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Autore: OpunziaEspinosa    02/10/2011    21 recensioni
E se Isabella Swan fosse la ragazza più popolare della scuola? Se fosse Edward Cullen il ragazzo nuovo in città? Chi dice che non sia LEI a doversi prendere cura di LUI? Breve FF su una semplice storia d'amore.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Bella/Edward
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Hola, come va amiche mie? Spero bene. Scusate la lunga attesa, ma ultimamente ho poco tempo per scrivere, e, malgrado le idee ci siano, la parole non escono. Un vero mistero.
Coraggio: siamo quasi in dirittura d’arrivo, la storia è quasi finita. Chi mi conosce sa che amo raccontare di come nasce una storia d’amore. Poi quel che sarà sarà. Sta ai protagonisti portarla avanti (Oddio, parlo come se esistessero davvero…)
Vi supplico: siate clementi leggendo questo capitolo. Ho iniziato a scrivere ieri, e già stavo poco bene. In questo momento ho la febbre a trentotto. Potrei aver pubblicato una vera schifezza. Anche se io l’ho amato.
Se vi va di sapere qual è stata la colonna sonora che ha ispirato parte di quanto scritto (oltre il fastidioso battere di denti dovuto ai brividi, ovvio), eccola:
Chasing Cars ‒ Snow Patrol


http://www.youtube.com/watch?v=l_32ej1PspQ

Semplicemente meravigliosa.


Un bacio,
Opunzia





 
Capitolo 12
 
“Edward, non voglio che tu te ne vada…”
“Tornerò a trovarti. Te lo prometto.”
“Sì, ma non sarà la stessa cosa non poterti vedere tutti i giorni…”
Già. Non sarà la stessa cosa. Dire addio, a volte, è difficile. Anche se in realtà questo non è un addio, solo un arrivederci.
“A che ora arrivano i tuoi genitori?”
Guardo l’orologio. “Saranno qui tra poco.”
“Mi suoni qualcosa prima di andare? Per favore…”
“Certo!”
Mi alzo dal letto e tendo le braccia in direzione della piccola Kate, una bambina meravigliosa, ma con gravi problemi di salute, che ho conosciuto nel reparto pediatrico dell’ospedale di Port Angeles una decina di giorni fa.
Lei sgattaiola fuori dalle coperte e mi si getta al collo.
“Hai preso tutto?” le chiedo, sistemandola sulle spalle. “Vuoi portare anche Mr Carrot?”
“Sì, sì!” esclama, agitando le manine. “Portiamo anche Mr Carrot!”
Così mi allungo verso il cuscino, recupero il suo peluche preferito ‒ un coniglio bianco e paffuto, con una carota stretta nella zampa destra ‒ e glielo passo.
Annoiandomi terribilmente, due giorni dopo essermi risvegliato dal coma provocato dall’aggressione di James, ho deciso di fare un giro per l’ospedale. Sono capitato nel reparto pediatrico e ho conosciuto Garrett, un infermiere che sta portando avanti un interessante progetto di musicoterapia. Ci siamo messi a chiacchierare, gli ho confessato che suono il pianoforte, e lui mi ha proposto di dargli una mano con i bambini di cui si prende cura per tutta la durata della mia degenza. Perciò, da una settimana a questa parte, vengo qui tutti i pomeriggi e, almeno per un’ora, suono per loro. Nulla di impegnativo: sigle di cartoni animati, filastrocche, melodie gioiose e divertenti inventate da me. Ma i bambini sembrano apprezzare e divertirsi un mondo. Soprattutto quando  Bella si unisce a noi. Perché quando c’è lei, oltre a suonare e cantare, si balla.
Esco dalla stanza con Kate sulle spalle, Mr Carrot appoggiato sulla testa, e faccio per dirigermi verso la sala giochi, dove Garrett ha messo a disposizione le sue tastiere, ma non appena oltrepasso la soglia sento una voce provenire dal fondo del corridoio.
“Ehi!” la sento chiedere in tono deciso. “Dove state andando voi due?”
Mi volto. Bella ci osserva da lontano, con le mani posate sui fianchi e lo sguardo finto imbronciato.
“Bella!” esclama Kate non appena la vede. “Edward, c’è Bella!” E comincia ad agitare le braccia nella sua direzione.
Kate adora Bella. Dice che da grande vuole diventare una ballerina come lei. Glielo auguro. Glielo auguro sul serio. Spero che possano trovarle un cuore nuovo e che lei possa finalmente vivere la vita sana e felice che si merita.
“L’ho vista!” cerco di tranquillizzarla, perché so che troppe emozioni le fanno male. “Non ti agitare, Kate!”
Comincio a camminare verso Bella, e lei fa altrettanto, sorridendomi radiosa.
Riuscirò mai ad abituarmi  alla bellezza del suo sorriso?
Riuscirò mai ad abituarmi al fatto che lei, ora, sia la mia ragazza?
Soprattutto, riuscirò mai ad abituarmi a quelle gambe spettacolari? Un paio di giorni fa, imbarazzato come non mai, ho confessato a Bella che con la divisa da cheerleader mi piace da matti. Non che lei non lo avesse già capito. Ma volevo dirglielo personalmente. Bella è felice quando sono sincero e le apro il mio cuore. Ebbene, da due giorni indossa una gonna decisamente corta, e l’idea che lo stia facendo per me mi toglie il fiato.
“Ciao, Bella!” esclama Kate.
“Ciao, piccolina! Come stai, oggi?”
“Bene! Io e Edward stiamo andando a suonare! Vieni con noi?”
“Certo che vengo con voi!”
“Possiamo anche ballare? Ti pregooo…”
Bella non sembra convinta e ci pensa un po’ su. Anche lei, come me, sa che la situazione di Kate è molto critica, e che è fondamentale non farla stancare. “Solo per qualche minuto,” le concede alla fine. “Niente salti e niente capriole. E se diventa troppo faticoso ci fermiamo. Promesso?”
Bella solleva il mignolo verso la piccola Kate. “Promesso,” risponde lei, offrendole il proprio.
“Signorina Kate,” intervengo io, in tono scherzoso. “Ora che lei e la Signorina Isabella avete finalmente raggiunto un accordo, mi concede il permesso di salutare come si deve la mia ragazza?”
Kate scoppia a ridere. “Glielo concedo, Signor Edward!”
Anche Bella sorride, e sposta i suoi occhi su di me. Anzi, no: sulla mia bocca.
“Ciao,” mi dice, sollevandosi sulla punta dei piedi e posando le sue labbra sulle mie. La sua voce e bassa, dolce e calda. “Mi sei mancato.”
“Ciao,” le rispondo, contraccambiando il bacio e scostandole una ciocca di capelli dietro l’orecchio. “Mi sei mancata anche tu.”
È un bacio casto, il nostro. Casto e leggero. Ma indugio per un attimo, perché le labbra di Bella sono il frutto più delizioso che io abbia mai assaggiato. E se non fossimo in un ospedale, più precisamente nel reparto pediatrico; se infermieri, medici e genitori non facessero avanti e indietro in continuazione, e non tenessi una bambina di sei anni sulle spalle, mi spingerei sicuramente oltre. Bella sta sciogliendo a poco a poco tutti i nodi che mi tenevano legato, e che io stesso avevo costruito. Con estrema dolcezza e pazienza mi sta insegnando a vivere, a non avere paura. A non temere ciò che desidero e a chiedere ciò che voglio senza remore. C’è ancora molto da fare, ce ne rendiamo conto entrambi. Diciassette anni di insicurezze non scompaiono dall’oggi al domani e, probabilmente, non sarò mai spavaldo e sicuro di me come Jake, e neppure un leader naturale come Jasper. Ma Bella non vuole Jake, e neppure Jasper. Lei vuole me. Anche se tremo ogni volta che le sue mani si spingono un po’ oltre.
“Che ci fai qui?” le chiedo, prendendole la mano ed iniziando a camminare verso la sala giochi.
“Perché? Non sei felice di vedermi?”
“Sono sempre felice di vederti. Ma credevo sarebbero passati i miei…”
“Cambio di programma. Ti riaccompagno a casa io.”
Bella non aggiunge altro, ed io non le faccio altre domande. Perché dovrei? Lei è qui. È tutto ciò che conta.
Raggiungiamo la sala giochi e iniziamo a suonare, cantare e ballare (io suono e basta, ovviamente). Dopo qualche minuto altri bambini, accompagnati dai genitori, si uniscono a noi, e, alla fine, siamo un gruppo rumoroso e felice di almeno quindici persone.
Ci tratteniamo solo per una mezzora, perché Bella sembra stranamente impaziente di andarsene il prima possibile. Non ne capisco la ragione. Di solito si diverte un mondo e vorrebbe che questi pomeriggi non finissero mai. Forse, dopo quasi due settimane, ha solo voglia di riportarmi finalmente a casa. E, francamente, per quanto la mia permanenza in ospedale sia stata resa più leggera da questi bambini meravigliosi, forti e coraggiosi, anch’io non vedo l’ora di tornare alla normalità. Così, tra qualche lacrima e un pizzico di commozione, salutiamo i bambini e Garrett, con la promessa di tornare a trovare tutti loro molto presto; recuperiamo la mia roba, salutiamo e ringraziamo i medici e gli infermieri che si sono presi cura di me in questi giorni, e ce ne andiamo.
Usciamo dall’ospedale mano nella mano. Non so a cosa pensa Bella. Mi sembra tranquilla, malgrado quella strana luce birichina che le vedo negli occhi. Io penso che la nostra vita assieme stia iniziando ora. L’ospedale è stata una parentesi. Un’isola felice in cui io e lei abbiamo avuto l’opportunità di conoscerci meglio, di stare assieme da soli, lontano dal mondo, il nostro mondo. All’ospedale Edward e Bella erano una cosa sola per tutti, ed era normale, perché nessuno ci aveva mai incontrati prima, quando non stavamo assieme. Una volta a Forks diventeremo ufficialmente una coppia, e lo saremo non solo di fronte ai nostri genitori e amici, che, ovviamente, sanno di noi. Ma anche di fronte ai professori, ai compagni di scuola, e a tutta la comunità. Lo saremo nel nostro mondo, nei luoghi che frequentiamo di solito, facendo la vita che facciamo di solito. La cosa mi spaventa un po’; contemporaneamente non sto più nella pelle. Bella è la mia ragazza e vorrei urlarlo ai quattro venti.
“Vuoi guidare tu?” mi chiede quando raggiungiamo la Volvo parcheggiata di fronte all’ospedale.
“Dipende… quanta fretta hai di tornare a casa?”
“Non vedo l’ora.”
“Ecco, appunto. Forse è meglio che sia tu a guidare.”
Bella scuote la testa; sorride e mi prende in giro. “Da domani lezioni di guida,” dice, salendo in auto.
Faccio altrettanto e mi sporgo verso di lei che, nel frattempo, ha infilato le chiavi nel quadro. L’attiro delicatamente a me posandole una mano sulla nuca e la bacio. Bella mi rende più disinibito e subito mi viene in mente una battuta da farle. Per una frazione di secondo medito se dirla o meno. Poi decido di rischiare.
“Ad essere onesto, pensavo che avrei bisogno di un altro genere di lezioni…” La mia voce è bassa, e un po’ roca. Mi batte forte il cuore e in un angolo remoto del mio cervello penso: Cullen, che vai dicendo? Non sei mica Brad Pitt!
Bella si stacca da me e mi lancia uno sguardo stranito.
Ops… forse ho esagerato.
No. Non ho esagerato. Lo stupore di Bella dura solo un attimo. Poi mi sorride e si mordicchia il labbro. “Lo sai che sei incredibilmente sexy quando dici cose simili?”
Io? Sexy? Oh, santo cielo…
“Uhm… Ehm…” Tra di noi è sempre così. Io cerco di spingermi un po’ oltre, per superare i miei limiti e vincere le mie paure. Lei, che di paure ne ha ben poche, mi risponde a tono. Così io mi imbarazzo e non so più che dire.
“Se‒sexy?” balbetto.
Bella annuisce. Incrocia le sue mani dietro la mia nuca e mi attira a sé. “Molto sexy…”
Oh, cavolo…
Bella mi bacia con avidità e passione, accarezzandomi il volto, passandomi le mani tra i capelli, facendole scorrere lungo il mio collo, e poi più giù, sul torace. Stringe forte la mia camicia e si aggrappa a me.
Io la seguo, mi abbandono completamente e mi lascio guidare. Un attimo dopo la mia mano le sfiora la parte esterna della coscia e sta pericolosamente salendo verso l’alto.
“Forse… forse è meglio andare…” le dico quando me ne accorgo. Non ritraggo la mano, però. La lascio lì, in bilico, a sfiorarle la pelle. Il bisogno disperato di andare oltre, e, contemporaneamente, il terrore di farlo.
Non vedo l’ora di stare da solo con Bella in un posto tranquillo e sicuro; un posto che non sia l’ospedale. Quando siamo insieme è difficile stare lontani. Lo è per me, ma lo è anche per lei. Fino ad ora ci siamo sempre dovuti controllare, mantenere un certo contegno, visto il luogo in cui ci trovavamo. Una parte di me lo detestava, perché quando sono con Bella sento tutte le mie difese crollare come un fragile castello di carte. La desidero più di qualunque altra cosa al mondo, e la amo più di quanto credevo fosse possibile amare una persona. Un’altra parte di me, invece, era quasi felice di non poter andare oltre. Non sono bravo in queste cose. Ho ancora molta strada da fare, e molto da imparare. Ho capito da poco come si fa a baciare, come potrei essere già pronto per il resto? So che non lo sono. E neppure so se lo è lei.
“Ok,” dice Bella, staccandosi a malincuore. “Andiamo…”
Mi lancia un ultimo sguardo languido che mi scioglie completamente; poi mette in moto e comincia a guidare.
Durante il tragitto chiacchieriamo con semplicità e naturalezza, come al solito. Come al solito è Bella a tenere banco (potrebbe non farlo?). Ma io, rispetto ai primi tempi, sono decisamente più sciolto e tranquillo. E, perché no, un pizzico orgoglioso di questa mia lenta ma progressiva trasformazione.
Non vedo l’ora di essere a casa, di essere a Forks. A quest’ora i miei genitori lavorano e io e Bella avremo un paio d’ore per restare da soli prima di cena.
Non riesco a crederci… io e Bella completamente soli in camera mia. Il solo pensarci mi mette ansia.
Bella parla. Io l’ascolto e le rispondo, cercando di non tradire il nervosismo.
Quando Bella parcheggia di fronte al vialetto di ghiaia che conduce a casa mia ho la gola secca, le mani sudate e il cuore che mi pulsa nelle tempie.
“Va tutto bene?” mi chiede lei, mentre ci avviciniamo al portico.
“Sì,” annuisco con decisione. “Sì, va tutto bene. Solo…” Mi fermo a pochi passi dall’ingresso, indeciso su come proporle di fermarsi ed invitarla in camera mia.
“Solo?”
Mi passo una mano tra i capelli e comincio a grattarmi la nuca, come faccio sempre quando sono nervoso.
Bella, che mi conosce meglio di chiunque altro, capisce che qualcosa mi turba ed insiste. “Edward? Ho… ho fatto qualcosa che non va? Perché…”
“No! No, assolutamente nulla…” Tiro un lungo respiro e mi decido a parlare. “A quest’ora i miei genitori sono alla serra…”
Bella corruga leggermente la fronte, in attesa che io vada avanti.
“Saremo soli… per un po’… fino all’ora di cena… se vuoi… se ti va…”
Lei spalanca gli occhi, stupita. “Vuoi… tu vuoi… mi stai proponendo…”
“Potremmo salire in camera mia…” continuo. Credo di essere arrossito, ma il nuovo Edward confessa alla propria ragazza ciò che vuole e non si vergogna. Più o meno.
“Salire in camera tua?”
Annuisco. “Non dobbiamo per forza… non ti sto dicendo che voglio… non credo di volerlo… non ora… magari possiamo solo… ecco.”
Non dobbiamo per forza… non ti sto dicendo che voglio… non credo di volerlo… non ora… magari possiamo solo… ecco. Bella frase, Edward. Complimenti. Un vero latin lover.
Mi avvicino, le poso le mai sui fianchi e chino la testa, appoggiando la mia fronte alla sua. “Di’ qualcosa…” la supplico con un filo di voce e tenendo gli occhi chiusi.
Sentirla vicino mi calma. Sempre.
Bella mi sfiora il naso con il suo e comincia a giocare con i bottoni della mia camicia.
Fosse per me congelerei questo momento. Resterei qui con Bella per sempre. Non ho neppure bisogno di baciarla. Mi basta sentire la sua pelle e il suo profumo.
“Non è… non è il momento giusto…” mormora. “Non possiamo… ora…” Bella mi respinge con le parole, ma il suo corpo dice tutt’altro.
Che sta succedendo?
Mi stacco da lei e la costringo a guardami negli occhi. “Non… non te la senti?”
La domanda che vorrei farle è ‘non mi vuoi?’, ma è troppo patetica.
Lei sembra imbarazzata. “No! Non è questo, è che…” Bella si guarda intorno, frustrata. “Cavolo,” esclama. “Senti, è meglio che entriamo in casa.”
Si stacca da me e mi fruga nelle tasche del giubbino, evitando il mio sguardo. Io la lascio fare, deluso come non mai.
Tra mille incertezze e paure propongo alla mia ragazza di salire in camera mia e lei rifiuta. Bene. Molto bene. Tutto questo è un toccasana per il mio ego. Vorrei quasi tornare all’ospedale, alla nostra isola felice, e non andarmene mai più.
Bella spalanca la porta ed entra in casa. Io afferro la borsa che ho lasciato scivolare a terra qualche istante fa e la seguo. Dentro è buio. Le porte sono chiuse e le tende tirate, così cerco l’interruttore con la mano. Quando la luce si accende sento un “Sorpresa!” e, una dopo l’altra, vedo le facce di tutte le persone che conosco e a cui voglio bene sbucare da dietro i mobili del salotto.
Non riesco a crederci. Ecco perché i miei genitori hanno mandato Bella a prendermi all’ospedale: sono rimasti a casa per organizzarmi una festa di bentornato!
Mi giro verso Bella, incredulo. Lei mi guarda, sorridente e radiosa, battendo le mani come una bambina.
Un attimo dopo sono tra le braccia dei miei genitori, che mi stringono e mi baciano. “Bentornato a casa, Edward!”
“Grazie…” Contraccambio l’abbraccio, commosso ed imbarazzato. “Grazie, mamma. Grazie, papà.”
Poi, improvvisamente, vedo Rose ed Alice sbucare dalla porta della cucina reggendo un’enorme torta alla panna.
Mi guardo intorno. Ci sono proprio tutti. Oltre a loro: Jasper, Emmett, Jake, Leah, Mike, Jessica, Eric, Angela, i genitori di Bella, altri compagni di scuola e persino il preside, alcuni professori e l’ufficiale di polizia che si è occupato del mio caso.
Il salotto è stato decorato con festoni e palloncini. Lo stereo suona la mia musica preferita, ed io sono senza parole. Non avevo mai avuto una festa a sorpresa, prima d’ora. Qualche festa di compleanno. Ma nessuna così rumorosa ed affollata.
Credevo che la mia vita e i miei veri amici fossero a Chicago. Invece, qui a Forks, ho trovato molto di più.
Il pomeriggio scorre piacevolmente. Sono io il festeggiato, ma non sono costantemente al centro dell’attenzione e questo mi rilassa, permettendomi di divertirmi. Nessuno mi chiede di James, né di raccontare  quello che è successo quel sabato notte, quando sono stato aggredito e picchiato selvaggiamente. I segni sono ancora tutti lì. Stanno scomparendo pian piano, ma sono ancora visibili. Eppure è come se non ci fossero. So che dovrei sentire il peso di quello che è successo; all’ospedale mi hanno pure suggerito un aiuto psicologico, per superare il trauma. Ma io non mi sento traumatizzato. Neppure penso di essermi comportato da eroe. Bella aveva bisogno di me, ed io non mi sono tirato indietro. James ha fatto quello che ha fatto perché ha dei problemi, e non perché odia me in particolare. Avrebbe potuto esserci chiunque al posto mio, non sarebbe cambiato nulla.
Pian piano gli invitati se ne vanno e, verso le otto di sera, in casa rimaniamo solo io, Bella e i miei genitori.
Raccogliamo i festoni, i piatti e i bicchieri sporchi. Ripuliamo il salotto, portiamo fuori i sacchi della spazzatura, mettiamo i resti della torta in frigorifero, e poi ci sediamo sul divano a chiacchierare un po’.
Parliamo dell’ospedale, dei bambini del reparto pediatrico, del progetto di musicoterapia a cui voglio seriamente partecipare, e della festa di oggi pomeriggio.
Mi piace che Bella sia rimasta con noi. E mi piace che sieda accanto a me, tenendomi la mano, di fronte a mia madre e mio padre. Lo fa come se fosse normale, come se lei fosse una della famiglia.
Bella conosceva i miei genitori ancor prima di incontrarmi, e qualche settimana fa ha iniziato a frequentare casa nostra regolarmente. È una ragazza solare ed espansiva, ma stiamo ufficialmente insieme da poco. Immagino che l’esperienza terribile che abbiamo vissuto ci abbia unito molto, tutti quanti.
“Ragazzi, l’ora di cena è passata da un pezzo. Avete fame? Devo preparare qualcosa?” chiede mia madre, alzandosi in piedi.
“Oh, non per me, Signora Cullen,” dice Bella, accarezzandosi la pancia con una mano. “Credo di aver esagerato con la torta!”
“Anch’io non ho appetito, mamma. Grazie comunque.”
“Beh, Esme,” dice mio padre, alzandosi in piedi a sua volta. “Neppure io ho appetito. Che ne dici, invece, di una passeggiata? Per smaltire panna e quant’altro…”
Mio padre è un mito. Semplicemente un mito. Lo fa ogni volta. Cerca sempre una scusa per togliersi di torno e regalare a me e Bella un po’ di intimità.
“È un’ottima idea, Carlisle. Ho proprio bisogno di una boccata d’aria fresca. Prendo la giacca. Ci vediamo dopo, ragazzi.”
I miei genitori si allontanano e ci lasciano da soli.
“Ti è piaciuta la festa?” chiede Bella, sollevando le gambe e stendendole orizzontalmente sulle mie.
Questa ragazza mi vuole morto. Vista da qui la sua gonna sembra ancora più corta.
“Sì, moltissimo,” confermo, allungando un braccio dietro le sue spalle ed attirandola a me. “Non avevo mai avuto una festa a sorpresa prima d’ora.”
“Dici sul serio?”
Scuoto la testa. “Mai. Di chi è stata l’idea?”
Bella abbandona la testa sulla mia spalla e comincia a giocare con i bottoni della mia camicia. Un’altra volta. “Mia,” risponde. “Ma se avessi saputo prima cosa avevi in mente…”
Lascia la frase in sospeso, e sfila il bottone dall’asola.
So cosa vuole, e lo voglio anch’io. Ma ho bisogno di fare una cosa, prima.
“Ho composto una melodia per te,” le confesso.
Bella si scosta dalla mia spalla e mi fissa intensamente. “Una melodia per me?”
“Sì. Quando ci siamo conosciuti. Io ti amavo già da allora.”
“Tu mi…”
Annuisco.
Più stiamo insieme, più parlarle di me e di ciò che provo per lei diventa semplice. È una sensazione straordinaria.
“La vuoi sentire?” le chiedo.
“Certo… sì, certo.”
Mi alzo, trepidante; mi siedo al pianoforte e inizio a suonare. Lo faccio a occhi chiusi, mettendoci tutto il mio cuore e la mia anima, per farle capire ciò che sento dentro, ciò che lei significa per me.
Dopo essermi risvegliato dal coma ho detto a Bella che l’amavo. L’ho fatto di nuovo, nei giorni successivi, ma ho sempre pensato che quelle due parole, per quanto importanti, non fossero sufficienti.
Bella è il regalo più bello che io abbia mai ricevuto. Un angelo piovuto dal cielo che mi ha cambiato la vita; e se lei dovesse lasciarmi domani (perché io non potrei mai lasciarla, mai) sarebbe devastante, ma non riuscirei a pentirmi di un solo secondo passato insieme. Ne riserverei un ricordo preziosissimo e indelebile.
Quando finisco mi sento più nudo, ma anche più leggero. Ora Bella sa ‒ sa davvero ‒ e possiamo andare avanti, qualunque cosa significhi.
Mi giro, e la vedo seduta sul divano, le ginocchia strette al petto e gli occhi pieni di lacrime.
Piange in silenzio e il sorriso mi muore sulle labbra.
“Bella…” Mi alzo e la raggiungo, senza sapere cosa fare. Ho persino paura di toccarla. Perché piange? Io non voglio che pianga. Io voglio vederla sorridere, sempre. Io la amo.
“È bellissima…” mi dice, tirando su con il naso. “È bellissima…” ripete, con un filo di voce.
“Bella, perché piangi?”
Non capisco, semplicemente non capisco.
Lei rimane in silenzio per un po’. Le sue lacrime mi fanno paura e mi rendo conto che sto tremando. Non è un pianto disperato, il suo. È calmo e rassegnato, e non ne capisco la ragione.
“Bella…”
“Piango perché ho paura…”
“Paura? Perché? Io non… io credevo…”
Lo sapevo. Ho esagerato. Mi sono spinto troppo oltre. Perché l’ho fatto? Perché? Ho passato una vita intera a tenermi tutto dentro. Avrei dovuto continuare a farlo.
“Io ti amo, Edward,” mi confessa, tra le lacrime. “Lo so che non te l’avevo mai detto, prima. Ma io ti amo. Ti amo sul serio. Non avevo mai provato nulla del genere, prima d’ora… Non mi ero mai sentita così… amata… così… Dio, è come se… Ogni volta che stiamo insieme, io mi sento il cuore scoppiare… mi basta solo pensare a te…”
Bella chiude gli occhi per un attimo, poi li riapre e mi posa una mano sul cuore. “Lo so che ci conosciamo da poco, ma io sento ciò che provi, Edward. Lo sento anch’io, ed è meraviglioso, ed ho paura che finisca…”
“Perché? Perché, Bella? Io ti amo, io non ti lascerò mai…”
“Lo farai… tornerai a Chicago…”
“Solo per un anno. Poi andremo all’università… ci iscriveremo allo stesso ateneo…”
“Tu non mi conosci ancora bene, Edward… io non sono la ragazza perfetta che tu credi… tu non mi vorrai più…”
Ma che sta dicendo? Parla a me di perfezione ? A me ? Io sono tutto fuorché perfetto.
“Bella, io non voglio una ragazza perfetta… io voglio te… io voglio te… tu sei perfetta per me…”
Non capisco nulla di quello che sta accadendo. Cos’è successo? Perché, improvvisamente, Bella ha perso fiducia in noi? In me? In se stessa? Jake mi ha detto che lei vuole stare con me, anche se alla fine del prossimo inverno tornerò a casa, a Chicago.  Perché ora piange? Che cosa ho fatto? Dove ho sbagliato?
“Bella, che succede? Non capisco…”
Lei abbassa lo sguardo e continua a piangere in silenzio.
“È colpa mia se James ti ha quasi ammazzato…” mormora tra le lacrime.
Ci risiamo con questa storia. Le ho spiegato mille volte che non è colpa di nessuno, che James è solo un ragazzo disturbato con problemi di droga. Come può essere colpa sua?
“Bella, non è colpa tua. Guardami,” la imploro, prendendole il viso e ripetendole quello che le vado dicendo da giorni. “Non è colpa tua.”
Scandisco bene ogni singola parola, perché non voglio che continui a sentirsi in colpa.
“Edward, tu non sai… tu non conosci la ragione per cui James ha paura di me… la ragione per cui lui mi odia e ha tentato di vendicarsi su di te…”
Qualunque cosa possa aver fatto Bella a James non riesco a giustificare tanto odio e tanta violenza. James è disturbato. Punto. Non c’è altro da aggiungere.
Bella, però, sembra fermamente convinta di essere la diretta responsabile di tutto.
“Bella, spiegami cos’è successo tra te e James…”
“Mi odierai…”
“Bella, io non potrei mai odiarti.”
Bella abbassa lo sguardo e comincia a torturarsi le mani. Resta in silenzio per un po’, come se stesse cercando la forza e le parole giuste per confessarmi tutto.
Oh, Santo Cielo… cosa può aver mai fatto?
Dopo un periodo di tempo che mi sembra interminabile comincia a parlare.
“James è sempre stato un tipo strano, ma non così strano. Era uno spaccone, ma non faceva male a nessuno. Un anno fa si era messo in testa di amarmi. Mi scriveva lettere, poesie… Te lo immagini James che scrive poesie? Io non ero interessata. Non volevo uscire con lui. E gliel’ho detto. Lui, allora, mi ha chiesto se potevamo vederci da amici, bere insieme una coca. Voleva almeno spiegarmi come si sentiva. Io l’ho fatto, non ci trovavo nulla di male, e un po’ mi dispiaceva per lui. È stata una serata piacevole, non sembrava neppure James. Abbiamo cominciato a sentirci, e qualche volta a vederci, da amici. Io per lui non provavo nulla e credevo di essere stata chiara. Poi ho scoperto cosa raccontava in giro di me. Cose decisamente poco carine. Raccontava a tutti che stavamo assieme e che… beh, insomma, che ero una specie di dea del sesso, che l’avevamo fatto… Storie disgustose, ricche di particolari indecenti. Cose che non erano mai successe, ma che tutti hanno iniziato a credere, perché Isabella Swan, bella e popolare cheerleader, deve essere una facile per forza. Gli ho chiesto di raccontare la verità, di rimangiarsi tutto. Ha rifiutato. Così…”
“Così?”
“Gli ho detto che volevo fare l’amore con lui sul serio.”
“Che?! E lui ci ha creduto?”
“Sì, non è molto sveglio. Gli ho dato appuntamento alla casa dei Foster. Gli ho detto che le sue fantasie mi piacevano, che volevo realizzarne almeno una. L’ho obbligato a spogliarsi e l’ho ammanettato alla ringhiera della scale…”
“Tu cosa?”
“Già…”
“Sei pazza? Incontrarti da sola con quel folle alla casa dei Foster? Bella…”
“Non ero sola. Jake mi aspettava in giardino. Con un cane. Un pastore tedesco di nome Zelante.”
“Bella, mi sono perso… Cosa c’entra il cane? Cosa avete fatto a James? ”
“Niente! Non lo abbiamo toccato. Ma lui ha paura dei cani. Ha una vera fobia. Dopo averlo ammanettato nudo alla ringhiera delle scale ho fatto entrare Jake, che gli ha puntato addosso Zelante. Ti giuro, il cane più buono del mondo, non ha neppure più i denti. Ma James se l’è fatta sotto dalla paura. Ha iniziato a piagnucolare. Io ho iniziato a riprendere tutto con una telecamera, minacciandolo di far vedere a tutti il video se non avesse negato quello che diceva in giro di me.”
“E lui?”
“Ha pianto disperato per un po’. Più Jake gli avvicinava Zelante più lui piangeva. Più Zelante abbaiava, più lui urlava disperato di lasciarlo andare. Mi ha insultata, mi ha dato della puttana, ha pianto ancora … Poi mi ha promesso che l’avrebbe fatto, che avrebbe fatto smettere le voci.”
“Ed ha mantenuto la promessa?”
“Sì, avevo il filmato.”
Francamente non so come prendere il racconto di Bella. Non avrei mai, mai, mai pensato a nulla del genere. Mai.
“Tutto qui?” le chiedo dopo un po’.
Lei alza le spalle e tira su con il naso. “Sono un essere spregevole, lo so…”
Spregevole? Diabolica, forse. Coraggiosa, di sicuro. Decisa, non c’è dubbio.
“Spregevole? Bella, tu ti stavi solo difendendo…”
“Avrei potuto rivolgermi a qualcuno… al preside, ai miei genitori, alla polizia… non lo so.”
“Forse. O forse è stato meglio così. James ha imparato la lezione ed ha capito che non sei una che si lascia mettere i piedi in testa.”
“Sì, ma…”
“Bella, James sarebbe diventato il criminale che è oggi indipendentemente da quell’episodio. È sempre stato strano, lo hai detto anche tu. E mi picchiava ancor prima che io ti conoscessi. In quel momento lo faceva perché si divertiva, non perché voleva provocarti. Noi neppure ci parlavamo! E poi, che razza di uomo è uno che mette in giro voci simili su una ragazza che dice di amare?”
“Non mi odi, allora? Non ti faccio schifo?”
“Bella, io ti amo, ti amerò sempre. Sei meravigliosa, come te lo devo dire?”
Certo, il racconto di Bella è un po’ crudo, e sembra persino inventato per quanto è assurdo. Ma come posso biasimarla? Ha sempre dovuto combattere contro i pregiudizi, e solo perché è una bella ragazza e mezzo liceo è innamorato di lei. Forse ha sbagliato, ma stava cercando di difendersi, di difendere il proprio onore, ed io non posso condannarla per questo.
La stringo forte a me e le asciugo le lacrime.
Lei appoggia la testa al mio petto e si lascia cullare.
La voglio, la desidero da morire. Ma per ora mi basta stare qui con lei, abbracciato a lei. Nient’altro.
“Che vuoi fare?”
“I tuoi genitori saranno qui tra poco…”
“Vuoi tornare a casa?”
“No, voglio stare qui con te.”
“Guardiamo la TV?”
Lei annuisce. Tira su con il naso e poi mi da un bacio. “ Ti amo, Edward. Tanto.”
“Ti amo anch’io.”
Afferro il telecomando ed accendo la TV. Restiamo lì, a coccolarci in silenzio, semplicemente felici di essere insieme.

   
 
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