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Autore: Lhoss    12/10/2011    60 recensioni
Scena notturna strappata alle atmosfere della long-fic "Gargoyle - Beneath the Stone": Malfoy durante la notte che potrebbe cambiare il suo cuore, o pietrificarlo.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Altro contesto
- Questa storia fa parte della serie 'Gargoyle' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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ATTENZIONE! Questa one-shot é legata alla long-fic Draco/Hermione Gargoyle - Beneath the Stone: la comprensione della one-shot, delle circostanze e dei personaggi, é inscindibile dalla lettura della storia da cui dipende. E, per altro, vi rovinereste le sorprese della long-fic a leggere prima questa. Lettori avvisati...


Miei carissimi lettori,
come promesso torno a EFP, almeno per il momento, con una one-shot legata a Gargoyle - Beneath the Stone.
Devo ammettere che é stato un po' difficile riprendere personaggi della mia long-fic, se non altro perché in qualche modo avevo già metabolizzato il distacco e ho dovuto recuperare atmosfere che avevo già salutato per altri lidi. Non di meno é stato bello tornare a una storia che mi ha dato ottime opportunità di dialogo dentro e fuori da questo sito e spero che questa one-shot sia anche un modo per ringraziare tutti coloro che hanno letto e recensito Gargoyle nel corso di ormai più di un anno dalla pubblicazione del suo Prologo.
Buona lettura a tutti!

Come sempre vi ricordo che potete trovare informazioni e notizie su Gargoyle a questa pagina FB.









***
GARGOYLE – TURNING TO STONE
 
UNDER MY LEFT RIBS(1)
 
 
 
It is as if I had a string somewhere under my left ribs,
tightly and inextricably knotted to a similar string
situated in the corresponding quarter of your little frame.
And if that boisterous Channel,
and two hundred miles or so of land,
come broad between us,
I am afraid that cord of communion will be snapped;
and then I've a nervous notion
I should take to bleeding inwardly(2).
 
(C. Brönte, Jane Eyre, Ch. 23)
 
 
 
 
Il riverbero della candela disegnava spaventose creature d’ombra fra le pieghe del baldacchino.
Un leggero tremolio d’aria e la fiamma animava quei mostri, come mute di serpi che scorrevano sulla stoffa pesante e sembravano potersi insinuare sotto le lenzuola da un momento all’altro. La ragazza affondò fra le coperte e serrò per un momento le palpebre, per scacciare quelle spiacevoli visioni. Sentiva la propria testa leggera, leggera tanto da poter scoppiare da un momento all’altro come una bolla di sapone: forse aveva bevuto un bicchiere di vino elfico di troppo durante la cena e quello ora nutriva la sua immaginazione altrimenti assai poco fervida. Poteva ancora sentire il retrogusto del vino contro il palato, mescolato a quello del dolce nuziale.
Quando Bathilda riaprì gli occhi, spiando la vasta stanza da dietro l’esigua difesa delle coperte tirate fino al naso, scoprì di essere ancora sola.
Non aveva osato, naturalmente, abbandonare la camera. Il solo pensiero di poterne uscire per cercare suo marito non l’aveva sfiorata: tutto ciò che sapeva di quella notte, della sua prima notte di nozze, era quanto le aveva detto sua madre. E quel che non era stato previsto dalla signora Nott era incomprensibile per Bathilda, tanto incomprensibile da renderla impotente.
 
La signora Nott aveva istruito la figlia, come sua consuetudine, con grande parsimonia.
Aveva ritenuto assolutamente inutile fornirle troppe informazioni.
Da una parte Eudora conosceva abbastanza bene il sangue del proprio sangue da sapere che quella mente semplice sarebbe stata più confusa che illuminata da ulteriori spiegazioni.
D’altro canto, la signora Nott credeva fermamente che soltanto pochi eletti – tali per nascita e per acume – dovessero aspirare alla conoscenza; per gli altri l’ignoranza era la migliore virtù da accompagnarsi a un animo docile.
Così Bathilda Nott era arrivata al proprio matrimonio con Phineas Malfoy senza conoscere molto dei rapporti che intercorrono fra un uomo e una donna, dentro come fuori dalla camera da letto.
Aveva trascorso la maggior parte dell’infanzia e della giovinezza nei possedimenti di campagna della sua famiglia, con la sola compagnia di un padre affettuoso ma inerme, di una madre autoritaria e di un fratello che ne era il solo degno erede. Non aveva mai raggiunto Hogwarts, perché Eudora aveva ritenuto più conveniente per lei studiare fra le mura di casa, dove le doti magiche della fanciulla erano state modellate per farne un buon partito e non una strega indipendente.
Che poteva sapere degli esseri umani, Bathilda Nott?
Non erano che due le lezioni che aveva potuto assorbire in un ambiente come la dimora dei Nott.
La prima era che il forte domina il debole.
La seconda era che lei, Bathilda, era il debole.
 
Quando l’ultimo degli invitati sarà stato congedato, ritirati nella vostra stanza nuziale.
Aspetta lì tuo marito.
Ma suo marito non veniva e Bathilda cominciava a chiedersi se non avesse commesso qualche errore.
Non ne sarebbe stata sorpresa: commetteva continuamente errori – era un formicolio costante che le correva sulla nuca, le incendiava le guance, le rendeva molli le ginocchia ogni volta che lo sguardo di sua madre si posava su di lei. Sapeva di essere lenta e goffa, perché Theo la rimproverava spesso in merito.
Tentava di correggersi, con tutte le proprie forze, perché desiderava...cosa desiderava?
A volte cercava di concentrarsi, ma il pensiero subito le sfuggiva, come se i suoi desideri fossero un abisso troppo profondo per poterlo esplorare senza rischiare di esserne perduta. Si limitava allora a cogliere certe vaghe suggestioni, come mormorii di lingue sconosciute, che per un momento l’animavano e la rendevano inquieta, prima che fosse rigettata nel fluire quieto e sommesso della sua vita domestica.
C’era stato un attimo, durante la cena, in cui Bathilda si era sentita avvampare di una volontà sconosciuta.
Suo marito, con il calice sospeso a mezz’aria per un brindisi incoraggiato da Theophilus, l’aveva guardata in una strana maniera, nello scoppiettio di scintille delle bacchette che i maghi e le streghe avevano levato sopra le teste degli sposi. Nel palpito argenteo dei filamenti che scaturivano dalle bacchette, Phineas le era apparso così bello da sentirsene addolorata – e poco importava se ogni strega riteneva che suo fratello Theo fosse molto più avvenente.
Bathilda si era sentita gelare e poi infuocare e aveva sperato che ogni voce potesse tacere per lasciarla a contemplare l’incantevole espressione che era scomparsa sul volto di suo marito. Ma si era dileguata, prima ancora che potesse comprenderla, prima che potesse persino capire se era bene o male – se non dovesse distogliere lo sguardo prima d’esserne ferita.
Un battito di ciglia e gli occhi di Phineas erano tornati distanti: Bathilda, in una rara quanto crudele intuizione, aveva compreso di non essere ciò che suo marito desiderava guardare.
 
- Non stai dormendo.
Bathilda quasi schizzò fuori dalle coperte per lo spavento.
Non si era accorta che lo sposo era arrivato. Lo vide chiudere delicatamente la porta dietro di sé, prima di avanzare nella stanza con una lentezza che lo faceva apparire spossato. Quando Phineas si avvicinò alla sola candela rimasta accesa nella stanza, Bathilda notò ancora una volta quanto pallido e smunto apparisse il giovane Lord.
Un attimo dopo sentì il vasto letto vibrare leggermente all’accomodarsi del ragazzo. Seduto sul bordo del materasso, Phineas le lanciò un’occhiata di sbieco.
Bathilda fu stupita di scoprirlo incerto. Non le era mai capitato di pensare, prima d’ora, che Phineas Shadrack Malfoy potesse apparire in qualche modo confuso sul da farsi.
Questa rivelazione della sua debolezza la spaventò più della lunga attesa. Temette d’essere la causa di quell’incertezza, di avere in qualche modo corrotto l’autorità del proprio sposo prima ancora di vedere l’alba della loro vita matrimoniale.
Forse era necessario dirgli qualcosa. Gli doveva una risposta? C’erano parole che una moglie avrebbe dovuto offrire in dono allo sposo, nella prima notte di nozze? Bathilda non le conosceva e sentì il panico invaderle le vene.
Per fortuna il giovane mago parve risolvere da sé ogni dubbio. Senza aprire bocca si chinò per sfilarsi gli stivali. Bathilda, rincuorata dalla banalità dei gesti di Phineas, osò sollevarsi un poco e spiarlo mentre sfilava i bottoni d’argento dalle asole e si liberava dell’elegante veste da mago. In maniche di camicia, tornò ad osservarla.
- Ti sei spogliata? – le chiese, in quel tono piatto ma invariabilmente cortese che le usava ormai da qualche anno.
Le prime volte che si erano incontrati, quando non erano che adolescenti e lui frequentava il terzo anno ad Hogwarts, Phineas aveva il tono beffardo che aveva imparato a conoscere con Theo.
Con il tempo, forse perché Bathilda era divenuta la sua promessa sposa, la voce di Malfoy si era fatta più controllata, neutra: non le procurava alcun male.
Bathilda annuì. Aveva la bocca arida e non era sicura di poter parlare.
D’altra parte lui non sembrava voler intavolare alcuna conversazione. La ragazza ne era contenta: non era mai particolarmente brava quando si trattava di conversare. Si confondeva facilmente, incespicava sulle parole e presto dalle sue labbra sfuggiva qualche sproposito che accendeva d’ira gli occhi di Eudora.
Che sua madre non fosse nella stanza avrebbe dovuto confortarla, ma non era certa di non poter vedere lo stesso, terribile, lampo di disapprovazione nello sguardo di Phineas. E aveva l’impressione di poterne soffrire più profondamente, se mai fosse accaduto.
Così rimase zitta, rimase zitta persino quando la bella mano del Lord – bianca, elegante – si chiuse sull’orlo delle coperte e prese a scostarle. Bathilda non oppose resistenza. Come sentì la stoffa sfuggirle dalle mani, le schiuse e non tentò di trattenere le coperte su di sé.
Non sapeva perché fosse necessario rinunciare al piacevole tepore delle coperte, ma si fidava di Phineas.
Lui sapeva certamente cosa fare e lei non doveva far altro che affidarsi alla sua guida per essere certa di non sbagliare. Era questo che le era stato insegnato: affidati a tuo marito.
Certo sarebbe stato più semplice se suo marito le avesse dato qualche ordine o suggerimento. Invece sembrava poter sprofondare da un momento all’altro nell’immobilità. E, in quella paralisi, Bathilda si sentiva attanagliata dai timori.
Phineas era leggermente proteso sopra di lei. L’osservava – per meglio dire, osservava la sua camicia da notte, bianca e lunga fino alle caviglie. Una delle sue mani era posata poco distante dai suoi capelli, che aveva sciolto per la notte.
Non mi ha ancora toccata.
Il pensiero, rapidissimo, esplose nella mente di Bathilda: arrossì, mentre qualcosa in lei – qualcosa privo di volto ma dotato di una voce suadente – le suggeriva che Phineas avrebbe potuto, dovuto toccarla. Il colore delle sue guance dovette attirare lo sguardo del Lord, perché alzò gli occhi sul suo viso.
- Non devi preoccuparti di nulla, Bathilda.
Non si era aspettata parole tanto gentili.
Senza conoscerne fino in fondo il motivo, la ragazza sentì gli occhi pizzicare. Pensò di potersi mettere a piangere, ma l’espressione di Malfoy seccò le sue lacrime: una volta ancora il volto del giovane si era fatto di pietra, così altero e distante che lei quasi non osava respirare in sua presenza.
Vide le sue dita graffiare le lenzuola e il suo corpo farsi tanto immobile da spaventarla.
Poi, seppure con lentezza, Phineas parve tornare in quella stanza. Si mosse di nuovo e Bathilda, prima di poter realizzare cosa stava accadendo, lo ritrovò sopra di sé. Il Lord si teneva sollevato quanto bastava a non schiacciarla contro il letto, ma non di meno il peso del suo corpo mozzò il fiato della ragazza.
D’istinto puntò le mani al suo torace e subito Phineas si ritrasse un poco, ma non abbastanza da lasciarla libera. Inclinò il capo e la scrutò con più attenzione. Nella penombra, gli occhi grigi del ragazzo sembravano più scuri, fitti di una tenebra impenetrabile.
Spostando il peso del proprio corpo su un fianco, Phineas poté muovere la mano destra sulla spalla della giovane sposa. Ne scese lentamente, avvicinandosi ai nastri di seta che serravano la camicia da notte.  
 
Bathilda era ancora troppo preoccupata per riuscire davvero a riflettere su quanto stava accadendo.
Non ricordava di essere mai stata tanto vicina ad un altro essere umano, almeno dal giorno in cui sua madre aveva deciso che non avrebbe più avuto alcun bisogno di una balia. E ora, d’improvviso, suo marito non solo le era vicino, ma l’intero suo corpo schiacciava il suo: era una sensazione completamente nuova e il corpo di Bathilda reagiva prima ancora che la mente potesse trovare uno spiraglio nella matassa di percezioni.
La ragazza aveva l’impressione che il tempo stesse scorrendo molto più lentamente. Ogni respiro che aveva sulle labbra era fuoco e la sua pelle era percorsa da piccoli brividi, non diversi da quelli che le suscitavano certe note sul piano, quando sua madre le permetteva di suonare.
Per questo, dopo il primo spavento, Bathilda scoprì che, qualsiasi cosa stesse succedendo, era piacevole.
Ed era bizzarro: Malfoy tanto silenzioso, il suo sguardo sempre pronto a sfuggire su particolari della minima importanza – una piega del cuscino, uno dei nastri che stava sciogliendo, il palmo della sua mano. E poi il corpo di Malfoy, che a volte sembrava potersi abbandonare su di lei col peso mortale di una pietra, ma sempre tornava vivo, gentile, per incendiarla d’un calore di cui presto la derubava.
E ora? si chiedeva, ogni volta che Phineas si bloccava, ogni volta che un gesto rimaneva inconcluso. Le sembrava di intuire un percorso, uno scopo, ma non osava anticiparlo né aiutarlo, temendo di sbagliare.
Lui, d’altra parte, non stava cercando la sua partecipazione.
Anzi, in qualche modo la sua passività sembrava essere l’unica ragione per continuare. Come Bathilda abbozzava un gesto, fosse anche una reazione incosciente, Phineas si faceva immobile. Riprendeva soltanto quando la ragazza sprofondava di nuovo nell’attesa, quieta e pallida nel grande letto matrimoniale.  
Sembrava...sì, sembrava un ladro che teme d’essere scoperto da un momento all’altro.
L’idea colpì Bathilda come uno schiaffo. Desiderava – oh, lo desiderava con tutto il cuore! – abbandonarsi alla saggezza di suo marito. Però quel suo comportamento, così lontano dalla sicurezza beffarda di cui si era ammantato per anni ai suoi occhi, suscitava in lei emozioni contrastanti.
D’un lato lo accendeva di una bellezza che Bathilda non sapeva spiegarsi e che non avrebbe saputo descrivere a voce alta. Nessuno le aveva insegnato parole per la bellezza. La riconosceva, però, allo stesso modo in cui avrebbe potuto riconoscere la trama preziosa e raffinata di una seta indiana, lasciandosela scorrere fra le dita.
E Phineas, suo marito Phineas, non era mai stato tanto bello, lo sapeva senza avere bisogno di capirlo.   
Allo stesso modo quella bellezza e quel comportamento la spaventavano, perché non erano ciò che di Phineas aveva conosciuto fino a quel momento. Il nuovo, per i Nott, non era mai foriero di felicità.
Bathilda aveva sviluppato con grande perizia la capacità di respingere tutto ciò che appariva differente: come una nota stonata andava corretta, come un punto di ricamo doveva essere rifatto, così ogni deviazione doveva trovare correzione. Ciò che non poteva essere corretto doveva essere fuggito, o dimenticato.
 
Phineas stava sbagliando.
Perché, altrimenti, avrebbe dovuto comportarsi in quella maniera tanto sospetta, dove la cautela si confondeva con l’incertezza?
Le mani del giovane Lord non erano ferme: Bathilda sentiva le sue dita tremare contro il proprio torace. Non era lo stesso tremore che invadeva le sue mani, quando dimenticava ciò che le era stato ordinato da sua madre o da Theo? E sulla fronte di Phineas non c’era lo stesso sudore gelido che l’attanagliava se Eudora le ricordava quanto scioccamente si fosse comportata?
Ormai Phineas aveva sciolto ogni nastro. Bathilda sentì la stoffa della camicia da notte prendere a scivolare e realizzò che presto gli occhi grigi del giovane si sarebbero posati sul suo seno. Sapeva – aveva spiato talvolta Theophilus in qualche occasione pubblica – che gli uomini traggono piacere dallo spiare il seno di una donna, ma sapeva anche che solo un certo genere di donne consente loro un simile, peccaminoso, piacere.
Senza riflettere ancora, Bathilda serrò le dita sui lembi della camicia da notte, inchiodandoli al proprio seno.
Fu come se gli avesse appena assestato una frustata.
Phineas sollevò d’un colpo il busto e, forse per la prima volta da quando era scivolato su di lei, la guardò in viso. La gamba destra del giovane era fra quelle di Bathilda. La posa le parve d’improvviso sconveniente e cercò di serrare le cosce. Ne ottenne soltanto di intrappolare suo marito, che fino ad un momento prima pareva sul punto di potersi smaterializzare senza un’altra parola.
Sotto gli occhi di Phineas, il respiro della ragazza si fece più rapido. Forse era anche colpa del modo in cui la coscia di suo marito premeva tra le sue. Lo vide passarsi per un momento la mano sugli occhi. Prima che potesse comprendere quale emozione le stesse celando in quel gesto, Bathilda lo vide richiamare a sé la propria bacchetta.
- Nox.
La stanza piombò nell’oscurità.
 
Il buio non spaventò Bathilda.
La giovane sposa, al contrario, se ne sentì rassicurata: la tensione che aveva invaso il suo corpo si dileguò fra le ombre. Il suo corpo, assieme a quello di Phineas, era scomparso. Oh, poteva ancora sentire il peso delle membra del giovane, ma era una presenza indefinita, sulla quale non aveva bisogno di concentrarsi o riflettere. Non c’erano espressioni da decifrare, né gesti da spiare.
Era cieca e la cecità rendeva lieve il suo spirito.
E, per ragioni che Bathilda non desiderava conoscere, la cecità restituiva sicurezza anche a suo marito.
A un breve momento di immobilità presto seguirono gesti nuovi. Nuovi per lei, perché nessuno li aveva mai tentati sul suo corpo, ma nuovi anche per la determinazione con cui venivano eseguiti, uno dopo l’altro, con la ritmica precisione con cui l’ago trapassa la tela.
Phineas non scostò le mani che la ragazza aveva raccolto al seno. Afferrò invece l’orlo inferiore della camicia da notte e prese a sollevarlo, strattonando quanto bastava a farlo sfilare verso l’alto. Bathilda, senza chiedere nulla né ricevere istruzioni, lo aiutò goffamente, alzando ora una gamba e ora l’altra.
Fra quei movimenti, il suo corpo continuava a sfiorare quello del marito, le sue gambe premevano a quelle di lui, la sua pelle tiepida conosceva le fredde dita del ragazzo. Bathilda accettò ogni cosa di buon grado. Le era chiaro che quei contatti erano del tutto casuali: Phineas non li cercava, né li imponeva.
Non erano schiaffi, non erano dita che si chiudevano a pizzicarle le braccia. Erano brevi scontri, da cui talvolta sprizzavano scintille che sentiva formicolare sotto pelle. Ma la loro apparenza casuale, il loro essere semplici effetti collaterali di un fine ancora misterioso rassicurava la giovane.
Andrà tutto bene.
Phineas era con lei. Phineas era il marito che sua madre aveva scelto. Che Theo aveva approvato. Il marito che il suo sangue puro pretendeva, il marito che era suo per la legge dei Maghi.
 
Il marito la cui mano si trovava ora sulla coscia e quindi più su, in luoghi di cui Bathilda non conosceva il nome, luoghi che comunemente rimanevano celati e protetti da labirinti di sottogonne e crinolina.
Eppure le dita di Phineas vi si muovevano senza indugio né incertezza.
La ragazza sapeva che il Lord aveva molta più esperienza di lei, anche se non sapeva esattamente in cosa consistesse. Ne ebbe una breve intuizione quando le dita di Phineas sfiorarono qualcosa e la giovane serrò le palpebre, soltanto per vedere esplodere colori nell’oscurità.
Il fatto che il ragazzo sembrasse conoscere il suo corpo più di quanto lo conoscesse lei stessa la rassicurò. Phineas possedeva un segreto che a lei era negato, ma era ben contenta di non avere una simile responsabilità. Poteva lasciare che le dita di suo marito toccassero punti del proprio corpo la cui esistenza non aveva mai sospettato. Poteva abbandonarsi al modo in cui il proprio corpo sussultava e tremava, e al calore che risaliva lentamente dal suo grembo fino alla testa, incendiandola.
Qualsiasi cosa stesse accadendo, Bathilda Malfoy permetteva che accadesse.
Il peso di Phineas su di lei mutò, concentrandosi fra le sue cosce. Docile, la ragazza gli permise di sistemarsi meglio fra le proprie gambe. Le mani di suo marito avevano cominciato a riscaldarsi un poco, ma ancora le tracciavano brividi sulla porzione di pelle nuda fra le calze e i fianchi, dove lui aveva arrotolato la sottoveste.
 Bathilda si sentiva scottare. Aveva l’impressione di poter perdere i sensi da un momento all’altro. Colpa del vino e di un’altra mistura che sentiva tingerle l’interno delle cosce. Fu tentata di abbassarvi la mano, ma non osò e lasciò che fossero solo le dita di Phineas a...c’erano parole per quel che stava facendo? Nel buio, suo marito le stava tessendo addosso un bozzolo caldo e soffice, nel quale desiderava potersi perdere, allo stesso modo in cui il respiro sembrava voler fuggire dalle sue labbra. 
Era un lieto soffocare.
Per un breve momento le sembrò che qualcosa d’incredibile e magnifico fosse sul punto di accadere. Sentì un’urgenza, una pressione, e pensò di essere sul punto di smaterializzarsi – non le era mai stato insegnato come fare, ma non riusciva ad immaginare niente di più straordinario.
 
E invece non abbandonò il letto.
Anzi, vi si ritrovò inchiodata. Improvvisamente Phineas pesava su di lei, pesava così tanto da farle male e lasciarle desiderare di poter gridare. Ma non poteva Bathilda, perché una moglie non grida, soprattutto in presenza del consorte – non alzerai mai la voce e il tuo silenzio sarà sempre più lungo di quello di tuo marito. Bathilda si morse la lingua, si morse le labbra, e non gridò. Gridò il suo corpo, che sentiva ora lacerato, gridò ogni muscolo che si contrasse e si irrigidì all’intrusione.
La giovane sposa scoprì così che suo marito era in grado di impartire dolore, un attimo dopo aver compreso che poteva donarle piacere. La sorpresa e la sofferenza furono così acute, per i primi istanti, che non si accorse che Phineas aveva reclinato il capo contro il suo petto. Nell’ombra non riusciva a distinguere nemmeno il biondo abbacinante dei suoi capelli, ma sentì il viso di suo marito schiacciarle il seno.
Continuava a essere doloroso e il dolore era diventato un ronzio che le riempiva il cervello. Ma Phineas sembrava soffrire quanto lei, lo capiva dal modo in cui le artigliava i fianchi, lo capiva dal ritmo secco dei suoi movimenti. Il letto ne era squassato.
Così la giovane chiuse gli occhi, serrò le labbra. Attese.
Durò meno di quanto si aspettasse. D’improvviso, quasi bruscamente, Phineas si staccò da lei, lasciando dietro di sé una sensazione umida, calda, che imbarazzò Bathilda più di tutto ciò che l’aveva preceduta. Anche suo marito sembrò turbato dalla conclusione.
Sentì le sue mani carezzarle appena le ginocchia, poi le spalle, infine i capelli e la giovane comprese che stava tentando di consolarla. Eppure, ora che il dolore si andava attenuando, ora che non la schiacciava più al materasso, Bathilda non era infelice. Si sentiva stordita, un po’ fiaccata nel corpo come nello spirito, ma non aveva paura.
Phineas è mio marito.
Non aveva smesso di ripeterselo fin dalla fine della cerimonia. Ogni volta che si concentrava su quella semplice nozione si sentiva invadere da una sottile euforia: la vita che l’attendeva non potesse che essere migliore di quella che si era lasciata alle spalle nella casa natia. Non sapeva come, ma sapeva che il merito sarebbe stato di Phineas Malfoy, suo marito.
Sorrise, e per un momento sperò che lui potesse vederla.
Invece Phineas, con delicatezza, le si tolse di dosso. Doveva aver riafferrato la propria bacchetta, perché Bathilda lo sentì mormorare qualcosa e presto avvertì il leggero formicolio dell’incantesimo che le asciugava le cosce, cancellando le tracce di quanto accaduto.
- Grazie.
Il suono della propria voce spaventò persino Bathilda. Ma dovette avere lo stesso effetto anche su Phineas, perché smise di carezzarle i capelli e si preoccupò piuttosto di aiutarla a ricoprirsi di nuovo. La ragazza temeva d’averlo irritato, ma il rimprovero non arrivava.
E presto il calore delle coperte, mescolato alla pesantezza che le invadeva la mente, la rese sonnolenta. Non si arrese a Morfeo, però, finché non sentì che anche suo marito si sdraiava lì accanto, tanto vicino che sarebbe bastato allungare una mano per sfiorare la sua spalla.
Naturalmente Bathilda non tentò davvero di toccare Phineas, ma il pensiero che fosse possibile rese dolce il suo scivolare nel sonno.
 
*
 
Bathilda, infine, si era addormentata. Doveva essere stanca, confusa. Ferita. Ma il suo respiro era regolare, il suo corpo conquistato da una quiete che il giovane Lord si ritrovò a invidiare.
Non era certo di potersi assopire con la stessa facilità.
Nessuna oscurità gli sembrava abbastanza profonda da spegnere le fiamme che lo consumavano. Persino il calore delle coperte gli pareva insopportabile e presto se ne liberò, tirandosi a sedere con la schiena appoggiata alla testiera intagliata del letto matrimoniale.
Malfoy fece apparire la pipa e la serrò fra le labbra: con un incantesimo non verbale, l’accese.
 
- Ti infastidisce?
- Sì.
Mudblood.   
 
Sua moglie si era rigirata nel sonno e ora gli dava le spalle.
Nel bagliore della pipa accesa, le guance di Phineas Malfoy brillavano di lacrime.
 
*
 
NOTE
1) vedi nota 2
2) Traduzione: “È come se vi fosse un laccio sotto la mia costola sinistra, strettamente e inestricabilmente annodato a un laccio non dissimile, situato nello stesso punto della vostra piccola persona. E se quel turbolento Canale o duecento miglia e più di terra venissero a frapporsi fra noi, temo che quella congiunzione sarà spezzata; e allora ho l’inquietante sensazione che dovrò cominciare a sanguinare dentro”.
Una delle battute più celebri tratte da Jane Eyre, il romanzo di Charlotte Brönte che già avevo citato in Gargoyle – Beneath the Stone e che qui vi ripropongo, per svariati motivi. Uno di questi è senza dubbio la mia passione per il libro, per altro recentemente rinfocolata dall’ultima trasposizione cinematografica di Fukunaga. Ma è anche perché questo romanzo era stato citato per il sesto Capitolo di GBtS, ovvero il capitolo in cui Hermione getta la pipa del Lord nel camino e ne consegue il deflagrare della passione...il riferimento è esplicito, così come le parole del personaggio della Brönte mi sembrano a dir poco perfette per la circostanza descritta in questa one-shot e per lo stato emotivo del mio protagonista. Senza poi contare l’importanza del fattore moglie! 
 
 
 
   
 
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