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Autore: CinderNella    11/10/2011    2 recensioni
Si guardò intorno, lasciandosi cadere su una poltrona: era finita anche quella. Era strano recitare senza di lui, mancavano le battute stupide che scambiava con Zach e la sua faccia da giullare. Quando iniziava poi a recitare e a fare il duro era ancora più ilare, perché sapendo come in realtà fosse, vederlo serio o... stronzo –perché lo era stato per una serie intera– era strano.
[Candice x Micheal]
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Piccola nota prima del "capitolo": i nomi che appunto attribuisco ai capitoli sono i titoli delle canzoni da cui provengono le citazioni da me scelte che si trovano alla fine o all'inizio (o come vedrete nel prossimo, alla fine e all'inizio) del capitolo in cui sono state poste, e ovviamente c'entrano con ciò di cui parlo allì'interno. Detto questo, BUONA LETTURA!


And she watches the sun,
but she's the only one I have my eyes on...

Sbatté velocemente le palpebre, non ricordando come si fosse addormentata la sera prima. Era con Nina? Stava vedendo un film? E cosa diavolo aveva mangiato...
Spostò lo sguardo senza muoversi, cercando di capire se poteva farlo senza provocare danni. Si sentiva scomoda: perché non si era messa il pigiama? Fece per voltarsi verso il comodino quando si accorse che l'ammasso di coperte che la ricopriva presentava una protuberanza accanto a lei, e sembrava prender la forma di una sagoma umana.
Era Nina?...
Decisamente no. Vi spiò sotto, ma realizzando la salda presa che teneva la sua mano si era già resa conto di chi fosse quello accanto a lei: sorrise automaticamente, ma si ritrovò lo sguardo attento del ragazzo addosso.
«Ma allora sei sveglio!» gli schiaffeggiò piano la mano.
«Mi ha svegliato il sole... e poi sei tu a meritartele!» agguantò la ragazza dal collo, iniziando a scompigliarle i capelli: Candice lanciò un urlo sommesso, ribellandosi e tirando dei pugni sulla sua testa:«Ma cosa ho fatto!»
«Il viva-voce ragazza, il viva-voce, PROCIONE!» la ragazza impallidì, lanciando poi un altro urlo non appena Michael le solleticò il ventre.
«Ma cosa diavolo...?! Ah, buongiorno. Mica lo sapevo che c'eravate entrambi!» Nina, con la quale Candice divideva la residenza ad Atlanta, scomparve così velocemente com'era comparsa «Sembravate un assassino e la vittima, comunque!»
«La colpa è di Mike, mi fa il solletico!»
«Viva-voce!»
Candice si voltò per guardarlo negli occhi, vittima delle sue stesse coperte: «Ma poi, chi te l'ha detto?»
Michael la guardò con uno sguardo profondo, tra il concentrato e lo stralunato: «Tua mamma, ieri sera, dopo che ti ho messa a letto.»
«Oddio, dovevo chiamarla! Mi sentirà... non doveva!»
«Oh, sì che doveva.»
Candice arricciò il naso: «Non farmi quello sguardo!»
Michael alzò un sopracciglio: «Che sguardo?»
«Il tuo. Quello che fai quando sei concentrato, ma contemporaneamente sembri un po' strano... profondo! E con la bocca come un cucciolo bastonato...»
Il ragazzo si fermò: «Ma che diavolo di descrizione è?» strinse gli occhi, guardando poi all'insù «Hai molta fantasia, Accola, devo ammetterlo.»
«Ehi, sto uscendo, ciao!» Nina non si degnò nemmeno di raggiungerli in camera per salutarli.
«Ma come mai sei rimasto?» chiese la biondina, giocherellando con una ciocca dei suoi capelli e muovendo ritmicamente le gambe sotto le coperte.
«Mi hai agguantato il polso, non potevo rischiare di rompermelo per andarmene. Potresti essere una belva assassina nel caso in cui qualcuno ti svegli e poi...» aveva già notato che stava sorridendo «Non mi andava di lasciarti sola a dormire, senza nemmeno averti salutata.»
Candice si era alzata e gli aveva già proposto la colazione, mentre l'amico la seguiva: «Salutata? Dove vai?»
«Torno a Los Angeles. Per un po', dai miei. Tanto per ora non serve che io reciti.» il ragazzo fece spallucce.
«Ah.» si erano visti quasi tutti i giorni per parecchio tempo, non si aspettava che partisse così, all'improvviso «E quando ti rivedo?» gli porse una scatola di cereali, mentre cercava qualcosa di dolce da mettere in bocca: Michael li accettò ed iniziò a mangiucchiarli «Non so. Penso che ti stupirò, procione.»
«Tanto sto partendo anche io per un week-end in Florida, vado a trovare i miei!» rispose lei, facendo spallucce e occupando una sedia della cucina per dedicarsi alla colazione.
«Ah, le famiglie. Ci riportano sempre nei luoghi di origine.» commentò lui, con fare saggio mentre scuoteva la testa. Candice ridacchiò e lo guardò un po' male: «Zitto, che tua mamma ti coccola per certo quando torni! Ti sgrida se non ti nutri, e ti spupazza come quando avevi due anni!»
Il ragazzo arrossì: «Ehi! Tu sei la cocca di papà, e parla solo e sempre di te e ti porta a pescare e a fare attività da maschio! Candice di qua, Candice di là...» con fare pomposo si atteggiò in mosse da uomo superiore che vantava la figlia.
«Ispanico, TACI!»
«Procione, un giorno verrò a trovarti in Florida e per te sarà la fine. La tua camera finirà a soqquadro e leggerò tutti i tuoi diari dell'adolescenza.» la minacciò lui, puntandole contro un dito.
«Quando passerò dalla California sarà la tua, di fine, mi presenterò e stabilirò a casa tua e chiamerò mamma tua madre! E mi insegnerete anche lo spagnolo!» Candice aveva iniziato a preparare la valigia, o meglio, ultimarla; aggiunse cose che aveva appena preso dal bagno e ritornò dall'amico: «Hablas espanol, amigos!»
Michael scoppiò a ridere: «Ma sei scema! Ma oramai se lo sono dimenticati, lo spagnolo!» la abbracciò, prendendola alla sprovvista per zittirla «Mi mancherai, procione. Vedi, io lo ammetto.»
«Lo so che hai quello sguardo.» non smise di scherzare, o almeno, così pareva.
«Anche tu.» aggiunse poco prima che la stretta delle braccia di Michael si allentasse e non cingesse più le sue spalle.

Si era fatta accompagnare all'aeroporto dall'amico ed ora sedeva comoda al suo posto. Erano appena atterrati, e sapeva che mamma e papà la aspettavano là fuori. Le piaceva sentirsi coccolata così dai suoi genitori quando tornava a casa, era un piacere al quale non faceva a meno una volta a settimana o ogni due. Era una di quelle cose delle quali più sentiva la mancanza là ad Atlanta: aveva gli amici, ma la famiglia le mancava tantissimo.
Erano la tipica famiglia medio-alta, il papà che portava la maggior parte di soldi da lavoro, grazie al suo lavoro da chirurgo cardio-toracico, la mamma impeccabile casalinga che aveva lasciato il lavoro di ingegnere per badare ai tre figli: due bambine pestifere, che si passavano cinque anni, e uno più piccolo, che era l'unico rimasto a casa con loro e che frequentava la scuola superiore.
Le piaceva il clima casalingo di quando tornava ad Orlando.
«Candice! Di qua!» sentì la voce dolce ma allo stesso tempo autoritaria della madre chiamarla: si voltò verso un SUV con il finestrino che affacciava sul marciapiede completamente abbassato, dal quale una signora bionda dal viso sorridente le faceva un cenno con la mano.
«Mamma!» Candice si illuminò, correndo verso la macchina: un uomo con i pochi capelli rimasti brizzolati le apriva il bagagliaio e l'aiutava a posarvi dentro il trolley «Come va, Candice?»
«Papà!» lo abbracciò forte, chiudendo per lui il portabagagli. Chissà quale intervento aveva saltato per venire a prenderla. «Non potevi mandare solo la mamma?»
«No, volevo venire anche io. La mia piccolina che ritorna all'ovile non voglio mica perdermela.» la strinse per le spalle, e lei entrò dalla portiera sinistra ad occupare il suo solito posto, quello che sempre aveva adorato e mai lasciato, e che occupava in tutti i viaggi in auto: Tyler si era sempre accontentato di quello all'estremo opposto, dietro la mamma.
«Allora, come è andato il viaggio, tesoro?» Candice stampò un bacio su una guancia della madre, sporcandosi della cipria che era solita usare abbondantemente: «Tutto bene, ma'. Però mi ha dato un po' fastidio l'atterraggio...»
«Ora che torniamo a casa ti preparo i pancake alla marmellata! Allora, ma come mai ieri sera non mi hai chiamata? Quando mi ha risposto Michael mi stavo preoccupando, tesoro...»
«Michael?» il padre, che ascoltava tutto ma non si intrometteva nelle loro discussioni da donne, decise che quello era il momento adatto per entrare a farne parte: guardò dallo specchietto retrovisore l'espressione della sua secondogenita mutare, e le sue guance diventare rosse.
«Ehm, è un mio amico, un mio compagno di lavoro. Cioè, ora si sta un po' allontanando dalla serie... infatti era a casa perché era venuto a salutarmi, torna per un po' in California. Viene di là.» concluse la risposta con una alzata di spalle, tanto per conferire della nonchalance forzata al discorso.
«Ma è il Mike che ti chiama così spesso?» s'informò la madre con un grande sorriso.
«Bé, ci sentiamo spesso... ma mi sento spesso anche con Nina e Sarah.» rispose Candice, cercando di cambiare oggetto di quel discorso di famiglia. Non che le dispiacesse parlare di Michael, ma percepiva che quella discussione aveva le sembianze di una non molto tranquilla che avrebbe potuto riguardare la sua vita sentimentale.
«Mh, vedi, Carolyn! Come Nina e Sarah. A proposito, come sta Kostantinova? È da tanto che non viene a trovarci!»
Ringraziava sempre il tempismo di suo padre. «Aveva da fare, ma penso che presto ritornerà a passare un week-end qua... Ma non chiamarla Kostantinova, ti prego. A voi come è andata la settimana?»
«Il signor Joff ha avuto il suo nuovo cuore e ho salvato un ventenne che aveva avuto un infarto. Malattia congenita, ovviamente. La tua?»
«Ci sono anche io, Kevin!» intervenne la madre, alzando gli occhi al cielo: «Tutto bene. I voti di Tyler non sono ottimi, ma sta recuperando in matematica. E a te?»
«Le riprese sono quelle, nulla di entusiasmante o particolarmente importante... ma il pancake a quanti piani?»
Perché se erano più di tre si preparava psicologicamente ad ottemperare a tutti i suoi desideri di gola.
Adorava assolutamente tornare a casa.
 
Il borsone ed il trolley erano pronti dal pomeriggio prima, quando si era deciso ad andare sul set per salutare tutti, ma soprattutto Candice: doveva solo salire sull'aereo, ora che si trovava lì.
Qualche ora e “sarebbe passata la paura”, come diceva sua madre. Sorrise tra sé e sé, e non appena aprirono il Gate si riversò nel corridoio per arrivare subito e prendere il suo posto: non avrebbe rinunciato a farsi qualche oretta si sonno.
Dopotutto, quei sedili erano così comodi ed invitanti, ed aveva un debole per le dormite in viaggio...
Venne svegliato dal trambusto degli altri passeggeri che scendevano e da un'hostess che probabilmente stava cercando di ridestarlo da parecchi minuti.
«Buongiorno! Anzi, notte.»
Doveva essere all'incirca mezzanotte, ed aveva sonno. Forse il mugugno con il quale aveva risposto alla ragazza che faceva solo il suo lavoro non era stato propriamente educato. Ma poco gli importava, aveva solo bisogno del caldo letto casalingo.
Caldo ed accogliente, le coperte in patchwork e le calze di lana di quando era piccolo, che gli aveva cucito a mano sua nonna...
«Michael! Michael Antony!»
E aveva una voglia matta di cioccolato al peperoncino. Chissà se stava ancora sul comodino, come l'ultima volta che era tornato a casa...
«Miguel! TREVINO!»
Il ragazzo saltò su, rendendosi conto del fatto che, tra la folla, l'unica persona a non rendersi conto di esser chiamato era proprio lui, il diretto interessato. Si voltò verso la voce che lo chiamava ed individuò una donna tarchiata e grassottella, con i capelli castani ondulati e la carnagione più scura del normale: «Mamma!»
«Mi hai riconosciuta, eh! Vamos, prima che si fredda il cibo. Muoviti, papà ci aspetta a tavola!»
«Ma è mezzanotte! Ho sonno!» ribatté Michael con una cadenza lamentosa.
«A-ha mi amor, potevi prendere l'aereo di prima!»
«Mamma, non funziona così, c'era questo volo a quest'ora, disponibile!» rispose lui, alzando gli occhi al cielo.
«Non trattare così tua madre, sai? Li ho visti quegli occhi furbetti, e prendono in giro tutte le ragazze tranne la più importante e quella che ti conosce meglio, la mamma. Sali in macchina,muchacho.» la donna salì su una vecchia Ford e fece accomodare il figlio alla sua destra.
Avrebbe volentieri aggiunto quello che gli era saltato alla mente, ossia che nemmeno Candice si faceva prendere in giro dal suo sguardo, ma forse era meglio evitare. Le mamme gelose dei propri figli maschi sono le peggiori, soprattutto se le si paragona poi ad altre donne.
«Quando ti farai comprare un'auto da me, mamma?»
«Quando non avrò più soldi per mandare avanti la baracca, mi amor. La macchina è questa e rimane questa finché non smette di funzionare. E ora allacciati le cinture, fringuello.»
Si sentiva trattato davvero come un bambino, quando tornava a casa.
«Come mai sei così stanco! Lo sai che ogni volta che torni prepariamo cibo in quantità...»
«Ieri sono uscito...»
«Jenna è venuta a trovarti lì?»
Michael sussultò: «Jenna?! No, è qui. E poi non è detto che debba per forza uscire solo con la mia ragazza, ci sono anche gli amici!»
«Era la Bianca?»
«Bianca? Non conosco nessuna Bianca... Vorrai dire Candice.»
«Sì, la biondina tutto pepe con cui lavori, quella che sembra uscita da un cartone di pizza di Miguelito...» Michael scoppiò a ridere: la madre stava paragonando l'amica ad una pizza ai peperoni.
«Sì, è Candice. Mi sono visto con lei, l'ho salutata perché penso non ci vedremo per un po'.»
«Ah, le magicherie di oggi compiono miracoli! Se non vi vedete dal vivo, c'è quella macchinetta che ti porti sempre appresso e a cui hai fatto convertire anche papà!»
«I cellulari esistono da parecchio, mamma... e poi è stata Anna a farlo convertire, non io. Io l'ho solo accompagnato a comprarne uno nuovo!» si difese lui, contento che il discorso Candice –o peggio ancora, quello che riguardava sia l'amica che la ragazza con la quale si stava vedendo, Jenna– fosse stato evitato.
«Todos bien, todos bien. Come mai non sei tornato a casa, ciquito?»
Oddio, iniziava ad informarsi. «Tornato a casa?... A cosa ti riferisci?»
«Ieri sera a casa tua non rispondeva nessuno! Ti ho chiamato venti volte! Stavi per caso dormendo, una siesta di quelle che non ti svegliano neanche le palle di cannone?!»
«Ehm, sì. Probabilmente è così.» Meglio che non sapesse che la sua “siesta” non era propriamente a casa sua.

Adorava casa sua. Adorava il sole texano e adorava la sua cameretta.
Era troppo rosa per i suoi gusti, e sicuramente la rappresentava caratterialmente di più quella di Atlanta, ma non poteva che adorare la cameretta della sua infanzia e adolescenza: non le era mancato niente, lì.
Forse era anche stata un po' troppo viziata dal suo papà, coccolata e fatta sentire come se fosse l'unica principessa agli occhi dell'uomo buono che salvava le vite umane.
Sì girò e rigirò nel letto, sospirando tranquilla.
Quanto adorava stare stesa senza far nulla... quel giorno sarebbe andata a pescare con il papà, prima di pranzare e tornare ad Atlanta. Una giornata in famiglia, ed un ritorno alla vita di tutti i giorni.
Senza Mike, però.
Storse il naso, sentendo che il telefono vibrava sul comodino: Chi diavolo era a quell'ora? Chiunque la conosceva sapeva che le nove di mattina, quando era a casa sua, erano ancora un orario off-limits.
Guardò lo schermo dell' I-phone, vedendovi comparire sopra una foto di lei e Michael che si facevano vicendevolmente la linguaccia, e rispose immediatamente: «Pronto? Che ci fai sveglio a quest'ora?»
«Procione, ma ben svegliata! Che io sia sveglio alle sette non è una novità, ma che tu non mi abbia maledetto alle nove... caspita! Fai progressi!»
«Solo perché ero impegnata a fantasticare sulla giornata che mi aspetta!» rispose lei, con fare superiore.
«Immagino! Cosa ha in serbo per la cocca di papà il signor Accola?»
«E cosa ha preparato Mamma Trevino per il suo ciquito?» ribatté lei, alzando un sopracciglio «Cena troppo pesante che ti ha fatto dormire poco?»
«Effettivamente le spezie erano tante. Dovrei fartela provare, un giorno, la sua cucina. Anche se non fa piatti messicani, il peperoncino abbonda. Sempre.»
«Oddio, Nina non resisterebbe.» ridacchiò Candice, con una mano davanti alla bocca.
«Lo so!» esclamò ridendo Michael «Che fai?»
«Mi giro e rigiro nel letto, ripensando ai tanti momenti passati qui a crogiolarmi per le insormontabili pene adolescenziali, tu?»
«Porto a spasso Bentley. U-hu, drammi adolescenziali? Di che tipo?»
«Bentley? Mi sa di cortisone. I problemi stupidi come i brufoli e chi portare al ballo di fine anno, Trevino. Non te li ricordi più?»
«È un terrier che abbiamo trovato nel vicinato. No, procione, tu sei più fresca di scuola di me, mi dispiace!»
«Come se due anni fossero la fine del mondo!»
«Procione, ti sei messa nella fossa da sola! Dio, Bentley! Quanto diavolo puzzano le tue—
«Ciquitito! Non dire certe cose al telefono!» la voce prorompente della signora Trevino irruppe nelle orecchie di entrambi, anche di quelle di Candice, che si trovava dall'altra parte degli Stati Uniti.
Candice scoppiò a ridere, dovendosi alzare e piegarsi a metà per evitare di finire soffocata dalle sue stesse risate: «Hai finito?!» esclamò Michael, sbuffando.
«Ciquitito! Basta, d'ora in poi ti chiamerò così, muchacho!»
Il ragazzo rise: «La tua pronuncia spagnola è impeccabile, senorita!»
«Nooooo ti prego! Parla ancora spagnolo!»
Michael iniziò a pronunciare una serie di frasi in spagnolo, che ricordava come una filastrocca che gli aveva insegnato la mamma quando era piccolo.
«Oddio! Parli benissimo, è stupendo da sentire!» Candice lanciò un urletto, ricominciando poi a ridacchiare: la mamma irruppe in camera, informandola che la colazione l'aspettava di sotto.
«Salutami Michael!»
«Sì! Miguel, tanti saluti dalla mamma!» la signora Accola strabuzzò gli occhi non appena sentì come l'aveva chiamato.
«Ma che Miguel! Ti prego non chiamarmi così!» esclamò lui, contrariato.
«Mi sta dicendo cose in spagnolo! È bravissimo!»
«Eh, bé, è la sua lingua. Su', muoviti piccola, i pancake ti aspettano!» la madre prese alcune cose dalla camera e ritornò giù.
«La tua grande colazione è pronta?»
«Sì, ieri mi ha dato un pancake alla marmellata alto cinque piani. E oggi è con il cioccolato! Dio, potrei morire.»
Il ragazzo sorrise in uno sbuffo: «Sei peggio di me. Quando ci rivediamo ti porto un po' di cioccolatini che fa mia mamma, con le spezie.»
«Okay! Buona colazione, ciquitito!» esitò sull'ultima parola da pronunciare, ma non appena sentì la risata ed il saluto dell'amico si tranquillizzò. Poté così scendere alla sua mirabolante colazione e dedicarsi alla sua giornata in famiglia.

Aveva ricevuto il messaggio di Candice che lo informava che aveva preso l'aereo e stava spegnendo il cellulare... ma erano le nove, gli dava un po' fastidio che dovesse tornare a casa sola alle undici e mezzo, o peggio ancora mezzanotte.
L'avrebbe avvisato non appena arrivava a casa, se l'era fatto promettere con l'ultimo messaggio che le aveva strappato.
Era apprensivo quando si trattava di lasciarla andare in giro per le città grandi da sola, era solo un procione esile, poteva incappare in qualsiasi pericolo.
Era arrivato sotto casa di Jenna in moto, quella che aveva quando era più piccolo. Sperava che lei avesse un casco, perché lui non ne aveva uno in più.
Le mandò un messaggio per avvisarla, e dopo poco la ragazza fu fuori: lo salutò con un veloce bacio sulle labbra e gli chiese cosa avrebbero fatto.
«Non lo so... Cinema e cena?»
«Cena e basta, domani lavoro, io!» aveva risposto la ragazza dai lineamenti orientali, infilandosi il caschetto che aveva portato da casa e salendo sul veicolo.
Michael posò nuovamente sulla testa il suo casco e mise in moto, pensando ad un posto dove portare la sua bella.
  
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