Anime & Manga > Lady Oscar
Segui la storia  |       
Autore: crissi    10/10/2011    14 recensioni
Se Nanny si fosse rifiutata di accondiscendere il generale, andandosene a servizio altrove? Se avesse lasciato Oscar tutta sola a vedersela con l’educazione maschile imposta dal generale, senza che né lei né di conseguenza André, il suo punto fermo, potessero prendersene cura? Se André da piccolo fosse stato adottato da un nobile ed avesse mantenuto il suo carattere posato, ma spiritoso come da ragazzo? Se Victor non avesse dovuto sfidare Oscar diventando il suo innamorato, fedele, solitario vice? Se la bionda avesse scelto di non arruolarsi nella Guardia Reale, ma di ritirarsi ad Arras, arrivando a conoscere prima del tempo le condizioni di vita dei suoi contadini? Se questi due giovani uomini avessero saldato una amicizia ed Oscar ci fosse finita in mezzo? Ovviamente, più monelli, se non un poco libertini, in quanto ancora non conoscono la donna della loro vita, OOC per via delle diverse esperienze in gioventù e dello stato sociale.
“Re del mondo”, come Jack sulla prua del Titanic, quando la gioventù rende invincibili, quasi arroganti nella certezza di potere tutto, esponendosi di conseguenza. Tanti “se”, una sola grande svolta.” Con FAN ART
Genere: Azione, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: * Victor Clemente Girodelle, Alain de Soisson, Altri, André Grandier, Oscar François de Jarjayes
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
I re del mondo cap. 3
CAP. 3 “ … E facciamo l’amore”


Parigi, estate 1775, nove anni prima

La camera era buia se non per le due candele tremanti. Persiane chiuse, come a voler tener lontana la notte con i suoi fantasmi e tutte le paure che ad essa si associano.
Il caldo opprimente si fondeva con gli odori, di fumo, di sudore, di incenso. Di morte.
Il confessore aveva adempiuto al suo dovere, finché l’uomo era ancora sufficientemente lucido.
Prendendo lunghi respiri, tra le parole che uscivano con sempre minore energia, aveva confessato più che peccati, rimpianti.
Rimpianto per donne mai amate, per figli mai avuti.
E sollievo, per non aver mai compiuto, realmente e consapevolmente, del male; sollievo per aver adottato André prima che fosse troppo tardi. Anche se il risultato era stato quello di mettersi contro l’intero parentado. I figli della sua povera sorella avevano espresso piuttosto chiaramente l’opinione riguardo il suo stato mentale in merito alla decisione di lasciare ogni suo avere al figlio adottivo; ma il fatto che non gli avessero più fatto visita, aveva reso quegli ultimi mesi i più tranquilli, sereni, in un certo senso piacevoli della sua vita.
André, suo figlio, stava seduto in corridoio e fissava la tappezzeria scura sulla parete di fronte a lui.
Si ripeteva da giorni che così andava la vita, che era naturale. Tutti devono morire. Ma non poteva negare un filo di risentimento verso chi aveva il potere di decidere ciò.
Verso colei che tagliava il filo. Verso la mietitrice con la falce. Verso Dio.
Il barone aveva accettato la malattia con forza e serena rassegnazione.
André lo aveva visto godere di ogni giorno come fosse l’ultimo, compatibilmente con le forze che gli restavano.
- Ha richiesto la vostra presenza. – disse il prete, uscendo dalla camera. - Vi lascio solo con lui. Si è confessato e gli ho impartito l’estrema unzione. E’ molto debole.
André si alzò stancamente ed annuì.
- No! – disse il parroco quando il giovane accennò a guidarlo di sotto – Non è necessario che mi accompagniate, conosco la strada. – Posò una mano sul suo braccio. – Andate da lui, figliolo… - e non ci fu bisogno di specificare altro.
André restò un istante a guardarlo: un’ombra scura, per l’abito, per i capelli, confondersi col buio del corridoio; quindi, silenzioso, lo vide imboccare le scale e scomparire alla sua vista.
Si portò le mani agli occhi. Non voleva piangere. Ci sarebbe stato tempo per le lacrime. Dopo.
Entrò nella camera, prese la sedia e la portò accanto al letto del barone, il cui respiro era mutato in una sorta di faticoso uggiolare. Sedette vicino e posò la mano su quella fredda e gialla di colui che lo aveva cresciuto.
- Tua nonna sarebbe stata felice ed orgogliosa di vederti diventare uomo. – disse il genitore, esordendo nella frase con un gemito.
- Signore, non parlate… Se vi causa dolore, non parlate… - lo supplicò.
La mano del vecchio si mosse in cenno di diniego.
- Io … sono fiero di esser stato tuo padre, anche se solo per via di un documento.
- Voi siete stato il solo padre che ho conosciuto, l’unico che ricorderò per sempre, signore. – disse il giovane mentre il proposito espresso a sé stesso pochi minuti prima si dissolveva in lacrime irrefrenabili.
- Segui sempre il tuo cuore. … Il tuo cuore non sbaglia. Sei un bravo ragazzo... E sarai un gran brav’uomo, André.
André poggiò la testa contro il torace del barone, il quale cominciò a carezzarlo lentamente.
Nel silenzio totale, il giovane fissava sul comodino la candela che si consumava e restò lì fino a guardarla spegnersi, parecchio tempo dopo che la mano di suo padre era rimasta immobile sui suoi capelli.

La sera seguente, i vicini vennero per la veglia funebre e già il giorno dopo fu sepolto nella tomba di famiglia.
Di parenti nemmeno l’ombra ora che avevano accertato che non avrebbero ottenuto un soldo in eredità.
Dopo la funzione, André rientrò da solo nella casa che in pratica era legalmente sua.
Moralmente era stato l’affetto immenso di quello sconosciuto che gli aveva fatto da padre a renderla “casa”, non un atto notarile.
Il caldo del tardo pomeriggio era soffocante. Per le strade gridavano gli ambulanti; le finestre erano aperte, ma le persiane tutte accostate.
Si affacciò alla stanza del defunto, dalla quale le domestiche avevano già levato i paramenti neri collocati sul mobilio e sugli specchi, dato aria e portato via materasso e lenzuola mentre lui presenziava alla funerale.
Si volse a guardare la porta di fronte. La camera in cui era morta Nanny. Ed era chiusa da tempo.
Ne chiuse un’altra dietro di sé. Restò lì, in silenzio, con le spalle poggiate all’anta, immerso nell’ombra.
Ora era solo. Davvero solo.





Versailles, 21 giugno 1784, tardo pomeriggio


On sait que le temps c'est comme le vent (Sappiamo che il tempo è come il vento)
De vivre y’a que ça d'important (E di vivere ciò che è importante)
On se fout pas mal de la morale (Ce ne freghiamo della morale)
On sait bien qu'on fait pas de mal (sappiamo bene di non far del male)

(da “Les rois du monde”)


Una colorita Marie gli aprì la porta dell’appartamento e si inchinò.
André non poté trattenersi dal sorridere, immaginando cosa avesse portato le sue gote ad infiammarsi così.
- In crisi da “cosa mi metto stasera?”
- Oh, signore, vi prego… - lo supplicò ricambiando il sorriso. – Voi scherzate sempre!
Richiuse la porta alle sue spalle e lo invitò ad accomodarsi con un cenno.
Dalla porta aperta della camera, André vide Victor intento ad appuntarsi la spilla di smeraldi sulla cravatta e darsi gli ultimi ritocchi all’ abito blu pavone, davanti allo specchio a figura intera.
“Blu pavone?” , sorrise per il paragone tra le movenze dell’amico che scrutava il proprio riflesso in cerca di pecche e quelle di un regale pennuto.
In realtà sapeva non trattarsi di vanità, quel modo di fare, ma solo di pignoleria.
Victor Clément De Girodelle era dannatamente perfezionista. E André non lo avrebbe mai cambiato. Semplicemente, era perfetto così.
Si volse a guardar fuori dalla finestra: i giardini parevano già in fermento.
Si sentiva stanco alla sola idea di calarsi in quel ginepraio. Ma Victor era sempre così gentile con lui. Cercava di coinvolgerlo per il suo bene.
“Tieniti vicino gli amici, ma ancor di più i tuoi nemici” (1), gli ripeteva in quelle occasioni in cui lui attaccava a mugugnare scuse poco energiche.

- E quello?!
André si volse con un sussulto e chinò lo sguardo sui propri abiti che parevano i responsabili per quella espressione disgustata di Victor su di lui.
- Cosa?
- Come “cosa”? Quello … quello scempio! – chiarì Girodelle senza mezzi termini.
- Intendi il mio abito da sera?
Victor gli si avvicinò e cominciò ad indicare particolari a sua opinione inadeguati.
- Fuori moda… Sciatto… Semplicemente orrido… Pessimo… Ridicolo… E poi, marrone? Per una serata di gala estiva?! Ma come ti è venuto in mente! E … - si avvicinò ad annusarlo, storcendo il naso disgustato – Da quanto lo tieni nell’armadio?
André alzò gli occhi al soffitto, in muta preghiera agli angeli che vi stavano dipinti.
- Era del barone… - mormorò.
- Ossignoresantissimo! – tuonò Victor, facendosi immediatamente il segno della croce e mormorando una preghiera in penitenza per quella imprecazione sfuggitagli.
André sorrise per quel bizzarro modo con cui, il credente Victor, affrontava i propri peccati.
- Ah, no! Tu non scendi conciato così! – minacciò. – Marie!
La fanciulla, fino a quel momento in silenziosa attesa in un angolo, si rizzò attenta.
- Vai a prendere l’abito che mi è stato consegnato la scorsa settimana, cara, quello rosso.
- Rosso? – ripetè incredulo André– Tu hai acquistato un abito… rosso?!
- Sì, lo so… Volgare su di me… Me ne sono pentito subito. Ma a te starà d’incanto.
Marie tornò con una giacca veramente ricca, rosso fuoco, con i ricami del damasco lucidi ed opachi; leggerissimi fili d’oro inseriti nell’ordito facevano che sì che ad ogni movimento questa risplendesse come l’ondeggiare di spighe sotto il sole, sparse in un campo di papaveri. E la mostrò loro, reggendola su entrambe le braccia tese.
- Mah…
- Che c’è?
- C’è che fa tanto “Du Barry”… - obiettò André.(sentita nel film "Marie Antoinette" della Coppola)
- Oh, l’importante è che non ti faccia far tappezzeria, amico mio!
La domestica si portò alle spalle di André e lo aiutò a levare la giacca. Quindi andò a prendere il resto dell’abito, mentre lui continuava a levarsi i propri indumenti e restava con la sola camicia bianca e le calze.
Dopo pochi minuti, il grosso del cambiamento era a buon punto.
André si lisciò addosso il gilet, decisamente più corto del suo ormai fuori moda, che non nascondeva i pantaloni più attillati.
Marie lo aiutò ad infilare la giacca, quindi si portò davanti a lui per fissargli la sciarpa al collo. Il giovane le strizzò l’occhio, facendola arrossire.
- Hai dei diamanti da indossare? – chiese Victor che, passeggiando avanti ed indietro con fare meditabondo, osservava la sua “creatura” prender forma.
André lo guardò malamente.
- Direi che il tuo è un “no”, ovvio… Ti presterò i miei! Devi essere abbagliante stasera, mio caro!
L’amico si guardò allo specchio e sbuffò.
- Abbagliante come una lanterna cinese… - borbottò. E Marie si allontanò soffocando una risata.
- Se serve a non mandarti in bianco, ben venga pure la lanterna cinese. E poi stai benissimo. – commentò il conte.

Si presentarono affiancati sulla cima della scalinata dei parterre. Davanti a loro, tutta Versailles si era data appuntamento.
Le Loro Maestà sarebbero arrivate da lì a poco insieme all’ospite d’onore, Re Gustavo di Svezia, in viaggio attraverso l’Europa in compagnia del fidato Fersen e la serata sarebbe così entrata nel vivo dei festeggiamenti. (2)
Il sole era niente altro che un pallido bagliore all’orizzonte: la notte di benvenuto all’estate stava per cominciare!
- Smettila… - sibilò Victor, innervosito dai gesti stizziti dell’amico che evidentemente non si trovava a suo agio nell’abito prestatogli.
André lo guardò di sbieco. Quell’abito, certamente bellissimo, era fin troppo sfarzoso per i suoi gusti e l’ultima cosa che voleva quella sera era attirare l’attenzione. Avrebbe pure risposto qualcosa, ma vennero affiancati da una coppia.
- Conte!
- Conte…
- Contessa…
- Barone!
- Conte… Contessa…
Un incrocio di inchini e riverenze e quelli si avviarono lungo la scalinata.
La serata era cominciata e sarebbe proseguita a quel modo per ore. Alla fine, André sapeva, non avrebbe ricordato alcuna di quelle persone, né le conversazioni superficiali che con loro avrebbe intavolato.
Ma doveva riconoscere che si annunciava come un grande evento mondano e ne era incuriosito.
Sul Tapis Vert era stata approntata una pista da ballo e i giardini erano ben illuminati. Oltre a torce e lampade, c’erano lanterne galleggianti sull’acqua e lungo i viali primeggiava l’invenzione scientifica dell’anno prima, opportunamente tramutata in luminaria: mongolfiere! Un gran numero di piccole mongolfiere, ancorate al suolo, alimentate da piccoli bruciatori ad olio, galleggiavano nell’aria e spandevano luce colorata tutt’attorno, diversa a seconda del tessuto con cui erano state realizzate.
Tavole zeppe di ogni ben di dio e giocolieri, musici, danzatrici esotiche, acrobati… Di tutto e di più per intrattenere gli ospiti ed impressionare favorevolmente il sovrano amico.

***

Attorno alla fontana di Latona, una donna si sventolava lentamente. Si sarebbe detto svogliatamente, se non lo avesse fatto in modo così sensuale.
Si teneva a giusta distanza dall’imponente monumento: abbastanza vicina da godere della frescura portata dallo zampillare, ma non così vicina da permettere che l’umidità sciupasse la sua perfetta “mise”.
Abito verde mare, cangiante; parure di zaffiri sulla pelle candida e nastri di tutte le sfumature dell’oceano fra i capelli neri; nessuna parrucca a mortificare la chioma d’ebano, in netto contrasto col pallore lunare del viso; nessun copricapo a nascondere le onde perfette, morbide, lucenti. Nulla in lei passava inosservato, neppure quel carattere, volitivo e ferreo, di una donna decisamente controcorrente.
Il ventaglio con piume di pavone ondeggiava piano davanti al viso e solo due occhi come il ghiaccio ne facevano capolino, fissando con l’aria di chi ne sa qualcosa, l’immagine dell’amante di Giove sulla cima della fonte. (3)
Accanto a lei il marito, marchese de Fréville era impegnato a raccontare al generale Bouillé, suo ottimo amico, come aveva trascorso quella settimana di caccia su, nei suoi possedimenti al nord. Narrava ogni più piccolo particolare, ogni insignificante, noioso dettaglio di quella passione che, fortunatamente per la moglie, lo distraeva dal talamo nuziale quel tanto che bastava per lasciarla riprendere.
Una settimana al mese, il marchese si dedicava allo sport da uomo duro e la giovane Camelia Desirée si faceva bastare quei giorni di libertà come gli unici degni d’essere vissuti.
André si domandava come avesse potuto una persona incantevole come Camelia arrivare alle nozze con Fréville.
Di certo, il marchese aveva avuto solo di che guadagnare da quel matrimonio.
Nonostante ciò che chiunque avrebbe scommesso su quella coppia, era Camelia il buon partito. Venticinque anni, vedova di un viceconsole inglese, la giovane donna non mancava né di denaro, né di spasimanti. Eppure, contro ogni aspettativa, nemmeno un anno dopo la morte del marito perito in un naufragio sulle coste della Cornovaglia, aveva accettato la corte di Fréville, di trenta anni più vecchio di lei, ed in poche settimane erano convolati a nozze. Questo era accaduto la scorso marzo.
Nulla li accomunava. Lui era pesante sotto tutti i punti di vista, noioso, borioso, irascibile … Ciò solo ad un esame superficiale, ma per André era già perfino troppo.
Lei non era solo una bella donna, gradevole come accompagnatrice. Era un passo avanti a chiunque in quel posto e, nonostante i tentativi di Fréville di esibirla unicamente come un grazioso accessorio, la sua intelligenza non riusciva a passare inosservata.
La gente giustificava questo matrimonio col potere.
Fréville, da poco più di un anno, era forse l’uomo più influente di Francia, da quando era stato nominato ministro della guerra. Godeva della fiducia del sovrano, anzi, forse sarebbe stato più opportuno affermare il contrario: il sovrano era nelle sue mani.
Aveva un passato talmente losco che perfino Sua Maestà doveva averne timore. Dal suo ufficio transitavano una gran quantità di denari e di segreti di stato; non c’era nulla in cui lui non mettesse mano.
Si diceva che la donna lo avesse sposato per rientrare a corte, dopo il matrimonio con un inglese, avvenuto in piena Guerra di Indipendenza Americana, poco prima della discesa in campo della Francia. Gli inglesi: un nemico della corona, il peggior nemico.
Aveva vissuto a Londra ed era rientrata in Francia a guerra finita, come moglie del viceconsole inglese, rimanendo prematuramente vedova.
Ma André non aveva mai creduto a queste insinuazioni. L’istinto gli bisbigliava che dovesse esserci altro. Di certo sapeva solo che era veramente un peccato vedere una donna come quella sprecata con un simile individuo. Ma d’altronde, quella era Versailles. Perché si stupiva ancora?
In quel momento, la marchesa si accorse di loro.
- Sei stato individuato… - mormorò a denti stretti all’amico, intento a conversare con un collega d’armi.
Victor si volse ed il suo sguardo venne catturato da quello violetto di lei. Picchiettò con un dito sul ventaglio chiuso, attenta a non farsi notare.
“No, non possiamo vederci… “, pensò scotendo impercettibilmente il capo in replica a quella richiesta.
La vide sbattere il ventaglio sul palmo dell’altra mano. A Camelia Desirée non piacevano i no come risposta.
Il tipo col quale stava conversando, gli sollecitò un suo parere e Victor tornò a voltarsi verso di lui.
- Attenzione! Nemico in avvicinamento da poppa! – esclamò in un sussurro André, dandogli un gomito nelle costole quando vide la dama partire nella loro direzione.
- Oh, contessa! Che piacere rivedervi a corte! – esclamò Victor aggrappandosi cavallerescamente al braccio di una anziana dama di passaggio, stupita ma non certo dispiaciuta dal gesto del giovane ed affascinante uomo.

André non perse tempo e parò l’avanzata di Camelia De Fréville, impedendole di seguire la preda.
- Barone … - mormorò quella con un sospiro di rassegnazione ed un sorriso tirato, aprendo il ventaglio con un singolo gesto secco.
- Marchesa De Fréville… - sorrise André esibendo un raffinato inchino. Al centro del Tapis, le danze erano cominciate. – Mi concedete un ballo? – domandò, rialzandosi, senza abbandonare la mano che aveva appena baciato.
Camelia lo squadrò da capo a piedi.
- Solo perché dentro quell’abito “orrendo” ci siete voi, barone… -
Lui sorrise, incassando il mezzo insulto, e si chinò nuovamente, posando una mano sul petto in segno d’umiltà.
Condusse la dama al centro della pista e sapeva non essere una sua fantasia quella di sentirsi tantissimi occhi addosso.
Invidiato dagli uomini, perché avrebbe ballato con lei; detestato dalle donne, per lo stesso motivo.
Sì, Victor avrebbe dovuto sdebitarsi per quello. Per quello e per avergli fatto indossare quell’abito così vistoso che proprio lei gli aveva donato.
La danza cominciò con una reciproco, simultaneo inchino, la marchesa posò la mano sinistra sulla destra del Barone e poi … piccoli passi, destra, sinistra, avanti, indietro, scivolare piano, un quarto di giro, piccoli saltelli.
Suadenti movenze, sguardi intensi tra la dama ed il suo cavaliere; profumo di fiori e leccornie nell’aria tiepida di una sera bellissima; chiacchiere, risate… E nessun pensiero se non quello di divertirsi.




***


Il rumore di sottofondo era più forte, segno che le bevande inibivano ormai i freni. La gente si divertiva.
André raggiunse Victor intento a piluccare tartine.
- Io mi defilo! – annunciò scandendo bene la frase per farsi intendere al di sopra delle chiacchiere e della musica.
- Come … - tentò d’obiettare con tono irritato, ma passò subito alla lusinga - Non resti a vedere lo spettacolo delle scimmie danzanti?
- Ho già fatto la scimmia io, stasera … A tal proposito, potevi avvisarmi che questo abito ti era stato regalato da una “certa” dama! – gli rimproverò afferrandosi i bordi della giacca.
Victor nicchiò.
- Mi ritiro nei tuoi appartamenti.
- Ma sta per cominciare la battaglia navale!
- La guarderò dalla reggia. – rispose mentre già si allontanava.
L’amico non insisté ulteriormente.

- Stanno per cominciare i fuochi! – esclamò una dama eccitata, guardando verso il Grand Canal.
Nel movimento di folla che seguì l’annuncio, Victor sentì qualcuno afferrarlo per un braccio e trascinarlo via.
- Marchesa… - ringhiò, temendo che qualcuno li notasse.
- Conte… - ribatté lei, imitando il suo tono, trascinandolo in un sentiero appartato.
Si rassegnò a seguirla, fin nel folto di un boschetto.
- Perché non avete indossato l’abito che vi ho regalato? – gli domandò camminando veloce.
- Non vado molto d’accordo col rosso, lo sapete. Perché proprio quel colore, madame?
- Non volevo rischiare di perdervi tra la folla. – mormorò guardandolo con la coda dell’occhio continuando ad avanzare e a tirarselo appresso.
- Fantastico! Così tutti si sarebbero accorti di noi!
- Che imperdonabile leggerezza! – scherzò.
- Sì e siete stata avventata prima, alla fontana! Tutti si sono accorti che siete venuta direttamente da me!
- Sì e non mi importa – esclamò lei, fermandosi di colpo, volgendosi contro di lui, calando le mani sul suo torace.
- A me sì. Mi importa di te, di me, della nostra reputazione … – mormorò Victor, passando ad un tono più confidenziale e premuroso.
- … della tua carriera? – lo istigò.
- Sì, anche. Sai benissimo che basterebbe una parola di tuo marito per stroncarmi. – esclamò con serietà.
La giovane allungò due dita sulle sue labbra, come a volerlo tranquillizzare.
- E ne basterebbe una mia per innalzarti. – mormorò, sbattendo le palpebre, incantandolo con quelle ciglia tanto lunghe e folte che gli parve di sentirsi carezzare dal vento caldo che muovevano.
- Agli uomini non piace venir manipolati …
Lei rise.
- Illuso … - mormorò accattivante, stringendolo in vita.
- A me non piace essere manipolato. – Si corresse.
- Anima candida … - lo canzonò affettuosamente - Toccherà a lui selezionare i candidati per la nomina a comandante della guardia reale. Lui mi ascolta. – aggiunse, spostando la carezza dalle labbra alla guancia.
- Lui non ti ascolta. Non ne è capace. Esaudisce i tuoi desideri, perché se tu sei felice e radiosa, splende del tuo riflesso. Ma è incapace di ascoltare.
Si aggrappò a lui, alle sue spalle.
- Camelia… no, potrebbero vederci…
In risposta, lei lo baciò.
“Che donna … impossibile!”, pensò ricambiando con vigore, stringendola per la vita tanto da alzarla un poco dal suolo, nonostante quella voce nella testa lo invitasse a darsi una regolata.
Le mani di lei si spostarono dalle spalle al suo petto, lungo il risvolto della giacca e poi sotto, sul gilet con uno scopo.
I bottoni si sfilavano velocemente dalle asole, guidati dalla determinazione della donna.
- E’ stato uno sbaglio. Piacevolissimo, indimenticabile … ma non possiamo, Camì, dobbiamo fermarci. – disse rimettendo lei e la propria ragione, coi piedi per terra.
Non poté pronunciare una parola di più perché le sue labbra furono ancora un tuttuno con quelle della bella marchesa.
- Per favore, Camelia…- riuscì a mormorare.
Le mani di lei ormai vagavano sotto il gilet, ormai erano padrone di quel confine sotto la sua cintura.
- Camì …, per favore …, no … Non è il caso … - balbettò col respiro che diventava ansante.
- Quando mi son svegliata voi non c’eravate, l’altro giorno. Non è stato molto galante da parte vostra, abbandonarmi tutta sola nel vostro letto.
- Il dovere, Madame …
- Uomini! Quando non sapete a cosa appellarvi, vi aggrappate al lavoro.
Si allacciò al suo collo ed egli non poté non stringerla ancor più forte a sé.
Bella e pericolosa, perché otteneva sempre ciò che voleva.
Camelia Desirée era proprio come il suo nome: sofisticata, elegante … Vellutata, suadente..
Ed era infelice.
Ogni lembo della sua pelle era niente di meno che paradiso per lui…
Ma era pure il confine dell’inferno. Un punto di non ritorno, il baratro sulla perdizione.
Lei sapeva cosa fare, come fare per fargli perder la testa. E lui la perdeva, così come si perdeva in lei.
Erano riusciti ad evitare il coinvolgimento per mesi; poi, era bastata una sera con le difese abbassate e gli argini erano stati rotti.
Lentamente, lei cominciò ad abbassarsi, trascinandolo con sé verso il prato.
Incoscienti.
Senza freni.
Pazzi.

***
André stava salendo gli ultimi scalini verso i Parterre d’Eau quando udì uno dei colpi d’apertura dei fuochi.
Si volse a guardare il razzo luminoso che si alzava alto nel cielo, illuminando lo specchio d’acqua sottostante, la grossa croce. Due fregate di dimensioni ridotte rispetto al naturale veleggiavano placidamente affiancate, preparandosi a darsi battaglia.
Attraversò lo spiazzo fino alla reggia e poi dentro, su per la scalinata che conduceva agli appartamenti lussuosi delle famiglie più importanti. Incrociò pochissime persone, poiché tutti si erano riversati al centro del parco per gli spettacoli.
Entrò nell’appartamento silenzioso di Victor, illuminato dai bagliori dei fuochi che invadevano le stanze, dalle ampie finestre completamente spalancate. Nella penombra si diresse con passo sicuro e rilassato alla stanza riservata agli ospiti, cominciando a levarsi la giacca, quindi la spilla che fermava la cravatta e slacciando il gilet, accogliendo con un sospiro di sollievo la frescura sulla pelle umida di sudore del torace.
Aprì piano la porta. Sorrise. Sapeva che l’avrebbe trovata lì.
Voltava le spalle all’ingresso, sdraiata sul grande letto, e guardava i fuochi attraverso la portafinestra.
I capelli castani sciolti sul cuscino, la leggera camicia di cotone che non nascondeva le sue forme.
- Com’erano le scimmie danzanti? Mi sarebbe piaciuto vederle. – disse, un po’ malinconicamente.
- Non le vedi forse tutti i giorni?- chiese beffardo, spogliandosi di farsetto e camicia.
Marie si girò sul copriletto e lo guardo avvicinarsi a lei, mentre il bagliore di un fuoco d’artificio lo illuminava di riflessi arancio.
Gli sorrise compiaciuta, vedendolo denudarsi del tutto, senza levare lo sguardo da lei, e si stiracchiò lentamente allungando le braccia, tese verso di lui.
André posò un ginocchio sul bordo del letto e si abbassò verso di lei, posando le mani ai lati delle sue spalle, sorridendole furbescamente, mentre un altro lampo verde intensificava quello smaliziato dei suoi occhi.
La ragazza portò un braccio dietro al suo collo, con l’altra mano gli sfilò il fiocco di raso, sciogliendogli i capelli che ricaddero ai lati del volto. Si sollevò un poco, diretta alle sue labbra, mentre con la mano lui faceva scivolare piano la sottile camicia da notte giù dalla spalla.
E nessuno dei due si preoccupò più di guardare lo spettacolo pirotecnico.
Tra lo schiocco dei baci, lui sorrise al pensiero che Victor potesse ancora essere preoccupato per le sue supposte notti fredde e solitarie.


***

Victor non poteva evitare di pensare che André aveva avuto ragione ancora una volta.
L’amico aveva assistito al lento avvicinarsi tra Girodelle e la Fréville e da subito, aveva annusato guai.
Il conte aveva minimizzato i suoi timori, garantendo che non era un novellino, che si trattava solo un innocente flirtare, che avrebbe saputo fermarsi al momento opportuno e che nessuno si sarebbe fatto male.
Invece…
Invece Camelia rischiava di diventare un problema.
Non si era mai preoccupato di incontrarsi con dame sposate. Non era un segreto che donne annoiate dalla vita matrimoniale, trovassero equilibrio alla loro insoddisfazione con uomini aitanti, liberi di cuore, impegnati nella carriera, come lui.
Ciascuno otteneva ciò che desiderava da queste avventure, senza strascichi, senza conseguenze.
Ma Camelia era sposata con un uomo che, sebbene molto più anziano di lei, era molto geloso e purtroppo, anche molto potente.
Victor era in un certo senso abituato ad “usare”, ma quella sera, sentiva di essere stato la vittima. Sentiva che quella donna stava prendendo da lui più di ciò che era disposto a dare.
Continuava a sistemarsi gli abiti con gesti stizziti. Non gli era garbato quell’incontro con Camelia. Amava sedurre, anche farsi sedurre, ma si era quasi sentito sfruttato da quella bellissima, giovane e pericolosa donna. Doveva mettere distanza tra loro e doveva farlo senza urtarla perché urtare lei avrebbe significato affondare la sua carriera.
Svoltò a passo svelto nel viale principale, senza badare a dove andava, preso dal volant della manica che non voleva stare in ordine, e per poco non urtò una dama ferma dietro la siepe di cipresso, china ad armeggiare con le proprie sottane.
Lo spavento fu reciproco.
- Oh… Perdonate, madame! – esclamò recuperando la gaffe con un inchino elegante, arretrando di un passo.
La donna bionda assunse una posizione meno imbarazzante.
- Perdonate voi, signore… Io… - mormorò.
Ma, prima che potesse aggiungere altro, un’altra donna, in compagnia di alcune dame poche decine di metri più in là, la chiamò.
- Françoise! – esclamò con tono spazientito – Ti stiamo aspettando!
- Arrivo subito, madre! – esclamò la donna, irritata. E ricominciò a inveire contro le proprie gonne e a strattonarle.
Girodelle, incuriosito e divertito, le si avvicinò.
- Avete forse bisogno di aiuto, madame? – si permise, in un sussurro, immergendo il suo sguardo in quello turchino della dama.
La donna bionda sospirò, in chiaro imbarazzo.

- Temo di sì, ma … - gonfiò il petto con un respiro, come a prender coraggio – Credo che un ramo si sia incastrato nella mia sottogonna, rovi credo, perché punge e si è agganciato alla calza e ad ogni passo…
- Françoise! Ma, insomma, che succede? Perché te ne resti indietro!– esclamò la madre che nel frattempo li aveva raggiunti e lanciava occhiate inquisitorie al giovane.
Girodelle, prima che la bionda Françoise potesse rispondere, si presentò con un inchino.
- Se permettete, madame… Colonnello Victor Clément De Girodelle, al Vostro servizio!
La donna, porse la mano secondo prassi, e galantemente, Victor eseguì un perfetto baciamano.
- Marguerite De Jarjayes e questa è mia figlia Françoise… - rispose madame, lasciando cadere lo sguardo sull’anulare privo di fede del giovane Girodelle.
- Vostro marito è forse il generale Jarjayes? Sì? Oh, conosco molto bene il generale, grand’uomo e grande ufficiale. – rispose Victor che aveva notato il classico sguardo di una madre con una figlia nubile al seguito - Stavo appunto discorrendo con la vostra incantevole figlia di quanto sia notevole questo esemplare di cipresso di Leyland …
Entrambe le donne lo guardarono malamente. In effetti, mai si era sentita una scusa peggiore ed abusata di quella botanica.
- … e che, poco distante da qui, si trova un esemplare addirittura centenario di cipresso toscano. - La scusa peggiorava. – Sono certo che a madamigella Françoise interesserebbe molto vederlo… - aggiunse con candida sfacciataggine.
- Monsieur … Non sta bene che una giovane donna si accompagni con un gentiluomo senza chaperon … - obiettò Marguerite, con tono di rimprovero poco deciso.
- I giardini sono pieni di persone a passeggio … Prometto che resteremo in luoghi affollati. - Mentì, posando la mano sul cuore, quasi un giuramento. L’unico genere di giuramento che si permetteva di infrangere, quello che riguardava la conquista.
Marguerite, ora che aveva riconosciuto ed inquadrato il gentiluomo, soppesò solo un istante i pro ed i contro, quindi, lanciò uno sguardo infuocato alla figlia.
- Comportati bene e non tardare! - l’ammonì. – Colonnello, - disse poi salutando Girodelle – mi fido di voi…
Victor e Françoise si chinarono ossequiosamente, salutando madame che raggiungeva le amiche.
- Bene … Ed ora vediamo di risolvere il vostro problema! – disse indicandole il sentiero laterale.
Nascosti agli sguardi, al riparo dalla luce delle torce, Victor si chinò ai piedi di Françoise, permettendo alla sue mani di scivolare appena sul raso azzurro e lucente dell’abito fino all’orlo.
Infilò le mani sotto le gonne che lei alzò appena ed arrivò a sfiorarle la caviglia, risalendo lentamente lungo il polpaccio.
- Ahi … - esclamò piano Victor.
- Noto che lo avete trovato, … alfine... – commentò lei, sorridendo ironica per il lento vagare di quelle mani, tra il tulle e sui ricami delle calze.
Era davvero buio, ma lo sguardo ed i sorrisi che si scambiarono, non potevano essere più chiari.
- E’ un compito delicato, madamigella…
- Sì, noto con quanta delicatezza vi impegnate… - replicò.
Uno strappo secco, un “ahi” simultaneo di entrambi e la faccenda fu risolta.
Victor si rialzò e staccò gli occhi da quelli di lei per osservare l’infame rametto.
- Non sembra un rovo… - mormorò alzandolo per intercettare un raggio di luna - … direi… No, posso affermare che è un ramo di rosa… Già, c’è anche un bocciolo, una rosa bianca! – e lo indicò a lei, tornando a guardarla negli occhi. – Strano…
- Cosa?
- Un ramo di rosa in questo angolo del parco, intendo. Non ci sono rose qui… Mah, sarà caduto da un carretto dei giardinieri… Che increscioso incidente… Increscioso, ma … provvidenziale.
Staccò il bocciolo dal ramo spinoso e glielo porse, gettando il resto sotto una siepe. Ella prese la piccola rosa e, facendosi più vicina, gliela appuntò sul collo della giacca blu.
Vincendo la tentazione di avvicinarsi ancor più a lei, Victor le porse il braccio, galantemente, e fu così che cominciarono a passeggiare per i viali più tranquilli del parco, mentre, in lontananza, la musica si affievoliva.
- Françoise De Jarjayes… - mormorò lui dopo parecchi istanti di silenzio – C’è forse un “Oscar” come primo nome?
- Sì, ma mia madre lo detesta e preferisce chiamarmi Françoise. Così, sapete di me?
- Molti anni fa avrei dovuto battermi con Voi alla presenza del Re per un posto di capitano…
- Oh, eravate voi?
- Già… Quanto è strano il destino, vero?… - si sorrisero - Ma, non vi ho mai vista a Versailles, prima.
- Sono tornata da poco da Arras, dove ho sempre vissuto. Mio padre ha deciso che sia giunto il momento c’io mi rassegni al matrimonio. – spiegò con un sospiro, guardandosi distrattamente intorno.
Victor rise.
- Scusate, madamigella, ma lo avete detto come lo direbbe un uomo…
- Come lo direbbe uno scapolo impenitente come voi, intendete?
Victor chinò il capo, accusando la scoccata.
- Così… anche voi sapete di me?

Erano ormai arrivati alla Orangérie. Lo si capiva solo annusando l’aria, piena di aromi esotici: limoni, arance, datteri, pesche…
Oscar si staccò dal suo braccio e colse una pesca. L’annusò, intensamente, quindi se la portò su una guancia e la strofinò piano.
Victor rimase estasiato a guardarla.
- E’ così … vellutata. – mormorò lei, giustificandosi.
Allungò la pesca sulla guancia dell’uomo e ripeté i movimenti.
- Non è forse vero?
Victor chiuse gli occhi un istante.
Chissà se quella donna si rendeva conto di cosa gli stava facendo? La morbidezza del frutto, il profumo, l’estate… Si sentiva stordito.
Riaprì gli occhi su di lei.
- Sì, velluto…, - mormorò con voce roca – ma mai come la vostra pelle, madame. – aggiunse prendendole il polso e posandovi un bacio.
Oscar sorrise, reggendo lo sguardo; quindi si liberò dalla presa.
- E’ ora di rientrare per me…
Victor si rassegnò a riporre le armi del seduttore e si limitò ad indicare la scalinata che dall’ Orangérie, arrivava alla reggia.
Sembrava intenzionato a far durare quegli scalini un eternità.
Ed in effetti riuscirono a parlare di tantissime cose lungo il tragitto. Dovette ammettere con sé stessa che era piacevole conversare con quell’uomo, che non era certo il tipico aristocratico ignorante ed insensibile di cui la corte pullulava.
A Victor De Girodelle piacevano le cose belle. E da come la guardava, doveva averne trovato una splendida.
I loro passi riecheggiarono sui marmi nel silenzio del palazzo. Ormai la festa era finita e loro erano tra gli ultimi ritardatari.
La guardia nell’androne scattò sull’attenti riconoscendo l’ufficiale.
Oscar posò la mano sul corrimano, piacevolmente fresco, e salì un paio di gradini, quindi si volse.
- Non è opportuno che mi accompagniate fino ai miei appartamenti, conte.
Victor annuì. Non si aspettava certo un invito da lei, non era il tipo. E se anche avesse voluto la sua compagnia, era certo che quella donna non avrebbe tergiversato, ma sarebbe andata dritta al punto.
- Vi vedrò ancora? – chiese solo, emozionato come un ragazzino. Oscar sorrise, ma riprese a salire, voltandogli le spalle.
- La vita è una ruota, colonnello… prima o poi, ripasseremo di qui. - disse.

Nella penombra lanciata dalle candele delle appliques poste alle pareti del corridoio, Oscar arrivò alle sue stanze, con passo stanco, forzandosi ad ignorare il dolore causato dalle scarpette.
Aprì la porta e, senza disturbare la domestica appisolata sul divanetto dell’ingresso, prese il candelabro dai ceri ormai quasi del tutto consumati posato su di un piccolo tavolo ed entrò nel salottino. Riaccostò la porta e si abbandonò contro di essa, posandovi nuca, spalle e le braccia tenute intrecciate dietro a sé.
Sospirò.
"Finalmente sola"
Quella forse era stata la serata più lunga della sua vita. Era la prima volta che si costringeva per così tante ore in abiti femminili.
Per un istante si domandò se poteva farcela, se sarebbe riuscita ad arrivare fino in fondo. Rimandò la risposta all’indomani, quando la luce del giorno e la rassicurante sensazione di abiti maschili sulla pelle, l’avrebbero rinfrancata e mostrato tutta la stupidità di quei dubbi.

Risollevò le palpebre e guardò il mazzo scomposto di rose bianche, cui la domestica non aveva badato. Lo stesso mazzo dal quale lei stessa aveva sottratto un bocciolo. Un bocciolo galeotto e con tante spine.



- continua


1) dritta dritta da “Il padrino”
2) Il 21 giugno 1784 ci fu davvero una grande festa in onore del Re di Svezia, ma al Trianon.
3) La fontana illustra la storia di Latona, amante di Giove, il quale trasformò in rane i contadini che avevano negato aiuto a lei ed ai suoi figli.

Il disegno non si riferisce a questo capitolo, ma comincio col presentare Camelia:




http://www.youtube.com/watch?v=b-TzguHJKxY video della canzone “Les rois du monde“
http://www.youtube.com/watch?v=4qcoF27iOr4 testo della canzone « Les rois du monde »
   
 
Leggi le 14 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Lady Oscar / Vai alla pagina dell'autore: crissi