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Autore: Arwen297    13/10/2011    3 recensioni
Un'isola, dimenticata da tutti. Delle credenze vernacolari. Un amore che porterà ad una leggenda legata ad uno dei fenomeni ciclici della natura.
Genere: Fantasy, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Mamoru/Marzio, Michiru/Milena
Note: AU, Lemon | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna serie
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Note dell'Autrice: Eccomi qui con il secondo capitolo di questo breve racconto,  spero che vi piaccia, anche se i fan delle coppie canon che ho spezzato sicuramente mi odieranno =) . Per quanto riguarda le altre storie domani sera pubblicherò una fanfic intitolata: "I gemelli Maledetti dal nono capitolo in poi" o qualcosa di simile. Dove come avrete capito proseguirò la serie Unite per l'eternità, domani vedrò se riesco in qualche chiavetta usb a trovare i file delle storie. Altrimenti è un casino in quanto non ho avuto più notizie dai responsabili del sito. Vi ringrazio per la pazienza che mi dimostrate.
Buona Lettura.
Arwen.
Ps: L'immagine qui sotto è un blend composto dalla sottoscritta usando Photoshop CS5, siete pregati di avvisare se lo prendete. Sarebbe veramente cosa gradita!!!

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Il tempo sembrava essersi fermato nel momento in cui i suoi occhi avevano incrociato quella creatura che di umano aveva giusto il corpo, non un gesto, ne un capello potevano possedere cotanta bellezza e allo stesso tempo appartenere alla specie umana.
La figura femminea aveva i capelli color del mare, mossi come le onde, soffici e lunghi fin sotto la spalla, la sua pelle era diafana e risplendeva sotto il sole autunnale come un piccolo ma prezioso diamante,  nell’aria risuonava il suono angelico dello strumento che suonava con notevole maestria, melodia accompagnata dal tintinnare dei braccialetti d’argento che adornavano le quattro estremità delle sue membra. Il vestito sembrava essere formato da un velo leggerissimo che assumeva le tinte del mare, mentre seguiva i movimenti dell’artista. Strisce di tessuto si avvolgevano lungo le esili braccia della ragazza prima di muoversi liberi dietro di lei trasportati dalla brezza. I capelli finemente decorati da perline di mare e da un fermaglio costituito da un corallo rosso.
Il suo corpo gli implorava di palesare la sua presenza a quella creatura, la ragione invece gli intimava di non interromperla, ne di farsi vedere; memore delle leggende con cui era stato cresciuto fin da piccolo.
Dentro di lui il cuore diceva esattamente il contrario, come avrebbe mai potuto tornare a far finta di niente  dopo un simile incontro? Come avrebbe potuto tornare alla vita di tutti i giorni senza averle neanche rivolto la parola? Non poteva, No che non poteva!!
Marzio decise di mettere a tacere la sua lotta interiore tra ragione e sentimento, se non le avesse neanche parlato era certo che si sarebbe pentito a vita. Compì qualche passo per giungere alla fine del sentiero e uscire così allo scoperto dagli alberi che lo avevano protetto fino a quel momento, era alla mercé della figura diafana nella quale veniva concentrata tutta l’essenza del mare.
Unita a quella di donna.
Era a pochi metri dalla stessa quando la musicista, dopo aver smesso di suonare, spalancò gli occhi puntandoli sui suoi,  donandogli la profondità degli abissi in cui annegare.
Mozzandogli il fiato.
Pensava fosse una creatura malvagia.
Quelle iridi comunicavano solo una cosa, dolcezza.
Dolcezza e Tormento.
Quel tormento del mare durante le tempeste.
E in ultimo erano luminosi come due zaffiri.
Due gemme preziose incorniciate da un mare verde acqua.
Si osservarono per svariati minuti, studiandosi attentamente nei tratti e nei modi, il moro non sapeva neanche se parlasse la loro lingua, a giudicare dalle leggende della sua gente la risposta era senz’altro positiva.
Sperava con tutto il cuore di si.
Compì qualche altro passo verso la ragazza, che dal canto suo rimase immobile con il violino al grembo retto con la mano sinistra, l’archetto lungo il fianco destro.
“Sei quella che viene chiamata sirena?” sussurrò, Marzio senza interrompere il contatto con le iridi blu cobalto di lei, non riusciva a tornare in superficie gli sembrava di essere vittima di un’apnea infinita iniziata nel momento in cui lei aveva aperto gli occhi. La sua domanda però cadde nel vuoto.
Che stupido, ovvio che non conosce la mia lingua. Sono proprio ingenuo. O forse è solamente spaventata dalla mia presenza. Pensò come a farsi coraggio da solo, cercando di dare un contegno ai pensieri.
“Mi capisci? Capisci la mia lingua?” iniziò a dire gesticolando nel tentativo di farsi capire a gesti, sotto lo sguardo impassibile di lei. Quanto si sentiva ridicolo in quella situazione, ma cosa gli era saltato in mente.
“Si conosco la tua lingua” si decise a rispondere lei, sembrava che però pronunciare quelle parole le costasse un sacrificio estremo. Ma a lui non importava, il timbro di quelle parole solleticava i suoi timpani, che gli imploravano di continuare a farla parlare per quanto era meraviglioso e melodioso quel suono.
“Quindi sei una sirena?” in effetti avrebbe potuto esserlo benissimo, la voce non le mancava sicuramente, visto che lo aveva trasportato in un limbo senza fine con quelle sole cinque parole che ella aveva pronunciato.
Una risata cristallina risuonò nell’aria.
Le sue viscere fecero una capriola.
“No niente di tutto ciò, sono una delle ninfee del mare” rispose lei senza guardarlo negli occhi volgendo il suo sguardo altrove, verso il sentiero oltre le sue spalle. “Le sirene sono tutt’altra cosa rispetto alla mia razza” rispose lei. Non poteva negare a se stessa che quell’umano, estremamente ingenuo aveva un bel fisico, dei bei capelli. Ma le sembrava estremamente giovane, sapeva in che guaio si stava cacciando? Un triste sospiro le usci dalle labbra rosee. Le femmine della sua specie avevano un’eterna maledizione da sopportare che se le legava ai loro compagni non portava nulla di male, anzi era un’alchimia bellissima, lieve e passionale allo stesso tempo. Ma con gli umani.
Con gli umani era tutt’altra cosa.
Poseidone, il padre di tutti loro aveva chiaramente vietato incroci di razza.
E ciò che aveva escogitato era semplice e al quanto efficace.
Doveva tenerlo lontano da se a qualunque costo.
Altrimenti il loro rapporto sarebbe degenerato in fretta.
Troppo infretta.
“Qualcosa non va?” le fu chiesto dal ragazzo che molto probabilmente aveva intuito il suo cambiamento di umore, repentino come una burrasca che arriva all’improvviso in una giornata di sole.
“No niente, sarà meglio che tu vada, si sta avvicinando qualcuno alla spiaggia” mormorò lei.
“Quando posso rivederti?” Marzio non fece in tempo a porre la sua domanda, che la ninfa era scomparsa dissolvendosi in una miriade di goccioline di acqua salata, acqua salata al profumo di rose.
Ai suoi timpani giunse una cadenza di passi che dopo vent’anni aveva imparato a distinguere tra mille, si voltò giusto in tempo per osservare l’entrata in scena di sua madre sulla spiaggia, molto probabilmente era così talmente tardi che lei aveva finito di dar da bere alle piante nella serra. Possibile che il tempo era trascorso così velocemente mentre a lui aveva dato l’impressione di essersi interrotto nel momento in cui le sue pupille blu notte avevano incontrato le iridi della ninfa? Al solo pensare a lei il battito del suo cuore aumentò a dismisura, rischiando di condurlo in breve tempo all’infarto. Si limitò ad osservare la chiazza di sabbia bagnata unica testimonianza della figlia del mare scomparsa pochi istanti prima.
“Ma dove ti eri cacciato?” lo riprese la madre osservandolo come se avesse appena incontrato un marziano.
“Niente mi sono perso ad osservare il mare, quest’oggi è particolarmente meraviglioso” rispose lui con l’aria di uno che aveva la testa tra le nuvole.
“Sognatore, sarà meglio che ci diamo una mossa, il sole sta per tramontare e devo preparare la cena” disse con tono deciso la donna intimandogli in quel modo che era ora di lasciare quella spiaggia. Il ragazzo si diresse su per il sentiero in assoluto silenzio, gli occhi della signora Chiba, sul viso accaldato si posarono sulla sabbia della spiaggia. Registrando la presenza di impronte di piedi nudi.
Nudi e troppo piccoli per essere quelli di suo figlio.
Il viaggio di ritorno trascorse in assoluto silenzio, Marzio non riusciva a distogliere il pensiero da lei, sembrava che lo avesse stregato e per quanto ne poteva sapere era proprio ciò che poteva essere successo. Non che gli dispiacesse cadere ai piedi di lei. Ma i tabù e le tradizioni della sua terra erano sicuramente difficili da abbattere, per quanto riguarda i pregiudizi poi? No assolutamente, era al quanto improbabile che una cosa del genere in quei piccoli paesini dispersi nel mare fosse accettata.
La paura per la grande massa d’acqua era troppo forte e soprattutto radicata nell’animo contadino che da ormai anni aveva imparato a fidarsi solo della madre terra. Unica capace di offrire gli alimenti per vivere e commerciare, e soprattutto per sfamare la propria famiglia. Poi si c’era il supermercato del paese che contribuiva alla distribuzione dei beni mancanti e assolutamente necessari, e che era l’unico punto di distribuzione di qualcosa di più moderno, che tuttavia era accettato solamente dai giovani dell’isola, i vecchi erano troppo abituati alle loro polverose abitudini e al rinnegamento della civiltà per abituarsi ai cambiamenti.
La madre al suo fianco invece era tutta presa da una moltitudine di pensieri, mentre scendeva dal sentiero non le era sembrato di sentire qualche voce provenire dalla spiaggia, e non vi era certamente nessuno in compagnia del figlio.
Ma allora quelle impronte di chi erano? Possibile che quella piccola insenatura fosse conosciuta da qualche altro abitante diverso da suo figlio? Era al quanto improbabile visto che in paese non era mai stata nominata. Il ragazzo al suo fianco poi le era sembrato al quanto strano quando era giunta per chiamarlo, quasi perso nei suoi pensieri tra le nuvole.
Non era certamente una novità che il giovane esponente maschile della famiglia Chiba si crogiolasse nei sogni tipici della sua età, aveva più volte espresso il desiderio di fare il medico, ma da loro di Università non ve ne erano. E il medico che operava in quel piccolo angolo di paradiso si era laureato altrove, sulla terra ferma.
E assolutamente suo figlio non avrebbe provocato maldicenze sulla loro famiglia per il semplice fatto di rompere il tabù. Ci mancava solamente lui sommato alla figlia.
Rea era sempre stata una bambina particolare, fin da piccola preferiva starsene da sola in mezzo alla natura piuttosto che a giocare con i suoi coetanei rimanendo poi in seguito esclusa dai suoi amici perché era diversa.
Non per la carnagione chiara, i capelli scuri o qualsivoglia differenza nella sua fisicità. No quello no, anzi incarnava il fenotipo più diffuso sul fazzoletto di terra, lei era diversa perché aveva una psiche diversa.
Sembrava riuscire a leggere ciò che la natura era in grado di comunicarle,  passava ore e ore a esercitarsi nella divinazione affinché il fuoco le parlasse, spesso senza ottenere notevoli risultati. Ma ciò aveva decretato la sua condanna era stato quando il fuoco le aveva rivelato il futuro. Aveva previsto che un compaesano sarebbe caduto in un pozzo, e una volta raggiunto il luogo, il contadino era caduto proprio al suo interno.
Gli aveva salvato la vita.
Ma a quale prezzo?
Ora correva il rischio di rimanere senza un marito a vita, perché per tutti gli altri lei era la piccola strega.
E lei non riusciva a sopportare un destino simile per la sua bambina. Non poteva assolutamente permettere che una volta morta lei e il marito, il suo angioletto non avesse nessuno al mondo.
Marzio infatti aveva la fila di ragazze che chiedevano la sua mano.
Lei no.
Tirò forte su con il naso per ricacciare indietro le lacrime.
“Mamma qualcosa non va?” la domanda di Marzio arrivò immediatamente, proprio nel momento in cui giungevano in vista della loro abitazione.
“Mi devo essere presa un lieve raffreddore niente di che” mentì la donna, ben sapendo che il figlio non avrebbe creduto a quelle sue parole, mentre con il grembiule si asciugava forte il naso.
“Sei sicura?” chiese nuovamente lui.
“Sicura!!”
Il loro discorso appena accentuato fu interrotto da Rea che correva loro incontro, sul viso un espressione contenta, diversa da quella che era solita sfoggiare di solito. Appena li ebbe raggiunti abbracciò forte il fratello a cui era molto legata, era l’unico in quell’isola che l’aveva accettata per quello che era, senza giudicarla per ciò che faceva e per le sue doti particolari.
I suoi genitori infatti non lo avevano mai dato a vedere, ma era sicura che soffrivano per quella situazione. Lui invece no, era sempre presente nel momento del bisogno e ci sarebbe sempre stato.
“Dimmi piccola andata bene la scuola?” le chiese lui mal celando la sua curiosità.
“Si ho preso sette in Matematica nella verifica della settimana scorsa” rispose lei guardandolo da sotto in su, senza mollare la presa intorno ai suoi fianchi. “E poi papà è tornato e ha detto che il puledro del nostro amico assomiglia moltissimo a Jolly Roger, ha detto che domenica posso andare a vederlo e che il parto era andato benone”
“Ottima giornata streghetta” mormorò lui spettinandola tutta, sua sorella aveva quindici anni ma per lui era sempre una bambina, con uno scatto a tradimento la prese in spalla come fosse un sacco di patate.
“Andiamo, forza ho trovato una bella patata da fare arrosto per cena” mormorò con tono scherzoso mentre la brunetta si dimenava a testa in giù ma al contempo rideva mentre lo prendeva a pugni sulla schiena.
“Mettimi giù Marzio!!!” esclamò divertita.
“No no, non se ne parla ora ti metto sul tavolo e ti faccio a fettine così fai compagnia al pollo” rispose lui ridendo a quel gioco scemo che aveva creato lui stesso.
Per un attimo l’incontro di quel pomeriggio passò in secondo piano, così come tutti i problemi che affliggevano la famiglia, quando era con sua sorella era più forte di lui. Doveva pensare solamente a farla felice.
“Ragazzi dai salite di sopra che devo preparare la cena” mormorò la madre in tono severo, era troppo tardi, il sole era quasi tramontato.
“Si mamma” esclamò Rea tra una risata e l’altra scendendo giù dal tavolo e correndo su di sopra tra un riso e l’altro. Marzio la seguì.
“Re” la chiamò quando ebbe raggiunto la sua camera.
“Dimmi fratellone” rispose.
“Hai fatto i compiti? Vuoi che gli do un’occhiata?”
“Si ma non preoccuparti, avevo Letteratura e Storia da fare”
“Ok” rispose lui. Già storia, ricordava fin troppo bene che cosa c’era nel programma scolastico della sorella, ogni anno infatti la professoressa faceva si che nel ripasso di inizio anno fosse presente anche la leggenda delle loro origini.
Fu un attimo.
E gli sembrò tutto ad un tratto di respirare il profumo di rose che aveva sentito quel pomeriggio sulla spiaggia, e con lui quella voglia di rivederla fece ingresso prepotentemente nei suoi pensieri.
Il problema era uno solo.
Come avrebbe fatto a rivederla? Non aveva fatto in tempo a dirglielo, ma forse se tornava nella spiaggia di quel pomeriggio sarebbe stato un ottimo inizio.
E visto che in qualunque caso non sarebbe riuscito a dormire, perché non andarci quella stessa notte? Ma poi le ninfee dormivano di notte? Dove vivevano sott’acqua?
Quanti interrogativi a cui non sapeva dare risposta anche se gli sarebbe immensamente piaciuto.
Si mise il pigiama e si sdraiò sul letto, nella penombra della stanza si volse verso il soffitto, e gli sembrò di vedere la leggiadra creatura.  Era impossibile tuttavia poiché non potevano stare lontano dal mare.
Era frutto sicuramente della sua immaginazione, tuttavia l’impulso di recarsi immediatamente sulla battigia era troppo forte in lui, e quella sensazione di appagamento totale che l’aveva pervaso poco dopo la scomparsa della sua musa, tornò a farsi vivido in lui. Che cosa gli stava succedendo?

***
Quando fece ingresso nella grotta le sue compagne si zittirono immediatamente, erano perfettamente consapevoli che quando l’artista, perché così la chiamavano tutti nel loro ambiente, era turbata da qualcosa era meglio non infierire rischiando di peggiorare notevolmente la cosa.
La violinista camminò a passo svelto e aggraziato verso il fondo della grotta dove sapeva esserci un lago di acqua salmastra, in riva al quale avrebbe trovato la sorella.
Ciascuna di loro aveva una sorella, non di sangue, ma di “acqua” la sua si chiamava Silphide. Le ninfee sorelle erano accumunate da una dote in particolare in cui entrambe eccellevano, poteva trattarsi della Letteratura, dell’Arte e della musica. Nel loro regno nessuno era senza dote, o meglio lo erano i bambini e le bambine.
Le doti variavano, nei soggetti maschili contemplavano i più svariati sport come le gare a cavallo degli ippocampi e dei delfini, i loro compagni di gioco preferiti fin dalla più tenera età.
Non vedeva tuttavia l’ora di tornare a casa, nella grotta sott’acqua che condivideva con la sua famiglia.
L’incontro con quel giovane l’aveva turbata e anche parecchio, non poteva permettersi di innamorarsi di lui, o avrebbero entrambi pagato a caro prezzo i loro sentimenti. Era da tempo che non si sentivano storie simili, l’ultimo caso risaliva a quasi novant’anni prima, quando ancora non era ben chiaro cosa dovevano evitare di fare gli umani.
Poi non si era sentito più niente. Eppure lei quell’alchimia l’aveva sentita.
Si era fatta largo in lei come un fiume nel mare, ed era ossessionata dall’immagine del bel giovine che era piombato in punta di piedi sulla spiaggia.
Le sue compagne, ormai felicemente sposate le avevano detto che quando l’alchimia ti colpisce e la cosa più bella del mondo, il baricentro del tuo mondo si sposta verso l’altra persona, e tutto ruota intorno ad essa.
E lei il suo baricentro lo aveva appena perso.
Tutto ciò la tormentava, non sapeva come gestire la situazione. Avrebbe voluto parlarne con qualcuno ma di chi si poteva fidare? Di nessuno! Se la cosa si fosse saputa in giro, avrebbe impiegato il tempo di massimo un giorno per giungere alle orecchie di Nettuno, e quando ciò fosse successo sarebbe stato troppo tardi per lei, ma soprattutto per quel impavido giovanotto che aveva conosciuto.
“Michiru qualcosa ti turba?” le chiese Silphide.
“No solo un po’ di stanchezza e di nervoso perché ultimamente non riesco a suonare come vorrei” mormorò la musicista.
“Dove hai suonato? La tua melodia non ha rallegrato i mari quest’oggi” chiese nuovamente con uno sguardo torvo.
“ Sono salita su in superficie, in una spiaggia deserta” perché aveva avuto la sfiga di possedere una sorella che era bravissima nell’arte e nella musica almeno quanto era ficcanaso? Gli occhi azzurri dell’altra ninfea si fecero più cupi mentre lei si spostava una ciocca di capelli bianchi dal viso, Michiru aveva sempre avuto il pallino di andare in superficie, ignorando quanto in realtà fosse pericoloso, e ciò non era benvisto dalla sua famiglia ne dal resto della popolazione.
“Posso stare tranquilla? Non è che ti vai a cacciare in qualche guaio Michi?” chiese.
“Ma si non dire sciocchezze, mica sono una bambina Sil” rise forzatamente nel tentativo di abbattere la tensione che sentiva crescere dentro di lei.
Stava giocando con il fuoco.
E doveva riuscire a non scottarsi fatalmente.



   
 
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