Crossover
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Autore: Darik    13/03/2004    1 recensioni
Un momento che prima o poi doveva arrivare, soprattutto quando si è fan dell'animazione robotica: l'incontro tra gli Evangelion e i Mazinga. La battaglia per la salvezza del mondo ha inizio!
Genere: Azione, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Anime/Manga
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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2° CAPITOLO

I soldati perlustravano l’area in cui era avvenuto lo scontro tra Mazinga Z e Ruger 80.

Squadre di tecnici controllavano ciò che era rimasto del mostro meccanico, un ammasso informe di metallo ormai freddo e alto una ventina di metri.

Soldati in tuta nera tenevano lontani i curiosi, mentre altri uomini vestiti in borghese interrogavano i testimoni della battaglia.

Le testimonianze erano molto confuse, la gente in quei momenti pensava soprattutto a scappare.

Comunque tutti furono concordi nel descrivere il robot che aveva sconfitto il mostro.

E i più anziani di loro, che rammentavano ciò che accadde negli anni 70, confermarono anche il nome del robot.

Uno degli uomini in borghese andò da un gruppo di ufficiali che, sistematisi dentro un palazzo evacuato, erano seduti attorno ad una cartina geografica di Tokyo posta su un ampio tavolo rettangolare.

“Signore” disse l’uomo in borghese facendo il saluto militare rivolto ad un uomo di mezza età con i baffi e uno sguardo duro, sulla cui divisa portava i gradi da generale e il cognome Kitano “abbiamo appena finito di raccogliere tutte le testimonianze. Non ci sono dubbi, si trattava davvero di Mazinga Z”.

“Questa notizia decisamente non mi rallegra” rispose l’uomo “se c’è una cosa che non sopporto, e avere tra i piedi quei dannati giganti che sembrano usciti dai cartoni animati per bambini. Non bastavano quegli stupidi Evangelion della Nerv?! Ora ci si mettono anche quelli del passato, rottami buoni al massimo per essere esibiti in un museo!”

“Non so che dirle signore. Comunque Mazinga Z è tornato, ed è riuscito a distruggere quel mostro prima che radesse al suolo la città” replicò l’uomo in borghese.

“Tenente, non si azzardi più a difendere quello stupido rottame in mia presenza. I tempi sono cambiati, il mondo che Mazinga Z proteggeva non esiste più. Avrebbe fatto meglio a restare un ricordo del passato. E io gli farò pentire di essere tornato. Voglio che mettiate immediatamente i nostri servizi segreti all’opera, che scoprano chi ha rimesso quel dannato robot in circolazione. Con lo Stato Maggiore me la vedrò io”.

“Signorsì”.

“Ora passiamo ad un altro argomento. Avete detto che c’è una vittima, giusto? Di chi si tratta?” domandò il generale.

“Abbiamo appena finito di raccogliere le informazioni su di lui dopo aver rovistato nei vecchi archivi di impronte digitali del periodo pre-Second Impact” rispose uno degli ufficiali che stavano attorno al tavolo “Era il professore Higuchi Ogisa, sessant’anni, esperto in biologia e ingegneria genetica. Per almeno vent’anni aveva lavorato all’università di Kyoto, poi nel caos provocato dal Second Impact scomparve misteriosamente, e qualcuno lo diede anche per morto. E quando ritornò a farsi vivo, nel 2001, lasciò ogni impiego universitario ritirandosi a vita privata. Da allora non sappiamo più niente di lui”.

“Informazioni?! Queste le chiamate informazioni?!” sbraitò Kitano “Io voglio sapere immediatamente cosa stava facendo qui quel vecchio, perché quel dannato mostro spuntato dal sottosuolo sembrava cosi interessato al suo lavoro, e cosa c’era in quel maledetto contenitore che avete raccolto dalla strada. Non so che farmene di un riassuntino della sua vita!”

“Si, signore” rispose il suo ufficiale subalterno con voce bassa.

“Bah, che massa di incapaci! Lei, colonnello Fujita” Kitano indicò un altro degli ufficiali seduti intorno al tavolo “i suoi uomini hanno finito di studiare quel contenitore? A cosa serviva?”

Fujita prese in mano alcuni fogli e si schiarì la voce: “Il contenitore si è rivelato essere una capsula criogenica la cui struttura interna prevedeva rinforzi in titanio, inseriti per permettere alla capsula di resistere anche agli urti più violenti.

Al suo interno abbiamo trovato una tuta aderente nera di tipo elastico, creata apposta per adattarsi a qualunque tipo di corporatura umana. Questo rende impossibile stabilire se la persona là dentro era un uomo o una donna. Ma la cosa più interessante era il casco: la sua visiera era anche uno schermo, e dentro il suddetto casco era inserita una memoria contenuta in alcuni mini cd. Abbiamo visionato il contenuto di questi cd, e direi che potremmo definirlo… didattico”.

“Didattico?”

“Si, generale. Abbiamo inserito i mini cd nei nostri computer, e contenevano migliaia di nozioni di storia, geografia, cultura, lingue, persino informazioni di meccanica e di guida su auto, barche e aerei, che si susseguivano ad un ritmo vertiginoso. Quasi come se l’occupante di quella capsula fosse qualcuno che non ne era mai uscito, e tutte quelle informazioni servivano a dargli un istruzione, a fargli da scuola insomma”.

Kitano rimase in silenzio per un po’, poi disse: “Voglio che setacciate immediatamente tutta l’area vicino a Tokyo. Fermate qualunque tipo sospetto, uomo o donna che sia. E cercate di scoprire al più presto a cosa stava lavorando il professor Ogisa”.

Una decina di minuti dopo i soldati stavano controllando le zone boscose che confinavano con Tokyo.

Forse l’unico vantaggio avutosi con l’abbandono della città da parte della popolazione, era che la natura aveva potuto finalmente riprendersi ciò che era suo, ottenendo anche delle piccole vendette contro l’uomo che l’aveva deturpata, con la vegetazione che ricopriva interamente decine di edifici abbandonati, quasi volesse inglobarli.

La zona boscosa intorno all’ex-capitale era enorme, e il governo stava pensando di farne un area protetta.

Ora, in mezzo a tutto quel verde, soldati in tuta mimetica si aggiravano armi in pugno, alla ricerca di non si sa bene cosa.

Due di loro si erano allontanati molto dal grosso del gruppo, addentrandosi in un boschetto.

“Che idioti” si lamentava sottovoce uno dei due soldati col suo compagno “i nostri superiori ci mandano in questa giungla senza neanche dirci cosa dobbiamo cercare. Ci hanno detto via radio: ’Fermate qualunque persona sospetta, uomo o donna che sia’. Ma che diavolo significa?! Non si rendono conto che si può sembrare sospetti in un infinità di modi?!”

“Che vuoi farci. Quelli sono bravi solo a dare ordini. Poi, quando riusciamo a combinare qualcosa di buono, noi ci prendiamo un semplice: ‘Ottimo lavoro, ragazzi!’, mentre loro si beccano medaglie, avanzamenti di grado e una ricca pensione” gli rispose l’altro.

“La vita del soldato fa proprio schifo. Non era come mi aspettavo”.

“Però oggi sembra che sia successo finalmente qualcosa di nuovo”.

“Ti riferisci alla battaglia tra quel Mazinga Z e quella specie di mostro? In effetti deve essere stato uno spettacolo interessante”.

“Ah, Mazinga Z. Se fosse ancora vivo il mio vecchio, sicuramente andrebbe su di giri. Quando era giovane lui andava pazzo per Mazinga Z, diceva che era una sorta di idolo per quelli della sua generazione e sin da piccolo mi faceva una testa tanta per raccontarmi le imprese di quel robot”.

D’un tratto, un fruscio tra i cespugli alla loro sinistra.

“Che cosa è stato?” domandò uno dei soldati puntando il suo mitra in quella direzione.

“Sarà stato un animale” rispose l’altro.

“Io vado a dare un occhiata” gli rispose il primo e cautamente si avvicinò al cespuglio cominciando a scuoterne le foglie con la canna della sua arma.

“Ti copro” gli disse il suo compagno puntando il mitra in modo da colpire qualunque cosa fosse sbucata da dietro quel cespuglio.

Però videro una cosa che non si aspettavano assolutamente: dietro il cespuglio stava rintanata una ragazza che doveva avere almeno 20 anni, molto bella e completamente nuda.

La pelle liscia, un corpo dalle proporzioni perfette, lunghi capelli castani e occhi verdi.

Stava seduta sulle ginocchia e fissava incuriosita e per nulla imbarazzata i due soldati, che invece erano arrossiti.

Non avevano mai visto prima una donna cosi bella.

“D… direi che abbiamo trovato un tipo sospetto…” disse uno.

“Una tipa anzi… e che tipa…”

“C…chiamiamo la base…”

L’altro però non fece in tempo a rispondere, perché qualcosa con un guizzo fulmineo lo colpì al collo trapassandolo da parte a parte.

Tra gli schizzi di sangue che uscivano dalla ferita al collo, inflitta con una sorta di pugnale, il soldato cadde a terra gemendo e contorcendosi.

“Ma che diavolo…” gridò l’altro, che fece per girarsi e sparare verso gli alberi da cui sembrava essere arrivata la lama.

Ma un secondo oggetto, anch’esso fulmineo, lo colpì in piena fronte conficcandosi profondamente nella sua testa, facendolo cadere a terra morto e con un espressione sorpresa dipinta sul viso.

Alcune gocce di sangue avevano bagnato il volto della ragazza nuda, che si toccò quel liquido rosso con le dita e lo guardò sorpresa.

Dagli alberi saltarono alcune ombre, che toccarono terra con grande precisione: erano quattro uomini che indossavano una tuta nera e una sorta di armatura sul petto, le braccia e le gambe.

Indossavano una maschera che sulla fronte riportava un piccolo e strano simbolo: un animale ringhiante simile ad un lupo e con tre teste.

“Base, abbiamo trovato l’obiettivo” disse uno dei quattro uomini con una voce che sembrava contraffatta.

L’uomo doveva avere un auricolare inserito nella maschera.

Gli giunse una risposta: “Bene. Il nostro capo sapeva che pedinare quelli dell’esercito sarebbe stata un’ottima mossa. Abbiamo lasciato che facessero loro il lavoro per noi. Ora procedete alla cattura con la massima cautela e ricordatevi di prenderla viva e intatta”.

I quattro uomini puntarono le braccia contro la ragazza, mentre si muovevano lentamente e con fare deciso verso di lei, e dagli avambracci spuntarono delle minuscole canne.

La ragazza continuava a guardarli incuriositi, poi finalmente parlò: “P… perché li avete uccisi?”

Come risposta da una delle canne partì una minuscola freccia che prese la ragazza alla spalla sinistra.

“Ahi!” esclamò la ragazza estraendo prontamente la freccetta dalla sua spalle e guardandola.

“Non è possibile. Quelle freccette sono intrise di un narcotico potentissimo, che agisce in meno di un secondo!” esclamò uno dei quattro, che si prepararono a lanciare altre frecce contro di lei.

Ma la ragazza si scurì in volto, e li fissò con occhi duri, occhi in cui all’improvviso brillò una strana e sinistra luce.


Un giovane con lunghi capelli castani, che indossava camicia e pantaloni jeans e aveva un piccolo zaino sulle spalle, stava correndo a perdifiato per il bosco.

Sulla testa aveva una grossa benda, in alcuni punti leggermente sporca di sangue, segno che era stato medicato da poco.

Il ragazzo fino a quel momento era riuscito ad evitare tutte le pattuglie di soldati che perlustravano i boschi, più per fortuna che per abilità, e per maggiore sicurezza aveva deciso di aggirarli facendo un giro lungo.

Continuava a guardarsi attorno, guardava dietro cespugli o massi, perfino sotto le radici di grandi alberi che spuntando dal suolo formavano una sorta di cavità.

Era chiaramente alla ricerca di qualcosa.

Poi udì un grido abbastanza lontano, seguito da quattro tonfi sordi.

Con espressione preoccupatissima, corse in direzione del grido, senza riuscire a capire se a gridare fosse stato un maschio o una femmina.

Percorsa una cinquantina di metri, si ritrovò in uno spiazzo e vide uno strano spettacolo: quattro uomini indossanti una tuta nera giacevano per terra, mentre una ragazza nuda era piegata su altri due uomini, che sembravano dall’abbigliamento essere soldati, e dava le spalle al nuovo arrivato.

Sembrava che la ragazza stesse armeggiando con qualcosa, poi con movimenti secchi di entrambe le braccia tirò fuori due pugnali la cui lama era sporca di sangue, e li gettò a terra.

Spaventato, il ragazzo cercò lo stesso di avvicinarsi con molta prudenza alla donna, che ad un tratto sembrò percepire la sua presenza, si girò di scatto mettendosi in piedi ( e facendo arrossire al massimo il giovane), poi una forza invisibile sembrò afferrare il giovane per il collo e sollevarlo ad almeno dieci metri dal suolo.

La ragazza aveva uno sguardo duro, i pugni chiusi.

“A… aspetta… io sono… sono un amico…” provò a dire il giovane “sono… sono Akito Sagisu… l’assistente di laboratorio di tuo padre… il professor Higuchi Ogisa!”

“Mio padre!” esclamò la ragazza.

“S…si, e sono un amico, devi credermi. Tu sai che sono sincero… Nadia”.

La ragazza lo fissò con sguardo scrutatore per alcuni secondi, poi un leggero sorriso si disegnò sul suo viso, e finalmente Akito sentì quella forza invisibile che lo posava delicatamente a terra.

Il giovane assistente tirò un sospiro di sollievo, era riuscito a trovare la figlia, anche se nata artificialmente, del suo mentore.

Si tolse lo zaino dalle spalle, e ne estrasse dei vestiti, un paio di stivaletti, una camicia con un pantalone jeans e anche della biancheria intima femminile (che aveva comprato poco prima nel primo negozio aperto che aveva trovato, rispondendo imbarazzato alla commessa che lo guardava: ”Sono per la mia fidanzata. Manda sempre me a fare le compere”) che porse alla ragazza, di cui tentava anche di non fissare la nudità, ma i suoi occhi erano come calamitati dalla bellezza di lei.

Nadia però si era nuovamente piegata sui due soldati morti, uno aveva una ferita al collo, l’altro alla fronte, due ferite provocate sicuramente da quei quattro uomini che giacevano per terra dietro di loro come se fossero morti.

La ragazza posò le mani sulle due ferite, i cui lembi cominciarono a brillare.

Le ferite si richiusero, ma i due soldati restavano morti.

“Perché?” domandò la ragazza.

“Perché cosa?” le domandò a sua volta Akito che si stava innervosendo sempre più: con tutti i soldati che circolavano nella zona, non era prudente restare li, dovevano andarsene al più presto.

“Perché non tornano in vita?” chiese Nadia.

Allora Akito capì cosa stava pensando la ragazza, lui conosceva, anche se non nei dettagli, quali fossero le capacità di Nadia.

“Nadia, mi dispiace, ma i tuoi poteri non funzionano cosi. Puoi guarire, puoi salvare persone in condizioni disperate, ma non puoi resuscitare i morti. Non puoi più aiutare questi due”.

“Ma… ma io…”

“Ti prego, ora andiamocene. Vedi quei quattro uomini vestiti di nero e stesi lì? Sicuramente ce ne sono altri come loro, che non commetteranno l’errore di sottovalutarti. Prima che arrivino, dobbiamo andarcene da qui”.

Nadia fissava in silenzio i due soldati morti.

“Non sentirti in colpa per loro, non sei tu la responsabile della loro morte. E se proprio vuoi vendicarli e vuoi impedire che altre persone muoiano, vieni con me. Io ti aiuterò a farlo sconfiggendo il mandante di quelli uomini in nero”.

Nadia mormorò: “Mi dispiace tanto…”

Finalmente la ragazza si alzò, Akito si girò e le diede i vestiti.

Quando fu vestita, la prese per mano e cominciarono a camminare con passo veloce: “Per fortuna conosco bene questa zona. Mancano due chilometri per uscire dal bosco, dovremmo trovare una fermata dell’autobus che conduce in città. Andremo a casa mia, poi con la mia macchina ci recheremo da un uomo che, almeno secondo le parole del professor Ogisa, dovrebbe poterci aiutare”.

“Senti… Akito. Mio padre… è morto.”

Akito si bloccò e guardò sorpreso Nadia. Sapevo di non poterlo negare: “Si. Come lo sai?”

“Ho avvertito la sua morte, è morto per proteggermi” disse la ragazza.

“Scusa la mia fretta, ma se vuoi piangere, adesso non è il momento”.

“Non ho bisogno di piangere. Quando è morto, io ero con lui, ho provato quello che ha provato lui. Un dolore, una sofferenza, che valgono più di qualunque lacrima”.

Calò il silenzio tra i due, poi si sentirono rumori di numerosi passi.

“Andiamocene!” esclamò Akito e i due si misero a correre.

Non appena i due ragazzi se ne furono andati, i corpi dei quattro uomini in nero d’improvviso si incendiarono, alte fiamme che li ricoprivano interamente.

E proprio allora sbucarono dalla vegetazione gli altri soldati, che cercarono di prestare un inutile soccorso ai loro compagni morti, e si chiedevano perplessi cosa fosse successo li prima che arrivassero.


“Maledizione! Maledizione!” sbraitava Cerberus dentro la sua base segreta.

Si trovava all’interno di una strana stanza, le cui pareti erano di vetro e mostravano una sorta di acquario.

Ma in quell’acqua non nuotavano pesci, bensì mostruose aberrazioni: squali bianchi muniti di braccia e gambe artigliate e con un espressione ancora più feroce di quella degli squali normali, meduse di orrende aspetto e dai tentacoli lunghi decine di metri, piovre con enormi bocche piene di denti aguzzi e posizionate sulla sommità della testa.

Esemplari di fauna marina che Cerberus aveva modificato geneticamente per poi crogiolarsi nel piacere di vedere le sue creature mentre combattevano tra loro oppure mentre si nutrivano di poveri malcapitati che Cerberus gettava tra le loro fauci o perché l’avevano deluso oppure per il semplice gusto di farlo.

Ma in quel momento era troppo adirato per godersi gli “spettacoli” delle sue creazioni.

Restando fermo nell’ombra al centro della stanza, ribolliva di rabbia al pensiero che i suoi subalterni erano stati vicinissimi nel mettere le mani sopra l’arma che il professor Ogisa aveva creato.

Ma avevano sottovalutato i poteri di cui era dotata quell’arma, che li aveva stesi senza problemi ma lasciati in vita.

Nell’armatura delle loro tute erano istallate microtelecamere, che erano rimaste sempre in funzione e quindi avevano permesso a Cerberus di vedere che aspetto avesse l’arma creata da Ogisa e anche di vederla allontanare insieme a quel Akito Sagisu.

Però i suoi uomini si erano dimostrati autentici idioti, non meritavano di vivere, quindi aveva utilizzato il comando di autodistruzione che aveva fatto istallare in tutte le tute dei suoi sottoposti.

“Morite tra le fiamme, porci! Questa fine vi meritate!”

Ma restava il fatto che l’obiettivo era sfuggito, sicuramente non si trovava più a Tokyo e non sapeva dove cercarlo.

Proprio allora giunsero da un ascensore camuffato sul pavimento due uomini piuttosto giovani, identici nell’aspetto quindi gemelli, che indossavano un vestito rosso con la parte che ricopriva il torace e il ventre completamente nera, e circondato da un ampio mantello color viola scuro.

Entrambi avevano anche i capelli raccolti in una coda di cavallo cosi lunga che quasi toccava il pavimento.

“Gog, Magog, fuori di qui! Non ho tempo da perdere con voi!” esclamò Cerberus.

“Già, di sicuro inveire contro tutto e tutti è un modo migliore di passare il tempo” replicò Gog, il gemello a destra.

“Abbiamo deciso di includerti tra chi ha il potere, ma non stai facendo una gran bella figura” continuò MaGog.

“Come osate parlarmi cosi?!” gridò Cerberus uscendo dall’oscurità: Cerberus era alto almeno due metri, aveva addosso un armatura nera che ricordava un po’ le armature dei cavalieri medioevali, ma molto più minacciosa, e un ampio mantello anch’esso nero.

Infine indossava anche un elmo alquanto particolare: nella parte frontale era raffigurato un grande e intimidatorio volto di lupo, e attraverso la bocca di quest’ultimo si vedeva il viso di Cerberus, un uomo giapponese dalla carnagione scura e i lineamenti feroci.

Poi altri due volti di lupo, più piccoli, si trovavano uno immediatamente sopra quello principale, e l’altro invece nella zona posteriore dell’elmo.

“Osiamo, osiamo. Ricordati di questo: se è vero che sei stato tu ad apportare le migliorie ai mostri meccanici che hanno permesso alla tecnologia micenea di risorgere dopo la sconfitta del Dottor Inferno, e anche vero che siamo stati noi due a fornirti il materiale necessario per fare ciò. Noi abbiamo raccolto ciò che restava dell’organizzazione del Dottor Inferno e l’abbiamo forgiata in modo che ci permettesse di conquistare il mondo” disse Gog.

“E quando abbiamo deciso di lavorare insieme, abbiamo anche stabilito che noi due non saremmo stati i tuoi servitori, ma i tuoi alleati. Il nostro è un triumvirato. E’ vero, quello che impartisce la maggior parte degli ordini sei tu, hai il carisma e la ferocia che ogni leader dovrebbe avere, ma anche noi due sappiamo farci rispettare. Il piano per la conquista del mondo l’hai ideato tu, e ci trova d’accordo, ma non dimenticare mai chi è che ti ha aperto la porta” continuò MaGog.

“Non mi servono lezioni di storia” disse Cerberus che a stento tratteneva la sua rabbia. “Allora, miei… alleati” pronunciò questa parola come se non credesse affatto nel suo significato letterale “che cosa mi consigliate?”

Gog: “Il compianto dottor Ogisa non era uno sprovveduto. Avrà sicuramente preso delle precauzioni nel caso gli accadesse qualcosa prima che potesse inserire la sua creatura nel mondo. E conosceva bene gli ambienti militari, sapeva che se mettevano le mani su di lei, l’avrebbero usata come arma. Quindi è da escludere che il suo assistente, Akito Sagisu, si rivolga al governo giapponese o a qualche altra organizzazione ufficiale”.

MaGog: “E sicuramente non avrà voluto caricare con un simile responsabilità le spalle di un ragazzo uscito fresco fresco dall’università. Dunque crediamo che dovremo cercare nel passato di Ogisa eventuali suoi conoscenti a cui era capace di affidare la sua creazione”.

“Si tratterà sicuramente di qualcuno che ha conosciuto prima del Second Impact. Dopo il disastro e la morte della moglie e della figlia, viveva rintanato, lontano dal mondo, grazie anche a me” disse Cerberus con un malvagio sorriso di soddisfazione “organizzate vaste ricerche di archivio, voglio che setacciate palmo a palmo la vita di quel vecchio prima del Second Impact”.

“Molto bene. Lo vedi che ti siamo d’aiuto?” domandò ironico Gog.

“Se non fosse stato per noi, adesso staresti ancora a perdere tempo con le tue maledizioni” continuò altrettanto ironico MaGog.

I due gemelli se ne andarono, mentre Cerberus, con le mani conserte dietro la schiena, fissava il suo sinistro acquario.

“Continuate pure a darvi delle arie, brutti idioti. Pensate che solo perché siete stati i miei fornitori, potete sfruttarmi come vi pare? Quando il mondo sarà mio, mi divertirò a sezionarvi per vedere se anche dentro siete gemelli”.

IL GIORNO DOPO

UFFICIO DEL COMANDANTE SUPREMO DELLA NERV

Gendo aveva appena posato la cornetta del telefono sulla sua scrivania.

Rimase pensieroso per un po’ a fissare il vuoto, poi chiamò il suo vice Kozo Fuyutsuki che in quel momento si trovava sul ponte di comando.

Kozo entrò con calma nell’ufficio mettendosi affianco a Gendo e guardandolo in faccia: “Di cosa volevi parlarmi, Ikari”.

“In riguardo al combattimento di ieri tra il redivivo Mazinga Z e quel misterioso mostro meccanico, ho chiesto ad alcune mie conoscenze nell’esercito giapponese di tenermi costantemente informato su tutto ciò che scoprivano su questo caso, in particolare sull’identità di quel misterioso uomo col camice bianco che abbiamo visto essere pronto anche a morire pur di proteggere il misterioso contenuto di quella capsula, evidente bersaglio del mostro”.

“Ci sono dunque delle novità?”

“Oh si. Molte novità. Ho chiesto che mi mandassero un fax, e dovrebbe arrivare proprio adesso”.

E infatti si udì un bip continuato giungere da un grosso tiretto della scrivania.

Gendo lo aprì rivelando la presenza di un fax che stava stampando un messaggio.

Il comandante tolse il foglio col messaggio e lo passò al suo vice, che lo osservò incuriosito.

Lo sguardo di Fuyutsuki scorreva con grande rapidità quelle righe fresche di stampa, finché non si bloccò su un nome:

“Ogisa… Higuchi Ogisa!” mormorò l’anziano uomo.

“Immagino che te lo ricordi” disse Gendo “Io lo avevo già sentito questo nome. Era il tuo predecessore alla cattedra di biologia metafisica a Kyoto, giusto?”

“Si. Era stato anzi proprio lui a inaugurare quel tipo di studi all’università di Kyoto. Considerava quella facoltà quasi come una figlia, e quando giunsi lì, mi riempiva sempre di raccomandazioni su quale fosse il modo migliore di agire in quel campo. Era una persona veramente geniale, e diventammo ottimi amici, uno dei pochi veri amici che avevo. Purtroppo la nostra amicizia venne troncata dal Second Impact, lui sparì dalla circolazione, e in molti lo credemmo morto. Poi nel 2003 mi scrisse una lettera, in cui mi diceva che era vivo e stava bene. Avrei voluto rispondergli, anche rincontrarlo, ma sulla lettera non c’era l’indirizzo del mittente. E da allora più niente.”

“Di sicuro in questi anni non è rimasto con le mani in mano. Il laboratorio in cui conduceva il suo misterioso esperimento era suo, ma lo aveva comprato sotto falso nome, quasi come se si nascondesse da qualcuno. Tu non hai idea su che cosa lavorasse?”

“No”.

“Questa vicenda mi incuriosisce sempre più. Ho detto alle mie conoscenze nell’esercito di tenermi costantemente informato su ogni possibile sviluppo, e per il momento più di questo non possiamo fare” concluse Gendo.

Frattanto Fuyutsuki continuava a fissare il foglio che aveva in mano.

SCUOLA MEDIA DI NEO-TOKYO 3

Shinji Ikari era in classe, che pigiava pigramente alcuni tasti del computer portatile che ogni alunno aveva con se.

Il professore si era perso, tanto per cambiare, nei suoi ricordi riguardanti il Second Impact, e puntualmente trasformava cosi ogni lezione in una tortura per i suoi studenti.

Perché li costringeva ad ascoltare una storia che ormai conoscevano a memoria, e siccome erano nell’orario delle lezioni, erano anche obbligati a mostrarsi attenti.

C’era chi vi riusciva di più, come la capoclasse Hikari, e chi meno, come Toji, che faceva sbadigli a tutto spiano.

Shinji si chiedeva come facesse Toji a comportarsi in classe in quella maniera senza essere mai ripreso dal professore.

Rei Ayanami invece guardava fuori dalla finestra, mentre Asuka stava leggendo un fumetto, ma in maniera alquanto originale: lo aveva scannerizzato su un cd, che aveva poi inserito di nascosto nel suo computer personale. E cosi, fingendo di premere in continuazione i tasti del PC per far credere a tutti che stesse prendendo appunti, in realtà si stava facendo una lettura decisamente poco scolastica e molto divertente, perché aveva sorriso molte volte, un sorriso che in più di un occasione sembrava sul punto di trasformarsi in una risata sguaiata.

Anche Kensuke era impegnato in una lettura che sembrava interessarlo molto, del tutto estranea alla lezione e meno ingegnosa di quella di Asuka: leggeva, tenendola sotto il banco, una rivista che a giudicare dalla numerose pieghe della copertina, doveva essere molto vecchia.

Non sembrava però una rivista riguardante argomenti militari, non c’erano scritte o immagini di armi e mezzi bellici.

Pareva al contrario uno di quei settimanali di informazione che trattavano un po’ tutti i campi.

“Chissà cosa sta leggendo Kensuke” pensò Shinji, quando ad un tratto si udì la voce del professore dire autoritaria: “Aida, cosa succede? Non ti interessa la mia lezione?”

Come per magia, tutti quasi scattarono sull’attenti, pur restando seduti: Toji si mise dritto sulla sedia cercando di assumere l’espressione più concentrata e interessata che potesse fare, Asuka veloce come un lampo finalmente premette veramente un pulsante della tastiera togliendo la schermata col fumetto e facendo apparire al suo posto un'altra contenente appunti sulla lezione. Sapendo che il professore ripeteva sempre le stesse cose, l’aveva preparata la sera prima.

“Alla faccia di chi dice che Asuka è imprudente!” pensò Shinji.

Persino Rei girò il suo sguardo dalla finestra all’interno dell’aula.

Kensuke invece era diventato rigido come una statua, mentre il professore con calma si alzava e si dirigeva verso di lui.

“Cosa stai leggendo?” gli domandò quando fu davanti a lui.

Inizialmente spaventato, Kensuke riprese rapidamente il controllo: “Vede professore, siccome lei parla sempre del Second Impact, allora ha fatto nascere in me il desiderio di sapere come fosse esattamente il mondo prima di quel disastro. Cosi sono riuscito ad ottenere uno dei giornali del periodo pre-Second Impact e non ho saputo resistere alla tentazione di dargli subito un occhiata” e subito gli porse il giornale che stava leggendo, mentre il professore lo guardava severamente.

L’insegnante prese la rivista, era davvero molto vecchia, e cominciò a sfogliarla.

Nella classe era sceso un silenzio quasi irreale, appena disturbato dallo sfogliare del professore.

Dopo un po’ gliela restituì: “Va bene. Mi congratulo per il tuo scrupolo di approfondire l’argomento che stiamo studiando. Ma la prossima volta che vuoi informazioni sul periodo pre-Second Impact, chiedile a me direttamente”.

“Si professore, sicuramente”.

Il professore si girò tornando al suo posto, Kensuke si rilassò sulla sua sedia sospirando per lo scampato pericolo e la lezione riprese.


Durante l’intervallo, Kensuke era uscito dalla classe ed era andato sul terrazzo per consumare il suo pranzo, seguito da Toji e Shinji.

Sul balcone c’erano anche la capoclasse Hikari e Asuka, che stranamente avevano scelto lo stesso posto dei ragazzi per pranzare.

E perfino Rei era presente, mentre fissava in silenzio il panorama appoggiata alla ringhiera.

“Allora Kensuke” esordì Toji mentre divorava un panino “che cosa stavi leggendo di cosi interessante? Tanto lo sappiamo tutti che era soltanto una balla quella che hai raccontato al prof”.

“Stavo cercando notizie su un robot storico che è tornato nuovamente alla luce” esordì Kensuke frugando nella sua borsa per tirare fuori la vecchia rivista.

“Ovvero?” domandò Shinji.

“Ma come? Non lo avete saputo? Ah già, la solita censura militare. Parlo del ritorno di Mazinga Z e della battaglia che ha sostenuto ieri contro un misterioso mostro meccanico a Tokyo”.

“Mazinga chi?” domandarono insieme Toji e Shinji.

“Be, non mi sorprende che voi non lo conosciate. Mazinga Z agiva negli anni 70. A quell’epoca i nostri stessi genitori erano solo dei bambini. Io ho saputo della battaglia sbirciando i dati di mio padre, come mio solito. La Nerv è stata messa in allarme dal ritorno di Mazinga, lo ritengono un possibile concorrente o addirittura un possibile nemico. Mio padre parlava al telefono e diceva che Mazinga Z non si faceva più vedere dalla metà degli anni 70, e allora sono andato a cercare informazioni su internet, ma senza trovare nulla. Evidentemente tutte le informazioni su quel robot sono state cancellate sia dallo scorrere del tempo, sia dalla confusione provocata dal Second Impact. Lo rammentano ormai solo coloro che all’epoca erano adolescenti come noi. E cosi sono andato a rovistare nel baulone”.

“Baulone?!”

“Si, un vecchio e grosso baule dove conserviamo tutte le riviste con cui collaborò mio nonno, che faceva il giornalista. Aveva lavorato si può dire per tutti i giornali più importanti di quegli anni, e sapevo che rovistando, rovistando avrei trovato qualcosa. Perciò” il ragazzo si mise a sfogliare il giornale molto velocemente, e subito lo piazzò davanti ai suoi due amici “eccolo qui Mazinga Z!”

Shinji e Toji osservavano incuriositi quelle pagine ingiallite: c’era la foto in bianco e nero di un grosso robot che, in mezzo ad uno scenario di palazzi distrutti e in fiamme, combatteva contro strani giganti dall’aspetto orrido o grottesco.

E il titolo dell’articolo diceva: “Eccezionale scoop di un nostro giornalista! Ripresa dal vivo una delle battaglie tra il misterioso Mazinga Z e i mostruosi esseri meccanici che minacciano il Giappone e il mondo!”

“Immagino che il fotografo che ha fatto lo scoop fosse proprio tuo nonno, vero?” domandò Shinji.

“Si. Solitamente, stando a quanto è scritto qui, la gente non assisteva mai alle battaglie di Mazinga Z. Era troppo presa a scappare e la zona veniva isolata dall’esercito. Ma mio nonno superò i divieti e andò a vedere lo stesso”.

“Dev’essere un vizio di famiglia allora!” pensò Toji, che forse aveva finalmente capito da chi Kensuke avesse preso il coraggio di andare a rischiare la vita pur di filmare qualcosa.

“Fatemelo vedere questo famoso Mazinga Z!” disse all’improvviso Asuka irrompendo sulla scena e mettendo entrambe le braccia sulla testa di Toji, col risultato di farlo cadere steso per terra.

Sembrava che la ragazza avesse fatto finta di non badare alla discussione tra i tre amici, e invece aveva ascoltato eccome.

“Tsk. E che è sto rottame?! Il mio 02 è mille volte meglio! Non lo pensi anche tu, Shinji?”

“Be… ora come ora…” rispose imbarazzato Shinji.

“Cosa vorresti insinuare?! Che il mio 02 è peggiore di quel Mazinga!?” replicò Asuka alquanto irritata e minacciando col suo pugno il povero Shinji.

“No, no! Non mi permetterei mai di dire una cosa simile!”

“Insomma, vuoi levarti di dosso?! Pesi una tonnellata!!” gridò Toji cercando di alzarsi.

“Coooosa!!?? Stai forse insinuando che sono pesante?!”

“Si, sembri esile ma pesi come una cicciona!” replicò il ragazzo.

Toji cominciò a scappare inseguito da Asuka, che sembrava sul punto di lanciare fulmini e saette, mentre la capoclasse cercava invano di fermarli.

Rei li fissava distrattamente mentre Shinji e Kensuke facevano un risolino nervoso.


Frattanto Akito stava viaggiando a velocità sostenuta con la sua macchina su una strada secondaria che si allontanava da Tokyo.

Avevano appena fatto in tempo a lasciare la città prima che i militari chiudessero ogni strada.

Ora erano in viaggio da almeno tre ore, tre ore cariche di tensione per il giovane Sagisu, che sussultava ogni volta che su quella strada semideserta incrociavano qualche macchina.

Nadia per sicurezza l’aveva fatta sdraiare sul sedile posteriore, la ragazza fissava con il viso rivolto verso l’alto il paesaggio che si intravedeva dal finestrino.

La sua espressione era impenetrabile.

Akito però sentiva il bisogno di parlare, di rompere quel silenzio: “Sei stanca Nadia?”

“No, non preoccuparti”.

Di nuovo tornò il silenzio, che venne nuovamente interrotto stavolta da Nadia: “Senti, quest’uomo da cui mi stai portando… sei sicuro che possa aiutarci?”

“A essere sinceri non lo so. Ma tuo padre mi diceva che l’uomo da cui stiamo andando adesso era l’unico amico rimastogli, l’unico di cui si fidasse ancora”.

“Capisco. Sai, è tutto cosi strano”.

“Cosa è strano?”

“Io conosco questo mondo, eppure allo stesso tempo mi è sconosciuto. Non l’ho mai affrontato direttamente, l’ho sempre visto come attraverso uno specchio. E ora che ne ho cominciato a conoscere alcuni aspetti, mi fa paura. So che gli uomini sono in grado di uccidere, ma vederlo fare direttamente… mi ha lasciata inorridita, e arrabbiata anche”.

“Tranquilla, sono sicuro che riusciremo a sconfiggere colui che inseguiva tuo padre e che ne ha anche provocato indirettamente la morte. E dopo aver fatto questo, potrai finalmente farti una vita” la rassicurò Akito.

“Farmi una vita? Io avevo già avuto una mia vita, e il destino aveva già deciso una volta di togliermela. Non devi nascondermi niente, mio padre mi ha informata di tutto mentre ero nella capsula criogenica”.

“Di tutto?”

“Si”.

La macchina proseguiva il suo viaggio mentre il pomeriggio volgeva al termine e si avvicinava la sera.


Nella base segreta di Cerberus, il malvagio stava ancora contemplando il suo acquario personale, quando dal suolo si alzò un piccolo piedistallo con uno schermo.

Cerberus lo fissò, mentre lo schermo si illuminava rivelando il volto di uno dei due gemelli suoi alleati.

“Buone notizie Cerberus. Abbiamo completato la nostra ricerca, e abbiamo una lista di nomi tra i quali potrebbe esserci quello dell’uomo a cui aveva pensato Ogisa nel caso fosse morto”.

Sullo schermo iniziò a sfilare un elenco di nomi, Cerberus li guardava in silenzio, finchè non ne indicò uno col dito: “Lui, sono sicuro che è lui”.

“Kozo Fuyutsuki? Cosa te lo fa pensare?”

“Il fatto che sia il vice-comandante della Nerv. Quale posto migliore poteva trovare Ogisa per proteggere la sua creazione? Ovviamente non avrà mai avuto l’intenzione di affidarla alla Nerv ufficialmente, ma certamente Ogisa avrà puntato sull’amicizia che lo legava a Fuyutsuki, nella speranza che quest’ultimo riuscisse lo stesso a impiegare le risorse di una delle più potenti organizzazioni del mondo”.

“Dunque Akito Sagisu si sta dirigendo verso Neo-Tokyo 3? Mandiamo nostri uomini allora”.

“No, o almeno, non solo nostri uomini. Non dimenticarti che il nostro obiettivo possiede poteri eccezionali, potrebbe stendere da sola un esercito di soldati, per quanto bene addestrati possano essere. Terremo pronti all’azione alcuni mostri meccanici. Se i nostri uomini falliranno, interverranno loro”.

“Non ti preoccupi degli Evangelion?”

“Quegli umanoidi possono essere molto pericolosi, ma basta troncare il loro cavo di alimentazione, far passare cinque minuti e il gioco è fatto”.

“E se si facesse di nuovo vivo Mazinga Z?”

“L’altra volta ha vinto solo perché non lo avevamo previsto. Ma adesso, se dovesse provare a farsi vivo, troverà pane per i suoi denti”.

Lo schermo si spense, e Cerberus sorrideva: “Mio caro Gendo, a quanto pare i nostri destini sono inevitabilmente legati”.

  
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