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Autore: Melanto    16/06/2006    1 recensioni
[Versione Aggiornata del: 24/10/2009] - Si scherzava tra i più giovani, si rideva. Giocavano, ignari di ciò che stava succedendo o, forse, ne avevano percepito i frammenti nell'aria trascurandone la pericolosità.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Angel no Tears'
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ANGEL NO TEARS
- METAMORPHOSIS -

"I close my eyes
only for a moment
and the moments gone.
All my dreams
pass before my eyes a curiosity,
dust in the wind
all we are is dust in the wind"


Kansas - Dust in the wind

- CAPITOLO 4 - Dust in the Wind

Un passo.
Meccanicamente seguito dall’altro.
Lento.
Controllato.
Quando dentro di sé avrebbe solo voluto correre via. Non fuggire, assolutamente, ma lasciarsi alle spalle tutto quello che stava succedendo, per raggiungere l’unica creatura di cui si stava corrodendo per la mancanza, come acido su ferro. Si sentiva sventrato.
Ed il tempo giocava con le sue e le altrui sofferenze, vendicandosi di coloro che non aveva mai potuto soggiogare al suo scorrere altalenante. Forse ora rideva, mentre lo osservava avanzare lungo il corridoio. Passo, dopo passo, dopo passo…
La sua immagine veniva coperta, a tratti, dalle ombre dei colonnati investiti dal tramonto. Anche questo stava finendo e si era caricato di un colore cremisi. Rosso dell’oro, in cui rivide fili di quello stesso riflesso scivolare innanzi ai suoi occhi, con la stessa lentezza con cui muoveva sé stesso. Disegnavano onde nel loro fluire, in balia di una brezza inesistente.
Si fermò, mentre scorrevano via, e lui li osservava cosciente che fossero solo un ricordo riaffiorato alla mente per fargli ancora più male. Chiuse gli occhi, sorreggendosi al colonnato. Sperava forse che sparissero?
No, nulla sarebbe mai scomparso…

…il vento filtrava dalla terrazza del suo alloggio. Smuoveva le tende in un armonico frusciare che si mescolava allo scorrere della acque all’esterno.
Erano leggermente chiuse e, tra di esse, correvano intensi fasci di luce.
Il letto, di notevole struttura, ospitava entrambi cullandoli nel suo centro e le sue lenzuola smosse, dai profondi toni scuri della notte.
Una cascata bronzea si disperdeva sulla spalliera coperta dai guanciali, scivolando sui due corpi.
I suoi occhi osservavano la perfetta figura stesa, con la testa dolcemente poggiata sulle sue gambe lasciate scoperte.
Non dormiva e lo sapeva, restava in silenzio assaporando lo scorrere delle dita tra i capelli, di un biondo carico di rossi riflessi che sembravano fili d’oro.
Se fosse dipeso da lui avrebbe continuato ad osservarlo per tutta l’eternità. Così. In silenzio. Eppure parlò.
“Gabriel?” un sussurro.
“Sì, sono sveglio.” sospirò, con una nota di rassegnazione. Come se quel suo stato fosse troppo duro da ammettere.
“Ci stai pensando anche tu, vero? Sappiamo entrambi che non possiamo continuare così… vederci di nascosto, come cospiratori, come peccatori.” e si soffermò volutamente su quella parola, aspettando la sua reazione.
L’altro rimase in silenzio, volgendogli le spalle.
Che avrebbe potuto dire? Sapeva bene che, in fondo, questa sarebbe stata la verità.
“Vorrei poterti stringere le mani o accarezzarti i capelli, così come adesso, anche alla Luce Divina…”
Credeva che non lo volesse anche lui, forse? Ci pensava da molto tempo anche se la risposta era già nota: Mikael avrebbe condannato tutto quello.
Probabilmente avrebbe perso Raziel e questa era una conseguenza che non avrebbe mai potuto accettare.
Ma cosa fare allora? Continuare a tacere? A nascondersi? O mostrare agli altri quanto poteva essere meraviglioso l’amore decantato dagli essere umani e patire, così, una separazione forzata?
No.
Nessuno lo avrebbe mai separato da Raziel. Nessuno glielo avrebbe mai potuto imporre, ma cosa avrebbe fatto se fosse successo?
Chiuse gli occhi, cancellando la visione negativa delle cose, provandoci almeno, e stringendoli per quanto più fosse possibile. Li riaprì di scatto appena le dita di Raziel si fermarono. Si mise a sedere, permettendo al Compagno Divino di poter finalmente vedere i suoi occhi, dello stesso colore delle sete delle sue vesti e delle lenzuola. Quel blu, profondo come il mare più aperto e come la notte più scura, su cui risaltava la tunica, bianca ed azzurra, in quel groviglio armonioso. La sua mano scorse lungo una guancia candida, in lieve carezza.
“Vorrei anche io cullarti in mille abbracci all’ombra di un salice dalle fronde oscillanti e lasciarti sopire sereno, mentre i cori accompagnano il tuo riposo con le loro melodie. Ed intrecciarti i capelli, con fiori dai colori più candidi ed i profumi più dolci, ma mai nessuna dolcezza potrà paragonarsi alla tua.”
Raziel sorrise delle sue parole, ma sapeva di non poter trascurare la realtà “Gabriel…” si decise ad interromperlo “…entrambi sappiamo quanto la verità saprà portare scompiglio intorno a noi. Quello che io mi chiedo è se-...”
“Sh…” due dita si soffermarono sulle sue labbra morbide “…ti amo Raziel, e so quali sono i tuoi timori e le tue preoccupazioni. Soprattutto i tuoi doveri, ma, ti prego, un attimo, solo un attimo; lascia che io goda di questa pace ancora per un breve istante, uno solo; lascia che io possa ancora chiudere gli occhi e sentire le tue dita che accarezzano i miei capelli; lascia che io ti senta mio e mio soltanto ancora per un breve momento.”
Lentamente adagiò la testa sulle sue ginocchia e chiuse gli occhi, mentre Raziel riprendeva a cullarlo dolcemente…


…a quel ricordo la tempesta era al largo del porto, ma perfettamente visibile.
Sembrava trascorsa un’eternità da allora, eppure non erano che pochi giorni mortali. Quanti? Tre? Quattro? Si stupì egli stesso di quanto fosse divenuto influente, ora, lo scorrere del tempo su ogni azione o evento intorno a lui.
E di quanto questa lentezza che percepiva fosse a dir poco dolorosa.
Provava un’insolita ansia per ogni suo pensiero: dove Gabriel fosse, quale decisione sarebbe stata alfine proclamata da ambo le parti, quale destino per tutti.
Riaprì gli occhi, cercando di scacciare quel senso di stretta che aveva cominciato ad avvolgere la sua anima come un nodo allo stomaco che gli mozzava il respiro e lo faceva arrancare. Si sforzò di riprendere il suo passo.
Cancellati per sempre tutti quei ricordi che erano la fonte dei suoi sorrisi.
Lontani.
Lasciati alla deriva del suo cuore pieno di lacrime non versate e lasciate scorrere dentro di lui.
No. Probabilmente, no. Non avrebbe più sorriso. Non ve n’era motivo.
Quando si perde l’amore e si vede la propria esistenza sgretolarsi come sabbia, no, non si può più sorridere.
-Mi dispiace, Mikael…- e aveva sofferto anche per lui che invece tentava di nascondere i suoi dolori, ma Raziel sapeva leggere oltre il muro di obblighi che lo avevano reso marmoreo. Erano gli stessi che piantavano lui al suolo, che lo avevano fatto restare.
La responsabilità di essere la Ragione e, per quanto non lo desse a vedere, anche le sue spalle cominciavano a dolere per il troppo peso; ma, come Mikael, ostentava un’apparente imperturbabilità che finiva col corroderlo dentro. Eppur sapeva quale fosse la realtà delle cose e come questa stesse cancellando le loro esistenze lentamente. Fragili tracce di gesso su una lavagna. Non erano altro che polvere.
Con questi pensieri arrivò alla meta che i suoi passi avevano guidato senza vedere la strada percorsa né gli scalini saliti.
Ora si presentava la fine del colonnato; troncato, come dal taglio di una falce, mostrò quell’unico punto del Paradiso che non aveva mai conosciuto l’ombra.
L’alloggio più in alto di tutto il castello.
L’ultimo.
Quello più vicino alla Luce Divina.
Visto dal corridoio sembrava quasi sospeso nel nulla, avvolto dai raggi luminosi, come a renderlo un sole meraviglioso.
Il colonnato si interrompeva ad una ventina di metri dal portone d’entrata. Poi delle scale salivano di qualche gradino. Non c’era ringhiera. E poi un altro corridoio completamente illuminato, privo di colonne. Metafora della chiarezza in ogni atto o pensiero. Nessun artificio a cercare di giustificare sé stessi agli occhi degli altri. Purezza.
Di solito bianco della Luce Eterna, a Raziel sembrò meravigliosamente bello con l’arancio del tramonto che lo colpiva lateralmente, creando ombre e chiaroscuri. Gli sembrò più vero di quanto non fosse mai stato.
Sostò un attimo innanzi all’imponente portone marmoreo.
Cosa cercava andando da Metatron? Cosa avrebbe ottenuto? Non c’era nessuna certezza negli eventi futuri.
Mikael era sospeso nei suoi sentimenti contrastanti, mentre lui restava impotente nell’attesa di una qualsiasi decisione a riguardo.
Cosa avrebbe potuto dirgli Metatron che già non sapesse? Nulla, probabilmente, e forse era solo un suo parere quello di cui aveva bisogno.
Un’arpa prese a suonare, mentre la sua mano si poggiava sul fronte della porta chiusa. Disperdeva, quieta, limpide note dalla malinconica melodia.
Metatron suonava come sempre, come se in cielo continuasse a risplendere il giorno. Come se fosse intoccabile dal susseguirsi degli eventi.
Serafico, come solo il Principe dei Seraphim1 poteva essere.
E così lo vide. Seduto sul suo scranno composto da numerosi cuscini. Le sete della sua veste si mischiavano all’argento riflesso dei capelli, ora tendenti ad un bronzo brillante. Lisci, come fili setosi erano dispersi tutt’intorno a lui. Le sei ali spuntavano, imponenti e composte, dalla sua schiena. Ripiegate, in riposo, restituivano un colore falsato rispetto alla loro natura argentea simile a quella dei crini.
Le dita scivolavano sulle corde della grande arpa, accomodata tra le sue gambe ed osservò il suo ospite con un delicato sorriso sulle labbra, mentre i suoi occhi viola tendevano al nocciola chiaro.
Raziel notò di non essere solo. Camael restava immobile a braccia conserte sul limitare della terrazza. Tendeva ad assumere una postura decisa, ma il suo sguardo tradiva una notevole incertezza. Strana espressione sul viso del Principe della Forza e del Coraggio, che non si era incrinata nemmeno nella guerra contro Satanael, ma, allora, i signori delle Schiere Celesti, erano stati compatti nell’affrontare il nemico comune. Ora la lacerazione era tra loro stessi.
La musica dell’arpa si interruppe.
“Ti aspettavo.”
La voce di Metatron era dotata di una impressionante musicalità, dai toni acuti.
Raziel avanzò, mentre Camael si accorse della sua presenza rivolgendogli uno sguardo preoccupato.
Aprì la bocca come a proferire una qualche domanda, ma la richiuse incerto. Come se le parole gli fossero morte all’improvviso.
“Accomodati pure…” continuò l’altro.
Raziel rivolse un cenno di saluto a Camael, avanzando nella sua direzione.
“No, grazie, resto in piedi.” disse solo.
La visione dalla terrazza era spettacolare. Il Giardino si stendeva tutto sotto di essa e da lì poteva essere ammirato nella sua interezza.
Ma stendendo lo sguardo all’infinito, il fiato non poteva che rompersi per un attimo per poi riprendere un corso regolare: meravigliose cascate cadenti da giardini sospesi tra le nuvole si tuffavano, scroscianti, nell’infinito mare sottostante che circondava il Giardino. Il loro passaggio, illuminato dalla Luce Divina, era solitamente accompagnato da una scia di arcobaleni, ma ciò non avveniva alla luce del tramonto.
Se la situazione fosse stata diversa, l’immagine dell’acqua arancio scuro sarebbe stata incredibilmente suggestiva, ma ora era avvolta da un silenzio innaturale che le conferiva tristezza.
Poggiò le mani sulla ringhiera, sospirando sonoramente.
Percepiva alle sue spalle l’ansia di Camael.
Sapeva che si stava corrodendo dai dubbi, ma restava correttamente in silenzio aspettando che fosse lui a parlare.
Giovane, Camael, e carico di reverenziale rispetto nei suoi confronti. Cosa che totalmente mancava a Metatron, probabilmente per la profonda amicizia che li legava.
“Cosa ha detto Mikael?” domandò infatti, facendo sussultare la guida del coro delle Potestà.
“Niente ch’io non sapessi o mi aspettassi e altrettante, alle sue orecchie, sono state le mie risposte.”
“Decisione?”
“Nessuna.”
Metatron spostò l’arpa alle sue spalle “So che ci sarà un consiglio. I guardiani dei dieci Cori sono chiamati a discutere nel Planetario.”
Lo sguardo di Camael si spostava su entrambi.
“Tutti e dieci? Mi è permesso di partecipare?”
L’altro annuì.
Sorrise.
“Che idiozia.”
L’Arcangelo delle Potestà assunse un’espressione allibita.
“Riunione, giusto? E per cosa? Per sentirmi dire dove ho sbagliato e cosa ho sbagliato? Io ho preso una decisione, indipendentemente da chi mi appoggerà o meno. Non decido di amare qualcuno in base ai consensi degli altri!”
“Non sarà solo questo, Raziel, si deciderà anche il provvedimento da adottare con Gabriel, ma renditi conto di che conseguenze disastrose si stanno percuotendo su tutti noi per le vostre scelte. Prenditi le tue responsabilità…”
Fu allora che si voltò di scatto a guardarlo negli occhi. I capelli smossi, dal gesto improvviso, oscillarono alle sue spalle come stralci di fantasmi.
“Le mie o le vostre scelte? Non è certo il mio amore che ci sta distruggendo quanto la vostra intolleranza. Pura repressione dei sentimenti. Voi state sacrificando un Giardino lungimirante, mentre io, per voi, sto sacrificando l'Amore. Per tutta l’eternità. Non parlare proprio a me di responsabilità!”
Rimasero fermi ad osservarsi in silenzio.
Lo sguardo deciso di Raziel lasciava trasparire la sua disperazione malcelata, mentre gli occhi di Metatron erano pieni di comprensione.
Quest'ultimo percepiva indirettamente il dolore del Principe degli Auphanim e si sentì in colpa per l’attacco che gli aveva rivolto.
Il Principe dei Serafini era una delle creature più vicine a Dio. Il Padre si confidava con lui, gli trasmetteva i suoi pensieri e sentirLo così sofferente dal corso degli eventi lo faceva stare male. E lui sapeva perché.
Sospirò profondamente, abbassando lo sguardo. “Perdona il mio attacco, Raziel.”
“E tu perdona il mio sfogo…”
Annuirono entrambi, mentre il Principe dei Cherubini rivolgeva nuovamente il suo sguardo alla terrazza e una fitta improvvisa gli punse il petto all’altezza del cuore.
Nel fondo, dove si consumava il tramonto, delle nubi stavano lentamente sopravanzando. Violacee, del passaggio alla sera, e poi terribilmente grigie, cariche di pioggia… o di lacrime.
“Che sfacelo…” mormorò a sé stesso, mentre Camael gli si pose al fianco con sguardo disperato.
Metatron tornò a suonare, isolandosi da tutto. Perché vedere ciò che già conosceva?
“Ponimi pure la tua domanda, giovane Camael.” domandò Raziel volgendogli il suo sguardo.
-Gentili, i suoi occhi…- si ritrovò a pensare l’altro fissandoli -…come sempre furono quelli di Gabriel con me: protettivi e comprensivi.-
“Sei sicuro che non tornerà?” disse, facendosi coraggio “Ho posto questa domanda anche al Venerabile Sandalphon…”
“E cosa ti ha risposto?”
Sospirò. Gli occhi a quelle nubi così lontane, eppure non abbastanza.
“Si può solo pregare…”


1SERAPHIM: o meglio Chaioth ha-Qadesh, le Sante Creature Viventi, chiamate anche Seraphim. Più noti come Serafini.

 

   
 
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