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RICORDATI DI ME «-(¯`v´¯)--«
Bene- bene! Una nuova
recensitrice nella mia fic!
Fteli, ti ringrazio moltissimo per aver lasciato un
segno del tuo passaggio!
Spero di ritrovarti
presto!
Michelle come
sempre sei troppo carina e gentile, ti ringrazio per aver giudicato le mie
storie bellissime!
Malkontent ti dico che tu sei volata fra le mie recensitici preferite Invece ^_^ ; hai colto nel segno lo spirito della storia, ed è
sempre un piacere quando accade per chi le scrive!
aawaa RICORDI aawaa
Chap n.5
La sera
è appena calata, mentre corro per le strade vuote della mia città
posso sentire l’odore forte dell’umidità, entrarmi nelle
narici.
E’ un
odore forte, che penetra in fondo, come certi dolori.
Che non vanno
via certo con il levar del sole.
Mi perdo di
vicolo in vicolo, lasciandomi inghiottire da quell’ assurdo
silenzio, rotto solo dal rumore pesante dei miei passi; tutto ciò che vorrei
adesso è farmi inghiottire da un buco nero.
Ma cosa
succede al mio corpo?!
Sento che
è andato avanti nella sua folle corsa disperata, ma la realtà
è che è trattenuto da una forza violenta, proprio dietro le mie
spalle; mi volto, quell’uomo mi ha seguita.
E mi ha presa,
per una manica. Stringe.
Mi tiene
ferma, vorrei continuare, ma sono stanca non riesco ad oppormi.
Allora mi
lascio andare, e il mio peso gli finisce contro; ma non mi scansa, nemmeno quando gli batto forte i pugni contro il petto,
nemmeno quando il pianto si fa isterico e singhiozzante.
Lui mi tiene
lì, ferma fra le sue braccia.
-“Ogni
lacrima è una perla restituita alla terra e tu sei preziosa come quella
pietra che porti negli occhi, bimba mia.”-. Mi sussurra dolcemente in un
orecchio, carezzandomi i capelli.
-“Oh mio
Dio! Sono ridotta proprio male…”-. Ho smesso di piangere, per un
momento credo di sentirmi meglio, merito sicuramente delle sue parole e il suo
calore –“ se mi hai seguito, singhiozzante, in una strada buia!
Devo farti proprio pena…”-.
-“Sai
chi mi faceva davvero pena?!”-. Mi guarda,
aspettando risposta.
-“No.”-.
L’accontento.
-“Chaki,
il mio cane! Ma poverino, lui era ceco e zoppo!”.-.
-“Ma tu
ne sai una più del diavolo…”-. Scuoto il capo, ridendo.
-“Non ho
sessanta anni per niente!”-.
Fregato!
Lo guardo
negli occhi, bene- bene, sa di aver scucito un pezzo di se, per questo ride
anch’egli.
Mi prende per
mano, conducendomi nell’antro di un giardino alle nostre spalle; uno
degli innumerevoli, della mia città.
Lo seguo, in
silenzio, perché ormai lo so che con lui non servono troppe parole.
Entriamo,
timorosi e silenziosi. Complici.
C’è
un odore buono, d’aranci, velato appena- appena.
Questo odore
mi è familiare, riporta indietro la mia mente a una sera lontana-
lontana…
Faccio mia
questa fragranza così dolce e rasserenante, lasciandomi condurre in una meritata quiete e pace.
Ma dura poco,
ci fermiamo dinnanzi ad una terrazza, da dove si scorge un crepuscolo di
città non ancora addormentata, piena di luci piccole ma scintillanti;
ora ricordo! E non posso far altro
che lasciarmi andare in un sospiro estasiato, accompagnato da qualche lacrima
che dispettosa comincia a rigarmi il volto.
-“Mi
dispiace.”-. Mi fa d’un tratto, appoggiando la sua mano sulla mia,
come se avesse capito.
-“Romantico
vero?! Diceva che questo era l’unico posto
veramente meritevole, dove poteva chiedermi di sposarlo. Non avrei mai pensato
di tornarci un anno dopo, sola.”-. E giù ancora lacrime, e
giù ancora singhiozzi.
-“Ma tu
non sei sola, Sibilla.”-.
Tenta di
abbracciarmi, ma mi divincolo.
Infondo chi
è lui, per dirmi che non sono sola?!
Lui è
entrato da poco meno di un giorno nella mia vita, e pretende di sapere come mi
sono sentita in questi mesi?!
No, nessuno sa
quanto è brutto il declino di una storia d’amore, se non ci si
ritrova dentro.
-“Tu non
sai niente di come mi sento io. Niente!”-. Improvvisamente mi ritrovo ad
urlare.
-“Sento
la tua disperazione e questa diventa la mia!”-.
-“Ma
cosa vuoi da me?! Sai, Simone ha ragione a dire che sono una
pazza! Ha ragione quando dice che mi contorno di
pazzi!”-. Mi allontano un po’, da quel posto, da lui.
-“Tu
devi dirmi cosa vuoi da me! Sei tu che hai deciso di metterti in contatto con
me stamattina! Mi hai portato con te, nella tua casa, nella tua vita! Io lo so
perché sono qui ora, adesso tocca a te scoprire perché anche tu
ci stai. ”-. Maledico i suoi giochetti verbali, mi adiro, stringo i pugni
non volendo ammettere la verità.
-“Sono
stufa di parlare per enigmi, sai che ti dico?! Che me
ne vado. Addio. Ciao!”-.
Sono in preda
ad una vera e propria crisi di nervi, credevo che la sua presenza mi aiutasse
in qualche modo a non pensare, ma adesso la sento pesante, asfissiante.
Lui dice il
vero, dice sempre il vero e la verità adesso è ripugnante, la
rifiuto, la rinnego.
-“Scappare
non ti serve a niente, Sibilla.”-.
-“Non
pronunciare più il nome, se non sono degna nemmeno di sapere il
tuo!”-.
Cammino
svelta, cercando di allontanarmi il più possibile dal parco, dal buio
per raggiungere finalmente un’uscita.
-“Victor.
Mi chiamo Victor.”-.
Sento che si
ferma, le foglie cadute in terra non sfrigolano più sotto ai suoi passi;
allora mi fermo anche io, so che questa è una prova di fiducia.
Lui ne da un po’ a me, ed io non scappando ne do un
po’ a lui.
-“Bene!
Un intero giorno per sapere il tuo nome… non oso immaginare i mesi che ci
vorranno prima che tu mi dica qualcosa della tua vita! Comunque non è un
male, ho tutto il tempo del mondo, nessuno mi aspetta!”-. Incrocio le
braccia, imbronciata.
Ride.
All’inizio penso mi stia prendendo in giro, poi lo vedo piegarsi su se
stesso e trasformare la sua risatina in qualcosa di rigoglioso e spumeggiante.
Mi piace il
suo modo di ridere, d’un tratto mi sembra sia ritornata anche la mia
attrazione verso la sua figura.
-“Scusa,
cosa hai da ridere?!”-.
-“Nulla,
sei davvero divertente.”-.
-“Fantastico!
Accorrete gente, abbiamo la giullare del
parco!”-.
Questo lo fa
ridere ancora di più.
-“Ah…
va al diavolo!”-. Lo mando a quel paese agitando le
bracci al cielo, sconfitta e derisa mi allontano di nuovo.
-“E se
ti dicessi che ci sono già stato?!”-. Mi
rincorre e riafferra da dietro, di nuovo.
-“Ti
crederei.”-. Lo guardo nel profondo degli occhi, riesco a leggere anche
nella sua anima.
-“Aiutami
Sibilla. Io ho bisogno di te.”-.
-“Io non
so che fare…”-. Sussurro, lo vedo tremare, socchiudere gli occhi
per poi riaprirli e buttarli in un punto lontano, dinnanzi a se.
-“Ecco,
credo sia venuto il momento di parlarti di Betty…”-. Allenta la
presa, gli sento la mano scivolare piano, lungo il fianco.
Lo fisso,
adesso sorrido appagata e felice.
Lo prendo
verso me, ci sediamo su di una panchina e occhi negli occhi, comincia a
parlare.
Piano, lento,
concitato e maledettamente ipnotizzante.
Mi racconta la
sua vita, e i brividi saltano sulla mia pelle come biglie impazzite.
Dice di venir
da lontano, un paese sperduto nella steppa americana ,
a metà tra far west e villaggio indiano.
La sua era una
famiglia numerosa, di povera gente umile e lavoratrice; viveva con la madre e
le sorelle, lui era l’ultimo di quattro figli.
La loro
situazione non era delle più felici, e quando sua madre morì di
tubercolosi lui e le sue sorelle vennero sbattuti in
collegio.
Suo padre,
vecchio ubriacone molesto, li abbandonò sperdendosi per il vasto
continente. Victor dice di essere sicuro che quell’ anima così
crudele ancora è in vita, dice di sentire ancora le sue urla la notte,
quando è solo e non riesce a dormire.
Aveva sette
anni, quando finì in un istituto per ragazzi orfani; mi si stringe il
cuore, anche io avevo la sua stessa età quando
fui “spedita” in collegio. Coincidenze, terribili.
Lì,
conobbe la “sua” Elisabeth. Betty.
Furono da
subito, dal primo sguardo, inseparabili.
Betty era la
sua migliore amica, compagna d’avventure, di piccole marachelle, complice
nell’aspro destino che la vita aveva scelto per loro; soli, piccoli,
senza l’affetto dei genitori.
Victor la
descrive come una graziosa bimbetta dai lunghi boccoli rossi, carattere vivace,
risata gaia.
Una bellissima
bambina, trasformatasi poi negli anni, in una bellissima donna; passarono parte
dell’adolescenza fianco a fianco, fra libri di scuola, pic-nic sotto alle
fresche fronde di salici piangenti condividendo sempre la stessa aria.
Erano legati
da qualcosa di magico, il loro rapporto era vivo, scherzoso, fraterno quasi.
Ma più
Betty cresceva, più diventava emblema di desiderio; la sua bellezza era
acerba, inviolata, condita da una grazia e portamento innato, per non parlare
poi della sua intelligenza acuta, vispa.
Il passo verso
l’innamoramento, fu quindi breve.
Non mi
racconta se fosse mai stato ricambiato o meno, parla
di questo amore come qualcosa di platonico, astratto a tratti.
La vedeva come
un angelo al quale non avvicinarsi troppo, per non rischiare di sciuparlo o
contaminarlo.
Ma come nelle
migliori favole d’amore, il destino si mette in mezzo ricamando la sua
triste trama; Betty venne adottata da una famiglia
d’alta borghesia che la portò via con se, in Europa.
L’ultima
volta che Vic la vide, aveva diciotto anni, il sogno di diventare medico e di
rincontrarsi prima o poi, da grandi.
Fu distrutto
dalla sua partenza, non solo se ne andava via una parte importante della sua
vita, ma si ritrovava ancora una volta solo.
L’unico
sostegno della sua triste e infelice vita se ne stava andando per sempre
Non aveva
più nulla per
cui restare, quindi, fece domanda per l’esercito e si
arruolò.
Pilota
aeronautico; almeno aveva la possibilità di girare il mondo in lungo e
largo e far diventare il sogno che portava nel cuore, di rivederla, una
certezza fantastica.
Inutile dire
che di lei, non ebbe più alcuna traccia.
Betty venne ingoiata in un futuro che cancellava con un colpo di
spugna il passato dell’infanzia, dei pic-nic sotto agli alberi e delle
risate adolescenziali.
-“Chissà
se la rincontrerò mai…”-.
Finisce il suo
racconto con questa speranza, fra i miei occhi lucidi e il silenzio del parco
addormentato.
-“Tu
devi aiutarmi a ritrovarla.”-. Mi fa, distendendosi piano sulla panchina.
E’ tutto rannicchiato, mi fa tenerezza guardarlo afflitto e sconsolato
–“sono stanco di girare per il mondo.”-.
-“Farò
tutto il possibile, credimi.”-.
-“Sibilla
se tu mi aiuterai, io aiuterò te. Ma adesso è meglio se
vai… Simone si starà preoccupando.”-.
-“Non lo
so.”-.
-“Sarà
dispiaciuto per quello che ti ha detto, non farlo preoccupare oltre, va da lui
e digli che tutto si risolverà per il meglio.”-.
-“E se
così non fosse?!”-.
-“Fa che
sia così. Non perdere il tuo amore Sibilla, non farlo anche tu.”-.
A questo
punto, non so più che dire, mi alzo dalla panchina, sistemandomi alla
meglio; lo scruto, rimane fermo immobile a guardare il cielo sopra la sua
testa.
E’ un
bel vedere, ma non posso immaginare che voglia rimanere qui.
-“Ti
prego, vieni a casa con me.”-.
-“Avete
bisogno di tranquillità e armonia, bambina. Io sto qua, non mi
può succedere nulla! Sono già morto da un pezzo…”-.
-“Sì
ma…”-.
-“Ci
vediamo domani. Buonanotte.”-.
Non ho mai capito bene cosa intendesse con
l’aiutarmi., io non avevo mai chiesto il suo
aiuto, certo infondo al cuore
sapevo di volerne un po’ anche io, ma non avevo mai osato chiedere.
Ma lui sapeva, lui ascoltava le mie frequenze, non
aveva bisogno di sentirsi dir nulla, perché dare, poi il tempo me ne
dette atto, era il suo bellissimo compito.