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Autore: CatharticMoment    12/10/2011    4 recensioni
Tom arrivò ad un palmo dal suo naso.
Costringendola ad abbassare lo sguardo per non sostenere i suoi occhi imbestialiti e minacciosi, non sembrava lui quella sera.
- Tu, non osare mai più avvicinarti a lei. Lasciala perdere. Se ha qualche problema lo so prima di te, perciò limitati a farle capire i numeri o quelle cazzate che fai tu, e per il resto pensa alla tua di famiglia ok? -
Lis sentì il suo cuore spezzarsi in mille pezzi, e per altrettanti mille motivi diversi.
Si limitò ad annuire sconvolta e a tirare su col naso.
La prese malamente per un braccio dirigendola verso la sua auto.
- Adesso vattene. – ringhiò carico di disprezzo
Lei non oppose resistenza e non spiccicò parola mentre Tom la trascinava via.
Era troppo impegnata a controllare il suo dolore e la sua rabbia.
- Non ti voglio più vedere da queste parti. Non ti voglio vedere più – disse fissandola negli occhi.
Lis non si era mai sentita così schifata e disprezzata da qualcuno.
Genere: Angst, Azione, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Sorpresa, Un po' tutti
Note: Lemon, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Note iniziali:
Bene... da qui iniziano a capirsi un po' di più alcune dinamiche e, parte della storia, della famiglia Kaulitz. 
Vengono pian piano inseriti anche nuovi e determinanti personaggi, quindi non prendete niente sottogamba :D
Che altro dire?
Ah, si.
Mi raccomando commentante... a me fa piacere sapere cosa ne pensate, cosa vi piace oppure no,  e parlare con voi! 
Anche perché non aggiorno più! ù.ù
:P
Bacio











SECONDO CAPITOLO


 




 

E' cosi difficile dimenticare il dolore, ma è ancora più difficile ricordare la dolcezza.
Non abbiamo cicatrici per mostrare la felicità.
Impariamo cosi poco dalla pace.

C. Palahniuk











 
- Posso sapere perché diamine non te ne vai al tuo bagno? – chiese Bill isterico a suo fratello, che se ne stava bello e beato davanti allo specchio.
- Perché il tuo specchio è più grande - rispose atono quello, fissando la sua immagine riflessa e sistemandosi i suoi lunghi cornrows sulle spalle.
- Sono identici. - lo fulminò Bill con le braccia conserte.
- Allora non lo so - scrollò così le spalle lasciando il posto a suo fratello.
Il moro si piazzò al centro bagno, proprio dove poco prima c’era Tom.
Con estrema minuzia si tolse con la punta del dito un filo di polvere nera, che doveva essergli sfuggita mentre si stendeva l’ombretto.
Si lavò le mani, e scese a fare colazione.
- Buongiorno!- esclamò Gordon entrando in cucina.
- Buongiorno papà- gli rispose Becca posando la borsa sul tavolo.
- Non fai colazione? - le chiese l’uomo addentando una brioche.
- No… la faccio più tardi - rispose vaga.
- Che vuol dire che la fai più tardi? - chiese a bocca aperta lasciando intravedere la poltiglia che stava, poco delicatamente, masticando.
In quel momento entrò Tom passando davanti a suo padre, afferrando anche lui un cornetto ancora caldo del microonde.
Lo divorò in due bocconi, che ingurgitò insieme in bocca.
- Sai che potresti strozzarti facendo così? - chiese perplessa Becca.
- Ho fame - di giustificò il ragazzo che ancora masticava, allargando le braccia - Tu no? -
- Lei fa colazione più tardi.. - ammiccò suo padre al ragazzo dandogli strane occhiate.
- Ah beh.. - concluse Tom non avendoci comunque capito niente.
- Allora io vado.. Ci vediamo dopo! –
Becca fece per uscire di casa quando Bill la chiamò da in cima alle scale.
- Becca, ma non vieni con me? -
- No Bill.. Preferisco prendere l’auto sta mattina. – rispose vaga.
- Va bene.. – si limitò a dire prima di sparire.
- Tu sei pronto ad andare? - chiese Gordon al figlio.
- Si –
Così due si diressero verso l’auto dell’uomo per andare a lavoro.
Ci andavano insieme, con una sola auto, in fin dei conti lavoravano nello stesso edificio.
Al ragazzo piaceva passare del tempo con suo padre, e di certo non era uno di quelli  che si vergognavano del loro vecchio, e lo deridevano insieme agli amici.
Lui ne andava fiero, e si vantava di avere un genitore in gamba come il suo, ed in cuor suo sperava di somigliarli almeno un poco.
E’ grazie a lui che Tom coltivò la passione per la musica, per la chitarra.
E gli aveva trasmesso anche l’abilità di sapersi destreggiare bene con qualsiasi tipo di strumento.
Gordon anche amava profondamente la musica, amava ascoltarla, cantarla, parlarne, e soprattutto amava insegnarla, ecco perché aprì la sua scuola.
La Kaulitz’s Accademy.
Inizialmente il suo era un progetto semplice e essenziale, nessuna pretesa ardita.
Un paio di aule insonorizzate, qualche amplificatore ed il gioco era fatto.
Solo che l’uomo non aveva fatto i conti con la sua bravura e con la sua modestia, e ben presto si rese conto di doversi ingrandire.
Così, in vent’anni la sua piccola scuola di cento metri quadri, si trasformò in una vera e propria accademia di musica, nella quale non poteva più presentarsi con jeans strappati e maglia dei Led Zeppelin, ma rigorosamente in giacca e cravatta.
La scuola era situata su quattro piani, un edificio imponente e colorato.
Tom ammirava immensamente Gordon; perché aveva realizzato il suo sogno, e non aveva smesso di essere il rockettaro sognatore che era da giovane.
Infatti aveva mantenuto il suo gruppo con cui suonava fin da quando era giovane, qualche sera usciva, si ubriacava, ed usciva anche con qualche donna, perché no.
In fin dei conti la loro madre li aveva abbandonati da anni ormai, e lui ne aveva sofferto fin troppo.
Ma Simone non lo aveva lasciato solo, ma bensì con tre figli piccoli, senza i quali si sarebbe certamente suicidato.
Infatti, crebbero tutti come quattro fratelli, piuttosto che come genitore e figli.
E forse era proprio per questo che avevano un rapporto davvero speciale.
Era difficile ormai stabilire i ruoli all’interno della loro famiglia.
 
 
 
 

Quando Bill scese le scale di casa in fretta e in furia si rese conto che gli altri se n’erano belli che andati.
Così prese la sua tazza di caffè, freddo ormai, e bevendola se la portò in auto.
Quella ormai era diventata un abitudine per lui, bere caffè mentre guidava, e gli piaceva.
Certo, non erano mancate volte in cui le persone nel traffico, o al semaforo, le persone nelle auto accanto alla sua lo guardavano incuriositi, ma lui era fatto così. 
Si diresse verso lo studio d’arte presso il quale lavorava, e stava conseguendo il suo  apprendistato.
Era un’artista, dipingeva stupendamente, riusciva a catturare con l’occhio le immagini, o semplicemente quello che aveva in mente, e riusciva a dipingere in maniera sublime. Dopo il diploma all’istituto d’arte, Gordon lo incoraggiò a coltivare in maniera più produttiva questo suo talento. Tant’è che l’uomo smosse molte delle sue conoscenze per riuscire a far entrare suo figlio alla scuola d’arte di Berlino.
Il moro accettò l’aiuto di suo padre, consapevoli entrambi del fatto che se entrare fosse difficile, restare era pressoché impossibile.
E in questo caso Bill tirò fuori tutta la sua passione ed il suo talento.
Non demorse mai, e si che di difficoltà e di professori ostili ne aveva incontrati, ma lui si fece sempre forte dietro alla sua indiscussa bravura, e tutti si piegavano di fronte alle sue estrose opere d’arti.
Adesso aveva anche trovato questo lavoro, che si, lo stava impegnando parecchio, ma stava imparando molto.
Canticchiando scese dalla macchina, guardò l’ora e sorrise soddisfatto per essere perfettamente in orario.
Non appena svoltò l’angolo capì subito che c’era qualcosa che non andava: la porta dello studio era semiaperta, le luci spente, e la vetrina ancora da accendere.
Avvicinandosi lentamente, come prima cosa pensò che la sera prima, uscendo di fretta si era dimenticato di chiudere bene ed avevano saccheggiato il negozio. Un brivido di terrore scosse il suo cuore, e poi realizzò che il giorno prima il negozio era chiuso per riposo settimanale, e quindi si tranquillizzò.
Fece capolino con la testa, mentre con la mano prese immediatamente il cellulare, e lanciando una rapida occhiata all’interno capì che non c’erano i ladri.
Ma la sua datrice di lavoro in piena crisi di pianto.
Il che era molto peggio.
 
 
 



 
Becca quella mattina rifiutò il passaggio da suo fratello, e prese l’auto con i suoi compagni di classe.
Ci andava tendenzialmente d’accordo, ma sapeva di essere troppo timida e strana, quindi non li lasciava avvicinare molto, anche se suscitava in loro un certo interesse.
Appena si trovò davanti alla porta del bar, trasse un lungo sospiro ed entrò.
Si guardò intorno con aria interrogativa e preoccupata, c’erano molti ragazzi più grandi, compagni di classe, ragazzi, ragazze e amici, che si salutavano e si abbracciano come se si conoscessero da secoli.
Osservandoli la ragazza si chiese se anche lei, con il passare di quegli anni, si sarebbe legata a quegli sconosciuti che aveva in classe, o se sarebbero diventati amici.
Erano piccoli gruppi di persone che ridevano o rileggevano qualcosa su un libro insieme, e pensò anche che forse anche per lei era giunto il momento di farsi un’amica.
Si avvicinò al bancone, scrutò bene ogni singola persona che gli capitasse davanti, quando qualcuno le posò una mano sulla spalla.





  
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