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Autore: kiara_star    12/10/2011    9 recensioni
Erano passati tre anni e ancora riusciva a ricordarsi alla perfezione le sue parole, anzi poteva udirle così come le aveva pronunciate, con ogni singola vibrazione della sua voce. Con quel tono amaro a tratti disperato, ma allo stesso tempo pacato, come solo lui sapeva essere.... (una fic ambientata nel futuro di One Piece, o meglio dopo il suo ritrovamento. Naturalmente è una ZoroXSanji ^-*)
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Roronoa Zoro, Sanji | Coppie: Sanji/Zoro
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Danza di lacrime

La tempesta che aveva imperversato per tutta la notte, sembrava essersi arrestata con l’arrivo dell’alba. Il sole ancora pallido si specchiava sulle acque tranquille che lievemente dondolavano la piccola imbarcazione. Il vecchio pescatore soffiò un po’ di fumo dalla sua pipa ghignando sotto la folta barba bianca e facendo tintinnare le monete nella sua mano, un bel po’ di monete. Guardò il cielo chiedendosi se avesse retto qualche ora, ma quelle nuvole cariche di pioggia che si stavano avvicinando da est non erano certo un buon segno. Ricontrollò le monete prima di mettersele nella tasca dei suoi calzoni usurati ripensando alle parole di quel giovane
- A che ora vuoi levare l'ancora? – gli aveva chiesto. Lui non aveva detto nulla, aveva sorriso deciso sotto la bandana che aveva legato alla nuca e aveva ridacchiato beffardo

- Te ne accorgerai da solo, resta qui e tieniti pronto a salpare – fu la sua risposta prima di sparire per le vie della città.

Bert era uomo di mondo e sapeva quando non era il caso di fare domande. Quel ragazzo gli aveva solo chiesto se potesse dargli un passaggio e poi aveva pagato in anticipo. Questo bastava, anche se il vecchio lupo di mare dopo una vita passata a solcare gli oceani, sapeva riconoscere la puzza di pirati da miglia di distanza, e quel giovane non era certo un pesce piccolo. Sistemò le vele e le funi e si sedette sul bordo della barca. Il fumo bigio continuava a salire dall’alto e anche se sembrava essere tornato il sereno, quelle nuvole e soprattutto quel ragazzo, non promettevano nulla di buono.

 

 

Il campanile della piazza rintoccava lento. Uno, due, tre, fino ad arrivare a sette lunghi rintocchi che segnavano l’inizio di quella nuova giornata. La città era silenziosa, falsamente silenziosa perché in realtà ogni casa stava ribollendo di curiosità. Era giunto, il giorno che quasi tutti avevo atteso era giunto. Era l’evento dell’anno, ma sicuramente sarebbe stato “L’evento” anche per gli anni a venire. Il generale Edward era un eroe, uno di quelli che sembrano solo leggenda. Aveva acciuffato criminali di ogni tipo, aveva comandato flotte e flotte senza mai un minimo di esitazione, ma non era questo ciò che faceva di lui un grande uomo. Era uno pulito. La Marina invece si era rivelata qualcosa di sporco, qualcosa che nascondeva crimini peggiori di quelli che si impegnava a combattere, e Edward era forse uno dei pochi che erano rimasti integri, che non si erano lasciati sporcare. Era andato in pensione, o meglio era stato costretto ad andarci, ma lui non aveva avuto nulla di ridire. Aveva ringraziato per quella medaglia ed era tornato nella sua cittadina natale, era rimasto lo stesso uomo di sempre, mai una parola storta contro chi aveva servito per anni. Una mosca bianca che tutti ammiravano e rispettavano. Il generale Edward era quello che si definisce un bravo uomo e sua figlia Keira era anche lei una brava ragazza. Come si poteva quindi restare indifferenti al matrimonio di quella giovane, figlia di un tale grande uomo? Tutti erano curiosi, eccitati, ma c’era anche chi aveva storto il naso. Lo sposo era un tipo di cui si sapeva poco, che era apparso così all’improvviso  in quella cittadina, senza un motivo, senza un passato. Ma se il generale Edward si fidava di lui, allora tutti si potevano fidare, perché Edward era uno pulito.

- Allora piccola come ti senti? – chiese sorridendo sotto i suoi grossi baffi grigi. Keira rise nervosamente e strinse forte le mani del padre.

- Papà sono agitatissima. Ho il cuore che sta per scoppiarmi – ridacchiò sempre più agitata. Aveva atteso quel momento così a lungo che ora pareva quasi un sogno. Tutto era surreale, a tratti intangibile, come fosse solo sospeso in aria. I fiori che addobbavano la camera, l’odore del suo profumo alla lavanda, le luci chiare del mattino. Era tutto così perfetto, quasi troppo perfetto per essere reale. Il padre le accarezzò una guancia e le posò un bacio sulla nuca.

- Sii felice figlia mia – Keira si morse un labbro senza riuscire però a trattenere una lacrima che il generale asciugò con le sue grandi dita

- Ehi così farai piangere anche me – la voce un po’ scossa, perché sua figlia era tutta la sua vita. Ancora non sapeva perché si era fidato, ma quel ragazzo sembrava sincero, seppure il suo fosse un passato per lo più buio, costellato di segreti e verità mai dette. Si era fidato della sua gentilezza, del modo in cui la trattava, come una principessa. Era così, per lui. Per il vecchio generale, Keira era una principessa che non avrebbe dovuto fare altro nella sua vita se non essere felice.  Qualche voce gli aveva suggerito di non fidarsi, di fare attenzione, gli aveva consigliato di indagare, e lui l’aveva fatto. Niente, non era mai riuscito a trovare nulla su quel giovane, sembrava non essere mai esistito, e tutte le volte che l’aveva messo al muro chiedendogli di raccontare tutto, di dirgli chi fosse in realtà, lui aveva abbassato il capo e aveva scosso la testa. “Sono solo Sanji “ rispondeva ogni volta. Ma non era così, non era solo Sanji, era il ragazzo che aveva salvato sua figlia da quei malviventi, che l’aveva protetta a costo della sua stessa vita, e questo gli bastava. No, non era solo Sanji, era anche l’uomo che avrebbe saputo rendere felice la sua piccola principessa. 

- Scusi generale, ma ora dovrebbe prepararsi – la servile voce della cameriera fece muovere l’uomo che abbracciata la figlia si diresse nelle sue camere. Il lumacofono squillò mentre percorreva il corridoio.
- Qui siamo ponti, generale – dall’altro capo un soldato, uno dei tanti sparsi per la villa.
- Bene, tenete gli occhi aperti, e per qualsiasi cosa non esitate a chiamarmi- tutto doveva essere perfetto, non avrebbe permesso a nessuno di rovinare quel giorno così importante. 

 

Nella vecchia cucina illuminata solo da una piccola luce appesa al soffitto, l’odore di caffè e di dolce si sperdeva solleticando l’acquolina del piccolo aiutante
- Non fare strani pensieri Bip, questa roba è per i clienti - Gli occhi del ragazzino si soffermarono delusi sull’enorme piatto di frittelle che sostava sul tavolo.
- Ma Giselle, solo una, ti prego – la donna cercò di mantenere il suo atteggiamento ferreo e irreprensibile, ma quegli occhi da cucciolo furono fatali.
- Va bene, ma solo una – sorrise allungando al ragazzino una frittella che il piccolo aiutante addentò con foga
- Potresti almeno ringraziare – brontolò la bionda ricevendo come risposta un grazie impastato fra i denti di Bip. Scosse la testa accarezzandogli il capo. Quel mocciosetto era capace di strappare un sorriso anche all’uomo più serio della terra. Lo chiamavano Bip perché era un nome buffo, perfetto per quel faccino da furbetto con quegli occhioni nocciola.
- Giselle, dici che il pirata dai capelli verdi ce la farà? – fra un morso e l’altro il piccolo aiutante cercò di porre quella domanda senza strozzarsi. Giselle alzò un sopracciglio avvicinandosi al viso pasticciato di cibo del piccolo.
- Tu che dici? – quella mattina l’aveva mandato a portare la colazione al pirata perché era certa che non sarebbe sceso, ma Bip era tornato poco dopo in cucina con il piatto intero, dicendo che quel tipo non aveva voluto mangiare niente. Diceva che non aveva fame, che aveva una questione importante da risolvere

- Io credo di sì. Ha delle spade enormi – le braccia del piccolo si allargarono finché poterono facendo ridere la vecchia Giselle. Sì, erano delle grandi spade pesanti, ma per quello che doveva fare serviva qualcosa di più piccolo, più piccolo e molto più caldo. A volte non serviva alcuna arma per vincere una guerra.

- Noi tifiamo per lui. Giusto? – Bip annuì mandando giù l’ultimo pezzo di dolce. Si leccò poi le dita finché non ci fu neanche più una briciola a ricoprirle. Giselle gli accarezzò nuovamente la nuca sorridendo. Era sicura che ce l’avrebbe fatta, doveva farcela. Era un po’ una specie di riscatto per lei, un riscatto per tutte le sofferenze che aveva dovuto subire. Così come ci si sente liberi guardando il volo di un uccello, così come si prova quel senso di libertà attraverso le ali di qualcun altro, così lei sarebbe stata felice, attraverso la felicità di quei due giovani pirati.

- Ora basta Bip, o ti mangerai anche le unghie – il piccolo sorrise facendo scivolare via dalle labbra l’ultimo dito.

- Me ne dai un’altra? – la donna sospirò

- Va bene, ma solo una – la felicità in fondo non era poi così lontana.

 

 

Il nastro di raso scivolava fra le sue dita. Lo lisciò e poi lo strinse finché non ne uscì fuori un piccolo fiocco giallo. Prese un lungo respiro mentre fissava l’immagine riflessa alla specchio. Inghiottì respirando ancora una volta. Non stava sbagliando, non era un errore, era la cosa giusta. Sistemò ancora la coda dei capelli legata con un elastico bianco, così come il suo smoking, la camicia anch’essa pallida spezzata solo da quel piccolo papillon giallo. Il solito guanto alla mano, quella dannata mano, e nel taschino della giacca un piccolo fiore color del sole. Come piaceva a lei. Era perfetto, così come Keira aveva sempre voluto vederlo. Si sforzò di sorridere ma quel sorriso spento nello specchio non gli procurò altro che una forte stretta allo stomaco. Abbassò il capo stringendo forte i denti. Era la cosa giusta, non doveva tentennare o avrebbe fallito.
Fallito nuovamente.
Nella stanza risuonava il rumore degli stivali dei soldati che marciavano in giardino. Una miriade di soldati che rendeva il tutto ancora più difficile, quasi claustrofobico. Sentiva come se la sua gola si fosse rimpicciolita, fosse diventata troppo piccola per far passare l’aria. Decise così di allentare ancora quel papillon.

Non ti lascerò andare. Mettitelo in testa! Sei un mio compagno e io non ti voglio perdere” ...
I ricordi affollarono la sua mente velocemente e in modo caotico.


“ Sarò il Re dei Pirati”....

 

Perché tutto ad un tratto non vedeva davanti a se nulla che non fosse un buco nero?

 

Coraggio Sanji, ci siamo quasi”...

 

In bilico, come in un sogno, un incubo in cui non riesci a parlare e hai le gambe paralizzate. Vedi il mondo girarti intorno e tu non riesci a fare nulla se non restare fermo a soffocare

 

“ Sanji-kun mi daresti una mano a portare queste buste?”...

 

I giorni che erano passati velocemente, troppo velocemente ma non abbastanza da sparire, da essere dimenticati, da perdersi in qualche parte del suo cervello e ammuffire senza recar danno.

 

Vuoi essere il cuoco della mia nave?”

 

Un altro respiro allargò i suoi polmoni e decise di dire basta a tutto. Non era più il tempo dei dubbi, delle domande, non poteva permettere ad alcun pensiero di portarlo in qualche posto che non fosse quella casa, quella giornata, che non fosse la sua futura moglie.
Avrebbe voluto avere una sigaretta da fumare, ma non poteva, aveva promesso. Chiuse gli occhi per rilassarsi e scacciar via tutto, voleva essere sereno e affrontare quell’evento come avrebbe dovuto. Con la felicità di chi sta per unire la sua vita a quella della persona che ama, come chi sta per compiere il passo finale verso una nuova esistenza.
Riaprì gli occhi sentendosi un po’ più sollevato, con una piuma in meno sulle spalle.
Poi una scossa, forte e rumorosa fece vibrare le pareti della stanza. Non ebbe neanche il tempo per chiedersi cosa fosse che ne arrivò un’altra e quasi perse l’equilibrio. Che diavolo stava succedendo?

Si catapultò alla finestra e sgranò gli occhi. Una gigantesca nube di polvere avvolgeva l’aria. Urla e grida. Si voltò poi verso la porta quando la sentì aprire di scatto.
- Signore, tutto bene? – si sentì chiedere da un giovane marine.
- Ma che diamine succede?- chiese annullando la domanda che gli era stata appena rivolta, ma il soldato non ebbe il tempo di dire nulla che fu raggiunto da altri tre marines.

- Andiamo, è in giardino! – Sanji li vide correre via e li seguì in corridoio. Poi un flash: Keira!
Corse come il vento verso la sua stanza e la spalancò. Non poteva permetterle che le succedesse qualcosa.

- Keira! - Chiamò a gran voce ma non sentì risposta. Cercò con gli occhi nella stanza e la chiamò ancora. Dopo qualche eterno attimo vide una figura avvolta in seta uscire da una stanza accompagnata da due uomini in divisa.
- Sanji - le corse incontro e l’abbraccio. Le chiese come stava, le accarezzò il viso e l’abbracciò di nuovo.
- Qualcuno è entrato nella villa – una voce si udì alle spalle.
- Qualcuno? – chiese, ma bastò poco che un alone di agitazione invadesse il suo corpo. No, non poteva essere. Non avrebbe mai osato farlo. Quel maledetto idiota avrebbe dovuto morire prima di poter compiere un simile gesto.
- Si sa chi è? – chiese serio tendendo stretta fra le bracca la ragazza. Il marine si avvicinò di qualche passo.
- Sì, è il pirata Roronoa Zoro, vicecapitano del Re dei pirati – inghiottì abbassando il capo. Un vortice nero si aprì sotto i suoi piedi e quasi si sentì trascinare via. Maledetto bastardo...
- E’ un uomo pericoloso, state qui e non vi succederà nulla. Il generale ha detto ....- un nuovo boato interruppe le parole del soldato mentre Sanji sostenne Keira.
Era andato lì, era entrato in quella casa il giorno del suo matrimonio, stava rovinando il giorno più bello di Keira e osava pretendere di restare vivo?
- Portatemi da lui – fece qualche passo ma la piccola mano della ragazza lo afferrò ad un polso.
- Dove vuoi andare Sanji, resta qui... è pericoloso – si perse in quello sguardo di paura, nel terrore e nella preoccupazione che le ricoprivano il viso. Si perse in quell’ amore così forte che sentiva di non meritare.
- La signorina Keira ha ragione, resti qui, andiamo noi – i tre uomini uscirono velocemente dalla stanza e si unirono al rumoroso suono di passi che percorreva il corridoio.

- Keira – quasi furono sussurrate quelle brevi sillabe. Le strinse la mano spostando lo sguardo al pavimento
- Non avrei dovuto vederti ancora... così ho rotto la tradizione – sospirò sorridendo amaramente. La giovane guardò quelle labbra piegarsi in modo innaturale.
- Che sta succedendo Sanji? Chi è quest’uomo? – non poteva incrociare i suoi occhi verdi. Non poteva volontariamente mentirle ancora. Si sentiva bruciare dentro, si era ripromesso di non farla soffrire mai e invece... invece sapeva che non poteva più mantenere fede a quel giuramento. Avrebbe dovuto capirlo quando l’aveva visto al ristorante, quando era andato da lui e aveva lasciato che il desiderio e i ricordi lo trasportassero via. Quando lo aveva sentito pronunciare quelle parole e aveva pianto come una ragazzina... avrebbe dovuto capire che Keira ne avrebbe sofferto.
- Lui è... – non riusciva a staccare lo sguardo dal pavimento, ma quando una piccola mano lo raggiunse al viso fu costretto a farlo.
- Dimmi la verità... – come poteva farlo?
- E’ il ragazzo dai capelli verdi che era nel tuo studio giorni fa? – dovette ingoiare un rovo di spine ma non riuscì a dire nulla. La guardava silente negli occhi e capì che nessuna delle sue maschere avrebbe più retto.
- Si – ammise. Dall’esterno si udivano rumori di lotta e caotiche grida, ma nella stanza regnava il silenzio più assordante. Keira lasciò il viso di Sanji e il suo polso.

- Se è un tuo amico perché sta facendo questo? – la risposta fu immediata
- Lui non è un mio amico! Non siamo mai stati amici! Noi... – ferme e fredde quelle parole uscirono dalla sua bocca per poi spegnersi, mentre pregava che quelle iridi verdi non capissero. Pregava che Keira dimenticasse di averlo incontrato, di averlo amato, di essersi fidata di lui. Di aver sbagliato a credere nel suo affetto.
- Voi allora.. eravate... – lo sguardo della giovane cadde sull’abito bianco che indossava Sanji.
- Perché non mi stai dicendo la verità? – ora di nuovo occhi negli occhi mentre calde lacrime iniziarono a bagnarle il viso.
No, no, no, no!!! Non poteva riaccadere!
Non ebbe il coraggio di avvicinarsi, di stringerla fra le braccia e... e mentirle, dicendo che tutto sarebbe andato bene.
- Noi eravamo nella stessa ciurma – almeno quella era una verità, ma pesava come una sporca menzogna.
Keira si asciugò le lacrime con la mano e singhiozzando fece qualche passo verso di lui.
- Eri nella ciurma di cappello di paglia? – chiese dolcemente. Il biondo annuì e si sentì afferrare nuovamente la mani. Le sentì strette fra le sue e vide un lieve sorriso disegnarsi sulle labbra rosse.
- O Sanji, va bene... allora vorrà dire che diremo a papà che lui è...- non riuscì a reggere ancora il suo sguardo. La tirò a sé e la strinse forte.
Aveva perso ancora, stava perdendo nuovamente e stavolta non avrebbe sopportato di guardarsi più in faccia.
- Perdonami Keira...- la ragazza sentì i suoi singhiozzi e non poté che riprendere a piangere.

- Perdonami – quei due pianti si persero l’uno nell’altro. Nella stanza una danza di lacrime si librava nell’aria e nessuno dei due aveva la forza di smettere.
Keira sprofondò il viso nel suo petto credendo così di assordare il suo pianto, la tristezza che si stava facendo così velocemente spazio nel suo cuore. La felicità...

Era una cosa davvero effimera....


L’ultimo fendente vibrò nell’aria. Zoro si guardò attorno. Non c’era più un solo marines nel raggio di decine di metri. Rifoderò la katana e si sciolse la bandana dal capo legandola al braccio.
Era deciso, non sarebbe più tornato indietro.
Fece qualche passo in direzione del portone quando udì un ringhio soffocato alle sue spalle. Si voltò: un uomo  si stava alzando a fatica facendo appoggio su una katana. Si mise in piedi affannando mentre un rivolo di sangue gli scivolava dalla fronte.

- Non ti permetterò di fare del male a mia figlia – annaspò. Il pirata guardò l’uomo negli occhi e si avvicinò lentamente.
- Tua figlia non la toccherò. Voglio solo il cuoco – l’anziano marine respirando ancora a fatica si mosse verso il fuorilegge. Il cuoco... non riusciva a capire. Perché un pirata del calibro di Roronoa era piombato nella sia isola, nella sua città, nella sua casa? In cerca di chi?...
Spalancò gli occhi quando fu così palese il tutto
- Sanji...- sospirò incredulo. Vide conferma nel silenzio che circondava il giovane e si sentì così responsabile di tutto.
- Maledetto – ringhiò sotto i grigi baffi. Come aveva potuto permettere che accadesse? Come poteva un marine come lui non accorgersi del serpente che si era insinuato nella sua vita, nella vita di sua figlia...
- Lui era il cuoco... il cuoco di cappello di paglia? – non servì una risposta alla sua domanda.
- Mi prendo il cuoco e me ne vado. Se non vi foste messi in mezzo non sarebbe successo nulla – L’uomo non riuscì a credere a ciò che stava accadendo. Il pirata si mise un braccio del militare attorno al collo e lo trasportò fin sotto un albero, dove lo lasciò sedere.
- Non volevo creare tutto questo casino – sentì ancora dalle sue labbra. Sembravano fredde scuse, un cortese mi dispiace che aveva un sapore fin troppo amaro.
Strinse forte la katana, non per usarla, non avrebbe avuto una sola possibilità, ma solo per scaricare tutta la rabbia che sentiva crescere nel cuore.
- Portalo via... Portalo lontano da mia figlia – bofonchiò con collera. Il giovane si alzò e si diresse verso la casa ma dovette arrestarsi dopo qualche passo.
Una figura si stagliava in cima al gradini di marmo per metà distrutti. Una figura bianca che lo puntava con un indice. Una sagoma che trasudava rabbia e rancore.
- Tu! Maledetto spadaccino! - la coda bionda si muoveva scossa dal venti mentre i denti erano digrignati con forza.
- Ti ammazzerò con le mie stesse mani – a quelle parole un sorriso increspò le labbra di Zoro.
- Fatti sotto... e preparati a perdere -

 

 

 

 

 

 

 

 

 

To Be Continued...

 

 

 

 

 

Ebbene sì, dopo ben 2 anni... questa fic sta per avere una fine....
Kiss kiss Chiara

  
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