A seat next to you
Maybe, say that you’ll save me
A seat next to you
Bon Jovi - A
Seat Next To You
Sua
madre gliel’aveva raccontato, di quando aveva mentito persino
al Signore Oscuro per tornare a Hogwarts durante la guerra e
controllare che lui stesse bene, che suo figlio fosse ancora vivo. Non
subito, però: prima si erano presi un po’ di tempo
per stare insieme, si erano dileguati dalla battaglia.
Perché quella notte, la famosa notte in cui il
Ragazzo-Che-E’-Sopravvissuto sconfisse Lord Voldemort, alla
famiglia Malfoy non importava assolutamente nulla di come sarebbe
andata a finire quella storia. Non c’erano che loro tre,
finalmente riuniti, finalmente al sicuro. La mano di Narcissa che
stringeva forte quella del figlio nonostante fosse più
piccola, il braccio di Lucius che gli cingeva le spalle. Un trio che si
allontanava, che lasciava il campo di battaglia. Che si portava dietro
incoerenze, bugie, maledizioni e, infine, anche pentimento. Un trio che
abbandonava.
Avevano
gettato la spugna perché non ne potevano più di
quella vita. Persino Lucius si era convinto che la vita del figlio
dovesse avere un’altra opportunità. Aveva solo
diciassette anni, poteva diventare una persona migliore. Non si era mai
reso conto fino a quel momento quanto ci tenesse a lui, quanto sotto
quel suo essere un padre freddo si nascondesse un generoso, seppur ben
nascosto, affetto. Da quando aveva cominciato a rendersi conto di
quanto suo figlio e la sua famiglia fosse sul filo del rasoio, aveva
preso la sua scelta. E quando avevano avuto
l’opportunità di dileguarsi dalla scena, non ci
avevano pensato due volte.
Opportunismo?
Forse. Il suo Signore stava perdendo, durante quella notte si era
indebolito. Da che parte stare?
Dalla
propria parte. Dalla parte della sua famiglia. Doveva portare sua
moglie e suo figlio a casa. Li avrebbe tenuti al sicuro, e poi avrebbe
smesso con tutta quella storia. Sarebbero stati felici, anche se
Voldemort fosse sopravvissuto. Perché erano uniti.
La
guerra li aveva cambiati tutti. Non c’era una sola persona
che non avesse subito perdite, che non avesse lasciato in quelle mura
distrutte di Hogwarts una parte del proprio cuore. Nemmeno Draco Malfoy
era sfuggito a quell’alone di malinconia.
Il
ragazzo appoggiò fiaccamente il capo sulla finestra della
biblioteca di Hogwarts. Non l’aveva mai fatto, lasciarsi
abbandonare dolcemente al suono della pioggia scrosciante di gennaio e
inspirare il profumo inebriante dei vecchi libri. Non si era mai
neppure accorto quanto fosse piacevole quel profumo, quanto quel
silenzio quasi sacro fosse un tale conforto.
A volte
le sentiva ancora, tutte quelle urla. Le voci delle persone che
combattevano e venivano abbattute, che morivano colpite da
un’Anatema rivolto a lui. Quello che si abbassava per
proteggersi dalle luci verdi. Quello che aveva abbandonato ogni
dignità umana.
Oh,
sì, quella notte si era sentito senza alcuna
dignità. Quella notte si era rivelato per il codardo
doppiogiochista che era, per il Serpeverde approfittatore. Era quasi
arrivato a disprezzare la sua Casa e a desiderare tanto di avere un
briciolo del coraggio che traboccava in Potter. Persino nel suo amico
Weasley.
Chi
l’avrebbe mai detto, che proprio quel traditore del proprio
sangue gli avrebbe fatto aprire gli occhi sulla realtà.
«
E’ la seconda volta che ti salviamo la vita stanotte,
bastardo doppiogiochista! »
Se in
quella pigra giornata piovosa di gennaio era lì, in
biblioteca, lo doveva solo a loro, che gli avevano salvato la pelle
dall’Ardemonio di Tiger della Stanza delle
Necessità e da quel Mangiamorte che voleva troncarlo. A quei
tre che tanto aveva disprezzato, a Potter che aveva sempre odiato,
Weasley che aveva sempre ridicolizzato, la Granger che aveva sempre
offeso…
Quando
Draco decise di tornare ad Hogwarts per completare i suoi studi, aveva
saputo fin dall’inizio che la Mezzosangue avrebbe fatto la
stessa cosa. Per cause diverse, naturalmente: la Granger per completare
i suoi studi, lui perché in fondo Hogwarts era legata alla
sua infanzia. Voleva cercare di cancellare ogni ricordo degli ultimi
due anni, da quando il Signore Oscuro gli aveva affidato il compito di
uccidere Silente. Voleva ricordare gli attimi felici, le bullonate
fatte con Tiger e Goyle, le poche ma sufficienti parole scambiate con
Theodore. Voleva tornare in quel castello accogliente che gli mancava.
Persino la brutta faccia di Pix gli era sembrata amichevole e
conosciuta. Aveva bisogno di amici.
All’inizio
della scuola avrebbe scommesso il patrimonio della sua famiglia alla
Gringott di trovare la Granger quell’irritante so-tutto-io
che era stata per sei anni. Ma non aveva fatto i conti con quello che
era successo: la guerra aveva cambiato davvero tutti.
Persino la Mezzosangue.
L’aveva
osservata tanto per i primi tempi. Era quasi diventata un pensiero
fisso, non per una particolare ragione, ma per semplice
curiosità: voleva capire fin dove poteva spingersi il cuore
spezzato dal dolore di una persona che aveva combattuto proprio sul
campo nemico. E poi era la sola faccia conosciuta in quel castello a
parte i professori. C’erano quelli di Serpeverde, ma erano le
sue vecchie vittime quando si comportava ancora da stupido bulletto con
i suoi compagni e che adesso lo squadravano con aria di disgusto,
evitando accuratamente di rivolgergli la parola se non fosse stato
strettamente necessario.
Aveva
visto la Granger gettarsi a capofitto nello studio, ma non comportarsi
da saccente. C’era quello stesso velo di malinconia che
accarezzava anche Draco. Invisibile, quasi impercettibile al tatto. Ma
c’era, e si riversava sulle piccole azioni. Gli sguardi vacui
e prolungati su alcuni muri del castello ancora distrutti dalla guerra
o su alcuni angoli del corridoio, dove forse qualche mese prima giaceva
il cadavere di un familiare o amico.
La
guerra li aveva cambiati tutti. Ma non riusciva ancora a capire il
comportamento della Granger nei suoi confronti.
Nessun
astio, nessun odio. Lui, il ragazzo che gli aveva reso i suoi anni ad
Hogwarts un inferno, non le faceva scaturire nessuna rabbia repressa o
sentimento di vendetta.
Non la
capiva, la Granger. Non l’aveva capita quando con i suoi
amici l’aveva salvato nella Stanza delle Necessità
quando avrebbe potuto lasciare al suo destino, non la capiva quando
tornati per il settimo anno, gli rivolgeva un cenno di saluto ogni qual
volta si incrociavano nei corridoi.
Nel
riflesso del vetro a cui era appoggiato, riuscì a vedere il
profilo del soggetto dei suoi pensieri che avanzava tra gli scaffali.
Ogni giorno era la stessa routine, da quando erano tornati dalle
vacanze natalizie e anche prima: lui si appostava dietro uno scaffale
strategico, seduto ad un tavolo che nessuno frequentava mai, tra quello
di Antiche Rune e la finestra, in modo che lei non potesse accorgersi
della sua presenza.
Anche
se lei sapeva che era lì.
C’era
un tacito accordo, quasi un appuntamento. Lei faceva finta di non
vederlo, lui la scrutava tra gli spazi liberi lasciati da libri
mancanti. Fu proprio per caso che la Granger si accorse di lui, la
prima volta. Prese un libro dallo scaffale e si ritrovò a
fissare il volto di Malfoy che la squadrava. Avevano impiegato un
secondo di troppo a rendersi conto della situazione, poi la Granger
aveva riacquistato la sua compostezza ed era andata a leggere
dov’era prima, come se non fosse successo assolutamente nulla.
Draco
l’aveva preso come un segno di indifferenza. Come un Per
me va bene se mi spii da lì dietro, basta che non dai
fastidio. Il
fatto che lei non avesse mai cambiato posto da quando si era accorta di
lui gli faceva pensare che non le dispiacesse troppo essere osservata
in silenzio, con solo uno scaffale pieno di libri a dividerli.
Non
l’aveva più chiamata Mezzosangue. Non la chiamava
mai, in realtà.
Infatti
era rimasto spiazzato quando quella volta, dopo appena tre mesi di
scuola, la Granger gli aveva rivolto per la prima volta la parola.
Proprio lì, in quella biblioteca, in quell’esatto
punto. Gli aveva domandato in toni gentili come mai spendesse del tempo
a guardarla, definendosi poco interessante e monotona, quando avrebbe
potuto studiare. Sulle prime lei rimase diffidente, ma c’era
qualcosa nello sguardo di Draco che le aveva fatto capire che non era
lì per prenderla in giro.
Una
volta gli aveva proposto persino di fare i compiti insieme e… sedersi
accanto a lei.
Non
c’era sarcasmo nella sua voce, o ironia. Una semplice e
cortese richiesta. Come se non esistesse alcuna rivalità, o
come se non fosse mai esistita. Come due estranei che si vedono per la
prima volta.
Forse
era davvero questo il suo piano. Annullare le cattiverie, ricominciare
da capo. Una seconda opportunità, in fondo, non si negava a
nessuno, nemmeno a Draco Malfoy. Ma nonostante questo, era rimasto in
silenzio e al suo posto, seduto da solo e lasciando sola anche lei. Non
aveva osato mai avvicinarsi o superare lo scaffale. A volte si faceva
spazio tra i libri per vederla chiaramente, sapendo che era inutile
nascondersi.
«
Puoi mostrarmi il tuo volto almeno, non ti affatturo mica. »
Lui
voleva davvero ripartire da zero. Qualche tempo prima avrebbe
rabbrividito al solo pensiero, ma aveva cominciato a scambiare qualche
parola con la Granger. Solo sussurri, anche monosillabi. Era lei che
cominciava ad attaccare discorso, lui rispondeva sì e no o
certe volte non proferiva nemmeno parola, ma restava lì a
osservare ogni suo movimento, a scrutare quanti secondi impiegava per
leggere un rigo – era quasi certo che gliene bastassero tre
per farlo con attenzione – o studiare la sua calligrafia.
Faceva le “e” sottili e le “l”
allungate. Seguiva i fluidi movimenti della sua mano che vagava sulla
pergamena, scendendo sempre più in basso con una
velocità straordinaria.
La vide
arrivare con il suo solito passo: veloce, con il capo chino sui libri
che stringeva al petto, e sedersi al solito posto. Era suo davvero,
anche se non c’era alcuna etichetta con su scritto
“Hermione Granger”. Stava di fatto che
nessun’altro sedeva lì. Draco aveva notato che era
sempre sola e questo la faceva apparire un po’ simile a lui
ai suoi occhi. Anche se lei aveva la Weasley come amica, ma figuriamoci
se si degnava mai di spendere il suo tempo in biblioteca.
Riusciva
a capirla anche solo guardandola: era silenziosa e senza i suoi amici
Potter e Lenticchia anche abbastanza solitaria. Si chiedeva se trovasse
conforto in tutti i libri che leggeva, se le parole di cui si nutriva
riuscivano a chiuderle la mente dalle immagini di morte della guerra
passata. Con lui non funzionava.
Draco
Malfoy aveva solo un metodo di distrazione, ed era proprio guardare la
Mezzosangue.
Si
perse nei lineamenti gentili del volto, la forma della mascella e del
mento, fino a risalire alle labbra. Ricordava quante cattiverie aveva
detto sui suoi denti troppo sporgenti ai primi anni. Che stupido, che
era stato.
Contemplò
i suoi capelli arruffati e seguì con precisione il percorso
di una ciocca che le ricadeva sul viso. Aveva voglia di infilare le
mani in quella massa informe e carezzarli, renderli morbidi al tatto,
odorarne persino il profumo. Chissà se la Granger ci pensava
ai suoi capelli. Cosa avrebbe dato per esplorare la sua mente, per
sapere cosa pensava di lui.
Probabilmente
credeva che fosse uno svitato, che durante la guerra un masso gli fosse
caduto in testa e l’avesse rincretinito totalmente. Anche lui
l’avrebbe pensato di sé stesso, ormai non si
riconosceva più. Di certo, suo padre non lo riconosceva.
Aveva
passato il Natale a Villa Malfoy, come sempre. Aveva quasi intenzione
di restare ad Hogwarts, ma proprio la Mezzosangue l’aveva
convinto ad andare: qualche giorno prima delle vacanze, aveva buttato
lì che se ne sarebbe andata sulla neve con la sua famiglia a
fare uno sport babbano, a quanto aveva capito. Scivolare sulla neve,
una roba del genere. Roba da babbani.
E lui
era tornato a casa, da una madre fin troppo ansiosa di rivederlo. Il
suo senso di protezione nei confronti del figlio era aumentato ancora
di più durante il suo soggiorno ad Hogwarts.
L’aveva abbracciato e stretto a sé come se non lo
vedesse da anni, non solo da circa quattro mesi. Ed avevano passato
quel tempo insieme tentando di ricostruire un vero rapporto familiare.
Draco
non credeva davvero di poterci riuscire. Troppe cose erano successe,
troppo dolore era albergato in Malfoy Manor. E il peggio era che
continuava ad albergare nei cuori di tutti. E non c’entrava
nulla l’affetto: sapeva che i suoi genitori lo consideravano
la cosa più importante che avessero, ma per troppo tempo gli
erano state affibiate responsabilità che non voleva. Da
quando Lucius gli aveva messo tra le mani una Nimbus 2001, pretendendo
che il figlio fosse più forte di Potter nel Quidditch, fin
quando gli era stato affidato dall’Oscuro Signore in persona
il compito di uccidere Silente.
Quando
aveva fallito entrambe le imprese, non si era mai sentito
all’altezza di portare il cognome Malfoy. E non si era
nemmeno sentito all’altezza di essere un purosangue. Ma
quando la guerra era finita, aveva capito che non gli importava
più nulla di essere un Malfoy o un purosangue.
Ciò che contava era essere vivo e insieme a lui la sua
famiglia. Non si era mai reso conto di quanto la vita potesse sfuggire
da un minuto all’altro sotto i propri occhi e di quanto tempo
avesse sprecato a fare una distinzione tra maghi di sangue puro e sangue sporco.
E sua madre Narcissa sembrava capirlo.
Era
tornato a casa e gliel’aveva detto. Le comunicazioni tra di
loro erano migliorate, in un certo senso, e Draco aveva trovato persino
la forza di affrontare l’argomento in presenza di suo padre:
aveva detto loro di quanto non ci fosse più alcuna guerra
tra studenti, alludendo alla Granger e al fatto che ci scambiava
qualche parola, ogni tanto. E che non era una spiacevole compagnia, in
fondo.
Lucius
aveva lasciato la stanza senza dire una parola, ma ormai non aveva
più potere su quelle cose. Narcissa invece gli aveva stretto
le mani nelle sue e gli aveva detto solo che era felice di vederlo
più vivo, allegro. Che desiderava solo la sua
felicità e che avesse una vita totalmente diversa da quella
di suo padre.
Draco
l’aveva presa in parola, come se fosse una benedizione da
parte sua, ed era tornato ad Hogwarts con un macigno in meno sul cuore,
con la consapevolezza che ormai i tempi bui erano terminati, e con loro
gran parte dei pregiudizi della sua famiglia, almeno da parte di madre.
Intanto
la Granger sembrava aver finito il suo tema di Pozioni, quello che
Draco avrebbe sicuramente scritto durante la notte: andava avanti da un
po’ di tempo, ormai. Studiava di notte, alla soffusa luce
delle lampade nella sala comune di Serpeverde, ma la mattina non si
svegliava mai stremato: per quanto potesse sembrare malaticcio,
solitario e costantemente triste, quasi assente, Draco dentro di
sé si sentiva bene, in pace con il mondo.
Da
quando era lì, non aveva ancora alzato la testa dalla
finestra: quel giorno era ancora più distratto del solito,
con un braccio appoggiato alla spalliera della sedia, una mano
fiaccamente messa a mo’ di segnalibro ad un volume che non
stava leggendo, la fronte ancora appiccicata alla finestra dove i
capelli si bagnavano per la condensa sul vetro, confondendo
l’immagine riflessa della Granger con quella della neve di
gennaio che scendeva inesorabile dal cielo.
«
Ti serve una mano con il tema di Pozioni? »
Fu come
risvegliarsi da un torpore e tornare alla realtà. Mise a
fuoco l’immagine della Granger e vide che lo guardava
intensamente, abbozzando un timido sorriso. O forse erano le labbra
troppo arricciate. Poi si voltò verso di lei, che indicava
la sua pergamena completamente vuota: « Ho notato che non hai
scritto praticamente nulla, se vuoi puoi leggere il mio. »
Draco
fissò prima le sue mani che gli porgevano gentilmente la sua
pergamena, per poi tornare a guardare quel volto che mano a mano
perdeva quell’abbozzo di sorriso. Ecco, non sapeva mai come
comportarsi quando gli rivolgeva la parola. A volte non rispondeva,
altre era sgarbato. Altre volte ancora rispondeva con monosillabi.
Comunque, nell’insieme, non si faceva sentire troppo.
«
No, figurati » rispose dopo una pausa. « Grazie
» aggiunse poi, per mostrare almeno un minimo di gratitudine.
La vide
annuire e tornare al suo studio, ma sapeva che una volta attaccato
discorso la Granger non l’avrebbe finita per le lunghe.
«
Sempre così apatico, Malfoy » commentò
mentre sfogliava distrattamente un volume grosso e polveroso.
« Mi chiedo che fine abbia fatto il Serpeverde presuntuoso
che conoscevo. » Sembrò pensarci su, poi aggiunse
« E che mi ha rovinato sei anni di scuola. »
«
Cinque, Granger » rispose Draco, cominciando a far dondolare
la sedia sulle gambe posteriori « Al sesto non avevo tempo per
pensare a lanciare frecciatine a te e alla tua compagnia. »
«
Non mi dire, ho ascoltato qualcosa in più di un grugnito?
»
Draco
ricevette il colpo con un ghigno. O forse era più un
sorriso, un timido manifesto di piacere nel trovarsi in quella
situazione. Non gli succedeva da tempo nemmeno di ghignare.
«
Penso sia seppellito insieme alla tua versione saccente e so-tutto, che
ha rovinato la mia carriera
di studente modello ad Hogwarts. »
«
Touché » commentò lei « Era
forse un complimento quello? »
Draco
storse il naso e decise di dedicarsi al libro che teneva in mano, o
almeno provarci. Tentò con tutte le sue forze di non pensare
al fatto che, in verità, dietro le sue parole era celato
davvero un complimento. E allo stesso modo tentò di
convincersi che era stato assolutamente non premeditato a risulare tale.
Per lui
la sua chiacchierata giornaliera poteva anche finire lì;
anzi, erano andati già fin troppo oltre i loro standard, ma
ogni sua speranza fu spezzata perché evidentemente la
Granger non aveva terminato.
«
Mi chiedo perché passi il tempo a osservare quella neve.
Personalmente, preferisco toccarla e magari lanciarla »
disse, con un sorriso furbo « Anche se, ora che ci penso,
capisco perché non ti piacciano tanto le palle di neve.
»
La
Granger stava giocando le sue carte e aveva pescato quella
dell’umorismo. Draco ricordò quando, al tero anno,
Potter si era intrufolato ad Hogsmeade e aveva cominciato a lanciargli
contro neve e fango.
Sorrise
a quel pensiero e scoprì che c’erano ricordi
divertenti legati anche a quel trio che aveva sempre disprezzato, e che
adesso a differenza di prima lasciavano un sorriso sulle labbra.
«
Potter ha smesso di lanciare fango sui poveri malcapitati? »
chiese Draco. Era piacevole parlare.
«
Sì, da quando i poveri
malcapitati hanno
smesso di fare gli imbecilli. »
Draco
sospirò. In fondo non si dimenticava tutto così
facilmente. Ma se la Granger si aspettava delle scuse, lui non le
avrebbe date. Era ancora impreparato e non avrebbe avuto la forza di
farlo. E le scuse non bastavano a cancellare anni di disprezzo.
La
Granger sembrò capire il flusso dei suoi pensieri e
pensò bene di cambiare argomento: cominciò a
parlare instancabilmente delle sue vacanze sulla neve, delle cose che
aveva fatto, di quanto fosse stato bello poter passare del tempo con la
sua famiglia senza doversi preoccupare di alcuna guerra o maghi oscuri.
E Draco ascoltò ogni sua singola parola con la massima
attenzione, guardò il movimento delle sue labbra che si
muovevano e si deliziò della sua risata cristallina dopo
avergli raccontato un episodio divertente. Era così surreale
stare lì in quel momento e sentirsi tanto leggeri.
E fu
una voce alle spalle della Granger ad interrompere quel momento: madama
Pince scrutava la ragazza con cipiglio più stranito che
severo, per poi sporgersi oltre lo scaffale e incontrare gli occhi di
Draco. La donna sembrò molto sorpresa, poi
riacquistò la calma e li rimproverò di fare
silenzio.
Mentre
si allontanava, il giovane Serpeverde pensò che altre cose,
invece, non cambiavano per nulla. Come madama Pince: nonostante la
guerra, nonostante la sua amata biblioteca fosse andata distrutta, lei
era ancora lì, tra i suoi libri e scaffali riparati, ad
intimare agli studenti il massimo silenzio. Era come se quel qualcosa
di profondo non fosse stato del tutto scalfito, come se le vecchie
abitudini riafforassero per far sembrare la realtà come un
tempo. Come se la guerra non ci fosse mai stata.
Eppure
non era così.
E poi
c’erano loro, Malfoy e la Granger. Draco non sapeva se madama
Pince fosse stata più sconcertata di vedere Hermione, colei
che frequentava quel luogo quasi quanto lei, parlare animatamente e
disturbare la quiete della biblioteca, o il fatto che lo stesse facendo
con Malfoy.
Se la
fine del mondo non era arrivata con Lord Voldemort, pensò
Draco, l’avrebbero scatenata loro. Perché a
differenza di madama Pince, essi erano cambiati: la Granger non era la
solita so-tutto e parlava in biblioteca, Malfoy non infastidiva nessuno
e aveva smesso di essere dannatamente irritante con tutti.
«
Sono stupiti di vederci parlare » riprese la Granger
sottovoce « O magari pensano che sia rimbambita e che stia
parlando con uno scaffale. »
«
Sarebbe plausibile » rispose il ragazzo « Io stesso
mi stupisco del perché mi rivolgi la parola. »
«
Per lo stesso motivo per cui tu hai cominciato a spiarmi
dall’inizio della scuola. »
«
Non mi hai mai detto di andarmene. »
«
Ma perché non voglio! Non mi da fastidio. Mi fa piacere.
»
Draco
pensò che forse quel masso che probabilmente gli era caduto
in testa durante la battaglia e l’aveva rimbambito, avesse in
qualche modo colpito anche la Granger. Non aveva alcun motivo
plausibile di trovare piacevole la sua compagnia.
«
Non capisco » disse infine.
«
Cosa? »
«
Perché lo fai. Perché mi rivolgi la parola come
se fossimo due semplici conoscenti, nonostante non lo siamo mai stati.
Non ti capisco. »
Hermione
sospirò e posò la piuma che aveva, congiungendo
le mani sul tavolo e sporgendosi in avanti. Da quella posizione Draco
aveva una visuale perfetta dei suoi occhi e si stupì
trovandoli così vicini. Aveva paura che anche lei potesse
vedere i suoi e leggere in essi la sua confusione.
«
Non pensi che sia io a non capire? Il ragazzo che mi ha odiata,
disprezzata e messa in ridicolo per tutti questi anni si presenta ad
Hogwarts e comincia a fissarmi nascosto dietro uno scaffale mentre
studio. »
Draco
sapeva che aveva ragione da vendere, eppure se gli avesse chiesto il
perché, lui non le avrebbe saputo rispondere: non se lo
spiegava nemmeno lui. Forse era rimasto colpito da lei, forse solo
stregato, ammaliato, forse aveva trovato nella Granger un esempio da
seguire, da studiare per andare avanti…
«
Ma non mi interessa, Malfoy » riprese lei « Ti ho
osservato anch’io in questi mesi e ho visto chi sei
diventato, ho visto il tuo cambiamento impressionante e adesso vedo la
tua solitudine e bisogno di una spalla amica nei tuoi occhi. »
Draco
non si era mai sentito così nudo e scoperto, come se a
dividerlo dalla Granger non ci fosse alcuno scaffale, come se quei
libri non disturbassero l’intera visuale che aveva di lei.
Davvero era così facile capirlo, come se fosse un libro
aperto? Cosa pensavano gli altri, che fosse diventato un disadattato
sociale bisognoso di aiuto?
Staccò
gli occhi da quelli della Granger, per paura che leggesse in essi
qualcosa in più, come la paura che albergava ancora in lui,
il terrore e la fragilità. Non le avrebbe più
permesso di guardargli dentro, eppure non riusciva a fermarla. Sentiva
quasi come se il suo talento in Occlumanzia fosse sparito con una
folata di vento, impedendogli di nascondere i suoi sentimenti come
aveva sempre fatto. Cosa avrebbe dato per ricostruire quel muro che
l’aveva sempre protetto, che gli aveva reso possibile
nascondere le sue emozioni a tutti.
E
adesso la Granger poteva navigare tranquillamente nel grigio dei suoi
occhi senza il bisogno di bussare e chiedere il permesso.
«
Perché? » sussurrò semplicemente.
«
Perché io non sono come te, Malfoy. Se fossi stata io al tuo
posto, mi avresti con molte probabilità respinta
immediatamente. »
«
Se tu fossi stata in me, non ti saresti nemmeno degnata di guardarmi.
» rispose di getto. E ci credeva davvero.
La
Granger restò in silenzio, assorta in un ragionamento a cui
Draco non era ancora arrivato – probabilmente degno solo
della mente della studentessa migliore di Hogwarts – e infine
scosse la testa. « Le situazioni e i tempi sono cambiati, lo
sappiamo bene entrambi. La guerra ci ha
cambiati. Dopo tutto ciò che è successo
lì fuori… » e indicò la
porta d’entrata nella biblioteca, che dava sul corridoio
« So come ci si sente. L’ho vissuto in prima
persona proprio come te. Non avremo subito perdite tra i nostri cari,
ma abbiamo visto morire persone a cui eravamo legate, come Fred o
Tiger. Siamo più simili di quanto tu possa pensare.
»
Tirare
in ballo l’argomento di Tiger era stato un altro colpo al
cuore per Draco. Ricordava ancora il volto del suo amico che, in preda
alla follia, agitava la bacchetta in cerca di un incantesimo che
potesse spezzare l’Ardemonio da lui creato. Chiuse gli occhi
ricordando quelle immagini di morte e strinse forte i pugni chiusi sul
tavolo.
Non
riusciva a immaginarsi simile alla Granger. O non riusciva a immaginare
la Granger simile a lui. Non ci credeva, alle sue parole: lei non era
sola come lui, lei era stata dalla parte del bene da sempre, lei aveva
ancora degli amici su cui fare affidamento.
E
invece, Draco, in quel momento si ritrovò a pensare alla
solitudine della sua esistenza. Se solo avesse avuto un cognome
diverso, se solo non fosse stato un tale stupido nel suo passato,
adesso non si sarebbe sentito così. Eppure quella solitudine
gli dava conforto. Se era da solo, nessuno poteva vedere quanto in
fondo stesse ancora soffrendo. Aveva bisogno di rialzare quelle mura
per proteggersi. E per proteggere la Granger dal male che si sarebbe
fatta da sola, fidandosi di lui.
Scoppiò
a ridere. Una risata amara, che suonava finta persino a lui, che gli
ricordava tanto i suoi toni irrisori. Eppure non aveva intenzione di
schernire qualcuno sul serio.
«
Avevi ragione prima quando dicevi che non sei come me »
disse, sperando di risultare più naturale di quanto tentasse
di fare « Non puoi davvero credere che noi siamo
simili. » Questa volta fu lui a sporgersi in avanti, per
incrociare quegli occhi da cui prima era scappato « Io non
sono come
te e
mai lo sarò. » tentò di far trasparire
quel disgusto che ormai non provava più « E io
sono sempre quel brutto
perfido schifoso scarafaggio. »
Hermione
sostenne il suo sguardo fin quando il suo orgoglio glielo permise.
Sembrò pensarci su, poi scosse la testa « No
» disse semplicemente « Non ti credo. Non ho
passato quello che hai passato tu, ma so benissimo come ci si sente.
Aiutando Harry rischiavo la mia vita tutti i giorni, o anche solo per
il mio essere una sporca mezzosangue. Sai cosa ho dovuto fare ai miei
genitori? » gli chiese restituendogli lo sguardo intenso e
carico di emozioni « Ho fatto perdere loro la memoria. Per
tutta la durata della guerra hanno creduto di non aver mai avuto una
figlia e li ho mandati in Australia, al sicuro. Quindi credimi quando
ti dico che so benissimo cosa voglia dire vivere con la costante paura
di perdere i propri genitori e non vederli mai più. Abbiamo
sofferto tutti, per cause diverse, ma abbiamo sofferto e siamo
cambiati. E non posso credere che tu sia sfuggito a tutto
ciò. L’avevo capito già da prima, che
sei qualcosa in più di un semplice schifoso scarafaggio.
»
Non si
era nemmeno accorto che la tempesta di neve e pioggia al di fuori della
finestra continuava a scendere forte e impetuosa. Non si era nemmeno
accorto di essere arretrato dalla sua posizione alle parole della
Granger. L’aveva sconvolto. Il solo pensiero che lei avesse
sofferto così tanto gli si annidava freddo nel cuore e gli
faceva pensare di essere stato ancora una volta uno stupido ad aver
creduto di essere la sola vittima in tutta quella guerra.
C’erano persone che erano morte, che avevano visto morire
familiari e amici, che era stato allontanato dai cari, proprio come la
Granger.
«
Che cosa vuoi dire? » le chiese dopo una pausa. Si
schiarì la gola « Intendo, cosa avevi capito
già da prima? »
La
Granger sembrò in imbarazzo e si decise ad abbassare gli
occhi « Quando ci trovarono e ci portarono a casa tua, alla
residenza dei Malfoy e quando ti chiesero di confermare che fossimo
proprio noi, tu non lo facesti, nonostante fosse ovvio »
disse « Sarà stata paura o codardia, ma resta il
fatto che non l’hai fatto. Non ho dimenticato, Malfoy.
»
«
E’ stato solo… un attimo di esitazione »
tentò di spiegare Draco « Non si possono
cancellare anni di odio in questo modo. »
« Odio? Santo
cielo, Malfoy, io non
ti ho mai odiato. »
A Draco
sembrò di smettere di respirare. O forse smise per davvero,
ma era assolutamente certo di una cosa: aveva perso parecchi battiti al
cuore. Fissò la Granger come se stesse parlando una lingua
aliena, e in effetti era quasi così: sapere che
quell’odio infondato nei suoi confronti non era corrisposto
quando avrebbe potuto esserlo, e con ragioni ben più
motivate.
«
Eri irritante, certo, odioso e sfacciato, ma non ti ho mai odiato
davvero. Non avevo ragione di farlo. »
«
Ne avevi più di una » sussurrò Draco.
La
Granger scosse la testa « Qualche frecciatina per i corridoi?
Il fatto che mi disprezzassi per il mio sangue? Erano solo
stupidaggini, Malfoy. »
«
Non erano stupidaggini, Granger. Non capisci? Io a differenza tua ti
odiavo. Odiavo
il tuo essere una nata babbana, odiavo il tuo essere una Grifondoro,
una saccente, l’amica di Potter. Odiavo tutto di te.
»
Si
pentì immediatamente delle sue parole, ma ormai non poteva
farci niente: era quella la verità, cattiva e cruda. Eppure
avrebbe dovuto controllarsi, sapeva quanto la Granger era sensibile
riguardo certe cose.
E
invece il suo comportamento lo stupì. Nessuna lacrima od
occhi lucidi. Solo le sue labbra abbassate in una retta perfetta.
« E adesso, Malfoy? » chiese « Mi odi
ancora come prima, o di più? »
La
risposta gli restò in gola, come se la sua
volontà si opponesse al suo istinto, che gli diceva di
smetterla con quella finta, di mostrarsi per ciò che era:
fragile, sanguinante. E invece riuscì solamente a
distogliere lo sguardo da quello di Hermione. Di voltarle la faccia
come un codardo.
«
Ho capito » disse lei, ma venne interrotta di nuovo dalla
Pince che avanzava adirata tra gli scaffali verso di loro.
«
Signorina Granger, Malfoy! » sbottò davvero
irritata – e irritante - « E’ la seconda
volta che vi richiamo! Se dovete parlare questo non è il
posto adatto! »
Hermione
probabilmente la guardò male per la prima volta in sette
anni, poi, quando vide la donna dileguarsi continuando a borbottare,
cominciò a raccogliere le sue cose, non degnando di un
minimo sguardo Draco, il quale, quando vide la ragazza allontanarsi, si
decise ad uscire dal suo buco di biblioteca, di mostrarsi al di fuori
del suo scaffale.
Hermione
si fermò a guardarlo, e lo stesso fece Draco.
Notò il suoi capelli arruffati più che mai e i
suoi occhi arrossati. Era stato indelicato e orribile, e adesso se ne
pentiva. La Granger, da parte sua, sembrava fissarlo ancora
più intensamente, senza sapere se scappare via oppure
restare. Sarebbe dipeso tutto solo da Draco.
«
Aspetta » le disse quasi a tendere la mano verso di lei. Non
riuscì a dirlo, ma la supplicò di restare con lo
sguardo. Almeno ancora per un po’. « Non voglio che
te ne vada per causa mia. »
«
E allora cosa vuoi, Malfoy? » sospirò Hermione,
mollando la presa sulla sua borsa e lasciandola cadere lentamente sulla
sedia.
Draco
allargò le braccia, non sapendo cosa rispondere. «
Vorrei solo… »
Essere
capito, trovare una persona su cui fare affidamento e che
l’apprezzasse, tentare di crearsi una vita e un futuro. E
avrebbe voluto tanto altro, tornare indietro e cancellare tutti i suoi
errori, poter rivivere la sua adolescenza come avrebbe dovuto,
convincere suo padre che i pregiudizi fossero stupidi e
inutili… eppure non poteva. Gli restava solo una cosa.
La
Granger gli si avvicinò lentamente e Draco non fece nulla
per respingerla o allontanarla. Finalmente aveva una visione totale di
lei, dopo aver passato tanto tempo a parlare nascosti l’uno
dall’altro dai libri sullo scaffale. Era un’arma a
doppio taglio: poteva osservarla tanto bene quanto poteva lei. E sapeva
di essere molto più scoperto di lei.
«
Non è troppo chiedere una seconda opportunità,
Malfoy. Tutti ne hanno il bisogno. »
E anche
lui. Merlino solo sapeva quanto ne necessitasse, quanto ardesse in lui
il desiderio di rimediare a tutti gli errori, voluti e non, fatti in
passato.
«
Ripartiamo da zero, cominciamo da capo » gli disse la
ragazza, fissandolo intensamente, quasi implorandolo di dare a
sé stesso un’altra opportunità.
E Draco
annuì in silenzio, cercando negli occhi sorridenti della
Granger la conferma che non si sarebbe pentito di essersi fidato.
Hermione gli sorride dolcemente e riprese posto alla scrivania,
lasciandolo lì in piedi, confuso e spiazzato.
« Ti
serve una mano con il tema di Pozioni? »
ripetè la Granger e, per la seconda volta, indicò
il foglio di Draco « Ho notato che non hai scritto
praticamente nulla, se vuoi puoi leggere il mio. »
A Draco
scappò un sorriso, incontrollato e genuino, e
ringraziò il famoso masso che probabilmente li aveva
rincretini entrambi, perché se fosse stato in sé
non si sarebbe mai trovato lì. E non avrebbe desiderato
essere in nessun altro posto.
Sì,
pensò, non sarebbe stato male in fondo. Di dolore ne aveva
già subito, forse era davvero giunto il momento di darsi una
seconda opportunità.
«
Non vorrai restare impalato lì » disse Hermione,
richiamandolo dai suoi pensieri.
Non se
lo fece ripetere due volte e si avvicinò al posto vicino a
quello della ragazza « Posso sedermi accanto a te? »
La Granger gli rivolse un grande sorriso « Sì » rispose « Mi farebbe molto piacere. »
A
Chiara,
buon
compleanno, amica mia.
NdA
Dramione senza pretese, scritta
solo a causa della festeggiata che voleva assolutamente che mi
applicassi a scriverne una. E dato che non sono un’amante di
questa coppia, non ho la più pallida idea di cosa ne pensi
la gente che se ne intende u.u
Chiarisco alcuni punti: nei primi
righi del testo c’è una parte: La
mano di Narcissa che stringeva forte quella del figlio nonostante fosse
più piccola, il braccio di Lucius che gli cingeva le spalle.
Un trio che si allontanava, che lasciava il campo di battaglia.
So benissimo che nei libri i Malfoy non lasciano Hogwarts durante la
battaglia, ma mi è particolarmente rimasta impressa quella
scena nel film e ho voluto riportarla.
Poi, il fatto dello scaffale xD So che può sembrare strano,
e non saprei nemmeno come spiegarlo in effetti, ma immaginatevi queste
due scrivanie frontali divise da uno scaffale con dei libri. Non tanti
e nemmeno pochi dato che riescono a intravedersi (sono complicata,
ahimè).
Grazie per la lettura.