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Autore: crazyfred    07/10/2011    11 recensioni
Il destino può cambiare in un momento. Due anime scontrarsi e fondersi in un solo istante, senza preavviso, legate per non staccarsi mai. Non era lei quella che immaginava e quello non era il luogo che aveva in mente. Ma lui la guarderà negli occhi ... e saprà di non essere solo.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Cross-over, Lime | Avvertimenti: nessuno
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When you crash in the clouds - capitolo 17















Capitolo 17
Gift



soundtrack


I am bleeding joy, still peaceful, 
I am waiting for patience 
I live something beautiful, just thinking not too fast



Riaprii gli occhi lentamente, protetto da una bolla di calore profumato che mi avvolgeva. Sapeva di latte di mandorle, sapeva di … Allison. Ci misi poco a ricollegare tutta la faccenda, dove mi trovassi, ma soprattutto con chi avevo passato la notte. Quando all’improvviso un leggero fruscio del lenzuolo mi annunciò che la ragazza che dormiva al mio fianco si stava probabilmente svegliando. Mi rigirai nel letto alla mia sinistra e fu solo allora che mi accorsi che era rimasta ancorata a me, le braccia come due arpioni ai miei fianchi ed il viso schiacciato contro la mia schiena. Non si era ancora svegliata, così mi mossi lentamente, per lasciarla sognare ancora un po’ e rimasi allungato prono, ricambiando il suo abbraccio. Avevo sperimentato che per fortuna non aveva un sonno leggero, al mattino era sempre un’impresa svegliarla, ma quando dormiva continuava ad essere bella come da sveglia, forse anche di più. I suoi tratti erano completamente rilassati, i capelli completamente sconvolti, ma ne guadagnava in dolcezza. Avrei volentieri preso quelle labbra per mangiarmele di baci …
Era così piccola sotto di me, che avevo la costante paura di farle male. Ma era stupefacente il modo in cui riuscivamo a trovarci, qualcosa che andava ben oltre il sesso, che pure era straordinario. Quello era amore, con la A maiuscola, in grassetto e sottolineata. Non c’era la corsa al piacere sfrenato, la volontà di appagare i propri bisogni meramente fisici aveva ceduto il passo ad un ringraziamento reciproco, per tutto quello che ci eravamo donati reciprocamente, l’aiuto, il sostegno, l’incoraggiamento, e tutto quello che ancora avevamo da offrirci e far diventare patrimonio comune. Niente di materiale, ma con molto più valore di ogni ricchezza.
Mentre restavo a bearmi di lei e del suo respiro profondo e placido, del suo profumo che a tratti sapeva anche di me, mentre godevo ancora di quei piccoli morsi di una mattina di Natale diversa dalle altre la sentii muoversi, spostandosi, ancora dormiente, sul mio torace, e stringermi ancora più forte. Venne ad accucciarsi al mio collo, come faceva ogni volta che voleva delle coccole da me. Eravamo ancora nudi, perché non c’era stata né la necessità, né francamente la voglia, di rivestirsi: sentivo così ogni centimetro della sua pelle muoversi lungo la mia, riuscivo a percepire ogni cambiamento di posizione. Non riuscivo però ancora a decifrare se stesse dormendo o se, fingendo ancora di dormire, volesse accaparrarsi qualche coccola extra ed essere contemporaneamente lasciata in pace ancora per un po’. Valla a capire la mia micia volubile e imprevedibile.
Mi sentivo in pace, pur non essendo quella una situazione tranquilla. Era come se il compromesso a cui mi ero dovuto piegare non fosse il peso che avevo temuto, ma piuttosto un sollievo per le mie paturnie e le mie inquietudini. Temevo che quel comportamento sarebbe potuto diventare un’abitudine, ma al contempo dentro di me lo speravo. Un conflitto di interessi e di sentimenti mi sbranava già da un po’, ma quella notte era stato l’ennesimo colpo di grazia per le mie speranze di poter far andare le cose tra noi in maniera adeguata. Aveva i suoi tempi lei, ma anche le sue necessità evidentemente, e al contempo non sapeva rinunciare a niente. Ed io … la verità è che io non sono mai stato in grado di dirle di no. Per la sua voce, che incanta, per i suoi occhi, che stregano, per il suo corpo, che ammalia.
Mi ricordai allora della mitologia greca, che Michael adorava e che, a forza di botte in testa con libri e tomi vari, aveva infilato anche nella mia zuccona vuota di tredicenne o giù di lì. Non c’era forse un nome preciso per quelle come Allison? Belle e terribili, capaci di uccidere senza pietà coloro che avevano attirato a sé. Le chiamavano sirene, voci di miele e serve di Thanatos.
Non era nella sua volontà farmi del male, questo non lo mettevo in dubbio, ma il suo comportamento e la sua indole, i suoi desideri e le sue indecisioni, non avevano propriamente quello che si definisce effetto placebo su me, ma anche neanche su di sé. Di questo passo saremmo finiti entrambi annegati nei nostri stessi dubbi ed esitazioni, con la convinzione che quelle onde ci stessero cullando invece di travolgerci. Non ero da solo a farmi male, anzi forse a me toccava proprio la parte minore del danno, perché in parte ne ero consapevole e me assumevo ogni responsabilità.
“Mmmmm!!!”
La sentii lamentarsi e capii che si era ormai risvegliata definitivamente. Strusciò il suo viso sulla mia spalla, quel tanto che bastava per mandarmi in overdose di dolcezza. Ma si può essere tanto checca? Dio mio, pensavo ci fosse un limite …
Ma lei sembrava proprio uno di quei cuccioli paffuti e arruffati che si sfregano le zampette al muso quando devono pulirsi.
Quando aprì finalmente gli occhi nella penombra della stanza, ancora chiusa con finestre e tapparelle abbassate, non riuscii a scorgere bene né i suoi adorati occhi verdi né i suoi lineamenti, che per primi di solito parlavano per lei. Non riuscivo a capire quali fossero i suoi pensieri e non c’era modo di indovinarli; tanto, anche se ci avessi provato, con lei niente era mai limpido.
L’ultima volta che eravamo stati assieme, la prima volta, l’avevo ritrovata serena e positiva al mattino. Il ricordo della colazione a base di pancakes e coccole mi fece ben sperare, ma con la regina dell’imprevedibile era d’obbligo non farsi mai trovare con le difese abbassate. A meno che non si volesse finire ridotti a brandelli.
“Oh cazzo!” disse, tirandosi su di scatto “cazzo cazzo cazzo!!!”
Non feci in tempo a domandarle cosa fosse successo che la vidi balzare fuori dal letto in pieno panico, scalzando via le coperte portando via con sé tutto il tepore che avevamo guadagnato nella notte. Tornai a coprirmi in tutta fretta con il piumone mentre la seguivo con lo sguardo, notando che, raccattando i suoi abiti da terra, si era messa già rimessa addosso gli slip e una vestaglia presa in bagno.
“Ma porca puttana!” imprecò per l’ennesima volta.
“Ma si può sapere che cavolo ti prende?” le chiesi, infine.
“Ti prego dimmi che non l’abbiamo fatto di nuovo …”
“Nooo” risposi sarcastico “abbiamo giocato a strip poker e ci hanno ripulito”
“Non è questo il momento di fare gli spiritosi, Tyler!” mi rimproverò. “Come cazzo ci è venuto in mente di fare una stronzata del genere!!! Siamo due irresponsabili
…”
Ma che cazzo le prendeva? Non era ubriaca la sera prima, di questo ne ero certo. Io, d’altro canto, non lo ero abbastanza da abusare di una ragazza e non ricordarlo. “Mi … mi era sembrato che ieri sera fossi di un altro avviso Allison ... e poi, com’è che avevi detto?” continuai, ricordandole parole uscite dalla sua stessa bocca “se ci va di stare insieme lo facciamo senza troppe conseguenze il giorno dopo giusto? Ora che sono tutte questi sensi di colpa?!”
“Come al solito non capisci un cazzo …” sbraitò, catapultandosi di nuovo nei panni e nei modi della ballerina di lap dance volgare ed insolente che avevo conosciuto una sera di tre mesi prima.
“Oh certo … come al solito sono io quello che non capisce un cazzo!” sbottai e fui costretto ad alzarmi anch’io dal letto e a rivestirmi, per raggiungerla.
Non riusciva a stare ferma nella stanza, si passava e ripassava in continuazione le mani tra i capelli per portarle poi davanti alla bocca, sconcertata.
“Mi vuoi spiegare dov’è il problema?” chiesi, perentorio.
“Abbiamo fatto una stronzata abominevole” sentenziò “ci siamo comportati peggio di due ragazzini, completamente irresponsabili”
Lei che faceva a me la morale? Bene, ero finito in un mondo parallelo in cui il mondo va decisamente al contrario.
“Ma di cosa hai paura? Guarda che non c’è pericolo, non ti ho mica messa incinta. Forse non te lo ricordi, ma il preservativo l’ho usato … cavoli non mi sembravi messa tanto male ieri sera”
Rise per un attimo, ma era più che altro guidata dal nervosismo più che da reale divertimento. Si vedeva che era tipica risata di chi ride per non piangere.
“Proprio non riesci a capire, eh? Dov’è che siamo … questa non è solo la tua vecchia camera. È anche casa di …” “Di mia madre” continuai la frase per lei.
Non c’era bisogno di aggiungere altro, il puzzle si era ricomposto ed io c’ero come al mio solito arrivato in ritardo.
“Lei ha così fiducia in me … ed io ho contraccambiato andando a letto con suo figlio. Come una puttanella qualunque. Bel modo di ripagarla di tutto quello che ha fatto per me … chissà ora cosa penserà”
La bloccai per le spalle e la costrinsi a voltarsi e guardarmi. Sorvolando sul fatto che indugiò sulla mia camicia bianca della sera precedente completamente sbottonata, cosa che in altre circostante mi avrebbe reso fiero di me stesso, la fissai, calmo ma deciso. Dovevo infonderle quella fiducia che forse non riponeva completamente in mia madre.
 “Io non credo che se la prenderà così tanto” la tranquillizzai “quando è venuta a prenderti casa mia quella mattina non avrà impiegato molto a fare due più due e credo che a quest’ora penserà che stiamo insieme e non glielo diciamo solo perché la situazione è un po’ delicata e tu sei ancora minorenne”
C’era anche quel piccolo particolare per cui, essendo lei minorenne ed io più grande di quattro anni, per la legge americana avrei potuto essere tacciato di pedofilia e sbattuto in galera. La nostra storia, o quel che cavolo era, stava diventando come un barbecue il 4 di luglio; pieno di carne pronta per finire sulla brace. E sinceramente non faceva parte dei miei progetti futuri finire incenerito, anche solo metaforicamente.
“Sei sicuro?” chiese lei, ancora titubante. “Ma certo!” risposi e man mano iniziavo a crederci anche io. Forse lei l’avrebbe risparmiata, ma io sarei finito castrato, ne ero ormai più che certo. Già me la vedevo, isterica e incazzata, urlarmi contro e minacciandomi per aver approfittato di Allison, la sua protetta. Peccato, ci tenevo a diventare padre, prima o poi … più poi che prima.
“E ora?” Quella era la domanda da un milione di dollari a cui non sapevo proprio dare risposta. Sbirciai verso l’orologio a muro e scoprii che erano solo le 9.45.
“Per ora ce ne torniamo a letto, nel frattempo ci inventeremo qualcosa …”
Prima di rientrare sotto le coperte alzai le serrande per lasciar entrare un po’ di luce naturale nella stanza. Corsi a letto di filato, lasciando di nuovo a terra pantaloni e camicia, raggelato dalla temperatura glaciale della stanza; ma ormai anche il calore del letto era andato perso, così approfittai della ritrovata serenità di Allison per avvicinarmi a lei e riscaldarci un po’ insieme.
“Dio che dormita però” commentò, con un sonoro sbadiglio e stiracchiandosi fino a travolgermi con le sue braccia. Mi guardò con gli occhi socchiusi – odiava quando le facevo luce di botto – e notai che, oltre ad essere ancora un po’ sconvolta, aveva tutta l’aria di chi aveva goduto del migliore dei riposi della sua esistenza. “Ma quanto ho dormito?” domandò “E che giorno è oggi?”
Sorrisi, perché davvero non credevo di aver approfittato di una giovane fanciulla brilla. Scusandomi sorridendo, le confessai l’atroce reato.
“Ma quale ubriaca!” si giustifico “è questo letto la mia rovina, è troppo comodo e dormo ogni notte come se non dormissi da dieci anni”
Il che, parzialmente, corrispondeva a realtà. Negli ultimi anni aveva vissuto principalmente di notte, riservando il riposo al mattino, ma il suo monolocale, lercio e scomodo, non era esattamente il posto adatto per recuperare le energie, specialmente quando convivi con il perpetuo terrore che qualcuno possa scovarti e portati via, guardie o ladri che fossero.

Buon Natale, comunque” le dissi, baciandole dolcemente una guancia, sorridendole “è la mattina del 25 dicembre”


I'm offering this simple phrase,
To kids from one to ninety-two,
Although it's been said
Many times, Many ways
Merry Christmas to you.


Per un attimo si tirò su e si mise a sedere, coprendosi accuratamente con il piumone rosso come se fosse un bozzolo. Faceva così freddo che, pur non avendo badato al tempo che c’era fuori dalla finestra, non mi sarei stupito di trovare accumulati almeno una 20 di centimetri di neve. Maledetta Allison…qua c’è qualcuno che ha freddo…la smetti di scoprirmi!!! Stavo quasi per iniziare una delle nostre schermaglie farlocche, una di quelle da concludere a cuscinate, ma notai che era tornata di nuovo impenetrabile, con quel broncio tutto suo che lasciava intendere un pensiero scrupoloso e rimase lì, silenziosa per qualche secondo ed io non potei fare altro che allungarmi di nuovo con le braccia dietro alla nuca, altrettanto impegnato ad osservarla e a ridere di quella comicità del tutto involontaria. Era comica, sì, nei suoi gesti, in quella saggezza grossolana, dettata più dall’esperienza che dalle conoscenze, quella voglia di tornare ad essere la signorina per bene ma senza dimenticare la ragazza un po’ rozza e sguaiata che calcava i cubi da lap dance anziché i palchi di danza classica.
“Che bello!” sentenziò, scattando e voltandosi verso di me fiera e soddisfatta. “Questo …” iniziò la frase, ma venne chiaramente colta da quel pudore che l’accompagnava puntuale quando si trattava della sua vita passata “… questo è il primo Natale vero che festeggio dall’incidente. Il mio ultimo Natale in casa con mia madre e la nostra famiglia, pochi mesi dopo la morte di Emily, non fu esattamente idilliaco”
“So che non posso ridarti niente di quello che avevi ad Indianapolis” aggiunsi, portandomi a sedere di fianco a lei e poggiando il mento sulla sua spalla, abbracciandola delicatamente da dietro “so non posso ridarti tua sorella. Ma permettimi almeno di alleviare questa malinconia. È il mio secondo Natale senza Michael, so come ci si sente”
Già, sapevamo entrambe com’era vivere con un pezzo mancante nel cuore.
Si girò verso di me e mi baciò sulle labbra. Non era un bacio passionale, preludio di una mattinata dai toni più roventi; aveva tutta l’aria di essere un bacio coccoloso, di quelli che generalmente si danno al mattino le coppie delle soap opera, quando la mattina di Natale fuori nevica e fa troppo freddo per alzarsi. Io non avevo idea nemmeno dei pensieri che la mia mente stesse partorendo in quel momento, sopraffatto da una scala di sensazioni tutte nuove ma potenti e docili allo stesso tempo. Era così che si comportava una coppia, o due amici di letto si comportano allo stesso modo? Ed era ancor più inutile provare a parlarne con lei, che aveva le idee ben più sconnesse delle mie. Dove saremmo finiti di questo passo?
Finimmo allungati e intrecciati, di nuovo, innocenti e pericolosi allo stesso tempo.
“Non voglio più uscire da qui”. Fu un soffio, sussurrato con il volto schiacciato completamente sul mio petto, al quale per devozione e tradizione ormai finiva sempre con l’ancorarsi, ma io non ebbi difficoltà a distinguerlo.
“Non dobbiamo per forza …” la rassicurai, ma sapevo che la verità era un'altra. Al piano di sotto ci stavano aspettando mia madre, suo marito e mia sorella, insieme ad una tonnellata di sensi di colpa e figure di merda serviti su un piatto d’argento. “Cosa diremo?” mi chiese. Sapevo che, dopo quanto ci eravamo detti la sera precedente, non mi avrebbe mai più fatto fare niente che non mi andava. Ma io stesso non l’avrei spinta in recite che le stavano strette e che non sarebbero state mai pienamente credibili.
“Ciò che vuoi” le risposi, accarezzandole i capelli con una mano e sfiorandole la pelle con il pollice dell’altra, impegnata a stringerla a me, nuovamente libera anche lei da ogni indumento, eccetto gli slip.
“Ma non ce l’hai una maglietta?” la rimproverai, pur non credendo neanche a io a quello che stavo dicendo, per il semplice gusto di vederle arricciare il naso. “Senti chi parla…” rispose e finimmo col ridacchiare come due scemi. Adoravo quei piccoli momenti di normalità che mi concedeva, pur essendo cosciente che per lei non significavano nulla. O magari mentiva, a me e a sé stessa, ma dal momento che le andava bene ed io sopportavo ancora bene le conseguenze del mio ben noto autolesionismo, andavamo avanti ancora per quella strada.
“A parte gli scherzi” tornai per un attimo ad essere serio “possiamo anche pronunciare un bel no comment e dirgli di non azzardarsi a tirare fuori l’argomento perché sono solo fatti nostri … il che mi sembra un’idea perfetta.”
“Forse” annuì, non ancora pienamente convinta “ma rimane il fatto che ho tradito la fiducia di tua madre”
Incredibile. Se di questa ragazza attenta e giudiziosa mi avessero raccontato la storia quella mattina di Natale, non c’avrei mai creduto. Ma io la conoscevo in modo che forse anche sua madre a Indianapolis si sognava … quindi non avrei dovuto stupirmi più di tanto.
“Ma non sei una suora di clausura, questo non è un monastero e mia madre non è il Padre Eterno. Può anche blaterare quanto le pare, ma non si deve nemmeno azzardare a giudicarti.”
Non parlò più ed il suo respiro sembro regolarizzarsi e diventare anche più lento, segno che forse si stava anche riaddormentando. Ma i pensieri nella mia mente non andarono certo diminuendo e aspettai che fosse nuovamente assopita per sgusciare via dal letto. Avevo bisogno di risistemare le idee, di parlare eventualmente con mia madre, chiarire e scusarmi anche. Tutto questo davanti a del caffè e una sigaretta.
Per fortuna Allison aveva voluto per sé alcuni miei vecchi abiti, con la scusa della comodità, così non dovetti presentarmi al piano di sotto con gli abiti della sera precedente. Non ricordavo che nessuno avesse anche solo provato a disturbarci, nessuno che fosse venuto a chiamarci o che avesse chiesto a Caroline cosa ci facevamo con la porta chiusa a chiave. Non che fossi attento a ciò che accadeva fuori, ma le voci bene o male si sentono anche distrattamente.
Così scesi le scale e mi ritrovai nella zona giorno calda e piena di differenti odori: eggnogg, prosciutto arrosto già in forno per il pranzo e caffè e mince pie. Caroline non credeva più a Babbo Natale da un pezzo, da quando mio padre almeno un paio di Natali prima durante una lite con mia madre le fece candidamente capire che eravamo noi a lasciarle i regali sotto l’albero; era una di quelle cose che mi ero segnato al dito, la dimostrazione che di noi non gli era mai fregato un cazzo, ciò che gli importava era solo il suo dannatissimo lavoro. Così da quel giorno mamma la cucinava comunque ed invece di lasciarla per Babbo Natale, la mangiamo tutti insieme a colazione.
Notai sul mobile d’ingresso un bigliettino con la grafia di mia madre, che avvisava me e Allison che erano andati tutti in chiesa. Sapevo che sarebbero andati tutti insieme in Chiesa nella notte, quindi doveva essere rimasto lì dalla sera precedente. Il mio rapporto con Dio era un po’ complicato e andare in Chiesa per le feste comandate mi sembrava un atto di profonda ipocrisia. Come potevo credere che colui che non aveva salvato mio fratello fosse davvero venuto a salvarci tutti? Per cui, dal momento che amavo profondamente la mia famiglia, mi godevo le feste come occasione per poter stare accanto a mia madre e mia sorella. Forse era un modo di pensare profondamente consumistico, ma da buon newyorkese non poteva essere diversamente.
Entrai in cucina, dove mia madre e Caroline erano di spalle, entrambe indaffarate, l’una ai fornelli, l’altra a spazzolare via una tazza di cioccolata calda e biscotti di Natale che, come voleva la nostra tradizione, andava sempre a rubare dall’albero. Les mi accolse con un colpo di tosse sospetto, eppure mi guardò sorridente e divertito, quasi complice.
Mia madre si voltò all’istante, così come anche Caroline, che corse ad abbracciarmi. “Buon Natale Tyleeeeer!!!”
“Buon Natale anche a te piccola!” ricambiai “hai trovato il regalo che il vecchio Santa ha portato da parte mia?”
“Lo sai che so la verità Tyler … comunque l’ho trovato. È bellissimo! Grazie!” era un libro su Modigliani, uno dei miei artisti italiani preferiti.
“Sai ... si dice che non riuscisse a dipingere gli occhi nei suoi quadri perché non riusciva a scorgere l’anima dei soggetti” le spiegai. Quella era la leggenda, eppure un suo quadro riesce ancora a parlare, ad oggi, più di quanto non riescano mille predicatori in un’intera vita. “Che peccato che  tu sia nata così tardi sorellina, avresti potuto insegnarli qualche trucco per la parte dell’anima!” continuai, strizzandole l’occhio. Bastava poco per farla sorridere e diventare rossa;; impazzivo a vederla tanto felice e spensierata, lei che a volte aveva la serietà e la tristezza che accomuna gli adulti.
“Ehm … Carol” ci interruppe nostra madre, con un tono di voce decisamente poco natalizio “perché non vai con Les in soggiorno e lo aiuti a montare il suo regalo”
“Ma maaaaaaa’….” “Niente ma’, vai!”
A malincuore fu costretta a lasciarmi andare e io dovetti fare altrettanto. Era un atteggiamento poco maturo il mio, ma averla al mio fianco mi avrebbe risparmiato ramanzine poco piacevoli.
“Dorme?” domandò ed io annuii silenzioso.
“Senti Tyler …” sospirò e non impiegai molto a figurarmi tutta la predica sul passato turbolento di Allison, sulla sua sofferenza ed i miei doveri di tenere le mani a posto e anche qualcos’altro nei pantaloni. Così mi armai di coraggio e la sfidai ancor prima che potesse formulare alcunché di accusatorio.
“Mamma” la interruppi, cogliendola anche piuttosto di sorpresa “so cosa stai pensando, ma non è come credi. Non sto giocando e non mi permetterei mai. Se ti ho messo in imbarazzo con gli ospiti ieri sera ti chiedo scusa, ma credimi non hai nulla di cui preoccuparti, non sto giocando con lei. Non lo farei mai”
“No, non è per quello” chiarì immediatamente per prendersi poi un attimo per pensare “E così … state insieme?” si limitò a chiedere. Non sembrava turbata, anzi pareva anche piuttosto sollevata sapendo che io avevo capito i suoi timori e li avevo dissipati quasi totalmente.
“Mi piacerebbe poterti dire che è così mamma, credimi, ma non posso. Come certamente saprai la vita di Allie è un casino. So che non è una giustificazione valida, che non è il genere di notizia che a una madre piace sentire, ma questo è ciò che possa darti, una verità nuda e cruda” sorridemmo sommessamente entrambi alla mia battuta infelice “non so come andrà a finire ma io ci metterò tutto l’impegno e l’amore che ho per farle andare bene. Questo te lo posso garantire”
“Amore?” si lasciò scappare, con un volto che minacciava lacrime. “Buon Natale mamma!” risposi, sorridendo, chiudendo così una conversazione spinosa e pericolosa. Mia madre seppe arrendersi e accetto di buon grado, dandomi un bacio e ricambiando i miei auguri. Mi raccomandai con lei affinché non le sfuggisse nulla con Allison a proposito della nostra conversazione e me ne tornai a casa a cambiarmi per il pranzo. Non c’era neve per le strade, il tempo però era freddo e nuvoloso. Una tipica mattina di Natale. La metrò era tranquilla e poco affollata e anche nella radio interna trasmettevano le tipiche canzoni di Natale. Al pensiero che avrei trascorso anche quel giorno con lei, anche quelle musiche, le luci ed i festoni, sembrarono riprendere i colori e i toni che negli anni avevo perso.


soundtrack2

Sulla via del ritorno verso casa mia madre, incrociando le vetrine chiuse ma comunque illuminate ed addobbate di una gioielleria, ricordai che non avevo ancora dato il mio regalo ad Allison. Non era niente di speciale, una scemenza davvero, ma era difficile poter trovare un modo per non sentirmi un idiota totale, senza sentire l’imbarazzante ingerenza di mia sorella e del nostro patrigno come degli avvoltoi che ti stanno lì con il fiato sul collo, senza occhi indiscreti pronti a ficcare il naso in faccende che non gli riguardavano, senza che si scatenasse il gossip del secolo.
Con questi pensieri mi ritrovai al numero 13 di Cranberry Street, Brooklyn senza neanche rendermene conto. Mia sorella aveva dato evidentemente il via alla maratona dei concerti di Natale sulle varie reti nazionali e Les si dava da fare a stare appresso a mia madre che il giorno di Natale ci si metteva proprio d’impegno a diventare più isterica del solito. Per fortuna eravamo solo noi a pranzo, il che avrebbe evitato a tutti di rimanere ingessati in formalismi e cerimonie inutili. Andai ad appendere il mio giubbotto nel ripostigli all’ingresso mentre tutti si limitarono a salutarmi con un cenno del capo, troppo indaffarati nelle loro faccende per darmi retta. Non mi accorsi, al buio di quel piccolo stanzino, che Allison s’era piazzata alle mie spalle, appoggiata alla porta dello sgabuzzino. Quasi mi venne un colpo quando, girandomi, me la ritrovai davanti.
“E così te ne sei andato?” disse, seria “senza neanche dire ciao”
“Ciao” risposi, imbarazzato. Cosa potevo dire a mia discolpa? Che volevo evitare il momento imbarazzante in cui lei sarebbe scesa per fare colazione e tutti gli sguardi si sarebbero posati ed intercambiati su di noi? Che preferivo far passare il malumore a mia madre prima di stare insieme alla sua presenza?
“Allora?” rincarò lei la dose. Ma si poteva sapere cosa voleva da me?
“Abbiamo già fatto questo discorso stamattina Allison, è Natale, non mi va di discutere”
Magnifico! Solo quello ci mancava: avere una Allison imbronciata durante il pranzo di Natale. Che poi non riuscivo a capire cosa ci fosse di sbagliato. Non era stata proprio lei a lanciare il manifesto dell’indipendenza tra di noi. Amici di letto, è questo ciò che eravamo; non poteva pretendere da me che le portassi la colazione a letto e le lasciassi un biglietto romantico sul cuscino assieme ad una rosa. L’avrei fatto, ma solo se avessi potuto considerarla la mia ragazza. E lei aveva messo in chiaro che quell’opzione non era contemplata. Inutile che ora teneva il broncio.
Se ne andò per fatti suoi verso la sala da pranzo, apparecchiata di tutto punto. Io, invece, me ne andai in salotto.
“Ciao scricciolo!” salutai mia sorella, imbambolata davanti versione del Canto di Natale di Dickens fatta dal Muppet Show. Vedere Caroline seduta davanti alla TV era un evento più unico che raro, anche se mi rinfrancava il fatto che, negli anni, mi aveva risparmiato lunghe e pallose visioni dei cartoni di Barbie Raperonzolo e compagne.
Prima che potesse distogliere lo sguardo dal programma, mi riappropriai del regalo di Allison, che la sera precedente avevo messo sotto l’albero e che per fortuna nessuno aveva toccato. Decisi di scartarlo e toglierlo dal pacchetto, ma qualche folletto impertinente aveva un udito troppo acuto per non accorgersi che stavo scartando un regalo.
“E quello che cos’è?” chiese mia sorella, curiosa.
“Di … nessuno” bravo Tyler, proprio una bella risposta …
Infatti la mia peste preferita si alzò da terra e lasciò perdere lo spettacolo … mannaggia a me mannaggia a me … per raggiungermi prima che potessi far sparire le prove della mia colpevolezza nella tasca dei miei pantaloni.
“Oh mio Dio Tyler ma quell..” feci in tempo a tapparle la bocca prima che fosse troppo tardi e le feci cenno di stare zitta. “È una sorpresa per Allison!” spiegai a bassa voce ma deciso, arrendendomi al fatto che non si poteva nasconderle nulla “ma ora fa la brava e torna al tuo film … lasciami fare …”
“Ricevuto!” mi sorrise e si mise sull’attenti come un piccolo Marines con tanto di saluto militare. “Brava!” le dissi e le scoccai un bacio in fronte.
Allison era in cucina, seduta ad uno degli sgabelli della grande penisola che riempiva l’intera stanza, impegnata a leggere un quotidiano; in casa non c’era campo libero, con il via vai di mia madre e Les tra cucina e sala da pranzo, così dovetti ingegnarmi diversamente. Le andai vicino e le sventolai davanti un pacchetto di bionde: l’avversione al fumo di mia madre si era ripercossa anche su di lei, forzandola ad astenersi dalla nicotina; immaginavo dunque che agognasse una sigaretta più di qualunque altra cosa, a giudicare da quanto era incostante e nervosa nelle ultime ore, oltre a quella gamba che non la smetteva di agitarsi sul piede della sedia.
“Vieni giù in lavanderia” le sussurrai vicino all’orecchio “e mettiti la giacca”
In meno di un minuto me ci ritrovammo nel posto convenuto, e potevo facilmente immaginare lo smarrimento che era dipinto sul suo viso, soprattutto perché l’avevo fatta imbacuccare per poi rimanere in uno stanzino temperato come il resto della casa.  
“Non credo che stare qui ci salverà … lo sai che tua madre ha installato il sistema antincendio per tutta casa, compresa la lavanderia. Una boccata di fumo e finiremo col farci una bella doccia!”
Così le sventolai davanti al naso una piccola chiave dorata, sorridendo sornione alla sua espressione ancora più incerta. Le feci segno di seguirmi per un piccolo corridoio buio e anche un po’ sporco che nessuno mai usava e che conduceva ad una porticina chiusa da secoli.
“Non può essere la chiave di ...” esclamò sorpresa Allison, puntandomi il dito contro sgomenta, mentre armeggiavo con quella vecchia serratura “mi ha detto Diane che la chiave ce l’ha solo lei ed è ben nascosta …”
“io non ci giurerei … nel comò tra le lenzuola non è certo il miglior nascondiglio” affermai fiero del mio ingegno da Arsenio Lupin, mentre aprivo finalmente la porta “è da quando Michael aveva 15 anni che questa chiave fa avanti e indietro da quel cassetto e nessuno se n’è mai accorto. Dopo di lei signora …”
Così ci ritrovammo nel piccolo androne sotto la scalinata d’ingresso dell’intera abitazione, deposito delle biciclette e dell’arredamento da giardino che mia madre toglieva dal giardino alla fine dell’estate. Mentre ci concedevamo una sigaretta ciascuno, raccontai ad Allison di come mio fratello si ingegnò per primo a trovare un posto clandestinamente e di come me ne rese partecipe e le spiegai il sistema per sbarazzarsi del mozzicone una volta terminato.
“Ecco vedi” le dissi, arrampicandomi sopra un cassone di legno “basta farle scivolare delicatamente sul marciapiede. Così chiunque penserà che qualche passante maleducato l’ha buttata via”
Rise e salì anche lei sulla cassa per fare altrettanto. Rimanemmo un po’ seduti lì ancora un po’ dopo la fine dei racconti, silenziosi; il vento soffiava abbastanza forte e non bastavano i cappucci dei nostri giubbotti e le sciarpe a ripararci. Allison mi sfilò il pacchetto di Camel e andò ad accucciarsi per terra, con la schiena alla parete, per stare più riparata, e se ne accese un’altra. Aspirò profondamente e poi lo buttò via godendosi appieno il momento, buttando la testa all’indietro. Non avrei pensato mai dirlo, ma la trovavo sexy anche con una sigaretta tra le labbra. Le andai accanto e mentre se ne stava ad occhi chiusi con il volto al cielo, quel piccolo squarciò di cielo grigio e nuvoloso che si scorgeva tra le case e i rami del viale alberato, le allacciai il suo regalo al collo. Si riscosse non appena sentì scivolare quella cosa fredda lungo il suo collo e quasi zompò in aria per lo spavento. Depositò la sua cicca tra le mie labbra e portò le sue mani al collo, prese tra le mani la collana e la osservò. Sembrò quasi nascerle un sorriso tra occhi e labbra, ma probabilmente si impose di rimanere seria; certamente, però, era sorpresa.
“Però … un lucchetto e una chiave … il massimo del romanticismo” commentò, con una vena acidula nella sua voce. Non ci badai quasi, sapevo che quella forma di difesa così cafona era solo un retaggio del suo vecchio lavoro e non riusciva a trattenersi.
“Ti sbagli” risposi, chiudendo nel mio palmo la sua mano e la collana “quando l’ho visto ho pensato a te, ma non è certo quello che pensi tu. Niente chiavi del cuore o boiate simili … il lucchetto è la tua vita e la chiave affianco significa che è solo tua, nessuno può disporne se non gliene dai tu il permesso”
Sapevo che era la cosa giusta per lei, sapevo che avrei colpito nel segno. Forse non mi avrebbe mai detto grazie a parole, forse non era tipo da abbracci in quelle circostanze, ma vedere gli occhi lucidi e anche solo una lacrima rigarle il viso mentre entrava in tutta fretta dentro casa prima che io potessi accorgermene, mi ripagò di tutto.


soundtrack

Non ero esattamente di buonissimo umore quando mia madre e Les ci lasciarono a casa davanti alla TV per andare a trovare degli amici, mentre Caroline disegnava in camera sua. Fuori era già buio e in quell’angolo di Brooklyn che si affaccia su Manhattan era un trionfo di luci e addobbi ad ogni numero civico.
“È da sfigati starsene a Natale dentro casa davanti alla TV se si ha di meglio da fare” commentò Allison ricominciando d’accapo con lo zapping per centesima volta “tu e Caroline dovreste uscire!”
“Non se ne parla!” chiusi perentorio l’argomento prima che ricominciassimo da dove avevamo interrotto durante il pranzo, quando Caroline, ferita da una mia parola indubbiamente di troppo, abbandonò la tavola imbronciata e offesa.
“Posso capire che tu non voglia parlargli ma è anche suo padre, ha il diritto di vederlo almeno a Natale” disse Allison, più matura di quanto io stesso non fossi. Ma non volevo averla vinta con un tizio come Charles Hawkins. Diventai immediatamente furioso quando mia madre mi comunico che io e Caroline saremmo dovuti andare da nostro padre, che alle 18.30 per lui andava bene e che mezz’ora prima sarebbe passato il suo autista a prenderci. Non ci vidi più quando mia madre mi disse che dovevo farlo perché ero suo figlio e dovevo portargli rispetto, almeno a Natale. Dovevo fare qualcosa che già di per sé non mi andava e dovevo anche farlo aspettando i suoi comodi.
Per me era decisamente troppo.
“Tu non puoi capire, Allie. Io non posso nemmeno guardarlo più negli occhi … non ce la faccio! Lui … lui ha ucciso mio fratello” dissi sostenuto sottovoce, ma il mio cuore urlava ancora per quel dolore che di tanto in tanto faceva ancora capolino e per una ferita che, in momenti come quello, si apriva di nuovo e tornava a sanguinare.
“Sì che posso capire. E lo sai. Non sei il solo ad avere una storia triste in questa stanza” e dopo avermi dato questa stoccata si alzò, andando verso la cucina. Rimasi raggelato dalla sua freddezza, dal suo distacco e dalla realtà che aveva messo in quelle poche parole. La vidi tornare con un paio di birre e me ne passo una. Heineken, la mia preferita.
Fece un lungo sorso, stette un po’ sulle sue mentre la televisione parlava per conto suo da un lato ed il caminetto scoppiettava dall’altro. Poi, d’un tratto, preso un lungo respiro, si lasciò andare: “Tu che ce l’hai un padre, tu che un rapporto con lui puoi ancora salvarlo, fallo per favore” mi pregò, guardandomi con degli occhi che sembravano non avere più lacrime per quell’argomento, ma che se avessero potuto si sarebbero lasciati andare volentieri al pianto. Se fosse stato solo per lei, quello sforzo l’avrei fatto, mi sarei anche umiliato. Ma non avrei mai potuto assistere allo spettacolo indecoroso e pietoso di un uomo che non aveva idea di cosa significasse fare il padre e due, tre volte l’anno ci provava con una bambina di 10 anni che lo adorava comunque. A dir poco imbarazzante.
“Vieni con me!” proposi, con un’enfasi forse eccessiva.
“Scusa?” chiese, incredula “cosa c’entro io?”
“Ti prego io stavolta … vieni con me. Mi devi aiutare a trattenere la calma … potrei anche spaccargli la faccia!”
“Non sono sicura che sia la cosa giusta da fare” ribadì “se ha davvero un brutto carattere come dici, non credo che la prenderà bene a vedere un’estranea entrare in casa sua senza preavviso, tanto più se questa estranea non ha alcun titolo per presentarsi con suo figlio”.
Non aveva tutti i torti ma io avevo bisogno di lei, non sarei andato da nessuna parte senza di lei e non avrei fatto muovere neanche Caroline, ero irremovibile.
“Voglio dire” tentò di spiegarsi quando ebbi finito con il mio monologo “torniamo allo stesso discorso Tyler, gli diciamo che sono una tua amica? E perché questa amica non è casa sua a passare il Natale con la sua famiglia? Inizierà a fare domande e lo sai quanto detesto che mi si faccia il terzo grado”
Lo sapevo e sapevo che con mio padre era possibile che la sua previsione si avverasse, ma non avrei permesso mai che lui la trattasse male.
In fondo mi stavo convincendo che era una cosa giusta fargli visita, per Caroline più che altro ed Allison e mia madre avevano ragione. In più non volevo fare brutta figura agli occhi di mia sorella, e già mi ero quasi giocato il suo affetto con la sfuriata del pranzo, non potevo rimetterci ulteriormente. Ma non vedevo alternative possibili: “O con te o nulla Allison” le dissi, sperando che potesse comprendere. Mimò un cenno arrendevole e affermativo con la testa, mentre mandava giù l’ultimo sorso di birra, e mi sentii l’uomo più fortunato del mondo ad averla accanto, in qualsiasi modo volesse o potesse.
“Sei sicuro che vado bene così?” domandò scrupolosa Allison per l’ennesima volta, aggiustandosi i vestiti e i capelli per l’ennesima volta nello specchio dell’ascensore mentre salivamo su per i 72 piani della Trump World Tower. Se avessi dovuto scegliere io un appartamento per lui, non avrebbe saputo fare di meglio; non c’era posto al mondo che rendesse al meglio le sue aspirazioni, le sue manie di grandezza, la sua smania di potere e la sua sete per il denaro e gli affari. Tutto richiamava lusso e potenza, dagli arredi extra lusso, alle finestre che dominano sull’East River e la Midtown Manhatta fino a quell’ingresso superbo e arrogante proprio di fronte al quartier generale delle Nazioni Unite; se c’era un modo per far sentire i propri ospiti delle cacchine insignificanti, quello era proprio il migliore.
“Non ti preoccupare, sei perfetta” la rincuorai “meglio non conformarsi ai suoi canoni estetici, potrebbe affezionarsi …”
Al di là del mio umorismo contestatore e di bassa lega, stava davvero bene Allison quel giorno: capelli sciolti e morbidi e un look da lei stessa definito rock chic – almeno secondo quanto le aveva detto la commessa del negozio – con jeans neri e tshirt grigia stampata e un blazer grigio leggermente asimmetrico. Per l’occasione sciolse il suo voto di astinenza dai tacchi e ai piedi aveva un paio di Louboutin grigie tacco 12. Questo, sempre secondo quanto detto da lei … io annuii colpito, ma per me rimaneva arabo.
Caroline invece sembrava più eccitata che preoccupata, con i suoi completi da bombola troppo cresciuta metteva tenerezza, ma era in quella classica fase in cui non si è ne bambine né ragazzine; stringeva tra le braccia il fodero in pelle con cui portava i suoi disegni, che era sempre orgogliosa di mostrare a nostro padre. Speravo solo che lui fosse interessato a vederli.
Mrs. Hill, la governante di mio padre venne ad accoglierci alla porta. Prese le nostre giacche e ci saluto molto calorosamente, augurando a tutti un buon Natale. “Oh Eve!” esclamai, riprendendole la mia giacca di mano e appendendola da solo “neanche a Natale ti lascia libera quell’orco!”
“Oh Tyler! Non devi parlare così di tuo padre! È un bravo datore di lavoro! ” mi riprese lei “E poi lo sai che non ho nessuno con cui passare il Natale da quando il mio povero marito non c’è più. Mia figlia si è sposata dall’altro lato degli Stati Uniti e mio figlio preferisce andare con gli amici in montagna. Non è proprio un problema per me stare qui …”
Era una santa quella donna, davvero. Convivere con mio padre praticamente 365 giorni all’anno … un’impresa. Era deliziosa signora sulla cinquantina, che aveva perso il marito a seguito dell’11/9 e si era dovuta rimboccare le maniche come poteva per crescere i figli e farli studiare. Mandare avanti una casa era l’unica cosa che sapeva fare e ne fece il suo lavoro. Era sempre stata gentile con noi, con un occhio di riguardo per la piccola Caroline e non sembrò turbata più di tanto quando le presentai Allison. “Oh benvenuta Allison!” la saluto, anche piuttosto entusiasmata da quella novità “non può immaginare da quanto aspettavo questo giorno”
Ovviamente era arrivata alla conclusione più ovvia, ma anche quella più sbagliata. Io ed Allison ci guardammo perplessi per un attimo e sorridemmo sconsolati.
“Ma prego” continuò “il signor Hawkins vi aspetta nel suo studiolo”.
Ci incamminammo per l’appartamento, troppo grande per essere quello di un divorziato che non trascorre mai del tempo con i figli, ma la megalomania di quell’uomo non conosceva confini. E nemmeno la liquidità delle sue carte di credito. Eppure, per quanti soldi potesse spendere per l’affitto mensile di quella piccola reggia arredata, era asettica e fredda quanto lui. Persino le decorazioni natalizie della casa sembravano prese da un catalogo e messe qui e là solo per dovere di cronaca. L’unica nota positiva era la vista mozzafiato su tutta New York di cui disponeva. Da rimanerci secchi. E neanche ad Allison sembrò passare inosservata.
Quando entrammo nello studio Charles Hawkins era in piedi di fronte al camino, nel suo abito italiano di pregiata sartoria da 5 mila dollari e un bicchiere di Whisky canadese invecchiato in mano. Quando ci video non fece nulla per dissimulare la sorpresa, e aggiungerei il dissenso, di una terza persona accanto a Caroline e me. Il gelo che si era creato era palese persino alla piccola Caroline, che si affrettò a correre da suo padre e distogliere l’attenzione da quell’ospite inattese e sgradita. Lui sembrò, per fortuna, interessato alle smancerie di sua figlia, che l’aiutarono a sciogliersi un po’ … rimanendo sempre nei suoi standard.
“Papà” mi sforzai di interpellarlo “lei è Allison, una mia amica”.
Gliela presentai nella maniera più calma e gentile che potessi, per lei … non certo per rispettare lui. Dovetti modulare il respiro e ripetermi come un mantra dentro la mia testa che lo stavo facendo per Caroline e non potevo scappare da lì, che con Allie al mio fianco sarebbe andato tutto bene.
“Buon Natale signor Hawkins, piacere di conoscerla!”
























NOTE FINALI


Innanzi tutto spero che vi abbia fatto piacere questo ritorno prima della scadenza del mese di attesa. Ma sono sicura che è così...
Poi volevo fare una precisazione per la colonna sonora. Ho cercato una canzone che esprimesse la confusione di Tyler ma anche quella di Allison. Quando si è confusi ma felici come loro è veramente facile commettere errori. E loro ne stanno facendo uno dopo l'altro. Per adesso sanno capirsi e perdonarsi ... ma per quanto ancora potranno andare avanti così?
Tyler Allison e Charles ... vedremo cosa accadrà tra loro. Tyler pensa di aver capito che tipo è suo padre, ma sarà davvero così?
Per le altre canzoni ho cercato di attenermi al tema natalizio cambiando il ritmo a seconda dell'esigenza del racconto. Ma nella track list sulla pagina di FB aggiungerò solo Gift


Merci pour tous e à bientot






Federica
   
 
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