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Autore: Aleena    04/10/2011    1 recensioni
Due fazioni, diverse tra loro come il Giorno e la Notte, un'antica tregua infranta.
Due eroi.
Due mondi divisi dalla luce.
Benvenuti nelle Terre Rare.
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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C’era qualcosa di fondamentalmente sbagliato in quello che stavano facendo, ma quale fosse in particolare Aleeah non l’avrebbe saputo dire.
Forse l’uscire dai dormitori tre ore prima dell’alba, quando ancora le tenebre della Notte regnavano sovrane?
Oppure l’intrufolarsi in un’ala a loro vietata?
Magari l’idea dell’attacco?
Aleeah si era posta queste domande a ripetizione cercando di trovare una scusa che le giustificasse, o le sminuisse in gravità. Così, semplicemente si era detta che, nonostante fosse Notte, i Lantanidi non le avrebbero prese -non se fossero state attente a rimanete entro i confini dell’Accademia; aveva continuato giurandosi che nessuno li avrebbe visti –Dave aveva o non aveva detto più volte di essere in grado di fornir loro protezione?- quindi non sarebbero incorsi in alcuna difficoltà; aveva terminato assicurandosi che era più che giusto che si vendicassero.
Era quest’ultima la parte che la preoccupava di meno, in effetti: qualunque senso di colpa cominciasse a provare, veniva prontamente cancellato dal ricordo del pomeriggio appena trascorso. Quanto accaduto le bruciava ancora, nonostante Aleeah non fosse il tipo da portare rancore; forse, l’infastidiva anche per merito del colpo che aveva preso al ginocchio –il cui dolore sordo le faceva stringere i denti ogni paio di passi- o forse per l’eco delle risate divertite di una sala intera che ancora le rimbombava nelle orecchie. Quale che fosse il motivo, Aleeah non aveva voglia di lasciare i Neri impuniti.
Risate… anche quel mezzodrow rideva mentre caricava l’Illusione; e, se loro non fossero stati distratti dalle sue parole, probabilmente si sarebbero accorti del catalizzatore che il ragazzo stringeva nelle mani. Ambra, maledetta ambra! Come doveva spiccare sulla pelle grigiastra del Nero! Eppure né Aleeah né Dave né Dea si erano accorti di nulla, trovandosi bloccati dapprima dalla magia del mezzodrow ed infine catapultati nel suo Incubo senza preavviso, senza possibilità di difesa.
Il Nero aveva creato un’Illusione per ognuno di loro, in modo tale che dovessero affrontarla separatamente; perciò, di colpo Aleeah s’era sentita sollevare dalla panca, mentre intorno a sé i contorni del refettorio si allungavano, incurvandosi e distorcendosi, ed infine sbiadivano, lasciandola immersa in una nebbia bianco-pelacea via via più evanescente, mentre le ombre della realtà svanivano, sostituite dai profili alti di pareti.
Disorientata, Aleeah chiuse gli occhi nella speranza che il mondo smettesse di vorticarle attorno, riaprendoli piano per trovarsi in un vicolo buio compresso fra due alte palazzine fatiscenti, un’ombra della nebbia che le volteggiava attorno alle caviglie nude; indossava ancora la tunica bianca del suo ordine, ma era lacera, come se fosse stata attaccata da un cane. Prendendo fiato, l’aquila si volse intorno, il respiro che si condensava in nuvolette tiepide attorno alla bocca semiaperta: faceva freddo, ed i suoi piedi, nudi, erano a poca distanza da quella che sembrava una grossa pozzanghera, segno che da poco avesse smesso di piovere; seguendo la scia di un pensiero, Aleeah sollevò il capo al cielo, dove un pesante strato di nuvole d’una sgradevole colorazione giallo-rossiccia dardeggiavano minacce, facendo intuire che l’ira degli dei non si fosse ancora placata. Più oltre rumoreggiavano i tuoni, simili all'eco di lastre metalliche che cadano; intorno, solo palazzi di mattoni crollati per metà, strade infangate e deserte, rivoli di acqua ormai prossimi a prosciugarsi, enormi pozzanghere. Aleeah osservò con calma la Città distrutta,  cercando di capire dove fosse, come muoversi; la luce fioca le indicava che dovesse mancare poco al tramonto, sebbene stabilirlo fosse arduo data l’oscurità della coltre scura che la sovrastava.
Era ferma nello stesso punto da quasi tre minuti quando un fruscio alla sua destra la fece voltare, per poi indurla a scansarsi con un balzo ed un gridolino quando un topo poco più lungo del suo piede le strisciò accanto, correndo sulle sue piccole zampette rosa, fra i denti qualcosa di sanguinolento sul quale Aleeah evitò d’indugiare con lo sguardo; aveva il cuore in gola, pronta a scattare per ogni minima vibrazione, la testa affollata da un unico pensiero: non è reale, concentrati, è nella tua testa, concentrati, non è reale. Più facile a dirsi che a farsi.
La luce calava con una velocità allarmante, tanto che in breve la Veggente si trovò immersa in un cupo crepuscolo rosso sangue, nel quale ogni cosa era un’ombra vaga, appena abbozzata. Istintivamente si mosse, indietreggiando per poggiare la schiena al muro, per sentirsi più sicura; ma il muro era gelido e viscido, e la fece rabbrividire così tanto che dovette scansarsi velocemente e, nel farlo, urtò qualcosa che era nascosta dietro di lei, qualcosa di caldo.
Impietrita, Aleeah dovette esercitare su di sé tutto l’autocontrollo che possedeva per non mettersi a gridare, e fu con una notevole dose di coraggio che abbassò il capo, mettendo a fuoco una figura di donna completamente nuda, stesa ai suoi piedi.
«Dea» sussurrò l’aquila, riconoscendo il volto dell’amica, seminascosto dalla cascata nocciola dei capelli, incrostati di pioggia e fango.
«’leeah?» fece di rimando l’altra, socchiudendo le palpebre come per metterla a fuoco.
«Vieni, Alzati, dobbiamo andarcene. È stato quel… Nero, il mezzodrow. Siamo in una sua Illusione»
«Ho freddo»
«Dea alzati. Dobbiamo muoverci, dobbiamo capire come…»
«’leeah, è notte. Dei benevoli, è Notte» Dea, gli occhi di fuori, cominciò a stringersi convulsamente ad Aleeah, che si trovò a doverne sostenere il peso nel tentativo di sollevarla in piedi.
«Non ci può succedere nulla, Dea. Siamo al sicuro, è tutta un’Illusione, ricordi? Se riusciamo a credere che non sia vero, potremo liberarci» il tono cercava di essere confortante, quasi convincente, eppure Aleeah cominciava  dubitare di poter davvero ignorare il freddo e la paura e le sensazioni che i suoi sensi le rimandavano prepotentemente: nonostante quello che potesse dire, tutto era fin troppo reale da esser incontrastabile, per lei. Eppure, l’aquila mantenne un’ombra di sorriso congelata in faccia, a beneficio di Dea, visibilmente abbattuta «ti ricordi le lezioni, all’Accademia? Solo mantenendo la calma e la concentrazione potremo liberarci, alzati e seguimi, Dea, troveremo il modo di uscire e gliela faremo pag…» ma s’interruppe, volgendo la testa di scatto dinnanzi a sé, così violentemente che un nervo del collo le rimandò una fitta. C’era qualcuno, davanti a lei, un’ombra scura in sella ad una diavoleria meccanica che rombava e sferragliava.
«Dei del cielo» sussurrò Aleeah, coprendosi il volto con le mani, il corpo senza forse di Dea che cadeva ancora a terra, scosso dai brividi. Dinanzi a loro, da ogni angolo buio, figure glabre e deformi uscivano camminando incerte, si fermavano, guardavano indietro alla figura nera che indicava, si avventavano sulle due Bianche.
In un attimo le furono addosso, i corpi molli e febbrili che la scansavano per impossessarsi di Dea che, in lacrime, non oppose resistenza; veloci come incubi, trascinarono via la ragazza fino alla figura sul mezzo della Notte, che se la caricò fra le braccia, accendendo fra scintille vermiglie un motore ed iniziando una corsa feroce. I figli della Notte, invece, tornarono fra le ombre, dissolvendosi in acqua e fumo e fango.
Aleeah restò attonita un instante, paura e dispiacere che si fondevano con un senso di colpa bruciante e la gratitudine per la sorte scampata. Poi, l’aquila aprì le ali brune e si puntellò sulle gambe esili, dandosi lo slancio per il volo.
Hanno scelto lei, come sempre rombava il vento nelle sue orecchie, ma questo le dava forza, anziché abbatterla: era una Bianca, dopotutto. Il concetto di amicizia era per Aleeah una sorta di punto d’orgoglio, e, gelosa o meno –forse, anche a causa della gelosia che conservava accuratamente nel cuore come un peccato di sangue- avrebbe dato la vita per salvare la sua amica.
Un lampo, un rombo vicino, la pioggia: volar era faticoso, e lei non v’era abituata, ma la figura sul congegno meccanico si era fermata, quindi Aleeah planò dolcemente, arrivandole alle spalle mentre smontava di sella. Senza darle attenzione, il rapitore si chinò sul corpo esanime di Dea, una lama fra le mani chiare e sottili. Uno scintillio, un grido, una risata bassa, di gola; quando la figura si rialzò, continuando a dare le spalle ad Aleeah, l’aquila poté vedere il volto di Dea, solcato da cicatrici di sangue così profonde che l’avrebbero segnata a vita.
Senza pensare, Aleeah si slanciò in avanti, dimentica della lama e della natura Notturna del suo avversario; che non si mosse, limitandosi a farsi voltare dalle mani chiare della Veggente, che frugarono la stoffa del mantello nero in cerca del lembo del cappuccio, che trovarono e tirarono indietro.
Un grido, coperto dallo scrosciare della pioggia, eruppe dalle labbra di Aleeah, che arretrò, le mani alla bocca, sconvolta nel vedere il proprio viso ammiccarle, bonario, da sotto l’orlo della cappa nera del Lantanide.
«Era quello che desideravi, no?» sussurrò la sé stessa della Notte, con un sorriso dolce e conciliante che le distese i lineamenti in una smorfia orrida, laida.
Aleeah non rispose, troppo sconvolta per reagire.
«Non ne avresti avuto il coraggio, vero? Ma lo vuoi da sempre. Lei è così bella, non trovi? Ogni maschio la vuole, ogni maschio la guarda, ogni Maestro l’adora. Attira su di sé ogni attenzione, ed a te cosa resta? L’anonimato. Piccola, timida aquila. Ti prende ogni cosa, ogni possibilità. E presto, ti porterà via anche Dave, e tu lo sai. È per questo che l’hai desiderato, che mi hai creata, chiamata. Lo sai, lo so. Io sono te, Aleeah, sono noi. Non puoi sfuggire a ciò che hai fatto»
«Io voglio bene a Dea. È la mia migliore amica. Non le farei mai…»
Il cuore di Aleeah perse un battito mentre qualcosa le bloccava la voce ma, prima che potesse reagire, in alto qualcosa si squarciò rivelando una luce così intensa da cancellare tutto, l’Aleeah-Lantanide e il volto insanguinato di Dea e la Notte e la pioggia ed la Città devastata, lasciandola distesa a terra, una gamba dolorante e gli occhi spalancati, colmi di paura.
Intorno a lei i Neri ridevano, un suono simile allo scrosciare della pioggia, vibrante e fastidioso.
«Se vi avvicinate ancora ad un Bianco ne risponderete ai Direttori, è una promessa» stava dicendo qualcuno, una voce familiare a Dea che le riportava alla mente i sotterranei delle Veggenti. Non si curò di scoprire chi fosse, tuttavia. Si sentiva debole.
«Alzati, ragazza. Voi, tornatevene nelle vostre camerate. Ora» tuonò la banshee, la voce bassa ed assordante ad un tempo.
 
Quando s’erano finalmente riprese, Aleeah e Dea erano corse in camera da Dave, e con un segreto sospiro di gratitudine l’aquila aveva scoperto che le Illusioni dei suoi amici erano state diverse dalla propria; nel raccontare il suo incubo, Aleeah aveva omesso la parte finale, dicendo d’essersi svegliata quando la ragazza sconosciuta era stata aggredita dalla misteriosa figura incappucciata. Dea l’aveva abbracciata, facendo sentire la Veggente colpevole a suo modo, nonostante la certezza di non aver fatto nulla; poi, Serja era piombata nella camerata maschile, imponendo alle femmine di tornarsene nei loro letti; ordine che avevano prontamente eseguito.
Era stata Dea, pettinandosi con violenza i capelli nel piccolo bagno comune, a lanciare l’idea.
«Non glielo permetto!» aveva sussurrato improvvisamente, gettando il pettine a terra con fare stizzito.
«Infastidisce anche me» Aleeah non aveva auto bisogno di chiederle a chi si riferisse; le aveva risposto con tutta calma, nonostante dentro fremesse ancora. Quella visione l’aveva sconvolta, facendole guardare sé stessa con occhi totalmente diversi: non avrebbe mai creduto di poter essere così invidiosa o vendicativa, eppure l’Illusione aveva funzionato proprio perché reale; era questo il pregio ed il compito degli Illusionisti, saper capire le debolezze altrui e colpire sfruttandole.
«Darei… ohddeì, non so cosa! per potermi vendicare. In fondo, sono i nostri avversari naturali. Te la ricordi quella Strega, a lezione di Pozionismo? Quella con i capelli giallo acido, che aveva il tic all’occhio destro» Aleeah aveva annuito, sebbene non riuscisse a ricordare chi fosse l’insegnante cui Dea si riferiva; l’amica, in ogni caso, non pareva nello stato d’animo adatto ad essere rallentata da domande -sovreccitata e carica di ira e nervosismo com’era!- e l’aquila stessa non aveva voglia di parlare. Era sempre così, da quando s’erano conosciute: Dea s’infervorava e si sfogava riversando torrenti di parole, Aleeah si chiudeva in un silenzio ostinato, rispondendo di malavoglia. «Ecco. Lei ci raccontò di una leggenda, precedente allo Scisma, ricordi? Ci disse che la metà degli adepti negli ordini Bianchi e Neri si combattevano furiosamente, si odiavano. Per questo vennero creati i Grigi. Perciò, saremmo più che giustificate se volessimo vendicarci, non trovi? Sarebbe quasi giusto. Infondo noi non abbiamo dato motivo, nessun motivo! Perché ci attaccassero. Non trovi anche tu, Aleeah? Io credo che una bella lezione gli sarebbe addirittura utile –gli faremmo un favore. Dovremmo vendicarci. Sei d’accordo con me?» conclusa la sua tirata, Dea si voltò, aspettandosi la replica di Aleeah.
«Immagino di si» commentò la Veggente, a mezza bocca; era decisamente infastidita, ma Dea pareva trarne forza, giacché riprese.
«E se volessimo farlo –se, per ipotesi, volessimo vendicarci- quale momento sarebbe migliore di questo? Siamo nello stesso edificio, a distanza di pochi metri dalla loro ala, in gradi colpirli ora che sono sicuri, come lo eravamo noi, della neutralità dell’Accademia… Ed a nessuno verrebbe in mente di cercarci, perché si sa, i Neri sono focosi di natura, immagino che nella loro scuola le liti siano all’ordine del giorno, mentre noi tre siamo provati, sfiniti ed impauriti. Basterà recitare, non trovi?»
«Immagino» era stata la laconica risposta di Aleeah, intenta a fissare un punto del pavimento di pietra ocra senza realmente vederlo.
«Dunque credi che potremmo?»
«Io.. si, immagino»
«Bene» era stata la risposta di Dea, semi coperta dal fruscio della sopraveste verde oliva e dallo scricchiolare della sedia. Prima che Aleeah potesse realmente realizzare cosa fosse successo, Dea era uscita dalla stanza, in cerca di Dave.
 
Si erano accordati in fretta e furia, trascinati dalla passione di Dea, incapaci di dirle di no.
Erano usciti di soppiatto dalla camerata maschile, ed ora avevano salito una scalinata di marmo, trovandosi dinnanzi la porta di una sala comune sprangata e due corridoi laterali che piegavano ad angolo: con un cenno, Dea aveva indicato alla loro destra, laddove una pesante grata di argento cesellato era lasciata aperta; senza una parola, i tre Bianchi s’erano avvicinati l’uno all’altre, stringendosi gomito a gomito come se dovessero avanzare attraverso schiere di spiriti fatti d’ombra. Nessuno dei tre pareva respirare; silenziosi, superarono le due file di porte dei servizi igienici e svoltarono l’angolo, trovandosi dinnanzi un lungo corridoio, buio se s’escludeva il chiarore della notte senza luna che penetrava dalle finestre, abbondantemente disposte a coprire l’intera  parete alla loro sinistra fino alla fine del corridoio; porte identiche le une alle altre si aprivano sulla parete di destra: le camerate. Lunghe ombre si allungavano sul semplice pavimento di marmo grigio, sotto le finestre, dritto dinnanzi a loro -era quest’ultima la peggiore: una voragine nera pronta ad inghiottirli se incautamente vi si fossero avvicinati troppo.
Dave, Dea e Aleeah si mossero addossati alle pareti, quasi temessero che qualcosa avrebbe potuto colpirli alle spalle. Sapevano di non poter essere percepiti: Nadaven aveva imposto su di loro il suo migliore incantesimo d’invisibilità, rendendoli incapaci d’essere visti da chiunque: loro stessi, guardandosi, vedevano solo delle ombre sfocate –Dave l’aveva posta come precauzione: nel caso qualcosa li avesse fatti dividere, loro sarebbero stati in grado di vedersi e riunirsi.  In ogni caso, nessuno dei tre amici aveva intenzione di testare le difese, non finché il loro piano non fosse stato portato a compimento, almeno.
«Quale porta?» chiese Dea con un soffio, mimando le parole con  un gesto delle dita sottili, evanescenti come fumo. Aleeah accostò l’orecchio contro il legno di ciliegia, quasi fosse in grado di percepire chi vi si nascondesse dietro. Un sommesso russare simile ad un ronzio persistente, quasi al limite del percepibile, pervadeva l’aria. Una camerata maschile.
«Dobbiamo entrare» sussurro l’Aquila, con un cenno del capo. Dave e Dea scossero la testa entrambi, in contemporanea. «E che pensavate di fare? Non possiamo lanciare una Maledizione senza sapere se sono loro!»
«Abbassa la voce, Aleeah. Certo che non possiamo»
«Ed allora? Non c’è un modo per sapere chi dorme? Una stregoneria, una preghiera, qualcosa?» soffiò l’Aquila, guardando alternativamente l’ombra-Dave e l’ombra-Dea, che scossero il capo.
«Non ci abbiamo pensato» espirò Dave, con quel tono afflitto che Aleeah sapeva poter associare alla miglior espressione colpevole del mezz’elfo.
«Stupidì, stupidi, stupidi che siamo stati! Ma cosa pensavamo di…»
«Calmati Dea. È quasi l’alba, e noi dobbiamo essere nelle nostre camerate entro l’ottava ora dalla mezzanotte, quando suonerà la campana del refettorio. Loro dovranno fare altrimenti. Potremmo coglierli di sorpresa quando…» Dave s’interruppe, trattenendo il fiato con un risucchio roco, che risuonò nell’aria più nitido del bisbiglio semi isterico dell’Alseide. Qualcuno sussurrava, l’eco delle voci di almeno un maschio ed una femmina vibrava echeggiando lungo le pareti del marmoreo corridoio deserto, chiaramente udibile fino a loro.
Aleeah sentiva il cuore batterle all’altezza della gola, mentre il petto s’alzava ed abbassava velocemente, la respirazione accelerata. Dea le si fece vicina, poggiandole una mano sulla spalla. Tremavano entrambe.
Nessuna di noi è mai stata addestrata per questo. È in una stanza ovattata lontana dal mondo che dovrei stare si disse Aleeah, con appena una punta di vergogna per la sua codardia. Le Aquile volano via quando il mondo si rivolta loro contro. Le parole di suo padre, da un passato troppo lontano; non le aveva capite, allora. Le aquile sono vigliacche, si disse, ma lasciò che Dea la prendesse per mano, guidandola avanti, verso Dave che, primo a riprendersi, si era spinto in avanscoperta. Erano all’incirca a tre quarti del corridoio quando il gracchiare basso di un uscio che scivolava sui cardini li fece fermare nuovamente, voltandosi per osservare la figura che, dalle tenebre della camera, emerse con un sibilo irritato pericolosamente simile ad un’imprecazione e, volgendosi, accostò la porta della stanza con delicatezza per poi muoversi ad attraversare il breve spazio che lo separava dalla voragine nera in fondo.
Un lampo di gratitudine parve passare fra le mani ancora strette di Dea ed Aleeah, che si volsero a guardarsi là dove, nell’ombra evanescente di loro stesse, avrebbero dovuto esserci gli occhi, per scambiarsi uno di quegli sguardi complici che sono tanto peculiari delle femmine; perché, nel suo transitare sotto una di quelle imponenti finestre spalancate sulla Città ora dominio dei Lantanidi, le due amiche avevano riconosciuto nella veste e nel volto di quel maschio Nero il mezzodrow che aveva intrappolato tutti loro nell’Illusione, quel pomeriggio. Anche Dave parve accorgersene, giacché la sua mano-ombra si mosse a far cenno alle ragazze di avvicinarsi, cosa che entrambe si sbrigarono a fare cercando di mantenere il più assoluto silenzio, nonostante fosse palese che il maschio Nero non aveva il minimo sentore della loro presenza.
Tre metri separavano la porta da cui l’Illusionista era uscito dalla zona scura dalla quale, Aleeah si rese conto, provenivano le voci, ora più forti.
«…morire. Il rituale…» stava dicendo la femmina, soffocando la veemenza in sibili bassi e secchi.
«Il rituale è pura teoria, lo sai meglio di me. Dovremmo…» il suo compagno aveva abbassato la voce, ma la femmina pareva non concordare con lui, giacché sbuffò forte, inducendo il mezzodrow ad aumentare il passo ad una marcia veloce che gli fece percorrere il metro rimanente in pochi secondi, salvo poi sparire con uno svolazzo della tunica nera e della sovra tunica bianca, il tutto nel più assoluto silenzio.
Dea, con uno strattone, aumentò a sua volta l’andatura, costringendo Aleeah a fare lo stesso finché non furono al limitare del cono d’ombra. Lì, l’oscurità era meno fitta di quanto l’Aquila si fosse aspettata; inoltre, il corridoio disegnava una L chiusa da una tenda di leggero velluto aranciato, oltre la quale la luce di una candela tremolava. Dave, temerario, tese l’orecchio sensibile –dono della natura elfica del padre- ad ascoltare, nonostante oramai fosse possibile udire con chiarezza le parole dei tre neri oltre i tendaggi.
«Volete che l’intera ala si svegli?» aveva sibilato il mezzodrow a mo di saluto, chiudendosi la tenda alle spalle con un colpo secco.
«Drathir» salutò la lamia, la voce appena un po’ più alta ora, carica di una vena di pomposa nobiltà, altezzosa «Cominciavano a chiederci se non avessi deciso di rinunciare»
«Chiudi la bocca, Austalia, o finirai per convincermi che non è per parlare che ti è stata donata» la voce del mezzodrow era attutita, soffocata; concluse con noncuranza la frase, indi vi fu un fruscio di stoffa, un piccolo tonfo.
«Nessun maschio si è mai lamentato della mia.. conversazione» il tono lascivo con cui Austalia lo disse parve mettere Dave a disagio; si spostò di lato, cercando una falla nel tessuto, per spiare all’interno.
«Quelli morti non contano, sorellina»
«Smettetela, per carità. La mia vita è troppo breve perché debba sprecarla a sentirvi blaterare di assurdità. L’alba è ormai agli sgoccioli, e non possiamo permetterci di sprecarla. Un’occasione del genere è già di per sé fortuita, e tutte le forze che hanno evocato i Maestri!» era stato l’uomo a parlare, adesso; approfittando del rumore delle voci, anche Aleeah e Dea si erano mosse, spostando di qualche millimetro i due lembi di tessuto.
«Possono quasi essere respirate, tanto sono fitte. Tanta magia è racchiusa qui dentro» parve completare la lamia, con tono estasiato. Curvandosi, Aleeah la vide sorridere, carica di una lussuria e piacere che non parvero però colpire i suoi due compagni.
«È una cacciatrice pericolosa, quella lì» sussurrò Dea all’orecchio dell’aquila, lievemente stizzita. Aleeah capiva cosa intesse, ma non replicò. Aveva un nodo acido alla gola.
«Già, e domani potrebbe finire. Alter, la candela dorata a nord e quella argentata a sud. Austalia, quelle bianche, ad est ed ovest. È l’ultima combinazione che ci resta da provare»
Ci fu un tonfo, un borbottio d’assenso ed una serie di rumori bassi, metallici; di scatto, Dea le strinse più forte la mano d’ombra con la propria, prese quella di Dave e si spinse dentro, oltrepassando la fessura nella tenda. Nessuno dei Neri parve accorgersene: l’uomo e la lamia avevano in mano elaborati strumenti di ottone con cui stabilivano la posizione di ceri grandi quanto il polso di Aleeah, mentre il mezzodrow, di spalle, tracciava a terra un simbolo non molto dissimile da un Pentacolo Complesso.
Evocazione! Trillò un campanello d’allarme alla base della nuca di Aleeah, che trattenne il fiato mentre il volto muoveva ad incontrare quello di Dave. Un cenno di assenso fu tutto ciò di cui i suoi peggiori timori necessitassero.
«Austalia, traccerai tu il cerchio. Recita l’incanto di base secondo il rituale magico mentre lo fai, poi portati al centro esatto, qui sopra l’occhio, e comincia col Rituale Negromantico» cominciò a spiegare Drathir l’Illusionista, passando un sacchetto alla lamia «Alter, tu siedi qui ed attendi. Quando Austalia avrà finito il Rituale, gli Spiriti si manifesteranno attorno a lei. Ho calcolato che questo cerchio dovrebbe essere più potente di quello della notte scorsa, per cui nessun Elementale dovrebbe sfuggire. In ogni casi, non appena si agiteranno io comincerò a soggiogarli all’Illusione. Non appena li avrò convertiti, inizia a mutarne la natura. Ricordate solo: qualunque cosa succeda, restate nel cerchio» entrambi i Neri annuirono, ma l’Illusionista non vi badò, lanciando uno sguardo dinnanzi a se, verso uno dei grandi finestroni che lasciavano entrare una luce via via più chiara, grigiastra. «Cominciamo»
Senza una parola, la lamia immerse una di quelle sue innaturalmente pallide mani nel sacchetto, estraendone bianche pepite di sale grezzo, mentre l’altra scivolò lungo la sua vita sottile fino alla cintura, sulla quale un opale grigio frastagliato di scintille blu mare brillava. Stringendolo, Austalia lascio cadere il sale sul lucido pavimento, muovendosi a tracciare il cerchio mentre la sua mente si perdeva fra le spire magiche e, in trance, le sue labbra sussurravano parole nella lingua antica e potente dell’Arte.
Tre giri compì la maga, prima di fermarsi e muoversi verso l’occhio, sempre distillando quella bassa, raccapricciante litania, il catalizzatore che mandava scintille attraverso le dita che lo stringevano attingendone forza.
Fu un attimo, meno di un battito di ciglia; il tempo parve congelarsi attorno ai sei Attinidi salvo poi esplodere in una scintilla di pallida oscurità. La luce del giorno incipiente si coagulò, tirandosi e stringendosi al pulsare di una vita interna che fremeva, ribollente oltre la superficie del giorno –tirava, richiamata al nostro piano d’esistenza dalla magia di Austalia.
Improvvisamente, il tessuto si lacerò, lasciando fuoriuscire orde di pallidi spettri di puro plasma, pallidi e grigi come lo era l’alba oltre la finestra, senza volto né voce, eppure capaci di lanciare un grido così silenziosamente potente da far rabbrividire Aleeah fino alla punta delle ali, facendole desiderare di poter arretrare, di poter fuggire, ed al contempo bloccandola lì al cospetto della loro innaturale realtà.
Il canto della Lamia cessò di colpo, sfumando in un silenzio gravido di tensione e uggiolii di disappunto; molti Elementali dell’Oltremezzo si gettarono verso l’esterno, trovandosi bloccati dai confini del pentacolo e grattandone l’aura magica con dita spettrali, innaturalmente corte.
Drathir sollevò una mano, evocando una semplice sfera di luce, che parve richiamare l’attenzione di quegli Spettri Naturali, che si volsero, andando incontro alla loro fine.
L’Illusione del mezzodrow li colpì con la forza di un maglio ,soggiogandone l’evanescente mente al suo comando.
«Figli della notte, genitori del giorno, Elementi dell’Alba. Che il vostro spirito si corrompa» cominciò, per poi passare alla lingua arcana; fu una litania ammaliante quella che cantò, una canzone che parlava della tentazione dell’oscurità, inducendo gli Elementali a cambiare la loro natura di alba in quella di notte.
Dea si portò le mani al volto, Dave aveva un buco nero aperto laddove avrebbe dovuto esserci la bocca. Aleeah tratteneva il respiro.
Quello che cercano di fare… questi Elementali sono Neutrali! E la natura notturna cui vogliono mutarli è Malvagia. Sconvolgere un’Elementale è sconvolgere la natura stessa! Cosa.. perché! Era quello che continuava a chiedersi Aleeah, incapace di comprendere il pensiero di un Nero: nessun Bianco avrebbe solo pensato di osare qualcosa di tanto grave.  Come possono riuscirci? Chi sono? Il loro potere deve essere immenso… o immensa dev’essere la loro follia!
Per un istante, Aleeah credette che fosse vera l’ipotesi dell’immenso potere –ma poi uno Spirito diede in un grido, sfuggendo dalla rete di Illusioni che Drathir aveva tessuto per lui ed i suoi fratelli. Chiaramente percepibile, la sua rabbia crebbe fino ad avvolgerlo interamente, simile ad una corazza grigio cenere. Alter l’uomo si alzò, la sovra tunica verde oliva da Elementalista ora chiaramente visibile, ma prima che potesse tentare qualunque cosa lo Spirito aveva forzato il blocco del pentacolo.
Come se un segnale muto fosse corso fra tutti loro, gli Elementali dell’Alba si riscossero dall’Illusione, iniziando a volare in cerchio, cechi, alla ricerca del varco; il primo spirito, invece, disegnò una curva ampia attorno al conciabolo di Neri prima di puntare contro Dea.
«Restate nel cerchio» urlò Drathir, indifferente ai compagni che ancora riposavano nelle camerate fin troppo vicine; era pallido ora, apparentemente incapace di pensare con lucidità a come risolvere la situazione «chiudiamo la falla. Austalia, inverti l’evocazione, mandali indietro. Non uscite!»
Ma i Bianchi erano fuori, alla mercé degli Elementali. Il primo Spirito oltrepassò l’ombra di fumo che era stata Deahanne’ls, entrandole nel petto all’altezza del cuore per uscire dalla sua bocca, ora visibile come del resto tutto il suo corpo d’Alseide. I Neri sgranarono gli occhi, fermandosi davanti all’apparizione di Dea quell’attimo che bastò agli Spiriti ancora intrappolati per distruggere il sigillo di sale e magia che li bloccava. Austalia lanciò un grido, alzandosi di colpo in piedi, la concentrazione necessaria al rito persa.
Lontano, nelle camerate, qualcuno si mosse, voci si chiamarono in bisbigli sempre più acuti.
Aleeah non lo notò.
Uno spirito si inserì in una tempia di Dave, facendolo crollare a terra in preda convulsioni violente mentre il travestimento suo e di Aleeah crollava, rendendoli visibili. Nel cerchio, la veste di Austalia prese fuoco mentre la sua padrona, accidentalmente, urtava una delle candele; la lamia -il terrore del fuoco stampato nel volto nobile e gelido ora deformato- fece un balzo fuori dal cerchio, gettandosi al suolo per estingue l’incendio, ma ancor prima di toccare terra uno Spirito le penetrò nella bocca spalancata. Alter l’uomo si slanciò oltre la protezione del sale evocando l’acqua nelle sue mani a coppa, ed ebbe appena il tempo di soffocare le fiamme che due Spiriti gli penetrarono nel ginocchio e nella schiena, piegandolo al loro volere.
«Scappa, stupida» gridò Drathir, guardando Aleeah come se fosse normale vederla lì, ma l’aquila aveva le gambe di marmo, ancorate al suolo quasi dolorosamente
Ci fu uno scalpiccio, il tonfo di un corpo che cade, quindi la figura del mezzodrow che si contorceva  a terra, fuori dal cerchio.
Aleeah si chiese come vi fosse arrivato, prima che qualcosa la colpisse alla base del cranio. Poi, non fu più.
 




Piccolo spazio-me: Innanzitutto mi scuso per il ritardo nella pubblicazione. Lo so, è un un giorno solo e chissene, alla fine, però mi piace essere puntuale quando posso ;) purtroppo, internet ha deciso di morire per un giorno e mezzo, ed il tecnico l’ha riattivato solo un’ora fa!
Ma tornando a noi… Devo dire che questo chap mi ha fatta penare. Dico sul serio: l’ho concluso interamente domenica notte, dopo una settimana infruttuosa senza ispirazione e con dieci righe all’attivo. Ha sconvolto la mia idea, originariamente più semplice, ma trovo molto piacevole quest’evoluzione della faccenda. Ed a voi piace?
Bhe, vi lascio sempre con il fiato sospeso ultimamente :D spero siate soddisfatti come lo sono io ora ;) ho voluto dare un tocco di.. via, esagero e dico horror. Non ci stona, secondo me (infondo, parliamo comunque di magia nera).
Mi predo un ultimo secondo per ringraziare MNO (altro chap lungo :D) e David Fiddler per l’assiduità con cui mi sostengono e tu che leggi e, timido, invece non commenti :) susu fatti sentire, lo so che ci sei!
A presto e buona continuazione :D

  
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