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Autore: LadyKo e Setsuka    28/09/2011    7 recensioni
Non c’era più esitazione, osservò la sua casa diventare rossa di fiamme, illuminando la notte, ne sentì il calore sulla pelle. Per un momento gli parve che anche il metallo lo percepisse, si lamentasse stridendo e sferragliando contro di lui. Il peso sulle sue spalle oscillò, divenne ferro.
Alphonse era accanto a lui, reciso come lui da tutto ciò che era stato, lacerato. Gli si strinse la gola, deglutì, pronto ad intraprendere il suo viaggio insieme alla sua colpa e all’ultimo frammento della sua famiglia.
“Al, andiamo”.
L’ultimo sguardo che gettò sulla sua casa, prima di voltarsi, aveva bruciato e consumato anche i suoi occhi. Quelli che puntò sulla strada erano occhi nuovi, che non aveva mai avuto, e che avrebbero visto cose che ancora stentava ad immaginare.

( Fanfiction che romanza l'anime e il manga di FullMetal Alchemist dedicata a tutto il Fandom. Per delucidazioni, leggete la nota introduttiva alla saga nel primo capitolo ).
{ Multipairing + Fanservice, su coppie Canon, Fanon e Crack }.
Genere: Avventura, Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai | Personaggi: Un po' tutti
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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2 - Ready Steady never look back, let's get started ready steady go!

 

Le Cronache di Amestris

 


 .2.

Ready steady never look back, let's get started ready steady go!  

 





"DANNAZIONE! GUARDA TE COSA CI DOVEVA CAPITARE!".

La gente che affollava la stazione si voltò verso lo strano ragazzino dai capelli biondi che, tutto ad un tratto, si era messo a lamentarsi con voce decisamente più grossa di lui.

"Quello stronzo di un bandito proprio sul mio treno si doveva trovare? Voler arrivare a Central tranquillamente era forse chiedere troppo?! QUEL MALEDETTO BASTARDO!".

Le persone erano così agghiacciate da quella vista da dileguarsi più in fretta di quanto dovevano, da coprire le orecchie dei bambini con i palmi delle mani, da chiedersi com’è che si permettesse a certi teppisti di andarsene in giro come se niente fosse a sbraitare come ossessi.

Edward Elric veniva dalla campagna, dove puoi urlare e strillare ai campi sterminati grida di guerra infantili senza che nessuno venga a reclamare e, pur avendo conosciuto la civiltà diverse volte, non riusciva ad abituarsi all’idea che potesse essere diversamente.

Il bandito in questione era ancora agonizzante poco lontano da lui -e doveva essere un suo complice secondo la versione che era girata tra i viaggiatori della stazione- ma, in realtà, lo strano tizio in armatura che si portava appresso era riuscito a malapena ad impedire che il teppista biondo lo uccidesse a suon di cazzotti e intanto, avanzando, non poteva che scusarsi con i passanti e con i curiosi che non mancavano di lanciare occhiate di curiosità o rimprovero a quel rumoroso ragazzino. Se Alphonse avesse avuto ancora un volto, avrebbe mostrato un acceso rossore dalle orecchie alla base del collo, un rosso che avrebbe ricordato la mantella che il fratello maggiore -di età, non d'altezza- indossava.

"Fratellone, per favore, abbassa la voce, tra poco dovremmo incontrare...", non fece in tempo a concludere la frase che il fratello gli rispose con la stessa grazia di un caimano affamato e davvero incazzato.

"Chi? Quel militare spocchioso da quattro soldi? SAI COSA DIAVOLO ME NE IMPORTA!".

Camminò in avanti, in una specie di passaggio privilegiato che la folla aveva loro volentieri concesso.

"Dov’è piuttosto? Scommetto che è in ritardo!". Su di giri com’era l’ultima cosa che gli serviva era dover aspettare.

"Non arriverei mai in ritardo a un appuntamento con una signorina", disse una voce alle spalle dei due fratelli.

"Signore, sono Edward e Alphonse Elric", corresse inutilmente una voce femminile ma dura.

"Ops... temo di essermi sbagliato. E' che non avevo mai visto prima d'ora maschi con trecce e mantelline da cappuccetto rosso con tali crisi di nervi".

Alphonse sarebbe sbiancato se avesse potuto. L'uomo che aveva pronunciato quelle parole probabilmente sarebbe stato un uomo morto.

Edward si voltò verso i nuovi arrivati, emanando fumo come una ciminiera. Non si poteva dire che lo avesse già incontrato prima, ma riconobbe quella voce come quella dell’uomo che l’aveva sfidato. Beh, non era proprio così che era andata, ma non era riuscito a pensare il contrario da che aveva ricordo di lui.

"Oh beh, mi scusi se ho il dannato diritto di agghindarmi come mi pare, signor Tenente dei miei stivali!" rispose, trattenendosi, evitando di portare il conflitto su un piano fisico.

Alphonse agitato muoveva le mani in difesa. "Lo scusi la prego, lo scusi".

Roy Mustang invece se la rise della grossa. "Colonnello, ragazzino. Colonnello. Mentre tu in questo anno dormivi in campagna il sottoscritto ha fatto carriera".

"E leccando il culo di chi?".

Al si preoccupò. Persino la composta Riza Hawkeye si preoccupò. Roy Mustang però scoppiò -nuovamente- a ridere.

Quel ragazzino che vegetava sulla sedia a rotelle aveva davvero degli occhi che ardevano come il fuoco e il suo carattere non era da meno; Mustang era soddisfatto di ciò, le sue aspettative non erano state deluse. Era sollevato nel vederlo urlare e muoversi, era passato un anno e quel ragazzino era quasi irriconoscibile: si muoveva bene, sembrava a suo agio con quelle che dovevano esser protesi, i suoi capelli erano diventati più lunghi, la sua persona -per quanto volgare- era notevolmente vivace.

Ora sì che viveva.

Notò la polizia militare portare via il terrorista del treno. Nonostante i suoi undici anni il bimbo si era fatto valere, aveva della stoffa.

Edward fu irritato dall’assenza di risposta da parte sua, e lo guardò ridere con i denti stretti e l’intenzione di fulminarlo a morte, se avesse potuto. Vedendolo meglio non pensò nulla in particolare di lui, a parte che, a causa sua, le sue presunte crisi di nervi sarebbero aumentate a dismisura. Era un tipo passionale, lui, e testardo come un mulo riguardo i suoi giudizi sulle persone. A Roy Mustang doveva gratitudine, ed il solo fatto di essere in debito con lui lo rendeva una persona cui avrebbe dovuto portare rispetto, pur non meritandoselo, ed era una cosa che lo irritava in maniera insopportabile. Come il latte, o come la chiave inglese di Winry prima che gli fosse lanciata addosso -e lì era solo terrore-.

Quelle prime associazioni mentali, sostanzialmente, lo spinsero a mantenere un atteggiamento spazientito ma civile.

"Cosa c’è, non risponde perché ho colto nel segno, per caso?", domandò, sorridendo e parlando con tono insinuante.

"Avrai modo per vedere le mie qualità, Elric. Piuttosto non ti ricordavo così rumoroso".

Al chinò il capo, ricordando la triste condizione di Edward fino a un anno prima.

Roy Mustang fece quel sorriso sghembo con cui si era congedato al loro primo incontro, quell'irritantissimo sorriso che fece venir voglia a Ed di insultarlo, ma il neo-promosso Colonnello non gli permise di aggiungere nulla, doveva prima mettere il punto a quella frase.

"...sono contento però di vedere questo tuo lato".

"Tsk! Contento lei!", lo apostrofò, sarcastico.

"ROOOOOOOOY!".

Sentirono dei passi di qualcuno che correva, in affanno, che si dirigeva verso di loro. Bastarono pochi passi prima che un uomo con occhiali ed una leggera barba nera a bordo mento si frapponesse tra loro, riprendendo fiato con le mani sulle ginocchia.

"Ciao Roy!", salutò, sventolando la mano con un'inspiegabile espressione idiota.

Si voltò quasi subito, inquadrando gli Elric con un’aggiustata di lente, e sbottò: "OH RAGAZZI! MI AVETE SALVATO LA VITA!", abbracciò Edward, sfregando la guancia sulla sua in su e giù, con la barba che pungeva in maniera fastidiosa.

Edward rimase imbambolato per un po', sopportando l'amara tortura, prima di chiedere: "Chi diavolo è lei?!", fissando un Colonnello esasperato.

Riza Hawkeye fece il saluto militare all'uomo, algida e formale come sempre.

"Maggiore Hughes, signore, è un piacere rivederla".

"Hughes, non dovresti essere dalla polizia militare a fare rapporto?". A Mustang non faceva così piacere rivederlo, soprattutto perché erano ormai quattro mesi che non faceva che parlare di un solo ed unico argomento.

"Come, come, come? Scherzi? Devo sbrigarmi a raggiungere la mia dolce Glacier… oh, dovreste vederla! È incinta sapete?" disse, rivolgendosi agli Elric.

"Col pancione è così bella che quasi mi abbaglia!" decantò, staccandosi dal malcapitato Edward e improvvisando dei gesti incomprensibili che, ad occhio e croce, sarebbero dovuti essere aggraziati.

"Volete vederla? Ho delle foto di una settimana fa… adesso sarà anche meglio. Guardate, qui è Glacier che sorride. Qui è Glacier mentre cucina. Qui è Glacier mentre annaffia le piante. Qui è Glacier mentre dorme. Qui è Glacier con i gatti del vicinato. Qui è Glacier mentre è in bag-…".

“BASTA!" urlarono tutti in coro, chi coprendosi gli occhi, chi un po’ più interessato.

"Oh beh, scusate se volevo condividere la gioia che avrò di diventare padre!".

"Maggiore Hughes, mi permetta..."

Riza Hawkeye, promossa al grado di Tenente, si fece avanti e si sciolse dalla rigidità militare che ormai era diventata parte integrante della sua personalità. Persino Mustang, che la conosceva meglio di chiunque altro, si sorprese nel sentirla alzare la voce con un suo superiore.

"...i bambini non nascono al quarto mese di gravidanza!".

Hughes si gettò a terra, in una posa drammatica, mordendo il lembo di un fazzoletto bianco come una delicata donzella ferita profondamente nei suoi sentimenti. Cominciò a lamentarsi con battute del genere 'Non mi tratti male, sono sensibile io!'.

Hawkeye in tutta risposta sbuffò, per niente mossa a pietà e chiedendosi cosa avesse detto di così atroce da spingerlo a quella pagliacciata, ma decise solo di scuotere la testa e non aggiungere altro.

Gli Elric avevano fissato lo svolgersi della scena senza dire niente, un po’ perplessi.

"Che cosa intendeva dicendo che le abbiamo salvato la vita?".

"Ero su quel treno! Oh, ragazzi, come avrei fatto senza di voi? Come avrebbe fatto la mia Glacier senza di me? Cosa avrebbe fatto il mio bambino senza di me? Cosa avrebbe fatto Roy senza di me?", elencò, sulla punta delle dita.

"Magari io e Glacier saremmo potuti vivere tranquillamente, felici e insieme", buttò lì il Colonnello senza pensarci troppo, guardando nella direzione in cui avevano lasciato la loro auto.

"Sei crudele, ueee" si lamentò con voce infantile ma l'altro lo ignorò totalmente e si rivolse alla donna.

"Tenente, faccia strada ai ragazzi. Ci dirigiamo al Quartier Generale dove darò loro le disposizioni per sostenere l'esame di Alchimisti di Stato".

"Sissignore" rispose, facendo un saluto militare appena accennato, dirigendosi nel punto verso il quale il Colonnello aveva guardato poco prima. Fece segno agli Elric di seguirla, che obbedirono senza far storie. Edward, in particolare, era stato tanto agghiacciato dal comportamento di quel tale Maggiore da dimenticare qualunque cosa lo avesse fatto infuriare poco prima. Si volse soltanto un momento verso i due uomini rimasti indietro, che parlottavano tra loro.

Roy Mustang… chissà se ci si poteva fidare davvero di lui.

 

 

 

*

 

 

Cara Winry,
Come vedi ti sto scrivendo come avevi chiesto, perciò puoi anche smetterla di tirare freccette alla mia foto appesa in camera tua. Scherzo, posa quella chiave inglese.
Siamo arrivati a Central city ieri, ed ora siamo ospiti da un tale Tucker che ci aiuterà nello studio.
La città è grande e credo ti piacerebbe, ma non abbiamo avuto tempo di andarcene in giro a rilassarci quindi potrei sbagliarmi.
Abbiamo conosciuto un tale Maggiore, Maes Hughes, che a quanto ho capito ci starà sempre tra i piedi per i prossimi mesi. È un esaltato, ha urlato e saltellato per tutta la stazione di Central City sputando cavolate, quindi non so bene come dovremo trattarlo da ora in poi.
Ce la faremo sicuramente, quindi non ti devi preoccupare… siamo intesi? 

*

 

 

"Che ne pensi del mio nuovo ufficio, Maes? Tutto per me!".

Ora che il Tenente non c'era il Colonnello poteva rilassarsi, pensare che era lontano dal suo lavoro, da quelle noiosissime carte burocratiche, dalle scartoffie che avrebbe volentieri incenerito. Un giorno probabilmente l'avrebbe fatto.

"Penso che tra poco sarà così pieno di carte che non potrai neanche vedere il pavimento", rispose Hughes, accomodandosi sul divano.

"Conservo con cura per questo i miei guanti nel primo cassetto della scrivania. Le promozioni sanno essere davvero noiose, preferirei essere ancora un ragazzino che sta per sostenere l'esame per diventare Alchimista di Stato".

Accavallò le gambe e poggiò sul dorso delle mani il mento guardando il suo interlocutore curioso.

"Piuttosto... come procede lo studio dei fratelli Elric?".

"Studiano diligentemente, imparano in fretta, per quanto ne posso capire. Quell’Edward, in particolare sembra molto motivato. Credo che la situazione del fratello lo preoccupi molto… ma hanno anche dei momenti di svago. Qualche volta giocano con la figlia di Tucker… è un amore sai? Ma piuttosto, ti ho parlato di come sta Glacier?".

"Me ne hai parlato mezz'ora fa per telefono Maes, mezz'ora fa", Roy Mustang era un uomo paziente, di modi pacati, rilassati, ma... Hughes gli faceva andare il sangue al cervello, venuzze pulsavano sulle sue tempie quando l'uomo entrava in modalità monotematica.

"Oh beh, scusa tanto allora!"

Maes si mostrò a metà tra l'imbronciato e l'ironico.

"Comunque, anche se dotati, non capisco come ti sia venuto in mente di proporre loro di tentare un esame di quella difficoltà".

Il volto di Roy si accigliò mentre lo rivolgeva alla finestra alle sue spalle.

"Avevano... bisogno di una seconda possibilità".

Maes sospirò. "Hanno infranto un grande tabù, non è così?".

Roy annuì. Aprì un cassetto e prese dei fascicoli voluminosi passandoli a Maes. "Portali agli Elric."

"D'accordo. Vorrei poterti dire che ti porterò i ringraziamenti di Edward, ma sappiamo entrambi che non sarà così. O, almeno, non saranno solo quelli".

"Non voglio alcun ringraziamento, per cui non dire niente su questi documenti. In fondo non sono altro che le varie procedure sullo svolgimento dell'esame e sui testi da cui vengono prese le domande, prima o poi qualcuno gliel'avrebbe consegnate".

Non era vero ma preferì convincere Maes -con la sua espressione stoica- che era così.

"Meglio così, anche se quel ragazzo sente di doverteli... in una maniera tutta sua. E, comunque, il fatto che tu ti giustifichi con me sul contenuto dei documenti è sospetto", insinuò, non per niente era un uomo della sezione investigativa.

"Sospetto? Di che parli Hughes?".

"Ma niente...", cominciò, sorridendo e sventolando il fascicolo con i documenti al suo indirizzo, “Mi sembra solo strano che tu non approfitti della situazione per burlarti di lui. Mi sembrava che lo trovassi molto divertente".

"Non ci trovo nulla di divertente nel burlarmi di un moccioso e poi... è rumoroso", concluse spiccio per poi guardare l'orologio alla parete, l'accessorio che più amava ed odiava in quella stanza.

"Ho ancora dieci minuti prima che Hawkeye ritorni, quindi, se non ti dispiace, togli il disturbo...", prese la sua agenda e aprì una pagina a caso, lettera J.

"Josephine... da quanto tempo non la sento. Credo proprio che la chiamerò".

Maes fece spallucce, pensando di chiedergli quand'è che si sarebbe sistemato. Ma decise di rimanere zitto di fronte al sorriso ostentato che Roy mostrava stando al telefono. Uscì dalla porta con un cenno di due dita.

 

 

*

 

 

Cara Winry,
L’estate di Central City è terribile, e sto morendo di caldo. Ma gli studi procedono comunque, anche se ultimamente perdiamo molto più tempo a giocare di quanto facevamo prima.
Con noi c’è Nina, la figlia del Signor Tucker, ed il suo gigantesco cane Alexander, è con lei passiamo i nostri momenti di svago. E' una bambina impertinente ma credo ormai di considerarla una presenza indispensabile. Ama giocare a palla, mentre Alexander preferisce decisamente saltarmi addosso e schiacciarmi, per la maggior parte del tempo.
Intanto Roy Mustang ci controlla attraverso il Maggiore Hughes.
Roy Mustang è un pomposo deficiente, ma ci ha aiutati, quindi temo di non poter dire del tutto peste e corna di lui. È diventato Colonnello. Sembra trovi molto divertente prendermi in giro, ma sopporterò. Anche sé, in realtà, non ci è mai stato troppo intorno, si limita soltanto a mandarci documenti e procedure attraverso il Signor Hughes, che invece ci sta sempre intorno... quindi credo che in qualche modo voglia controllarci, tenerci sott’occhio.
Raccomandare dei ragazzini come noi per un esame di quella portata è stato rischioso, quindi teme che, alla fine falliremo.
Ma si sbaglia di grosso.

 

 

* 


 

Nina era una bambina deliziosa. Questo pensava Al mentre gli annodava i capelli per dar forma a una treccia, avrebbe avuto una faccia paonazza dal buonumore se avesse avuto ancora un corpo, perché quella bambina col suo cane erano adorabili, incoraggiavano i due fratelli e giocavano con loro scavando inconsapevolmente nella loro infanzia, tirando fuori giochi e umori che credevano di aver bruciano insieme alla loro casa. Invece quell'angioletto da grandi occhi azzurri e i lunghi capelli color castagna aveva saputo fare un miracolo e Al non poteva ringraziarla abbastanza per i sorrisi che aveva strappato a suo fratello; ogni volta che lo vedeva spensierato, sorridente, aveva quasi la sensazione di provare calore, come se si accendesse qualcosa, come se potesse riabbracciare l'umanità che per lui non aveva più né forma né consistenza.

Mai in quei giorni aveva pensato a quanto fosse importante il sorriso di Ed, mai si era sentito più frustrato per il fatto che lui non avrebbe potuto sostenere l'esame, però non poteva che studiare anche lui incoraggiandolo e aiutandolo anche se si era accorto da un po' che il fratello non aveva bisogno del suo aiuto: Ed era un genio. Riusciva persino a fare trasmutazioni senza cerchio alchemico e, se così era, allora non poteva essere che una mente geniale.

"Lo sai che sei davvero bravo a fare le trecce!", Nina era entusiasta della treccia che aveva appena finito di farle e chiuso con un elastico rosa, la teneva in mano guardandola tutta sorridente perché quel ragazzone era persino più bravo del suo papà nell'acconciare i capelli.

"Ho fatto pratica su Ed, come vedi anche lui porta la treccia come te".

"Ma perché? Le trecce sono da bambine. Sei una bambina Ed?".

Edward, immobile alla scrivania di fronte ad un foglio bianco, non dette segno di aver visto suo fratello che lo indicava.

Era immerso nei suoi pensieri, leggendoli come sulla carta stampata -solo leggendo, infatti, poteva raggiungere quel grado di concentrazione-. Il Signor Tucker… più ci pensava, più si convinceva di aver intravisto qualcosa di storto. Un sospetto lieve e martellante, che gli impediva di concentrarsi nello studio e spesso di divertirsi nei giochi con la piccola Nina. Tutto sommato, soltanto un gran fastidio. Eppure quell’uomo aveva creato la prima chimera parlante, e tutto ciò che quel portento della genetica era stato in grado di dire prima di morire era ‘Voglio morire’.

Ci pensava da giorni, a fasi alterne. Osservava di traverso il nervosismo vibrante del padrone di casa, lo rivedeva sulle pagine dei suoi libri mentre studiava. Quando aveva raccontato la sua storia e dell'imminente verifica del suo titolo di Alchimista di Stato, con le mani giunte ed un pallore innaturale sulle guancie scavate, gli era parso instabile, inaffidabile. Si prese la testa tra le mani, puntando i gomiti sulla superficie di legno, mugolando.

Era lì per imparare, e sentiva di non voler imparare nulla da quell’uomo.

"Che sta facendo?", indagò Nina guardando oltre le sue spalle in direzione della scrivania.

"Credo che stia formulando qualche frase ad effetto per la lettera a Winry", rispose in tono allegro Al mentre chiudeva la seconda treccia alla bambina, in un batter d'occhio saltò giù dallo sgabello e trotterellò verso Ed ricurvo su un foglio bianco.

"Chi è Winry? La tua ragazza?", Cinguettò cercando di far forza sulle braccia per raggiungere il piano della scrivania, come se potesse leggere e carpire i segreti del ragazzo.

Quella domanda scalfì la sua autistica concentrazione.

Si voltò verso Nina, stralunato e sbattendo un po' gli occhi, metabolizzando quelle parole.

"Che? Cosa?! Ma che ti salta in mente?".

Il rossore saliva sulle sue guancie man mano che inventava scuse e gesticolava, accalorato.

La reazione del biondo divertì la piccola e l'eccitazione nell'aria fece abbaiare Alexander in camera con loro, che iniziò a zampettare agitato per il piccolo spazio della camera degli ospiti, la calma -mista però a un pizzico di divertimento- di Al riuscì a ricomporre la situazione in uno stato di pace mentre accarezzava il testone di Alexander che era ritornato a sdraiarsi sul pavimento.

"Winry è una nostra carissima amica Nina, è... è... come una sorella, sì, la nostra sorellona", la sorella che non avevano mai avuto.

"Ohhhh...". La parola 'sorellona' emozionò la bimba che strinse i pugni immaginandosi buffamente la ragazza più grande dei due fratelli.

"È più alta di te Ed?"

"CERTO CHE N-...", si bloccò appena in tempo. Si era alzato di scatto, perciò si rimise a sedere, composto e funereo.

"In effetti... sì", sussurrò, cercando di non farsi sentire, voltandosi dall'altra parte.

Ma Nina ci sentiva bene e con quel caratteristico sadismo infantile rise sopra alla tragedia personale di Ed, ma Al di certo non fu più incoraggiante visto che specificò ‘parecchio più alta‘.

"E lei dov'è? Perché non viene a giocare con noi? Voglio conoscerla!".

"Ci mancherebbe solo lei...", disse Edward tra i denti, sarcastico, con il mento su una mano.

Poi sospirò, rivolgendosi alla bambina.

"Lei è occupata con il suo lavoro, sai. Lo vedi questo?", indicò il suo automail, "Lo ha fatto lei. E ne fa per un sacco di gente, quindi non ha molto tempo libero. Ma se glielo chiediamo sicuramente un giorno verrà...", sorrise, non del tutto atterrito dall'idea.

"Anche a lei piacerebbe molto conoscerti".

"Davvero?", gli occhi della piccola brillarono alla prospettiva di avere una nuova amica di giochi, e tese una mano per toccare il braccio d'acciaio del ragazzo, mormorando tra se e se: "Li ha fatti lei..." rendendosi conto che quello era davvero un lavoro eccezionale e figurando così in modo superlativo la fantomatica Winry.

"E' fantastica!".

Al accordò con lei. "Eh, già... quando eravamo piccoli come te, e io e Ed litigavamo, lei era quella che ci separava. Se eravamo feriti, dopo averci dato un pugno in testa come punizione, ci faceva da infermiera. Lo ricordi fratellone? Una volta ti fasciò tutta la testa dicendo che così saresti guarito dalla tua stupidità".

"Sìsì me lo ricordo!", lo liquidò, seccato.

"Sei proprio sicura di volerla conoscere? Sai, è davvero terribile!"

"Terribile?", chiese curiosa, non convinta sul fatto che Ed dicesse il vero.

"Sì! Ha decine di arnesi di ferro pesantissimi che lancia addosso alle povere persone senza colpa", sussurrò all'orecchio della bambina, in tono cospiratore.

"E poi perde facilmente la pazienza. Non sai mai cosa può farla arrabbiare!".

Al, anche se non sentiva, immaginava come stesse traviando la mente della piccola Tucker ma prima che potesse intervenire lui con una buona parola fu proprio Nina a puntare l'indice contro Ed e a sorprendere tutti i presenti con le sue parole.

"Se lei si arrabbia è perché voi la fate arrabbiare. Sono sicura che soprattutto tu la fai arrabbiare! E poi sei cattivo, se lei è la vostra sorellona non dovresti parlar male di lei", la sua espressione si fece improvvisamente triste, "Se io avessi una sorellona o un fratellone ne parlerei sempre bene e gli vorrei tanto tanto bene, così". Fece allargando le braccia più che poteva, con sforzo.

Edward si morse la lingua, arrossendo un po' per i commenti inopportuni che lui stesso avrebbe potuto risparmiarsi, un po' per quello che avrebbe potuto dire ma che non diceva. Mai.

"Tsk", esalò, in ogni caso.

"Io non faccio proprio niente di male! Non capisco perché ce l'abbia sempre con me... io...", si grattò la nuca, confuso, "... non è che volessi parlare male di lei... io...", balbettò, non sapendo come concludere la frase.

Al, paziente, intervenne salvando la situazione e regalando alla bambina una carezza affettuosa sul capo.

"Il fratellone è un gran timidone Nina, è scortese e parla in questo modo perché si vergogna a dire quanto le vuole bene". La piccola annuì, imparando una nuova cosa de mondo dei grandi.

"ALPHONSE!" Sbraitò, ormai paonazzo.

"Io non mi vergogno di un bel niente... IO!".

Nina si parò davanti all'armatura e raffreddò con un sorriso i bollenti spiriti di Ed.

"Quindi se io ti dico che ti voglio tanto bene tu non ti vergogni a dirmi che me ne vuoi anche tu?"

"Ce-... certo... che no", rispose, comunque senza dirlo.

"Ti voglio tanto tanto tanto bene Ed", disse con voce particolarmente acuta aspettando che lui rispondesse e facendo -metaforicamente parlando- sudare freddo Al che era pronto a pestare a sangue il fratello nel caso avesse fatto piangere la piccola Nina.

Lui si inginocchiò alla sua altezza con l'intenzione di accarezzarla, ed ottenendo solo di battere goffamente la mano sulla sua testa, scompigliandole tutti i capelli.

"A-... a-... anche io", balbettò, sorridendo.

E lei si lanciò al collo di Edward, stringendolo forte.

Ed non avrebbe mai capito quanto quelle semplici parole avessero acceso gioia nel suo cuore, quanto fosse importante il peso di quelle parole.

Col fatto che Shou Tucker era un alchimista famoso e che lavorava a questioni importanti e riservate, Nina era sempre sola, mai incontrava altri bambini, mai andava al parco a giocare, mai aveva avuto amici. Era sempre sola con Alexander e suo padre era sempre più distante, giorno dopo giorno, per questo stava coltivando l'idea che nessuno le volesse bene.

Ma Ed gli aveva detto che anche lui le voleva bene e andava bene così, e doveva stringerlo forte forte per imprimergli la sua gratitudine.

"Puoi essere anche tu nostra sorella!" Esordì Edward, accarezzando -stavolta come si deve- i capelli di Nina. Si trattenne dal dire che sarebbe stata una sorella anche migliore di Winry, forse per il fatto che quell'abbraccio lo faceva sentire sospeso. Meno irritabile, avrebbe detto qualcuno, sbagliando clamorosamente. Eppure rimase fermo, con un'espressione ebete sulla faccia mentre parlava.

"Davvero? Davvero davvero?!", strillò tutta eccitata e Al si intromise per non permettere di dire a Ed qualcosa d'inopportuno e rovinare quel po' che aveva fatto felice Nina.

"Certo, ti vogliamo tanto bene, ci divertiamo tanto insieme e tu ci aiuti tantissimo mentre noi studiamo. E' questo che fanno fratelli e sorelle e tu Nina non puoi che essere per noi una sorellina. Giusto fratellone?".

"Sì...", rispose stringato, ormai troppo imbarazzato per dire altro.

E la gioia della bambina investì la stanza. Urlò con tutto il fiato che aveva quanto era felice e Alexander abbaiava di rimando, coinvolto dall'entusiasmo della padroncina che stava cercando goffamente di abbracciare i due Elric, vicini, spalla contro spalla.

Divenne una stretta a sei braccia mentre il cagnolone bianco trotterellava intorno a loro.

Nina pensò che non avrebbe mai scordato la felicità di quel momento, anche Ed e Al pensarono a qualcosa di simile, portando indietro la memoria a quando giocavano e si scambiavano qualche tenerezza insieme a Winry.

Volevano tanto tornasse tutto come prima, provarono nostalgia per la loro infanzia, allora bastava davvero poco per essere felici.

"Non posso chiamarvi però tutti e due fratellone, o vi confondereste..." fece serissima distogliendoli dai loro pensieri mentre scioglievano l'abbraccio.

Nina indicò Al e esordì: "Tu sarai il fratellone grande… ", e poi l'indice passò a Ed, "… e tu il fratellone piccolo".

"A CHI HAI DETTO PICCOLO?!", urlò Edward, arrossendo di nuovo.

E lei assunse un'aria birichina e gli fece la linguaccia.

"Quando sarai diventato più alto e non porterai la treccia come le bambine allora, forse, di chiamerò fratellone grande".

Per il momento era meglio che Ed facesse il callo a quel nome.

 

*




 

Maes Hughes ordinò due whisky con un fischio che il barista interpretò immediatamente. Raggiunse e si sedette al bancone chinandola testa, sgranchendosi la schiena con un rumore di ossa che si rimettevano a posto.

"È facile la tua vita col Tenente Hawkeye che ti porta tutti i giorni i documenti sotto il naso", si lamentò, rimandando l’argomento principale della discussione che voleva iniziare.

"Sono indubbiamente fortunato ad avere una collaboratrice come il Tenente", sorrise sornione Mustang accomodandosi e senza voltarsi verso il suo migliore amico, non ce n'era bisogno, aveva intuito il suo arrivo da quando la porta del locale si era aperta.

Maes aveva la straordinaria capacità di alleggerire l'aria non appena entrava in una stanza, l'odore diventava diverso, piacevole, mentre i muscoli di Roy si rilassavano e qualsiasi pensiero lo tormentasse o gli desse un gran da fare sembrava assumere un peso diverso.

"Ma si da il caso che non sia affatto facile e rilassante il mio lavoro. Odio dover stare sempre su quella dannata poltrona".

Maes sorrise scettico, afferrando il bicchiere apparso davanti a lui senza però cominciare a bere.

"Cos’è, stavi aspettando che io ordinassi per te o cosa?", chiese, senza aspettarsi una risposta, bevendo un sorso.

"Tu non sai cosa significhi perdersi nei meandri della dannata burocrazia!", lo accusò, indicandolo in maniera fin troppo teatrale.

"Oh, meno male che alla fine posso bearmi della compagnia di quei ragazzi. È un compito che preferisco decisamente…".

Il sapore del Whisky non risultò a Roy così amaro, quando sentì quelle parole.

"Sono una buona palestra per te quei ragazzi vero? In fondo ormai manca poco e... sarai padre".

"Uhm, lo dici come se fosse una tragedia!", rise, ma assunse quasi subito dopo un’espressione seria, che rivolse al liquore che stava facendo ondeggiare nel bicchiere. "Ma non vorrei mai vedere sul volto di mio figlio le espressioni che talvolta vedo sui loro".

In un flash tornò alla memoria di Mustang il primo incontro con gli Elric, quell'incontro che gli aveva fatto venire la pelle d'oca, lo aveva turbato tanto da fargli quella folle proposta che alla fine avevano accettato.

"Quei bambini sono entrati con violenza nel mondo degli adulti, sanno quanto la vita è crudele ormai. Hanno perduto la loro infanzia".

Maes si riscosse, finendo il contenuto del bicchiere e rivolgendo un altro cenno al barista con un solo dito. "Edward in particolare… credo si sia addossato un grosso peso. All’inizio non vedeva di buon occhio le mie intrusioni, ma credo che tu possa immaginarlo".

"Probabilmente immagina che io lo stia sorvegliando tramite te".

Finì il suo bicchiere e ne ordinò altri due, vedendo che anche all'amico mancava poco per terminare il suo.

"Tuttavia se seguissi direttamente io i loro progressi la cosa lo infastidirebbe ancor di più", e Mustang non ci teneva proprio ad essere un ostacolo per lo studio dei due fratelli, dovevano dare il massimo loro, senza alcuna intromissione da parte di terzi.

"È quello che vorresti?" insinuò l'altro con un sorriso sornione che gli riusciva sempre molto bene. "Seguirli direttamente, intendo".

"Tsk", arrivato il bicchiere mandò giù un generoso sorso, "se avessi tempo libero come te preferirei trascorrerlo in tutt'altra maniera".

Abbozzò un'espressione maliziosa e rivolse un leggero sorriso a una donna che lo stava guardando insistentemente da quando era entrato nel locale.

"Bah, sarà. Ma vorrei proprio sapere che cosa ne pensi di quell'Edward Elric", buttò infine. Pur non sapendo nulla di alchimia era ancora fortemente scettico riguardo la scelta di reclutare un bambino di quell'età nell'esercito. Forse era l'indole del padre a renderlo così preoccupato.

"Fino ad ora sono stato io il più giovane alchimista di stato nella storia dell'esercito di Amestris", disse Roy accennando un sorrisino orgoglioso, forse un po' arrogante.

"Ma... ho la netta sensazione che quel ragazzino mi ruberà il titolo".

"La cosa non sembra dispiacerti poi molto!", esclamò prima di finire il secondo bicchiere.

"Studiano con passione. E comunque, se sei così sicuro della tua scelta, non farò più obiezioni".

"Quei ragazzi, Maes hanno visto l'inferno, conoscono la dannazione", finì anche lui il secondo bicchiere e con un cenno al bar-man ordinò altri drink.

"Per questo sono sicuro ce la faranno, ormai... è l'unico obbiettivo che li tiene in vita. Riavere i propri corpi ha più di un significato per loro. E' prima di tutto un segno di redenzione. Con quell'esame si giocano il tutto per tutto".

"È sbagliato!", sbottò Hughes tutt’ad un tratto, con fin troppa enfasi. Sbatté involontariamente il bicchiere sulla superficie di legno, anche se non era ubriaco e anche se, fino a poco prima, pensava di non essere poi molto coinvolto nel discorso.

"I bambini come loro non dovrebbero aver bisogno di un motivo per vivere!".

Roy in tutta risposta alzò un sopracciglio, "Dovrebbe essere così" e si dedicò al terzo bicchiere.

"Tu non c'eri, non li hai visti Maes. Quei bambini sembravano morti viventi... non ho potuto ignorarli."

Con quelle tristi immagini nella testa che si riproponevano finì il terzo whisky ma non ne chiese un altro, si limitò a fissare il bicchiere vuoto.

"Ho sbagliato indubbiamente a trascinarli fin qui, diventeranno cani dell'esercito, verranno sfruttati. Non ne vado fiero, ma... non potevo lasciarli lì".

"Ho capito, ho capito. Ma ora togliti dalla faccia quella espressione da cane bastonato, o mi rovinerai la serata!"

Si trattenne dall'ordinare ancora, non voleva certo diventare un padre ubriacone. Mustang invece non aveva alcuna famiglia, alcuna moglie o fidanzata da cui tornare e aveva parecchio da dimenticare, quindi alzò una mano e ordinò un doppio.

Se Maes non gli avrebbe fatto compagnia, allora lo avrebbe preso lui. Reggeva molto bene l'alcool e ciò, spesso, si rivelava una vera sfortuna.

*



 

Cara Winry,
Qui è arrivato l’autunno, e l’esame si avvicina. Pensavamo di poter affrontare tutto con più facilità ma, alla fine, temo che quest’esame sarà molto più difficile del previsto. Ma lo supereremo, ci basta solo studiare come stiamo facendo, ed andrà tutto bene.
Il Signor Tucker ci aiuta quando può con le sue conoscenze, anche se è comunque molto occupato. La preparazione, in ogni caso, procede bene. Abbiamo a disposizione una gran quantità di materiale contenuto nella sua biblioteca e ci stiamo esercitando molto.
Tuttavia Alphonse, a causa del suo aspetto, non potrà sostenere l’esame. Penso che sia meglio così, almeno non sarà costretto a diventare anche lui un cane dell'esercito e a sottostare ai loro ordini; lui era fortemente contrariato quando Mustang ce l'ha detto ma io, ti confesso, sono sollevato.
Il signor Hughes, come ti avevo detto, ci controlla, ma la cosa ha smesso da tempo di darci fastidio, anzi, devo essermi abituato ai suoi modi da esaltato in pochi giorni, a dire il vero. È un brav’uomo, un po’ eccentrico, ma un brav’uomo. Ha una fissazione maniacale per sua moglie, che è incinta, e lui coglie ogni occasione per parlarne e per mostrarci ogni genere di foto che la ritraggono.
Crediamo di poterci fidare di lui, perché lui fa lo stesso con noi. C’incita e ci appoggia, in un modo persino strano per un uomo che conosciamo da così poco tempo.
E poi ci sono Nina ed Alexander. Loro sono i nostri più accaniti sostenitori.

*

 

I generali dell’esercito presenti parlottavano tra loro, producendo un chiacchiericcio grave ma fastidioso.

Edward non vestì un atteggiamento diverso dal solito. Alphonse lo avrebbe rimproverato, se fosse stato lì, ma non c’era, perciò si posizionò al centro dell’ampia sala con le mani nelle tasche dei pantaloni ed un labbro che sporgeva.

I capoccioni lo guardavano dagli spalti posizionati in alto, da una postazione che permetteva loro di giudicarlo. Gli domandarono se aveva portato l’occorrente per tracciare il cerchio alchemico e lui rispose che non aveva bisogno di quella roba. Infine portò la sua attenzione sul Comandante Supremo, un uomo di mezza età, con la pelle scura, sottili baffi, ed una faccia da nonno che trama punizioni e castighi per i nipoti pestiferi. Non si sentiva in tensione, tirò indietro la schiena in una posizione decisamente scomoda e ascoltò i consigli di un soldato che gli diceva di rilassarsi, attendendo.

Roy Mustang era presente, da lontano, con l'immancabile compagnia del Tenente Hawkeye. Era sicuro che Elric l'avesse notato non appena entrato nella grande stanza in semi ombra.

Era teso il Colonnello, ma non lo dava a vedere, neanche l'attentissima Hawkeye ci fece caso, il volto in ombra del suo superiore era rilassato, con un accenno di sorriso e le braccia raccolte davanti al torace, in attesa, non dava alcun segnale che potesse far supporre che fosse nervoso. Aveva scommesso tanto su quei fratelli, aveva fatto allettanti promesse, aveva assicurato loro una vita migliore, aveva reso dalle sue parole concreta la possibilità che potessero riprendersi i loro corpi. E avevano studiato tanto, sodo, troppo per ragazzini della loro età, poi era stato informato della visita medica e aveva imposto ad Alphonse di non sostenere l'esame, poteva rivelarsi pericoloso per lui, mettere a conoscenza l'Esercito del fatto che non aveva un corpo, avrebbe potuto portarlo ad essere un cavia da laboratorio.

Il peso era tutto andato sulle spalle di Edward, ma Roy sentiva che in parte quello era anche il suo peso. Aveva piena fiducia in quei ragazzi, aveva fiducia sulla mente brillante di Edward Elric, ma... se ci fosse stata la remota possibilità che non ce l'avesse fatta?

Mustang non voleva prenderla in considerazione, perché neanche lui riusciva ad immaginare una sua eventuale reazione.

Si sporse ancora un po' dal suo spalto rendendosi partecipe a quell'importante ultima verifica.

Edward Elric mandò solo un’occhiata a Roy Mustang, accertandosi che stesse osservando. Dopo che ad Alphonse era a lui che doveva il suo futuro successo, per quanto la cosa lo innervosisse. Rilassò i muscoli, contò nella sua mente il tempo che avrebbe impiegato per scattare in avanti.

Il rumore del battito delle sue mani giunse improvviso, nessuno di quei grandi ‘Signori della guerra’ sarebbe stato in grado di seguire uno solo dei suoi movimenti. Dopo aver poggiato le mani a terra osservò il materializzarsi di una lancia di ferro. La luce generata dal processo illuminò i dintorni e le facce allibite dei presenti, smuovendo il suo orgoglio.

In una frazione di secondo l’arma era ad un solo centimetro dal naso del Comandante Supremo. Le guardie del corpo erano riuscite a malapena a puntare le pistole, senza un secondo per sfiorare il grilletto, le bocche in caduta libera.

Sorrise, restando fermo, sentendo i muscoli incresparsi e rilassarsi di nuovo, nello stesso istante. Poi si tirò indietro, svelando l’inganno.

"È così che le persone importanti vengono uccise. Dovreste rivedere le regole di questo esame".

"Uhm... Hai ragione. Ne terrò conto".

Rispose il Comandante Supremo totalmente rilassato, facendo cenno ai militari intervenuti di abbassare le armi e di calmarsi a coloro che semplicemente stavano assistendo all'esame. Su quel volto dai lineamenti duri fece capolino un sorriso divertito, mentre le guardie si accesero in una serie di rimproveri diretti al giovane alchimista che non si era affatto reso conto di aver esagerato, tanto che qualcuno, indignato, gli urlò di uscire dall'aula.

Quello spettacolo divertì Roy Mustang, ancor più di quanto avesse divertito King Bradley. Riza Hawkeye non poté far meno che sospirare un flebile rimprovero.

"Colonnello...".

"Mi perdoni Tenente, ma tutto questo è fin troppo divertente", ormai era sicuro della promozione di Edward.

King Bradley aveva senso dell'umorismo, anzi, era una cosa che adorava nelle giovani leve, "Spetta a me la decisione della promozione di questo ragazzo", ammonì una guardia che fu terribilmente mortificata per aver parlato a nome del Fuhrer di Amestris.

"Hai superato l'esame scritto e psicologico e per quanto riguarda l'abilità ci hai dato mostra di un bello spettacolo Edward Elric e, soprattutto...", lo guardò negli occhi, uno sguardo ferino dorato che brillava di determinazione e alcun timore, verso niente e nessuno.

"...hai fegato da vendere, Edward Elric."

Fece un passo in avanti e gli si accostò leggermente... "Tuttavia ti manca un po' di esperienza di vita".

La lancia che Edward Elric teneva in mano si spezzò in due, come fosse stata tagliata.

Bradley rideva dalla grossa alle sue spalle, avanzando verso la porta con una spada alla mano.

"Congratulazioni giovane Alchimista di stato".

"Che… che… cosa? Quando ha tirato fuori la spada?".

Ogni pianificazione era andata in fumo dato che, se poteva muoversi ad una velocità tale da impedirgli di vedere la lama che gli aveva sferrato contro, allora il Comandante doveva aver visto ogni suo singolo movimento come al rallentatore.

Fu terribilmente frustrante.

Si scompigliò i capelli con una mano, tentando di nascondere la sua espressione, adatta a qualcuno che era stato appena gabbato. Imprecò tra se e se, stringendo i denti e camminando via, senza nemmeno fermarsi ad ascoltare chi gli diceva che doveva salutare i generali come si conveniva. Li avrebbe mandato al diavolo come si conveniva, se non si fosse già sentito abbastanza stupido così.

Uscì da quella stanza come nulla fosse, come se non avesse sostenuto un esame difficilissimo al quale era stato promosso.

Mustang rimase a guardare distante la scena, solo per godersela un altro po', finché non decise, sotto incoraggiamento di Hawkeye, di andare da Edward e congratularsi.

Dopo un lunghissimo tempo in cui non si erano incontrati poteva pure andare da lui, adesso.

"Elric", richiamò la sua attenzione mentre camminava per i corridoi solo a qualche metro di distanza da quella testa calda di Edward.

"Congratulazioni. Sei stato fortunato".

"Oh che bello. Avevo proprio bisogno di vederla in questo momento", ironizzò, senza neanche voltarsi a guardarlo.

"Si è divertito, Signor Colonnello?", chiese, senza realizzare neanche per un secondo che aveva passato l’esame e che, forse, non sarebbe dovuto essere così caustico. Ma gli veniva naturale, che poteva farci? Era il suo personale modo di chiedergli se fosse soddisfatto della scelta che aveva fatto quasi due anni prima.

"Molto, è stato davvero un bello spettacolo”. Gli diede corda mentre una più rilassata Riza Hawkeye guardava leggermente intenerita quel ragazzino che stava cercando come un cucciolo affamato, ma orgoglioso e arrogante, complimenti per la sua riuscita.

Edward si voltò infine, quando ebbero attraversato le scale del palazzo del governo e furono fuori. Gli gettò un’occhiata a breve termine, poi camminò in silenzio, non chiedendo ulteriori commenti e soddisfatto così dalla risposta che aveva ottenuto.

Infondo era vero che non aveva esperienza… come avrebbe potuto averne? Ma, d’altronde, aveva anche molto tempo per rifarsi.

"Quello scherzetto ti stava per costare caro, è stata una fortuna che tu sia uscito vivo da lì. Adesso sei un membro dell'esercito, ricorda, simili giochi non ti saranno perdonati. Quindi...", l'espressione di Mustang era curiosa, un po' rilassata, un po' contenta e un po' severa, ma di quella severità affettuosa e paterna che certe volte un adulto ha il dovere di tenere con i ragazzini.

"...fai attenzione a non fare più certe cose".

Il ragazzo parlò di nuovo senza voltarsi, con tono d’insinuazione.

"Sarà, ma mi lasci dirle che lei non mi sembrava poi così allarmato".

"Ah sì?" domandò con tono vago.

"Già. Una reazione davvero inadatta per un fedele subordinato".

"Colonnello, gliel'avevo detto. Deve fare attenzione", sospirò il Tenente mentre il superiore se la rideva, anche se da ridere c'era davvero poco.

"Non ti sfugge proprio niente, Elric, eh?"

"Niente", sottolineò con voce pomposa.

"Cosa si dovrebbe pensare di una reazione del genere?", chiese, retorico.

"Stai cercando di ricattarmi?", gli domandò senza perdere il sorriso.

"Ma, non so... forse a qualcuno di quei capoccioni dal culo flaccido farebbe piacere sapere quanto sia sconfinata la sua fedeltà all'esercito".

Aveva ragione il Comandante Supremo: ne aveva di fegato da vendere quel ragazzino.

"Guarda che io so tenerti per il collo." Si fermò davanti a lui, voleva che vedesse quanto era mortalmente serio.

"Sai quali sono le tre regole di un alchimista di Stato? Giurare fedeltà all'esercito, non trasmutare oro e non creare esseri umani. Le conseguenze sarebbero tremende se sapessero che tu hai violato una di queste regole, non tanto per te, quanto per tuo fratello. Capisci quello che intendo?", lo sguardo del Colonnello sembrò quasi minaccioso tanto era assottigliato.

"Non dirò nulla, non preoccuparti ma... non farti venire strane idee ragazzino. Tieni ben nascosto il tuo passato, accetta il titolo quando sarà ufficializzato e io in quanto persona che ho scovato un giovane e talentuoso alchimista sarà ancor più stimato. Patti chiari e amicizia lunga, siamo intesi?" .

"Brutto stronzo!", sbottò, comunicando puro odio dal volto digrignato.

Lo sapeva, quel Mustang era decisamente una persona da tenere sott’occhio, che non faceva nulla per nulla.

Con l’incoerenza tipica dei bambini lo trovò spregevole, per un momento, ma immediatamente ricordò la legge fondamentale dell’alchimia: nulla può essere ottenuto senza sacrificare qualcosa in cambio.

Ritornò adulto, rilassò il volto, ma i pugni continuarono a stringere, perché sottostare ai ricatti di quel bastardo era un peso decisamente più rilevante di quello che avrebbe potuto pensare.

La rumorosa frenata di un'auto però interruppe i suoi pensieri. Era il Tenente Colonnello Hughes alla guida, uscito lo salutò allegramente, con quella confidenza tipica di quando ci si vede quotidianamente e si mettono i pilastri che fondano un rapporto schietto e affettuoso.

Dall'auto uscì con un certo impaccio la grossa figura di Al che cercò subito il suo sguardo senza dir niente. Anche la piccola Nina li aveva seguiti e ora correva velocissima e gioiosa verso il fratellone piccolo Ed.

Anche Al lo raggiunse, in ansia, un'ansia che gli era impossibile esprimere ma che c'era, era concreta, viva nella sua anima. Visto che Ed aveva una brutta cera pensò subito al peggio ma... preferì che fosse lui a dirglielo. Non l'avrebbe comunque rimproverato di nulla, aveva fatto anche lui l'esame scritto ed era stato davvero difficile, tante domande aveva dovuto saltarle; un esame così difficile non era per degli alchimisti alle prime armi come loro.

Edward non disse niente, si voltò verso il fratello senza provare ad indovinare cosa si aspettasse da lui. Doveva essere preoccupato, ma si beò del semplice gioco mentale d’immaginare la faccia di Al fissarlo, in attesa. Annuì semplicemente, vedendo Alphonse quindi avvicinarsi verso di lui, probabilmente desideroso di abbracciarlo.

Gli si strinse il petto, che dilatò portandolo in avanti, esprimendo vanteria e ridendo di una risata ostentata, comica.

"È ANDATA BENISSIMO! Cosa ci si poteva aspettare da un genio come me?"

Al lo abbracciò.

Sapeva che era un gesto inutile e insignificante in quel corpo, non poteva sentire calore, non poteva esagerare, doveva contenersi, ma una gioia così grande -dopo così tanto tempo- non voleva che rimanesse inespressa.

Non poteva commuoversi, quindi non gli rimaneva che simulare quei contatti di apparenza normale.

Anche la piccola Nina si unì al loro abbraccio, saltellando tra i due fratelloni, senza contenere l’infantile entusiasmo che comprendeva urla acutissime e incredibili salti.

Era così strano, era passato così tanto tempo, non credevano più che avrebbero vissuto un momento di gioia e per questo lo vissero a pieno, incuranti del domani o delle conseguenze di ciò che avrebbe comportato quel titolo.

Volevano essere spensierati e infantili, anche se per un tempo davvero breve, ne avevano bisogno.

* 

 

 

 

Cara Winry,
L’esame, ovviamente, è andato benissimo. Sono ufficialmente un Alchimista di Stato.
Ci si poteva aspettare altro da un genio del mio calibro?
Durante la prova pratica ho potuto vedere il Comandante supremo. È una persona strana, l’ho attaccato all’improvviso e lui, dopo aver parato il colpo, si è messo semplicemente a ridere. Ha un’espressione benevola, ma non so bene cosa pensare di lui.
Roy Mustang mi ha consegnato un attestato e un orologio che tutti gli Alchimisti di Stato si portano dietro e dicono serva ad ampliare le capacità alchemiche. Adesso avrà capito di non aver fatto un errore raccomandandomi, per quanto me ne possa importare.
Ah, ho un nuovo nome.
Saluta pure ‘L’alchimista d’Acciaio’, signorina.

 

 

* 

Maes approfittò della porta lasciata aperta per insinuarsi nell’ufficio di Mustang senza chiedere il permesso e sedersi sul divano per gli ospiti.
Roy, miracolosamente, era alla sua scrivania e non a bivaccare da qualche parte, e si era accorto di lui. Si schiarì la voce per segnalare la sua presenza e accavallò le gambe.

"Vorrei aver qualcosa di buono da raccontarti", accennò, con un’alzata di spalle.

"Per una volta mi trovi d'accordo".

Il Colonnello non poteva fare a meno di guardare seccato due notevoli pile di documenti da protocollare e firmare. Da quando era entrato al quartier generale quella mattina non faceva che dedicarsi alla burocrazia e, nei brevi attimi di respiro, non poteva neanche godere di un bel panorama fuori dalla finestra, nuvole nere minacciavano ed adombravano Central.

Era proprio una brutta giornata.

Maes non intendeva esattamente la stessa cosa.

Si schiarì la voce guardando il soffitto con la testa all’indietro.

"Ehi, ti ricordi quel tale… Barry lo squartatore?", chiese, ridendo, forzato.

Roy fece un sospiro, depresso.

"Mi dispiace per ciò che è successo ad Acciaio e alla sua amica. Fortuna che Alphonse ce ne ha parlato invece di reagire d'impulso come il fratello altrimenti...", no, non voleva pensarci. Non poteva neanche accettare l'ipotesi di quei bambini massacrati.

Sentì una morsa allo stomaco, la sua espressione lo tradì facendo trasparire un briciolo di rabbia mista a terrore.

Solo qualche secondo, non di più.

"Beh, è passato. Come... come stanno i ragazzi?”.

Maes tornò serio. "Edward non riesce a capacitarsi del fatto che Winry Rockbell sia stata coinvolta in un simile incidente. È come se pensasse di esserne responsabile, e non credevo che quel ragazzo avrebbe mai potuto sentirsi una responsabilità maggiore di quella che si sentiva già prima. Ma ciò che volevo dirti è che la condanna a morte di Barry sarà eseguita domani mattina, per quello che vale".

"Nessuno riporterà comunque in vita le sue vittime, né tantomeno farà sentire meglio gli Elric".

Roy guardò distrattamente sul calendario alla parete. Era ormai Febbraio, erano passati diversi mesi da quando quegli Elric erano arrivati a Central.

Tucker si era offerto di ospitarli, era felice che qualcuno potesse giocare con la sua bambina, ma una volta che Ed era diventato Alchimista di Stato, l'esercito gli aveva offerto alloggio e ora Tucker non doveva più occuparsi anche di loro, anche se gli Elric continuavano comunque a far visita a quella famiglia che -proprio come loro- aveva bisogno di sorridere.

"Se non sbaglio Maes, domani, è il compleanno di Acciaio. Ricordo di averlo letto nella sua cartella".

"Oh beh, questo è strano! A malapena ti ricordi il mio di compleanno, a volte!", dichiarò ridendo, "Comunque sì, è domani, e gli stiamo preparando una bella festa! Ed immagino che tu voglia essere invitato!"

"Io a una festa per mocciosi? Tsk. Semplicemente...", continuò senza arroganza, con pacatezza, "...sarà un modo per tenere spensierati quei ragazzini."

"E c’è di più! La mia Glacier ultimamente risplende come la stella più bella del firmamento!, decantò, "È più bella della cosa più bella del mondo…”, concluse con le mani sulle guancie ed un’espressione sognante.

"Ah, santa pazienza. Non oso immaginare come diventerai quando sarai padre".

"Sarò un padre meraviglioso che i suoi figli ameranno alla follia! Non mi vorranno lasciare mai, mai, mai!", ne era così convinto che quasi urlò. La nascita era imminente e lui non ci vedeva più dall'impazienza.

"Calma gli entusiasmi Padre Meraviglioso. Piuttosto, come procedono le ricerche degli Elric?".

"Fase di stallo. Per questo credo che, ora come ora, quei ragazzi abbiano decisamente bisogno di una bella festa."

"Strano", si fece un attimo pensieroso, "so che stavano facendo ricerche sulla Pietra Filosofale".

"Così sembrava. Ma a quanto pare non è un argomento semplice su cui trovare informazioni. Speravo potessi aiutarli tu, in qualche modo".

Il volto di Roy si fece scuro, pensieroso.

"Vedrò se posso passargli delle informazioni."

"Se vostra grazia ha un po' tempo da spendere mentre è impegnato a grattarsi la reale pancia...", ironizzò, ben sapendo che, appena possibile, Roy sarebbe fuggito a dormirsene da qualche parte, fin quando il Tenente Hawkeye non fosse andato a cercarlo a pistola spianata.

"Guarda che io sono un uomo molto occupato al contrario di qualcuno che passa il tuo tempo telefonando ogni quarto d'ora, passa quotidianamente dal fotografo, legge tutti i quotidiani, fa colazione al bar, fa visite ai suoi conoscenti e ha tempo per giocare con dei ragazzini".

"Allora devo dedurre che quelle scartoffie spariranno da lì in men che non si dica e che il Tenente Hawkeye non le svuoterà il caricatore addosso?".

"Oh ma quelle puoi considerarle già fatte. Il Tenente non ha di che da lamentarsi con me. Sono un gran lavoratore, io".

Maes rise, alzandosi con un salto.

"Io vado. Un suo regalo per Edward sarebbe gradito, Signor Sono Pieno di Scartoffie! Bye bye!", e trotterellò via chiudendosi velocemente la porta alle spalle.


*


Cara Winry,
Mi dispiace per ciò che è successo. Barry è stato condannato a morte subito dopo che te ne sei andata da Central City, ma immagino che non fosse questo quello che avresti voluto.
Nessuno dovrebbe decidere della vita di qualcun altro, no?
Ho pensato di volerlo uccidere, per un momento, ma non ci sarei mai riuscito, a parte che per salvarti la vita.
Ma non ho potuto fare granché e… mi dispiace.
Per favore, perdonami se sono stato un codardo.
Perdonami.

*

Si erano presi un bello spavento.

La nascita della piccola Hughes, in casa, con una tormenta fuori, Maes Hughes corso a cercare un medico e loro due fratelli con Nina ad occuparsi della signora Glacier non era proprio l'ideale di compleanno che Ed si era aspettato, ma alla fine, quando la piccola Elycia era venuta al mondo, con qualche pelo biondo sulla testa e grandi occhi verdi come quelli di suo padre, coperta di placenta e sangue, quella sì che era stata una sorpresa indimenticabile, più dello spavento, più di tutto.

Dopo poche ore Glacier aveva dato a Ed il permesso di tenerla in braccio -Alphonse aveva preferito di no, la sua armatura era fredda e si sentiva terribilmente inadatto al compito- e Nina l'aveva accarezzata timidamente. Era stata un'emozione strana, intensa e indescrivibile ma indubbiamente grande, una vita che veniva al mondo era come se lo cambiasse in quello stesso istante, era bastato guardare i coniugi Hughes per comprenderlo: stretti intorno ad Elycia la guardavano come se fosse tutto, passato, presente e futuro, quella creaturina era inconsapevole di ogni cosa, ma per i suoi genitori valeva più della loro stessa vita.

Alphonse guardò la bimba con un po' d'invidia, chiedendosi com'era stato per la sua mamma e il suo papà la sua nascita; per tutto il resto della serata, seduto nel salotto di casa Hughes, continuò a pensarci.

Alla fine diede voce al suo dubbio, timoroso di risposta, imbarazzato nel semplice formularla.

"Fratellone... mi chiedo se anch'io quando sono nato ero così soffice e caldo...".

Edward si voltò a guardarlo, ancora con il fiatone, sconvolto. Non aveva pensato alla bambina come a ‘soffice e calda’, ma ora che glielo diceva constatò che era vero. Aveva la testa ancora rossa, pulsante, ed era quasi bollente. Pensò che forse poteva avere la febbre, ma ricordò subito che l’aveva visitata un medico e che ogni anomalia era stata registrata. Perciò recuperò il fiato, pensò alla domanda di Al. Era una domanda un po’ stupida, a dire il vero, goffa, come se Al pensasse di essere nato di metallo, un quesito che intristì ed intenerì Edward allo stesso tempo. Ma non fu sarcastico né mordace, sotto uno strano influsso di calma estatica che lo aveva fatto imbambolare, e che lo faceva sentire come si fosse appena alzato dal letto. In un primo momento però, subito dopo la nascita, aveva urlato quanto fosse stato meraviglioso, incredibile e terribile allo stesso tempo veder nascere una nuova vita, tanto che la bambina aveva scacciato via le urla della madre con le proprie, con una forza sorprendente per una creatura… morbida e calda, appunto. Pensando questo sorrise, e annuì con impeto: Al era stato esattamente così, rosso, caldo, soffice e rumoroso. “Certo Al, eri proprio così quando sei nato”.

"Scusa fratellone, ho fatto una domanda cretina", realizzò chinando il capo, per poi continuare, dando voce alle parole che per troppo tempo aveva tenuto nell'ombra, segrete.

"Non ricordo più cosa sia il calore, non ricordo più la morbidezza, è come se fossi un fantasma, Ed. Mi sembrano concetti astratti. Voglio ricordare quella sensazione, io... voglio poterti toccare, abbracciare, ricordare come ci si sente, com'è calda la pelle, perché... ho paura. Paura di aver perso la mia umanità".

L’espressione benevola di Edward non vacillò, ma sentì quelle parole come se lo avessero sfiorato con tocco di dita, oltre la pelle. Ebbero l’effetto di farlo sentire in corsa, d’infrangere l’istante in cui era stato fermo a contemplare quel miracolo. Ripiombò sulla strada, focalizzò il suo traguardo, e lo vide lontano. “Lo farai Al. Mi toccherai, mi abbraccerai, sentirai il calore della mia pelle… riavrai tutto quanto. Ho promesso che ti avrei ridato tutto quanto, no?”.

Alphonse annuì, grato a suo fratello maggiore che sapeva sempre trovare le parole giuste per dargli forza, senza mai mentirgli.

"Lo faremo insieme. Farò di tutto perché tu possa riavere il tuo braccio e la tua gamba fratellone, anche se non sarò un alchimista di stato, io e te raggiungeremo insieme la nostra meta".

Edward annuì, in un modo che gli fece scuotere i capelli. Si sentiva ancora accaldato, e forse anche lui era un po’ rosso. Tornò a fissare la bambina nelle braccia nelle mani di sua madre, osservata da un padre tanto commosso da non aver smesso di lacrimare neanche un secondo. Rise, scacciando quel senso di foga, ripiombando nella contemplazione di un attimo prezioso.

 

* 

 

Cara Winry,
Il Signor Hughes ha organizzato una festa per il mio compleanno pochi giorni fa, ed è successa una cosa davvero straordinaria. Proprio durante i festeggiamenti la Signor Hughes ha avuto le doglie, ed abbiamo dovuto aiutarla a partorire. Sinceramente non sai quanto avrei voluto che tu fossi stata lì ad aiutarci. Il dottore ha tardato ad arrivare, ma nel frattempo abbiamo potuto aiutarla preparando acqua e asciugamani.
Sembrava che stesse per morire, all’inizio ero davvero spaventato dall’idea che la Signora sarebbe potuta morire, se avesse continuato a soffrire a quel modo… ma il risultato è stato meraviglioso.
Non è strano che per creare una creatura così bella come un bambino sia necessario provare un dolore così lancinante? Lo scambio equivalente è la legge dell’universo, lo so bene, eppure stavolta ne sono rimasto spiazzato, colpito, come se non me l’aspettassi.
Nonostante tutto è stato un miracolo e… la bambina è bellissima. Sì, è una femmina, e si chiama Elycia.
Il Signor Hughes dice che saresti un’ottima sorella per lei. Quindi perché non torni a trovarci, uno di questi giorni?
Però vedi di darmi un preavviso stavolta, brutta stupida.

 

 * 

 


La creatura aveva perso la strada. Corse via, ansimando con versi animaleschi che non riconosceva, che potevano venire da ogni parte tranne che da lei. Addolorata e balbettante seguì la strada tetra.
I versi e le parole l’assediavano senza che ne comprendesse il significato, ma il suo desiderio era chiaro.
Dal dolore derivava un lamento, grave e bestiale.
La sua corsa si svolse in quella grancassa di lamenti, di dolore, e di quella brama che sovrastava tutto il resto. Spegnere tutto, fermarsi, adagiarsi nel silenzio. Quando si fermò ruggì, perché qualcosa gli impediva di proseguire e la confusione aumentò e non venne scacciata via dalla sua implorazione.

Un uomo si ritrovò a sovrastare quella creatura inumana, si voltò verso di lei, senza alcun timore.

Occhiali scuri nascondevano però pietà e ribrezzo nei confronti di quell'essere che non era altro che un frutto di un peccato, un abominio contro la Divinità.
La sua statuaria figura si chinò su di essa e poggiò una mano sul capo peloso di quell'ibrido animale che però lo guardò con occhi del tutto umani.
Capì e, ignorando un accenno di nausea, pregò la Divinità nella sua lingua, una lingua ormai estinta per volere e violenza di uomini senza fede e morale.

"Fratellone piccolo...".

La pioggia batteva forte, le gocce scorsero sul muso della bestia come se fossero state lacrime.

"Non soffrirai più ora. Che Dio sia con te" .

Un lampo illuminò Central, ma una luce uscì anche dalla grande mano destra dell'uomo. Sembrava che il fulmine fosse caduto dal suo braccio alla creatura.
Non rimase nulla di essa se non la traccia di uno schizzo scarlatto su un muro bianco.

 

*

 

Edward si sentì affondare nel sangue, mentre osservava.
La parete era stata inondata ad una tale velocità che il liquido non colava nemmeno più, inglobato nella pietra, e lui si sentì allo stesso modo. Così interamente smosso dentro da non riconoscersi nemmeno più.
Il suo corpo era una concatenazione di movimenti lievi ed inconsulti volti a mantenerlo in piedi, semplicemente.
Provava un dolore fisico che non lasciava niente nella sua testa per pensare o per rendersi conto di quello che era successo. In quello stato, tantomeno, poteva cercare una spiegazione.
Avvertì la consueta sensazione, di qualcosa che gli cadeva addosso, tutt’ad un tratto, schiacciandolo.
I pugni erano ancora rossi, rimasugli della sua volontà di non accettarlo.
In quell’istante non poteva far altro che stare in piedi a vigilare sul vuoto nero delle cose che avrebbe potuto fare, e che non aveva fatto. A vigilare su qualcosa che non aveva potuto cambiare.

Il dipartimento investigativo fu subito chiamato a presenziare sul luogo. Il Maggiore Hughes, che si stava facendo le ossa in quel settore e che ormai era diventato una personalità importante grazie a numerosi successi, appena arrivata la chiamata e sentito che si era verificato un orribile crimine riguardante Tucker, era corso in prima linea sul luogo ed aveva incontrato per caso Mustang che ritornava da chissà dove. Urlando gli aveva comunicato il bisogno della presenza di un alchimista in quell'affare dai risvolti inquietanti.
Entrambi, elettrizzati, in pochi minuti, correndo come pazzi nell'auto di servizio tra le strade bagnate di Central, furono sul luogo.

Appena scesi notarono che cinque membri della polizia militare avevano bloccato la zona, uno di loro, dallo sguardo sconvolto, cercò di dare un quadro della situazione: Shou Tucker aveva creato una chimera utilizzando sua figlia, Alphonse Elric aveva chiamato la polizia e avevano trovato Edward Elric che stava cercando di massacrare Tucker. Nella confusione, mentre cercavano di arrestare Tucker la chimera era scappata via e gli Elric l'avevano rincorsa e... un urlo familiare interruppe il rapporto del poliziotto.

Il grido proveniva dal vicolo lì vicino. Hughes sembrò pronto a intervenire ma Mustang gli fece cenno di no, andò lui, sotto lo sguardo mortificato dei pochi militari presenti.

Non si era sbagliato: Edward Elric era lì. Inveiva e dava pugni contro il muro mentre Alphonse era rimasto immobile, lì, vicino a lui, probabilmente troppo scosso per qualsiasi gesto o qualsiasi parola.
La violenza di Ed contro quel muro bagnato di sangue -la chimera era stata per caso uccisa?- andava fermata.
Edward non avvertì la sua presenza. Continuò a prendere il muro a pugni, sentendo le nocche umide della mano sinistra scricchiolare. Lo faceva sentire bene, la foga e l’aria che lo avvolgeva mentre si agitava a quel modo lo coprivano, tanto che quasi ebbe l’impressione di non poter essere visto.
Il suo respiro era così pesante da riempirgli la gola che tremava, sussultava.
Il metallo dell’automail era insanguinato, come fosse stato carne.

"Acciaio", comandò Mustang, digrignando quel nome tra i denti come un avvertimento.

Questi lo ignorò continuò a prendere a pugni la parete, anche con la sua mano di carne. Probabilmente l'aveva anche rotta.

Solo Alphonse si accorse della sua presenza e lo chiamò: "Colonnello...", come un bambino perso nel buio che chiama un genitore nella speranza che possa riprenderlo e portarlo a casa, lontano dal buio e dai mostri che cela.

"Acciaio!", abbaiò scosso da un fremito d'ira, come per empatia.

Sì, era proprio come se la rabbia di Edward l'avesse infettato e, scorrendo nelle vene, avesse prodotto abbastanza adrenalina da fargli perdere il suo sangue freddo.
Lo afferrò per i polsi, esercitando forza; la schiena di Ed cozzò contro il muro e si ritrovò costretto a guardare in faccia Mustang, con i suoi sottili occhi neri lo guardava furioso e con voce ferma lo ammonì.

"Smettila e ascoltami!".

Edward non poteva fermarsi, o quella sensazione di qualcosa che morde, che si dibatte, lo avrebbe dilaniato. Doveva assecondarla, o sarebbe stato lacerato.

Provò a forzare la presa, senza ascoltarlo.

"Mi lasci! MI LASCI ANDARE! LEI NON CAPISCE!".

Il braccio sotto la presa di Mustang tremava di rabbia che doveva esser liberata.

"TACI! HAI SCORDATO QUAL'E' IL TUO OBBIETTIVO? VUOI PER CASO MANDARE ALL'ARIA TUTTO E FAR PAGARE LE CONSEGUENZE ANCHE A TUO FRATELLO?".

Edward tremò, come se quelle mani non avessero frenato la sua corsa ancora del tutto, e sentì gli occhi gonfiarsi ed il suo volto deformarsi. Focalizzò la sua rabbia su Roy Mustang, lasciò che la sua ira arrivasse a lui attraverso il tremore inconsulto delle sue mani e fiorisse, di modo che lo lasciasse sfogare.
Quelle parole avevano senso, ma per lui furono solo un insieme di suoni che si sommarono agli altri che d’improvviso riempirono la sua testa. Gli faceva venire voglia di sbatterla, di urlare, di sentire il sangue gocciolare in quella sensazione di umidore insensibile.
L’odio che provò per Roy Mustang era un furore così indicibile che, averlo trattenuto nel suo corpo, gli parve impossibile.
Non voleva piangere di fronte a lui. Avrebbe potuto sopportare tutto, aveva sopportato di tenere quella tempesta straziante dentro di sé, ma non quello. Cercò di divincolarsi con più forza.

Quelle parole però non le aveva sentite solo Edward, anche Alphonse era lì e nell'udirle era stato investito da un profondo senso di colpa, un suono sordo ma doloroso che riuscì a scuotere quell'armatura.

Mustang, nonostante fosse stato privo di tatto, aveva detto il vero.

"Vattene via da qui Acciaio se non vuoi essere coinvolto in qualcosa che non ti riguarda. Focalizza il tuo obbiettivo e pensa solo a quello, il resto è... una mera distrazione".

Suonavano crudeli e algide le parole del Colonnello, tuttavia Alphonse ne comprese il senso, comprese la rabbia di quell'uomo. Si sentì esattamente come un anno prima, quando aveva visto Winry sforzarsi di far camminare la sedia a rotelle su cui vi era Ed. Lo stesso senso di colpa lo investì e comprese il calore mascherato dietro quelle parole, mentre nella mente riaffiorò il momento in cui aveva pensato che Mustang fosse uno di quegli adulti troppo clementi con i bambini come loro.

"Fratellone... andiamocene", Esordì fiancheggiando l'uomo che si decise a lasciare i polsi di quell'ostinato ed arrogante moccioso.

Suo fratello non disse niente, riprendendo l’apparente controllo di se e camminando avanti, come faceva sempre.

Con i capelli davanti agli occhi fece tre passi, prima che il pianto che aveva trattenuto si riversasse giù dai suoi occhi, bagnandogli le scarpe.
Anche le sue spalle erano ferme, l’unico rumore che provenne dalle sue labbra fu un lamento aspirato, patetico.

Si disse che, visto che Alphonse non poteva, avrebbe pianto lacrime bastanti per entrambi, ma avrebbe pianto per ore anche solo per sé stesso. Ma non davanti a quell’adulto, davanti a quel Roy Mustang.
Quel pianto esplose sul suo volto così improvvisamente da farlo vacillare solo un momento, al quarto passo.
Non si accorse che la sua sembrava una fuga, che Alphonse era rimasto indietro e che il suo metallo tintinnava, pulito, come se dicesse che, anche sporcandosi di quel sangue, non poteva in ogni caso simulare le lacrime che ora scendevano dai suoi occhi, a fiotti infiniti.

Roy guardò a terra la pozzanghera di fango formatasi con l'acqua che usciva dalle fogne.

Sospirò perché non era da lui perdere la calma, in quel momento sentiva il bisogno della presenza di Hawkeye, che gli ricordasse di esser lucido e razionale, senza mai perdere la calma.
Alzò lo sguardo e lo fissò su quella gigantesca macchia di sangue, uno schizzo esteso sul muro. Ricordava un sole, un sole rosso privo di luce che aveva segnato il tramonto di una vita.

*

Cara Winry,
Per favore, smettila di farmi notare che non ti scrivo da settimane. L’ho fatto, vedi? Smettila di preoccuparti ora.
Stiamo abbastanza bene, adesso.
Non ho niente da dirti, siamo semplicemente qui, a Central City, in attesa di qualcosa da fare.
Alloggiamo negli appartamenti militari, non stiamo in mezzo ad una strada, quindi non ti allarmare.
Non venire più a Central.
Scusa, ma credo anche che non ti scriverò per un po’. Abbi pazienza, per favore.
Ma non è successo niente quindi… non ti preoccupare.
Va ancora tutto bene.








Ed eccoci con quello che si può definire il primo vero capitolo della storia , visto che il precedente era più un prologo della tragedia degli Elric.
Avremmo voluto aggiornare prima
( scusateci per eventuali errori ma per fretta di postare abbiamo lasciato stare il terzo betaggio ), ma tra esami e pezzi che abbiamo voluto aggiungere al capitolo abbiamo posticipato. 
Che dire... qui inizia il loro viaggio, viaggio più che altro simbolico, di crescita, un percorso che cambierà le loro vite. Ed e Al sono dei bambini -hanno 11 e 12 anni- e sono nati e cresciuti in campagna, in un villaggio in cui c'è poco più che niente; sono stati a Dublith, sì, un paesino ( come vedremo in seguito ), ma qui si ritrovano in una metropoli, a studiare come pazzi per una prova in cui non riescono neanche gli adulti ma Ed ce la fa e si ritrova a dover fare il lavoro sporco dei militari dai quali si guarda bene dal fidarsi; aggiungeteci in più che sì, vivono dei momenti felici, ma per lo più brevi e spezzati da episodi drammatici, su tutti la storia di Nina. Per questo si costringono a diventare degli adulti. Ed complicato, nervoso, aggressivo, Al silenzioso, frustrato e terrorizzato dal poter aver perso la sua umanità, per questo abbiamo scelto come titolo "Ready steady never look back, let's get started ready steady go!" presa appunto da Ready Steady Go degli Arc En Ciel ( seconda opening anime 2003 ), perché è qui che i fratelli vengono preparati, temprati,
per la loro straordinaria e pericolosa avventura e per farlo non devono avere rimorsi, esitazioni, devono essere proiettati in avanti, al futuro, al traguardo e così solo possono iniziare il loro viaggio.
E' stato un capitolo complesso, non volevamo trascurare nulla di questi importanti episodi per la loro formazione ma -allo stesso tempo- non volevamo risultare noiose, quindi ci siamo per lo più concentrate su probabili B-Side e Spin-Off facendo conoscere meglio i personaggi e tenendo tutto regolato dalle lettere che Ed scrive a Winry, lettere sintetiche ma sentite, per far sapere che stanno bene e farla essere vicino a lui ma non troppo, perché non devono farla preoccupare.
C'è molto affetto in questo capitolo, tra le righe, nell'ombra, ma c'è da parte di tutti i personaggi che avete visto, ognuno non è esplicito nei propri sentimenti ma vuole proteggere qualcuno o qualcosa; questo tipo d'amore in FMA è uno degli elementi più belli e importanti, forse l'ingrediente segreto che ha reso questa serie il capolavoro che conosciamo.
Non conosceremo quell'ingrediente segreto con certezza ma sappiamo di certo qual'è l'ingrediente della nostra felicità da autrici: le vostre recensioni, il vostro apprezzamento, anche se vi abbiamo già risposto e ringraziato vogliamo farlo anche qui, felici di tutti i feedback positivi che speriamo continueranno ad esserci e -magari- ad aumentare.
Ringraziamo anche a chi pur non avendo commentato ha letto questa ff e dato lei un posto d'onore nel proprio account, grazie davvero, siete la nostra forza.

Il prossimo capitolo arriverà sicuramente prima del Lucca Comics & Games, per ora auguriamo Buon Romics a chi potrà andarci ( noi ci saremo, giovedì e venerdì, Setsuka in Cosplay di Roy Mustang se proprio volete saperlo )  

  
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