante, ecco, credere che quel te di allora fosse solo un
guscio di solitudine in cui ti nascondevi e da cui sembrava impossibile tirarti
fuori; pensare che ci fosse altro, ma che tu non volevi mostrare a nessuno
altro che quella facciata gentile e distaccata.”
Allen
nasconde rapidamente la faccia tra le ginocchia, ma Lavi sorride,
riconoscendolo come un peculiare segno di imbarazzo. “Mi conosci bene, Lavi.
Troppo bene… penso che ora dovrò ucciderti.”
“Sì, certo.
È da cose come questa che si capisce che sei cambiato. Ora sei molto più
estroverso: fai amicizia facilmente con chiunque, sei sarcastico quasi quanto
me – e questo è dire qualcosa – ma a differenza di me forse tu sai quando è il
caso di usarlo, quel sarcasmo, o meno. E poi… sembra
che tu non ti senta più in dovere di essere gentile con tutti per essere
apprezzato, che puoi anche mostrati per quello che sei. Con tutta la dose di
ironia annessa e… quella tua fastidiosa tendenza
all’autodistruzione. Perché mi chiedo quando capirai che scherzare davanti a Kanda è come fare il trapezista su un burrone.”
L’amico
sbuffa rumorosamente, lanciando alla cieca un cuscino addosso a Lavi, che manca
spaventosamente il bersaglio.
Lavi ride e
risponde con un’ulteriore cuscinata, prima di continuare, con un affetto nella
voce che gli imbarazza un po’ mostrare: “Però si vedeva già allora…
che eri una persona speciale. Sin da quando hai salvato la Ricordella
di Rou Fa dalle grinfie di Road, da quando hai difeso
Lenalee dai dispetti di Tyki
e Skin, e tutti quegli altri tuoi atti da eroico
pazzo scriteriato che la gente non si aspetterebbe di veder compiere da un
bambino di undici anni. Era stupefacente vedere la determinazione di questo… tappetto, un moccioso
alto un metro e un Boccino,” – “Lavi!” – “che si ribellava contro ogni male e
ingiustizia!” Lavi guarda il tappeto rosso consulto dai piedi di migliaia di Grifondoro passati davanti a quel camino, e aggiunge in un
sussurro: “Eri un bimbetto pelle e ossa, ed già eri un Grifondoro
più di quanto lo fossero tutti i Grifondoro di allora
messi assieme.”
Allen alza
lentamente la testa e, quando lo guarda, Lavi pensa che sia sull’orlo delle
lacrime. Ma dev’essere un abbaglio, perché un secondo
dopo quelle lacrime sembrano sparite. Allen sospira pesantemente e ricaccia la
testa tra le ginocchia con fare inspiegabilmente scoraggiato. “Oh, merda,” dice soltanto.
“Cosa?”
Allen mugola
un ‘Niente, Lavi’, e scuote la testa tra le braccia.
Lavi sente
l’improvviso, acuto bisogno di dire qualcosa, perché ha la spiacevole
sensazione che qualcosa non vada con Allen e l’unica cosa che gli viene in
mente per sollevargli il morale – sempre che quello sia il problema – è
atterrare in territorio neutro. “Non mi hai detto che shampoo usi!”
Allen si
passa una mano sugli occhi e se li stropiccia vigorosamente. “Perché non c’ho
mai fatto caso, Lavi. Non ho idea di che shampoo usi, te lo posso anche
prestare.”
“Dicono che
la gente che mangia molti dolci tende ad avere un odore della pelle più dolce.
E che di solito queste persone usano profumi più freschi per compensare,” lo
informa Lavi. “Probabilmente il tuo shampoo è alla menta, o qualcosa del
genere. Forse dovrei iniziare anche io a mangiare tanti dolci quanti ne mangi
tu.”
Allen gli
rivolge un sorrisetto malizioso. “Non penso che il tuo fisico sopporterebbe la
quantità di dolci che io ingerisco.”
“Se non
provo non posso saperlo,” precisa Lavi, anche se in cuor suo sa che quella è la
dura realtà. Il metabolismo di Allen è una cosa dell’altro mondo.
Il giovane
sospira, facendo spallucce. “Beh, dimmelo quando devo prenotarti un
appuntamento dal dietologo.”
Lavi ride di
gusto. “E dopo queste conversazioni profonde, dovremmo abbracciarci e passare
ad altri argomenti frivoli quali il nuovo esotico taglio di capelli di Fou o i monotoni fermacapelli di Kanda.”
E in un impeto di vivacità, spalanca le braccia davanti a lui.
Allen lo
guarda con sconcerto. Lavi ride di nuovo, alzando le mani in segno di arresa.
“Okay, okay, niente abbraccio. Siamo ragazzi pieni di virilità. Ma sui
fermacapelli di Kanda c’è molto da dire.”
L’altro
scuote la testa rassegnato, ma il sorriso affettuoso che non riesce a
trattenere la dice lunga. Si alza lentamente dal divano, e si liscia i
pantaloni disinvoltamente. “Ne sono certo, ma io penso di voler andare a
dormire. Tu che fai?”
Lavi lascia
cadere la testa all’indietro e fissa il soffitto, studiandone le crepe e le
inspiegabili macchie e intaccature. “Penso che starò un attimo qui, a fissare
il soffitto. Virilmente.”
Allen grugnisce
qualcosa di incomprensibile, e gira sui tacchi, diretto al dormitorio maschile.
“Ehi,
Allen?”
Il ragazzo
si ferma, e si volta con faccia assonnata verso l’amico.
Lavi
inspira, e alza un po’ la testa dal divano, per guardare Allen negli occhi. “So
che può sembrare un po’ smielato, ma… penso che tu
sia il migliore amico che mi potesse capitare nella mia vita.”
E dopo i
primi secondi in cui rimane innegabilmente spiazzato dalla sua sincerità, per
la prima volta Allen gli mostra quel
sorriso, il sorriso che due anni più tardi Lavi imparerà a riconoscere e ad odiare, perché saturo di una felicità
mista a un’inspiegabile tristezza che lui non saprà come cancellare per molto
tempo.
Ma Lavi
ancora non ci fa caso, e nel suo stato assonnato non nota minimamente la
differenza.
“E tu lo sei
per me, Lavi,” risponde Allen, prima di scomparire su per la rampa di scale.
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E fu così,
in quella lunga notte primaverile del suo quinto anno a Hogwarts,
che Lavi venne a conoscenza del particolare odore di Allen.
Ma la cosa
davvero divertente?
Fu così, in
quella lunga notte primaverile del suo terzo anno a Hogwarts,
che Allen capì di essersi irrimediabilmente innamorato di Lavi.
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.
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.
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Buondì! So che probabilmente
questo capitolo non è piaciuto molto, a me l’ultima discussione tra loro due fa
stracagare, ma come al solito non riesco a riparare.
Cioè, boh çWç Che ppalle, madò.
Eniuei, mi serviva una cosa relativamente soft per
iniziare, una cosa che rappresentasse un po’ il quadro generale della vita di
Lavi e Allen a Hogwarts (e sì, questo quadro è
composto da molte esperienze quasi terminate con un’espulsione LOL)
Fatemi sapere se avete apprezzato, ci terrei molto :D (mi sa cheee il prossimo sarà quello con Bak
e Fou. E ovviamente implicito quasi-Laven
per contorno).
(E per la cronaca, sì, Allen è cresciuto parecchio all’alba del quinto anno, ma
così Lavi, quindi la differenza di altezza è diminuita ma non troppo, lol.) (E per la cronaca due, no, non ho idea di come Komui e il preside abbiano scoperto del contrabbando di
piante carnivore. Mettetevi il cuore in pace, perché non lo saprete mai, né voi
né io.) (E per la cronaca tre, avete capito qual era la seconda ipotesi di
Allen sulla creazione dell sgabuzzino? Un aiutino lo
trovate nell’ultima frase del capitolo ;D )