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Autore: Miss V Blackmore    29/09/2011    3 recensioni
Un piccolo scorcio di vita, un intreccio di esperienze e di emozioni, l’inizio di un percorso che nessuno sa dove condurrà. E l’unico modo per scoprirlo è scalare le nuvole e avere il coraggio di affrontare ciò che il viaggio proporrà giorno per giorno.
Scritta a quattro mani con KeikoHiragi.
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Matthew Shadows, Nuovo personaggio, Synyster Gates, Zacky Vengeance
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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“Assolutamente no” la voce risoluta di Alex fece sbuffare sonoramente l’amica. “Io la tua macchina non la guido” puntualizzò guardando la carrozzeria lucida e gli interni quasi immacolati.
“È una macchina Alex, non è il Santo Graal” rispose Lily ormai quasi rassegnata. “Devi andare a Los Angeles a prendere dei documenti non puoi andarci in Autobus e tornare in tempo per il turno” le ricordò con un sorriso quasi beffardo. Aveva appena fatto leva su uno dei punti cardine dell’inglese: il senso del dovere.
“Ma se la rigo?” mormorò sconfitta allungando la mano per prendere le chiavi.
“Se la righi me ne farò una ragione” rispose scrollando le spalle Lily.
“Ma tu come fai tutto il giorno senza? Io non riesco a tornare a casa…”
“Se magari la smettessi di trovare scuse riesci a evitare il traffico dell’ora di pranzo” annui lei, in risposta a un’altra domanda evidentemente, si ritrovò a pensare Alex. “Ci vediamo domani mattina” aggiunse poi per girarsi e tornare dentro casa, lasciando una povera inglese con una macchina fin troppo tecnologica per i propri gusti.
Dove erano finiti i tre pedali?
E il cambio? La leva del freno a mano?
E perché si accendeva con un pulsante anziché girando la chiave che nemmeno esisteva più?
“Alex!” l’urlo di Lily la fece sobbalzare. “Parti cazzo! È una macchina non è un ufo!” e con quella frase richiuse quella porta alle proprie spalle ridendo. Prese il libro che aveva iniziato a leggere e saltò – letteralmente – seduta sul divano rilassandosi. Godendosi una tranquilla giornata a casa; dopo gli ultimi trambusti che erano successi aveva bisogno di un pomeriggio di relax.
Ma non passarono nemmeno una manciata di minuti che il campanello di casa prese a suonare.
Una. Due. Tre volte.
“Cosa hai dimenticato?” sbuffò aprendo il portone la ragazza, certa di trovarci Alex, per poi rimanere stupita di fronte al capello biondo platino di Gena e quello rosso fuoco della sua amica: la padrona del bungalow dove alloggiavano. “Ah siete voi” disse tranquilla. “Ci sono problemi?” domandò poi con tuta l’ingenuità che poteva dimostrare; anche se sapeva benissimo cosa stesse accadendo: Gena stava semplicemente facendo il gioco che le riusciva meglio, quello che prevedeva lo sfruttamento di ogni tattica possibile: soprattutto se passivo-aggressiva.
Ma dato che l’atteggiamento passivo non aveva portato risultati, stava per intraprendere la strada aggressiva?
“No” squittì Gena. “Possiamo entrare o ci fai attendere qui tutto il giorno?” aggiunse con una smorfia indignata.
Lily in tutta risposta spolverò la sua faccia più indifferente e fece le spallucce. “Come volete” e senza nemmeno guardare la bionda si girò e andò a sedersi sul divano.
“L’educazione non la insegnano dalle tue parti?” mormorò la ragazza, che evidentemente voleva solo cercare un pretesto per discutere con l’ultima arrivata. Ma a quel giro Lily non avrebbe ceduto.
“Oh scusa, da come ci avevi accolto tu l’altro giorno, pensavo fosse usanza Californiana essere sgradevoli quando qualcuno ti viene a trovare” disse con un sorriso amabile.
“Senti siamo qui per parlarvi dell’affitto” intervenne prontamente l’amica di Gena, sporgendosi in avanti sul divano, come se si preparasse a dover fermare un’imminente rissa.
“Immaginavo si trattasse di questo” annuì Lily tranquillamente.
“Sai è da mesi che state qui, e doveva essere una soluzione temporanea” prese a descrivere la bionda platinata, con la stessa concentrazione di chi stava esponendo una difficile relazione, o forse con chi stava lottando con i propri demoni, e aveva trovato un probabile punto debole da colpire.
Quello che non sapeva però era che aveva davanti una persona, che all’occorrenza poteva dimostrare la stessa pietà di un boia nell’antico Medio Evo. Lily non era come Alex, che aveva un animo dolce e comprensivo, una bontà unica quasi  al limite del possibile. No, lei aveva unghie e artigli pronti a graffiare, non era cattiva, nemmeno egocentrica come molti pensavano, ma lottava per le cose in cui credeva: a volte con irruenza e impulsività, altre con una freddezza clinica. Ma non avrebbe permesso a nessuno di distruggere quello che stavano creando le ed Alex in California. E non era solo coronare il sogno di una fangirl, era molto di più.
“Ok, è vero, ma dato che non ci hai detto nulla” rispose lei guardando Melanie. “Pensavamo che andasse tutto bene” concluse con un sorriso sincero.
“Vorrei tanto riuscire a venderlo il Bungalow, prima che il mercato crolli ancora di più” prese subito a dire la ragazza gesticolando un po’.
“Quanto pensi di guadagnare?” chiese Lily tranquillamente, per niente turbata dalla faccenda.
“Beh, compreso il terreno, io direi sui duecentomila dollari, ma dovrei prima dargli una bella sistemata” rispose la ragazza che aveva fatto qualche ricerca prima.
“Se ti dicessi che te lo comprerei? Che domani potresti venire qui con un notaio e firmerei subito?” propose Lily seria, senza nemmeno battere ciglio, al contrario delle due ragazze che stavano letteralmente fissando l’italo-americana come se fosse venuta da un altro pianeta.
“Stai scherzando o è una scusa per prendere tempo?” domandò Melanie che in quella faccenda sentiva puzza di bruciato.
“Se conosci un notaio puoi farlo venire qui, se ti affidi a qualche agenzia allora fai venire qui l’agente” disse subito.
“Non mi sfidare un amico è l’agente immobiliare più conosciuto della zona, potrebbe essere qui in cinque minuti!” Celiò Melanie con lo stesso sorriso di chi aveva quasi la certezza di aver sferrato il colpo vincente.
“Bene sarà il caso che allora inizi a mettere su il caffè e preparare qualche snack” esclamò Lily alzandosi dalla poltroncina con un sorriso sincero. “Chiama l’amico tuo, tratteremo sul prezzo ma stasera avrai un po’ di soldi da spendere come vuoi” aggiunse facendole l’occhiolino amichevolmente.

Circa tre ore dopo Lily era stesa sul divano e aveva sopra di se il contratto di proprietà del terreno e del bungalow. Avrebbe dovuto provare un senso di gioia, di rivalsa, ma invece aveva solo il timore della reazione della band, ma soprattutto di Alex. Sapeva benissimo che la ragazza che le avrebbe urlato dietro che nemmeno per un pomeriggio poteva lasciarla sola, che lei ne combinava una delle sue.
Sospirò a lungo, cercando di pensare a cosa potesse fare. Nascondere la cosa? Non era sicura che Gena avrebbe tenuto la bocca chiusa, non dopo aver provato a farle rimanere senza un tetto. E poi come avrebbe spiegato a tutti l’acquisto cosi repentino?
Forse dovrei sfruttare il grande giardino sul retro per farci una piscina. Pensò scoppiando a ridere da sola: quella si che era un’ottima alternativa, o una via di fuga. Far rientrare Alex a casa l’indomani dopo un turno massacrante, con gli operai che alle sei della mattina iniziavano a scavare la terra per farci una piscina.
Prese il cellulare e compose il numero di Brian.
“Brian, disturbo?”
“Hey piccola no dimmi pure… Sono in giro con Matt e Johnny” disse il ragazzo ridendo, per poi zittire i due compagni che avevano preso a fare versi stupidi e rumori di baci.
“Era solo un saluto” disse sospirando mentalmente, non voleva di certo spiegare tutto a tutti.
“Piccola chiudo che qui sto guidando e i due coglioni rompono le palle, ti chiamo dopo.”
Click.
“Si tranquillo” borbottò la ragazza scorrendo ancora una volta la rubrica del proprio cellulare.
“Lily?” una voce squillante ma stupita fece sorridere la ragazza.
“Val scusa il disturbo, mi stavo chiedendo se tu fossi libera e se passeresti un secondo da me”
“Mezz’ora e sono li, ma va tutto bene? Ci sono problemi?”
“No per carità, solo ho bisogno di un consiglio, e riguarda Gena” spiegò lei.
“Capito, arrivo, ciao!”
Almeno lei salutava quando riattaccava al telefono, mica come il suo ragazzo.

“Tu vorresti dire che Gena era venuta qui con l’intento di sbattervi fuori di casa?” domandò per la terza volta Valary che stringeva tra le mani il contratto che qualche ora prima Lily aveva firmato.
“Beh, non che l’abbia detto così esplicitamente ma parlavano di vendita e di tempistica…”
“E tu ti sei comprata casa e terreno così su due piedi?” quella domanda non era nemmeno venuta troppo presto come si aspettava, anzi.
“Si” annui semplicemente Lily. “Me lo potevo permettere” aggiunse poi abbozzando un sorriso imbarazzato. “E se ti stai chiedendo se sono ricca diciamo una via di mezzo, la mia famiglia lo è, io ho avuto la fortuna di portare il cognome che ho” spiegò cercando di minimizzare, tutte le informazioni superflue e troppo personali. Ci sarebbe stata un’occasione migliore per spiegare tutto a tutti.
“Quindi sei una sorta di ereditiera?” chiese leggermente curiosa.
“Una specie, ma una di quelle che non ama finire sui rotocalchi o sulla bocca di tutti” rispose lei. “Ora puoi spiegare a Michelle che non sto con Brian per i soldi” aggiunse leggermente velenosa. “Scusa” aggiunse poi sospirando: “Brutta abitudine a morire quella di lanciare frecciatine.”
“Tranquilla” scosse la testa Valary. “Devo dire che sono sorpresa”
“Non mi interessano i soldi o la fama di Brian, non amo nemmeno ostentare, ma ci sono volte in cui i soldi possono realmente facilitarti la vita” prese a dire tranquillamente. “Avrei potuto dare la soddisfazione a Gena di vederci sbattere fuori di casa, ma c’è un qualcosa dentro di me, che Alex chiama ‘stronzaggine’ che mi impedisce di farmi mettere i piedi in testa”.
La sincerità e la calma con cui Lily esponeva i fatti, aveva quasi fatto pentire Val di tutte le cattiverie che lei, Michelle e Gena avevano detto su di loro. Ma era stato decisamente più facile giudicarle senza prendersi la briga di conoscerle realmente. Non era invece stato solo per mancanza di bontà, ma semplicemente perché tutte sapevano che l’equilibrio era ormai rotto, e il loro gruppo solido e invincibile era stato schiacciato e sbriciolato come sabbia al vento.

*

C’era un tempo in cui ‘Dear God’  riusciva a tranquillizzarla e farla sentire a casa, anche se era in viaggio. Ma in quel momento provava solo una fastidiosa sensazione di irritazione. La discussione con Alex l’aveva turbata, a volte era cosi buonista da farle venire il nervoso. Secondo la logica dell’amica avrebbero dovuto trasferirsi a vivere sotto un ponte anziché comprare il bungalow e far rodere Gena all’infinito. Ma Lily una cosa del genere non l’avrebbe mai concepita. Nonostante le difficoltà in famiglia, sapeva benissimo che la sua vita era stata agiata e agevolata dai soldi e dall’aspetto fisico, ma non per questo aveva voluto prevalere sul prossimo come voleva e faceva la ragazza di Zackary.
Non era colpa sua se era nata attraente e se suo padre era un industriale di tutto rispetto.
Non era colpa sua se Gena aveva paranoie e paturnie che presto l’avrebbero allontanata da tutti.
Non era colpa sua se Alex non comprendeva in pieno l’idea di vivere senza problemi.
Lily era sempre scesa a compromessi, ma ora che aveva un ragazzo di cui era follemente innamorata, che viveva nel posto al mondo più bello e travolgente che ci fosse, i compromessi non servivano.
“Io credo, ecco…” la voce di Zacky la destò dai i suoi pensieri. “Se mi lasciassi il braccio, potrei continuare a suonare” aggiunse con una piccola smorfia di dolore, e la ragazza scattò subito con lo sguardo sulla propria mano che stava stringendo fortemente il braccio del chitarrista.
“Oddio scusa!” esclamò imbarazzata.
“Spero che qualsiasi cosa a cui tu stessi pensando non si manifesti all’improvviso o la uccidi” sorrise divertito.
“Credo che la settimana prossima Alex quando si ritroverà gli operai a scavare nel giardino laterale per la piscina, ci divertiremo” aggiunse con un pizzico di acidità nella voce.
“Credo che se continuate a discutere per quella casa una delle due finirà nella fossa prima della vasca” borbottò contrariato. “Non è bello quando litigate fra di voi, vi preferiamo quando litigate con il mondo esterno”
“Senti non è colpa mia se Gena voleva farci buttare fuori di casa” statuì seria con un tono che non avrebbe permesso nemmeno una replica. “Stanno per ultimare i lavori all’interno, no? Ora voglio pensare all’esterno!” sorrise poi amabilmente.
“Cambi umore più velocemente di Brian, siete fatti per stare insieme” borbottò scorrendo in avanti, arrivando al bancone, e osservando poi la ragazza parlare con il tizio che le stava mostrando i vari tipi di piscina nella fascia delle grandezze che potevano inserirsi in giardino. E notò una cosa che mai aveva visto prima: Lily ci sapeva fare, sapeva piazzare sorrisi raggianti a battutine per indirizzare una persona dritto nella tela del ragno. Che lo avesse fatto con loro? Più passavano i giorni e più quello strano duetto cominciava a giocare con le carte scoperte, e lui non sapeva dire se era affascinato dalla novità che avevano portato nel gruppo, oppure dalla semplice curiosità che lo spingeva a conoscere tutti i retroscena delle due.
Alex era dolcissima, timida, ideologicamente corretta e irreprensibile. Era la classica persona che con la sua semplicità e la sua dolcezza riusciva a disarmarti senza molte difficoltà. Aveva una parola buona per tutti, ma lottava contro quelle cose che reputava sbagliate.
Lily era lunatica, e impulsiva. Una combo che spesso lo terrorizzava. Era fermamente convito che una ragazza della sua avvenenza con un conto in banca che nemmeno loro potevano immaginare, avrebbe tranquillamente conquistato il mondo senza problemi. Era meglio se l’avesse tenuta amica.
Era perfetta con Brian. Erano due totalmente senza briglie.
E loro, gli altri rimasti a fare da cornice a questa strana coppia, erano semplicemente e irrimediabilmente: fottuti.
“Ci mettono perfino una cascata artificiale che scende giù in piscina!! E fanno il patio piastrellato coperto da un grande gazebo per cucina esterna con barbecue!” esclamò felice Lily tornando a guardare Zacky.
“Per fortuna che avevi detto qualcosa di sobrio…” borbottò l’amico.  
“No ho deciso che se tanto devo far arrabbiare qualcuno, mi prendo le parole per qualcosa che mi piace!” rispose solare la ragazza dando una pacca sulla spalla a Zacky.
“Dio, sei tremendamente simile a Brian, mi fai quasi paura.”
“Sai, alla fine voi tutti conoscete così poco di me e di Alex, potremmo essere due geni della truffa che vi potrebbero lasciare in mutande!” celiò Lily divertita, mentre firmava degli assegni da lasciare al titolare come anticipo.
“Io da te e da lei mi ci farei lasciare volentieri in mutande!” rispose prontamente il ragazzo. “Ma tu hai sbagliato chitarrista, e l’amica tua mi detesta” borbottò in fine sconsolato.
“Fidati tu non reggeresti i miei livelli!” scherzò in risposta Lily con così tanta naturalezza che a Zacky per qualche secondo parve che quella frase esprimesse tutta la totale verità della situazione.
Rientrò a casa dopo aver riaccompagnato Zacky in saletta; e non si era nemmeno fermata a vedere se c’era Brian. Si sarebbero visti la sera a cena, e lei aveva decisamente bisogno di non sentirsi gli sguardi addosso come se fosse una sorta di animaletto da vivisezionare. Era ricca, si era comprata una casa e l’aveva fatta ristrutturare, ora ci voleva aggiungere la piscina. Essere giudicata da delle presunte rockstar che si erano fatte riempire una piscina di champagne non le piaceva. Ma nemmeno essere criticata da Alex, che come al suo solito non era entrata nell’ottica di vivere una follia come se non fosse la fine del mondo.
Lily era consapevole che  non avrebbe dovuto spendere così tanto, nemmeno buttare le carte scoperte sul tavolo, ma era anche stanca di doversi limitare. Aveva fermamente creduto che in California avrebbe potuto dare sfogo alla sua personalità, che di certo non si conteneva facilmente, era convinta che nella nazione delle star Hollywoodiane tutto fosse concesso. A Londra pur essendo una città cosmopolita tanto quanto New York, si era sempre trattenuta, perché aveva imparato che tutte le ragazze carine che amavano vestirsi in maniera sexy: o passavano per stupide, o per poco di buono. Così al posto di minigonne svolazzanti e canottiere provocanti c’erano gonnelline da avvocatessa frustrata e camicette bianche. Lei era una bella ragazza, e ne era sempre stata consapevole, e ammetteva tranquillamente che a volte guadagnava più con una smorfia civettuola che con anni di studio. Non era imputabile a lei però la superficialità dell’uomo medio. Lei che nel circolo ristretto ed Elitario di Harvard si era ritrovata a dove sopportare ogni genere di pettegolezzo e cattiveria per ogni lode ricevuta. L’ultimo anno si era ritrovata perfino il proprio numero di telefono nei bagni maschili con tanto di dedica per magici servizi.
Non faceva la vittima, non tirava fuori il suo passato incasinato per giustificare i suoi colpi di testa, e non voleva di certo fare colpo su chissà chi. Doveva smettere di idealizzare il mondo in cui voleva vivere, e guardare con occhi più obbiettivi quello in cui viveva.

Mentre una si godeva un riposo non troppo meritato, l’altra aveva appena concluso un turno di otto ore…

“Tieni” fu l’unica parola che Alex sentì prima che una catasta di almeno quindici cartelle cliniche le piombasse davanti, con molta poca delicatezza. Non appena la ragazza, ripresasi dal mezzo infarto alzò gli occhi, quello che vide fu solo una zazzera bionda a capo di due spalle belle massicce. Le ci volle qualche secondo a calcolare la forza che avrebbe dovuto imprimere con le sue braccia per tramortire quel bell’imbusto che aveva davanti, con le cartelle; purtroppo però superava la sua soglia massima. Avrebbe voluto avere vicino Matt, o Zacky e la sua stupida mazza da baseball in quel momento.
“Scusami” esclamazione secca e perentoria, Jacob si girò con un sorriso stampato in volto e annuì. “Credo che queste…” prese a dire afferrando le cartelle che il cavernicolo le aveva sbattuto davanti. “Ti appartengano” aggiunse lasciandole cadere una a una sulla parte del bancone rialzato proprio davanti al tizio.
“Hey sono nuovo di qui, nel mio vecchio ospedale il lavoro si divideva” rispose con uno spiccato accento, Alex non era sicura se fosse texano o comunque del sud.
“Mi prendi in giro?” domandò lei stupita. “Insomma, chi ti ha mai visto? Chi vuole aiutarti a dividere il lavoro eh?”
“Mi hanno detto che sei tra le ultime arrivate…” ma prima che potesse finire la frase lei lo zittì con uno sguardo a dir poco agghiacciante.
“Sei tu l’ultimo arrivato. Punto” celiò con un sorriso guardando l’orologio. “E il mio turno è finito mezz’ora fa…” sospirò scuotendo la testa: aveva promesso a Lily di tornare in tempo per cenare insieme, ma non ce l’avrebbe fatta nemmeno con il teletrasporto.
“Problemi all’orizzonte?” chiese il tipo osservando l’espressione corrucciata di lei.
“Uno: alto biondo e abbronzato” bofonchiò in risposta la ragazza.
“Ma tu sei sempre così impudente o oggi è il mio giorno fortunato?” domandò lui con un sorriso.
“Alex, c’è un ragazzo che ti sta cercando, ti aspetta all’ingresso, sa che il tuo turno è finito quasi un’ora fa”. L’infermiera neanche si fermò per essere ringraziata e prese a camminare velocemente verso il proprio reparto. La ragazza non si fece perdere l’occasione e con un sorriso di circostanza si congedò prendendo la propria roba e si diresse verso l’uscita. Chiunque fosse lì fuori l’aveva appena salvata: gli doveva almeno una birra.
“È il tuo ragazzo?” la voce dell’ultimo arrivato la fece rallentare per qualche secondo, ma si riprese e tornò a camminare con passo spedito verso l’atrio.
“Ma ti ci hanno fatto cosi rompiscatole?” domandò senza girarsi. “Comunque no, non ho un ragazzo” puntualizzò stizzita.
“E chi lo avrebbe mai detto…” rise in risposta prima di doversi fermare bruscamente, perché lei si era impuntata davanti a lui, con il dito indice che picchiettava sul suo petto. Se solo avesse avuto la forza, era certo, che quella dottoressa tutto pepe l’avrebbe ucciso li davanti.
“Uno: non so come ti chiami. Due: non ti conosco. Tre: fatti gli affari tuoi e qui campi cento anni!”
Un monito di guerra.
“Jacob White” rispose lui con un sorriso amichevole. “Trentacinque anni, vengo da Dallas, e sono uno che va matto per i dolci, ora sai tutto di me!” continuò a dire, come se quella fosse una normale chiacchierata per conoscersi meglio. “Non voglio vivere così a lungo… Preferisco viverne cinquanta di anni ma fino all’ultimo che risparmiami meravigliose avventure!”
“Ma tu esci da un pacchetto di patatine per caso?” domandò esasperata Alex.
“Beh…” prese a dire lui osservando il nome sulla targhetta. “Alexandra, no provengo dai tuoi sogni più reconditi!”.
Lei non fece in tempo nemmeno a rispondergli che si ritrovò sollevata a mezz’aria, lui l’aveva presa in braccio in perfetto stile principessa, lei si dimenava senza aver le parole adatte per insultarlo.
“Bob!” vide la guardia all’ingresso girarsi verso di loro e sorridere. “Bob aiutami! Fammi mettere giù ti prego!”
“Ma signorina, si diverta un pochino, e poi il dottor White mi sembra reggerla bene!”
“Esatto Brontolo goditi la vita no?!” rise il dottore che le suggerì di passargli le braccia intorno al collo per non cadere e farsi realmente male: perché di certo, lui non l’avrebbe lasciata.
“E dai cosa vuoi fare?” domandò esasperata Alex.
“Voglio vedere il misterioso ragazzo che ti sta aspettando!”
“No no no! No! Dai lasciami giù!” protestò lei senza ricevere attenzioni.
“Chi è qui per la dottoressa McLiar?” urlò lui una volta fuori nell’ingresso.
“Io” la voce funerea di Zacky era inconfondibile, e quando Jacob si girò in direzione del proprietario della voce, entrambi videro un ragazzo con lo sguardo lugubre e le braccia incrociate al petto.
“Jake lasciami subito giù” disse lei seria, e il ragazzo annuì posandola delicatamente a terra.
“Mi piace che passiamo già ai vezzeggiativi, Alex” rispose lui con un sorriso quasi sornione, le prese il viso tra le mani e le diede un bacio sulla guancia, come se i due si conoscessero da sempre.
“Ciao” squittì lei in risposta girandosi imbarazzata.
“A domani Doc, sarà un piacere lavorare insieme” si congedò quell’essere che secondo l’inglese doveva per forza essere uscito da qualche sceneggiatura strampalata di serie Z.
“E lui chi era?” chiese subito il chitarrista inarcando il sopracciglio.
“Un collega” rispose lei non capendo la seccatura che leggeva tra le sfumature di quella domanda.
“E basta?”
“E tu che ci fai qui?” chiese lei ripresasi sia dall’imbarazzo che dalla confusione.
“Mi ha mandato Lily, lei ha deciso di iniziare prima al pub, tanto sapeva che non ce l’avresti fatta per cena.”
“Non mi stupisce” sospirò dispiaciuta.
“Ci vediamo tutti al pub a cena, cosi la facciamo impazzire al primo giorno di lavoro”.
“Ma io avrei voglia di farmi una doccia e andare a letto…” provò a dire Alex.
“E permetterai a Lily di rinfacciarti a vita che non c’eri il suo primo giorno di lavoro?” ghignò divertito Zacky, consapevole della vittoria che aveva in pugno.

Non avevano mai visto così tanta gente di mercoledì sera. Il pienone generalmente era nei week-end, e quando c’era la serata karaoke. I ragazzi erano fortunati ad avere fatto riservare un tavolo da Bobby, che senza fare storie aveva scelto il migliore di tutto il locale: quello davanti al bancone dove la loro amica-apprendista avrebbe lavorato per la prima sera. Entrarono tutti insieme, erano una tavolata di almeno dieci persone: tutta la band, Valary, Lacey, Alex e i due gemelli Berry. Tutti li per vedere Lily alle prese con un lavoro. Uno vero.
C’era stato un giro di scommesse su quanto avesse retto, la migliore ipotesi era una giornata, la peggiore un’ora. Solo Alex aveva ipotizzato che quel lavoro non l’avrebbe lasciato mai. Aveva visto l’entusiasmo della ragazza, fin troppo spiccato, nel servire drink in un pub. Il che racchiudeva alcune tra le cose preferite dall’Italiana: inventarsi intrugli sempre diversi, ammiccare ed essere sorridente, e farsi dire dalle persone tutto.
Negli ultimi giorni aveva effettuato ricerche su internet e non solo, si era vista le Ragazze del Coyote Ugly, cosa che aveva terrorizzato Alex, perché non voleva che la propria migliore amica si trasformasse in una mezza spogliarellista che faceva docce di alcool agli avventori del locale.
Il silenzio nella tavolata calò quando Lily tornò dallo scantinato con delle casse di bottiglie di vodka tutte colorate.
“Porca troia” sbottò Brian allibito.
Gli shorts jeans realmente shorts, il costume nero che svettava da una camicetta allacciata praticamente sotto il seno, non lasciava molto all’immaginazione, e per concludere un simpatico cappello nero da cowboy concludeva un quadretto niente male per tutti i clienti maschili del pub.
Lily amava esagerare. E lo avrebbe fatto capire a chiunque, che se le si tarpavano le ali, lei si sarebbe ribellata e avrebbe fatto quello che voleva. Non amava essere una pedina manovrabile nelle mani di nessuno.
“Dovevo proibirle di guardare le Ragazze del Coyote Ugly” sospirò Alex sconsolata.
“Io vado al bancone a prendermi un drink!” cinguettò tutto felice Zacky. “Brian su con la vita! Non abbiamo nel pub pali da spogliarellista” scherzò il ragazzo gettando una manciata di malumore nel mix micidiale che stava provando Brian in quel momento di sentimenti e sensazioni.
Lily era bella, era di certo la prima caratteristica che aveva notato in lei. Era un uomo, certe considerazioni venivano automatiche. Ma era anche molto più di un corpo in mostra, e lo aveva capito con il passare de tempo, conoscendola, aveva capito che era intelligente, romantica, spigliata e pazza. Ma in quel momento odiava quel lato sbarazzino suo, avrebbe preferito avere una ragazza timida e che amava stare in disparte; piuttosto che una che stava dispensando risate e commenti a chiunque.
“Io ho trovato la mia gallina dalle uova d’oro” commentò Bobby comparendo praticamente dal nulla. “Ha già capito come farmi fare soldi” ride.
“Si stando mezza nuda” borbottò Brian contrariato.
“E’ caldo Brian li dietro, se osservi anche l’altra ragazza è vestita come Lily” gli fece notare l’uomo.
“Si ma tutti fanno la fila da Lily”
“Ma questo lo pensi tu, vecchio gelosone” lo prese in giro Bobby. “È una brava ragazza, e ha detto a tutti che è impegnata, quindi se qualcuno ci prova ci pensa il suo ragazzo a spaccargli la faccia”.
“Mhm” annuì lui non ancora del tutto convinto. Ma alla fine che avrebbe potuto fare? Ancora le cose con lei non erano tornate come prima della lite, e aveva notato subito la differenza, impercettibile agli esterni, ma era come se lei non fosse più libera di lasciarsi andare totalmente con lui. Era tra le righe dei suoi atteggiamenti che Brian sentiva ancora di essere messo alla prova, ma non sapeva dire se fosse solo un timore suo di perderla, o fosse realmente così.

*

Entrò in cucina indossando solamente una maglietta un po’ logora e leggermente sbiadita, che Brian usava un tempo come pigiama. Indosso a Lily sembrava un mini vestito. “Mi stavo domando cosa avresti fatto, se avessi provato a stuprarti” esclamò lei aprendo il frigo alla ricerca di qualcosa da sgranocchiare. “Dico… Si, insomma, se ti avessi beccato dopo un concerto e sbattuto al muro, come avresti reagito?” continuò a chiedere senza osservare l’espressione allibita del proprio ragazzo. Di domande strane lui, ne aveva sentite a decine, ma quella batteva tutte.
“Piccola, sinceramente, se una come te mi avesse sbattuto al muro, mi sarei fatto stuprare senza tante resistenze” rispose inarcando il sopracciglio fissandola.
“Era per sapere” rispose lei ridendo.
“Ma tu certe domande te le pensi la notte anziché dormire?” chiese divertito lui versandosi la seconda tazza di caffè.
“Alcune si, vengono fuori e non riesco a toglierle dalla testa senza prima aver trovato una risposta” rispose seria lei.
“Ahn, tutto normale no?” domandò divertito.
“Brian non hai mai un cavolo in casa, ora capisco perché vieni sempre da noi” si lamentò chiudendo il frigo.
I due interruppero la conversazione quando il campanello di casa prese a suonare come se ci fosse qualcuno attaccato; e in effetti c’era. Quando Brian aprì la porta la zazzera bionda della sorella fece capolino davanti a lui.
“Ciao fratellone! Oggi c’è assemblea di istituto e son venuta qui! Perché non avevo voglia di starmene in giro. Posso stare vero? Rimango anche a pranzo! Mamma e papà sono d’accordo.”
E ci credo che loro erano d’accordo. Si ritrovò a pensare il ragazzo chiudendo la porta.
“Wow! Ti sei fermata a dormire qui? Ho interrotto qualcosa? Mi dispiace! Ma tu sei uno schianto anche di prima mattina? Brian ti ha scelto bene, una cosi bella non gli ricapita nemmeno tra cento anni, generalmente tutte le sue fan sono racchie o realmente fuori di testa!”
Amanda Haner era di certo il membro della famiglia che Lily adorava di più, era un vulcano in piena attività, travolgente e con una parlantina veloce e coinvolgente.
“Buongiorno Mandy” rispose semplicemente la ragazza sorseggiando il caffè.
“Passeremo la giornata insieme? Sai, devo dirti tantissime cose! Brian non mi ha mai voluto dare il tuo numero di casa…” prese a dire, e venne interrotta dalla mano del fratello che le si posizionò davanti alla bocca. Passarono solo una manciata di secondi prima che il ragazzo si allontanasse di scatto, liberando la sorella dalla presa.
“Mi ha morso!” esclamò poi lui muovendo la mano avanti e indietro.
“Mi stavi soffocando” si difese lei.
“Siete favolosi” commentò Lily divertita. “Guarda Mandy io e te andiamo a fare spesa ok? Brian lo lasciamo qui a casa” disse facendo l’occhiolino al ragazzo, che da dietro la sorella mimò con la bocca ‘grazie’.
Brian adorava sua sorella, era affezionato da morire a quell’esserino caricato a molla e con pile perpetue, ma aveva programmato quella mattina di farsi un lungo bagno, e sistemare tutte le sue chitarre; dato che erano un paio di mesi che nemmeno le toccava.

*

Santa Monica, la Mecca della loro iniziale vacanza, il punto di incontro tra sogno e realtà. Il luogo mistico dove la speranza di un qualcosa di diverso aveva travolto due ragazze, che ignare si erano lasciate guidare da un fato birichino e decisamente intento a shakerare le loro esistenze fino a confonderle l’una nell’altra. Ma i giocatori chiamati in causa, erano più delle due ragazze, erano una manciata di avventurieri, cavalieri dall’armatura ammaccata che erano stati disarcionati da un giro di ruota sfortunata. Nessuno aveva compreso la vastità del loro primo incontro.
Nemmeno Lily, la piccola grande veggente, aveva ben compreso il susseguirsi di tutti quegli eventi, dal loro primo incontro: e di cose ne erano successe; fin troppe.
Le mancava la madre, e casa. Il padre e i fratelli decisamente no, troppo presi dal lavoro per capire che vivevano nel ventunesimo secolo, e Lily non era un’incapace che doveva starsene a casa a fare la maglia.
“Perché sei voluta venire qui?!” Chiese Brian girando il volto a osservare quello della sua ragazza più pensieroso. Era dannatamente bella, i suoi occhi avevano assunto sfumature di un verde scuro, come a rispecchiare il tempo nuvoloso di Los Angeles quel giorno.
“Mi piace qui, quando non ho nulla da fare vengo spesso qui, alla fine è meno di mezz’ora di macchina” disse sincera.
“Qui è dove abbiamo deciso che voi dovevate venire ad Huntington” disse lui accompagnando la frase con una leggera risata.
“L’unica pecca è che mancavo io” la voce divertita di Ian fece trasalire Brian, che si era quasi dimenticato della presenza del Gallese, ma la sua figura si stagliò  dritta da dietro Lily con un sorriso tanto amabile quanto finto.
“Perché hai voluto invitare proprio tutti?” domandò Brian cercando di ignorare il ragazzo. Non che avesse qualcosa contro lui, ma solo contro il suo smisurato Ego. Insomma, lui di ego-maniaci era un esperto; Synyster Gates deteneva il trono sul suolo Americano, ma a quanto gli era parso, Watkins aveva l’immunità diplomatica. E Brian si era ritrovato con le mani legate. Se lo avesse offeso o comunque coinvolto in una rissa senza motivo, tutti gli avrebbero puntato il dito contro etichettandolo come geloso cronico. Il che era anche vero, ma non voleva tirare ancora una corda non del tutto saldata.
“Siamo venti persone e più, ci sono perfino alcuni colleghi di Alex, è un pretesto per stare tutti insieme” disse lei con un sorriso dolce. Di certo non avrebbe mai ammesso che adorava vedere Brian geloso alle prese con un Ian Watkins impertinente  e leggermente fastidioso.
“Jacob che tipo è?” chiese poi il chitarrista pronto a cambiare discorso. “Zacky dice che è un pallone gonfiato” aggiunse accendendosi una sigaretta, e facendo un lungo tiro, riempiendosi così i polmoni di nicotina.
“Io lo trovo un tipo simpatico” rispose Ian alzandosi in piedi e pulendosi granelli di sabbia invisibili – dato che era seduto su un telo praticamente monopolizzato da lui – dai pantaloni.
“Non lo mettevo in dubbio” borbottò l’altro ragazzo scuotendo la testa.
“Lo sai vero che non devi temere la presenza di Ian, si?” disse Lily girandosi per guardare il ragazzo.
“Sono geloso, è nel mio DNA” rispose lui soffiando lateralmente il fumo.
“E mi piaci geloso davvero” annuì lei. “Ma non farti rovinare una giornata così bella solo perché non sa tenere la lingua a freno” rise divertita. “Ok?”
“Ok” rispose lui con la stessa convinzione di chi era destinato a finire al patibolo.

“Vuoi dirmi che mentre eri in Colombia hai salvato la vita a un ragazzino semplicemente con una camicia e del legno?” chiese stupita Val sgranando gli occhi, domanda che era venuta in mente a tutti i presenti; mentre Jacob raccontava le sue avventure con Medici Senza Frontiere in sud America. Lui le faceva sembrare semplici aneddoti per far sorridere le persone, ma agli occhi dei presenti era una sorta di Superman con il camice bianco.
“Assolutamente si, ma la vera magia è accaduta stamattina, non so se avete sentito parlare dell’incidente in prossimità del ponte…” prese a dire lanciando un’occhiata in direzione di Alex che sorrise arrossendo leggermente. “Beh eravamo di turno io e Alex, e siamo stati chiamati sul posto per soccorrere le vittime dell’autobus ribaltato.”
“Wow davvero? Ho sentito la notizia al telegiornale!” esclamò Ian stupito.
“C’era questo ragazzo con la gamba incastrata sotto i rottami del bus, che aveva bisogno di una tracheotomia di urgenza, ma purtroppo non avevamo con noi il kit, dato che i feriti soccorsi erano stati a decine, quindi Alex ha preso il bisturi e guardandosi intorno ha trovato una penna in mano a un paramedico che stava compilando il modulo, gliel’ha strappata via dalle mani, usandola come canula per far passare l’aria, taglio netto e deciso all’altezza della carotide e il ragazzo ha preso a respirare!” descrisse la cosa con un entusiasmo quasi contagioso, si vedeva lontano un miglio che stimava la ragazza.
“Beh questo sarebbe stato inutile se tu non avessi trovato il modo di liberagli la gamba senza doverla amputare!” intervenne Alex, per cercare di distogliere l’attenzione su di se, dato che era semplicemente il suo lavoro.
“Ma quanti anni aveva?” chiese Johnny bevendo un sorso di birra.
“Ventuno compiuti la settimana scorsa, non potevo amputargli una gamba.”
“Già ha quasi rischiato di rimanere lui senza braccio! A quanto pare le procedure sul campo non lo coinvolgono, lui segue regole tutte sue” lo rimbeccò Alex.
“Dettagli avevo calcolato tutto” rise lui scrollando la testa, come se volesse sottolineare la piccolezza di quei gesti.
“Come no?” lo schernì Alex.
“Allora ci dite come avete fatto?” interruppe il siparietto Johnny che era proprio preso dalla cosa.
“Con le lamiere di due sportelli, e l’aiuto dei vigili del fuoco abbiamo fatto leva, poi infilando il mio braccio sono riuscito a sfilare la lamiera del bus dalla gamba del ragazzo e l’hanno tratto in salvo” spiegò Jacob mimando la scena.
“Tre secondi dopo tutto si è accartocciato su se stesso!” squittì Alex. “Sei stato solo fortunato!”
“Hai urlato così forte che per poco non credevo di essere rimasto incastrato là sotto in qualche modo!” disse il dottore passandole un braccio intorno alle spalle e attirandola a se. “Che ci posso fare? Ho già fatto colpo, la piccoletta era preoccupata per la mia incolumità” pronunciò con aria strafottente ma scherzosa.
“Col cavolo!” rispose lei calpestandogli un piede per far si che sciogliesse la presa. “Sai che rapporto dovevo stilare se fossi rimasto incastrato li sotto? Mi sarei persa la serata a Santa Monica!” aggiunse portando le braccia conserte al petto e si girò di tre quarti con fare impettito.
Lei e Jacob nel giro di poche settimane si erano ritrovati a lavorare molto spesso insieme, più di quanto la ragazza si sarebbe mai aspettata; aveva il vago sospetto che Mister Capello Biondo, avesse sbattuto le ciglia lunghe a qualche capo reparto e farsi affidare i turni con lei. Poco male, alla fine non era così pessimo come aveva pensato i primi giorni, bastava solo prenderlo dal verso giusto, ed era una compagnia quasi piacevole.
Non aveva molti legami all’interno dell’ospedale, molte conoscenze e buoni rapporti, ma niente cose eclatanti; si era imposta di non incentrare la sua vita all’interno dell’ospedale. Non solo aveva promesso a Lily di non esagerare, ma aveva capito che il suo grande errore era stato anche lasciarsi fagocitare dal lavoro, redendolo il perno e il centro della propria vita. C’erano doppi turni, pause passate con i colleghi a bere un caffè e commentare i casi, c’erano le colazioni alle cinque di notte dopo dei turni massacranti, le festività passate con i pazienti malati, i favori a destra e manca. In fondo l’ospedale era la perfetta concentrazione della vita: c’era la nascita, c’era la sofferenza, la malattia, la gioia, gli amici, i legami, le gelosie e i rapporti amorosi. C’era anche la morte. Se volevi tra quelle mura trovavi tutto.
Ma aveva già commesso l’errore di essere assorbita dall’ospedale, e aveva visto la sua vita ‘esterna’ andare a rotoli, per poi cadere in pezzi. Solo quando si era allontana dalla sua amata Londra, ed era finita catapultata in una vita di surf, drink e feste, aveva capito che si era persa molte cose. Avere un ragazzo e un lavoro non era più tutto.
Si era resa conto di aver bisogno di svago, di divertimento e di leggerezza.
Jacob era stato lo strappo alla sua regola di non fraternizzare troppo. Lui l’avrebbe comunque presa per sfinimento. Erano usciti a cena insieme, e lo aveva invitato a casa dove aveva passato ore a parlare con Lily di neurologia. Erano diventati, una sorta di amici; ma si era resa conto che almeno il tempo in ospedale alle prese con lui passava più velocemente.

“Tu che hai fatto stamattina?” chiese Zacky avvicinandosi a Brian trovandolo in disparte a bersi una birra.
“Credo nulla, penso di essermi svegliato a mezzogiorno” rispose il ragazzo sincero.
“Pure io” borbottò l’amico sconsolato.
“Perché lo chiedi?” domandò il chitarrista incuriosito.
“Perché il nuovo amichetto di Alex a quanto pare ha salvato svariate vite, ed evitato di amputare una gamba a un ragazzino.” Esclamò stizzito storcendo il naso.
“Non è bello non essere il più figo della comitiva eh?” lo prese in giro Brian divertito. “Perché non lo ammetti che ti piace Alex?”
“Perché non è quello di cui stiamo discutendo ok?” precisò lui talmente serio che Brian alzò le mani in segno di resa e annui. “È non lo so’… C’è qualcosa in lui che non mi quadra, tutto qui”.
“Io penso lo stesso di Ian, ma lui ha davvero qualcosa che non va’, secondo me è tipo, boh, che ne so, un serial killer sotto mentite spoglie” borbottò contrariato.
“Non stiamo parlando di te Haner!” puntualizzò lui. “Sei un cazzo di egocentrico lo sai?”
“Come mai Gena non è venuta?” chiese il chitarrista bevendo l’ultimo sorso di birra. La quarta del pomeriggio, di certo non avrebbe guidato al ritorno, per fortuna Lily non aveva toccato nulla: avrebbe guidato lei.
“Stiamo cercando di trovare un compromesso” rispose. “Non sappiamo bene come andare avanti, siamo arrivati al punto in cui dovremmo affrontarci” scrollò le spalle.
“Hai paura di perderla?”
“Ho paura di realizzare così tante cose, che sto cercando di posticipare” ammise sinceramente il ragazzo.
“Terrorizzava anche me” annuì Brian. “Ma noi abbiamo aspettato troppo Zack, tutto ci è scoppiato tra le mani.”
“Hai mai pensato che sareste potuti tornare insieme?”
“Non proprio, quando ci siamo affrontati era troppo tardi, e avevamo bruciato ogni possibile ponte di congiunzione” sospirò il chitarrista. “Michelle era speciale, ma poi tutto è cambiato, e non siamo stati in grado di cambiare insieme, abbiamo preso strade differenti”
“A volte ho paura anche di questo sai?” disse Zacky. “Di intraprendere una strada nuova, non sono uno bravo ad affrontare certe cose, ho sempre preso su quello che capitava.”
“Non dire stronzate Zack” sbottò quasi inconsapevolmente Brian. “Insomma! Cavoli, ne avete affrontate di cose tu e lei, devi solo dirti se sinceramente la vuoi ancora nella tua vita o no”.
“Non è così semplice cazzo.”
“Non fare come Matt” rispose calmandosi. “Insomma guardalo è tornato con Val solo perché credeva di non poter avere di meglio, o comunque non aveva nessuna sostituzione pronta…”
“A te è andata bene no?” rise l’amico.
“Sto ancora cercando di capirlo, dopo la lite con Michelle le cose sono cambiate”
“Secondo me ti sta facendo pagare il fatto di essere stato un idiota, ma è persa di te” aggiunse Zacky sincero.
“Vedremo, intanto non cambiare discorso, lo fai sempre tu” rise.
“Sono un mago per certe cose, ancora devo discutere con Matt su la vecchia intervista rilasciata a Kerrang! Due anni fa” scherzò ridendo Zacky.

*

Una manciata di giorni dopo…

Nella vita aveva commesso molti sbagli, aveva compiuto azioni che avrebbero ritratto uno a uno i sette peccati capitali; era come se la sua filosofia di vita gli permettesse di coesistere con sbagli ed errori. Con il passare degli anni aveva imparato anche a porre rimedio ai torti fatti, e l’umiltà era una lezione che la vita gli aveva impartito più di una volta: lasciandolo in ginocchio senza aiuti.
Zacky di errori poteva annoverarne molti, ma quello che stava stringendo tra le braccia era di certo quello che gli avrebbe cambiato la vita: per sempre.
“Io esco” furono le uniche due parole che gli rivolse Gena, senza urla, senza pianti: sterili parole che avevano l’eco di un addio. Ma non era il momento di preoccuparsi della sua ragazza, che era in grado di camminare, parlare e guidare un’auto quando, davanti a lui un esserino totalmente vestito di rosa lo stava fissando con espressione incerta.
Zackary James Baker aveva una figlia.
Era una bastardina tutta rosa con profondi occhi chiari, che riuscivano a fargli venire i brividi se solo i loro sguardi si incrociavano.
Gli assistenti sociali avevano suonato alla sua porta, gli avevano fatto delle domande, e andandosene lasciarono in quella casa un piccolo essere di sei mesi.
Il fatto che la madre fosse una tizia newyorkese non lo interessava, nemmeno che aveva abbandonato la figlia per una grave depressione post-parto, e che quella piccola si chiamasse Stella forse, nemmeno l’aveva ben memorizzato.
Gena era rimasta in disparte a osservare tutte le domande poste al proprio ragazzo, e quello che provò non fu rabbia, ma semplicemente come se una delle sue paure più profonde si fosse realizzata.
Sapeva benissimo delle sbandate del ragazzo, ma vederne il frutto lì davanti la devastò.
Lui nemmeno provò a giustificarsi, nemmeno la guardò uscire di casa, era solo preso da se stesso, dal suo futuro incerto, e che a quanto pareva portava il nome di Stella.
La cosa che lo colpì era l’assoluta certezza che quel Cosetto rosa, fosse suo, da li a poco sarebbe andato in ospedale per fare l’attestato di paternità, ma lui già sapeva il responso. Aveva chiamato Alex in preda al panico, senza dirle nulla, pregandola di passare da lui non appena fosse stato possibile, e lo scorrere lento del tempo non riusciva a placare quella sensazione di panico puro che lo stava avvolgendo.
Sapere di avere una figlia era una notizia che aveva accolto con estrema calma.
Sapere di doverla crescere era un passaggio che il suo cervello non voleva elaborare.


L'angolo della scrittrice!

Scusate l'immenso ritardo, speriamo che tutti gli imprevisti li abbia finiti in questi mesi. E si, la fine di questo capitoli è sconvolgente lo so'. Ma il prossimo sarà strabiliante, e sarà nelle mani di Keiko, quindi fuochi d'artificio assicurati. Grazie per la pazienza, per recensire la storia e tenerla tra le preferite/ricordate/seguite.

   
 
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