Holaaa! Ecco, dopo molte lune, il secondo capitolo.
Ma prima, anche se ormai è passato un sacco di tempo, vorrei dire un paio di cose sull’ultimo film di Harry Potter, in particolare su Piton. Amare una donna, lei e soltanto lei, per tutta la vita, vederla sposare quella sottospecie di hippy johnlennonesco, continuare ad amarla dopo la sua morte, fino alla morte: questo sì che è Romanticismo Gotico! Harry Mystryss ecc. è solo un principiante a confronto… .-.
CAPITOLO 2
L’AVVERTIMENTO DI DOBBYLAS
Harry, che già si stava buttando sul letto a volo d’angelo, fece un goffo tentativo di fermarsi a mezz’aria, tentativo che portò ad un drammatico – e assai doloroso – incontro ravvicinato con il duro parquet del pavimento.
La creatura, che stava occupando abusivamente il suo giaciglio, era la stessa che, quel mattino, cercava di nascondersi invano dietro ad una siepe del giardino: un tizio spaventosamente bello, alto due metri, con lunghi, lunghissimi e serici capelli biondi e le orecchie da dottor Spock, assorto fino ad un istante prima nella lettura del Diario Segreto e Personale di Harry Mystryss Darque Nyght Rayn Ravyn Potter.
Harry, rialzatosi da terra, si assicurò di non averci lasciato nessun pezzo della sua faccia e si guardò febbrilmente attorno alla ricerca di un’arma contundente con la quale abbattere e/o scacciare l’intruso molesto. Osservò la gabbia di Brandon Lee, di ferro massiccio, e si chiese se le sue gracili, rachitiche braccine fossero abbastanza forti da sollevarla e calarla con forza sull’orecchiuto (non ci credo! Word conosce orecchiuto!! ndA) cranio dell’avversario. Accantonò l’idea, anche perché in cotal modo rischiava di danneggiare il povero inquilino della gabbia. Spostò quindi il suo sguardo sulla scrivania, dove, fra trattati di magia nera, bibbie gotiche, antiche e apocalittiche scritture in enochiano, copie più o meno affidabili del Necronomicon e degli scritti pnakotici, fermacarte a forma di teschi, rose e lapidi, specchietti a forma di bara, scatole a forma di mani morte e sfere di cristallo, finalmente vide ciò che avrebbe potuto salvare l’intimità del suo covo. Con uno scatto felino (con annesso urto sullo spigolo della scrivania con il gomito) in slow motion, che fa tanto film d’azione, afferrò il Dizionario dei Sinonimi e dei Contrari e lo scagliò con tutta la sua – poca – forza contro lo sbiondato estraneo… mancandolo di un metro. Il mastodontico librone si schiantò contro la parete, dando vita ad una crepa che si allargò crepitando attraverso tutto il soffitto, per poi colpire il pavimento con un tonfo sordo (il librone, non la crepa).
Mentre nella stanza di Harry si consumava questa cacofonia di rumori roboanti, al piano di sotto zio Vernon stava esaurendo le scuse per giustificare il baccano colossale proveniente da sopra le loro teste.
«Chi cavolo sei tu?!» domandò Harry ostile, minacciandolo con il femore umano che usava come grattaschiena e/o mazza da baseball e/o mazza da golf e/o paletta per le mosche (povere) – come potevano testimoniare i diversi buchi a forma di testa di femore nel muro.
Il perticone si alzò e sbatté la sommità del cranio contro il soffitto (aprendovi l’ennesimo buco circolare): «D’oh!».
Si ricompose rapidamente. «Il mio nome è Dobbylas, il nobile ed altolocato elfo domestico».
Solo allora Harry si rese conto che l’elfo era effettivamente vestito da domestico; più precisamente, da maid francese.
«Ma davvero?» disse
il goth guy. «Senti, non so cosa tu voglia, ma
vai a perdere capelli da un’altra parte» aggiunse, sollevando, schifato, un
lungo, lunghissimo e serico capello platino dal copriletto nero.
«Oh, mi dispiace» si scusò
Dobbylas. «Di solito a casa uso la retina».
«E cosa cavolo ci fai qui?»
L’elfo estrasse dalla tasca
del grembiulino una lunga pergamena, la srotolò – la pergamena rotolò
scenograficamente fuori della porta –, la lisciò, si schiarì la voce e lesse:
«Harry Potter non deve tornare alla Scuola di Magia, Stregoneria, Arti Marziali e Tattiche Militari di OhSchwartz».
«E ti serviva scriverlo?»
replicò il nostro… eroe.
«Eh, sì. Devi sapere che ho
una memoria davvero molto scarsa… mi dimentico le pentole sul fuoco, i camini
accesi d’estate, il condizionatore d’inverno… mi dimentico di chiudere le
finestre quando arrivano gli uragani, mi dimentico anche di vestirmi, a volte…
e mi dimentico di… di…» pausa «…cosa stavo dicendo?».
«Perché non dovrei tornare
a OhSchwartz?» domandò pazientemente Harry, soppesando il femore in maniera
allusiva.
«Non me lo ricordo!»
replicò l’elfo «Non ci stava scritto sulla pergamena(?!?). Se tu avessi
Facebook come tutto il resto del mondo te l’avrei scritto lì, così non avrei
dovuto farmi quattro ore di treno, tre di aereo, due di autobus e venti
chilometri a piedi!»
«Io non mi affilio al Male»
ribatté sprezzante il goth guy. «Non nominare il Male in mia presenza».
«Male?»
«Face…quella roba lì».
«Tsk» replicò sdegnosamente
l’elfo «Come sei vecchio. Perfino il
tuo Arci-Nemico-Momentaneamente-Morto-Ma-Non-Si-Sa-Mai o Arci-N ha il profilo
su Facebook. E se ce l’avessi anche tu, i tuoi amici non ti spedirebbero
lettere con le quali io posso ricattarti».
«Tienitele» ribatté Harry «non
mi interessano le menate ipocrite e autolesioniste di Ron o le minacce di morte
di Hermione».
«Ma ho anche i numeri degli
ultimi tre mesi di quel giornale a cui sei abbonato, come si chiama…»
«Gothic Beauty?»
«Sì, quello-
«NOOOOOOOOOOOOOOOOOOO!»
strepitò inorridito il nostro…eroe «Dammeli subito, bastardo! Sei un mostro!»
«Se prometti di non tornare
a OhSchwartz te li do» negoziò Dobbylas.
«Va bene, lo prometto,
adesso sgancia».
«Per prima cosa metti giù
quel femore… ecco, bravo… poi devi firmare una carta nella quale t’impegni
formalmente a non tornare ad OhSchwartz, pena l’evirazione da parte di un
monaco cieco con il morbo di Parkinson che brandisce una tagliola per orsi…
…cosa stavo dicendo?»
«Dammi le mie rivisteee!»
intimò Harry, agitando il femore e provocando involontariamente l’estinzione di
buona parte dei suoi soprammobili. L’elfo schivò agilmente le… femorate?... e,
attraverso la porta, fuggì sulle scale, chinandosi appena in tempo per evitare
che una palla di vetro contenente la riproduzione di una parte del cimitero di
Highgate lo colpisse in testa.
«Se è questo che vuoi»
esordì l’elfo, rassettandosi il grembiulino fronzoloso «allora farò in modo che
tornare a OhSchwartz ti sia impossibile».
Per tutta risposta, Harry
afferrò la riproduzione in scala della motosega di Leatherface (lunga ben
quindici centimetri) e si lanciò all’inseguimento dell’avversario, che si
affrettò a discendere le scale a rotta di collo, inciampando nei lunghi,
lunghissimi e serici capelli biondi e atterrando di testa sul pianerottolo
sottostante.
Nel frattempo, in salotto,
zio Vernon stava simulando un attacco epilettico per distogliere l’attenzione
degli ospiti dall’apocalittico fragore proveniente dai piani alti della casa.
Ma torniamo al duello
mortale che stava avendo luogo una rampa di scale più in su. La piccola
motosega, ormai dimenticata, si era incastrata nel corrimano, mentre Harry si
apprestava a ricorrere a delle misure
più drastiche. L’anno prima, Hermione gli aveva regalato una piccola cassetta
che, da allora, giaceva, ignorata, sotto al letto, in attesa di tornare utile.
Il goth guy – dopo aver scostato la cornice con un ritratto che invecchiava al
posto suo – l’estrasse, la aprì, e guardò con soddisfazione le dodici bombe a
mano artigianali che l’amica gli aveva donato trecentosessantacinque giorni
prima. Ne afferrò una e la tenne nascosta dietro la schiena.
«Vieni, bell’elfino, ho
cambiato idea…» cinguettò Harry, affacciandosi alla porta e sfoderando un
sorriso falso come i capelli di Platinette.
L’elfo, che nel frattempo,
ripresosi dal drammatico schianto, era arrivato in fondo alla seconda rampa di
scale, guardò in su, ponderando attentamente la situazione, e vide Harry,
rassicurante come Jack Nicholson in Shining – cioè, per chi non lo sapesse,
molto, ma molto poco –.
«…ma anche no» fu la
risposta.
Con un urlo selvaggio, che
poco si addiceva alla sua goticità, Harry si fiondò giù per le scale con la
granata in pugno. Raggiunse l’elfo, che in quel momento stava facendo il suo
ingresso in cucina. «Sei mio, bastardo» disse Harry, allegando alla frase una
di quelle lunge, inarticolate risate isterico-inquietanti che fanno dubitare
della sanità mentale di chi le emette. Strappò la sicura con i denti – che fa
molto più figo – e la lanciò in mezzo alla cucina, che finì in dicecimila
pezzi, roba da far impazzire la Ravensburger
Puzzle. Il boato e la deflagrazione che seguirono vanificarono tutti i
tentativi di Vernon di mantenere la serata sul piano normale. Lo spostamento
d’aria fece volare via il divano, e la
signora Mason finì nell’acquario dove, qualche settimana prima, lo zio aveva
dato il via all’allevamento di pesci rossi, o almeno così credeva; in realtà,
gli innocenti e banali pesciolini erano stato sostituiti da Harry con Piranha
amazzonici carnivori, che si rivelarono più che entusiasti di ricevere
finalmente un pasto che potesse soddisfarli appieno, invece di quegli insipidi
coriandoli che gli venivano propinati ogni giorno. Tra questo, le urla da
sirena antiaereo di zia Petunia, zio Vernon, al quale l’attacco epilettico
stava venendo sul serio, Dudley sommerso sotto una montagna di piastrelle, e il
signor Mason schiacciato sotto al divano, Harry era, senza mezzi termini, nella
merda fino al collo e anche oltre.
Scioccato, il goth guy si
voltò verso l’elfo, indenne a parte i lunghi, lunghissimi e serici capelli
spettinati e la divisa stracciata, che gli sorrise serafico. «Mission complete»
annunciò; poi, con un balzo, scomparve in una nuvola di fumo come un ninja.
Ora, Harry aveva solo due
opzioni.
Uno: finire il lavoro. In
fondo, aveva ancora undici bombe a mano.
Due: arginare l’ira funesta
che stava per piovergli addosso con il gotico stoicismo che – a volte – lo
caratterizzava.
Ovviamente, scelse
l’opzione due: probabilmente non ne sarebbe uscito indenne, ma ci avrebbe
guadagnato in figaggine. Perciò, rimase apparentemente impassibile ad ascoltare
la sfuriata atomica dello zio, mentre i suoi timpani, assieme ai vetri ancora
intatti, andavano in frantumi.
Come se non bastasse, un enorme tucano fece il suo
ingresso nel salone devastato, recando con sé una funesta novella sotto forma
di lettera.
“Caro” signor Potter,
recitava la missiva
Abbiamo avuto notizia che nel luogo dove lei risiede,
questa sera, è stato praticato un Incantesimo di… Beh, in realtà non c’è stato
alcun incantesimo, avevo sol voglia di rompere le palle. Comunque, come lei sa,
i maghi minorenni non sono autorizzati a compiere incantesimi fuori della
scuola e un altro episodio del genere da parte sua porterà all’espulsione dalla
detta scuola e ad una serie di cento smutandamenti (Decreto per la Stupida
Legge di Restrizione delle Arti Magiche tra i Minorenni, 1717, comma C.
La preghiamo inoltre di ricordare che qualsiasi attività
magica che rischi di essere notata dalla comunità dei non-maghi (Babbei) è un
reato grave ai sensi dell’articolo 17 dello Statuto Noi-Non-Esistiamo della
Confederazione Internazionale dei Maghi.
Cordialmente,
Hannabel
Lecter
Ufficio per
l’Uso Improprio delle Arti Magiche, Marziali, Illusorie, ecc.
MiniMinistero
della MagiMagia
«Non ci avevi detto che non
ti era consentito usare quella roba là fuori dalla scuola…» cominciò zio
Vernon, facendo scrocchiare minacciosamente le nocche. «Bene, c’è una novità.
Ti rinchiuderò nella tua stanza, e tu non portai fare nessuna magia per
liberarti».
Harry pensò bene di non
accennare alle undici granate nascoste sotto al suo letto. Né al set di
grimaldelli nel cassetto della scrivania. Né al piede di porco infilato dietro
l’armadio – o al varco per Narnia dentro
l’armadio. Né all’ariete usato a mo’ di attaccapanni. Né al passaggio segreto
dietro allo specchio.
Fatto sta che la mattina
seguente, Vernon installò delle sbarre alla finestra del nipote, dopo essersi
sorbito per ore le lamentele di quest’ultimo sul fatto che le sbarre di ferro
lineari fossero demodé, e che perciò pretendeva uno sbarramento decorativo con
un motivo di rose e rovi, che ben si addiceva alle vetrate istoriate che lui
stesso aveva disegnato e che narrava i momenti salienti della sua vita, come
quando aveva spinto Dudley in un mucchio di ortiche e gli aveva squarciato le
gomme della bici, o quando aveva aizzato il Dobermann dei vicini contro il cane
della sorella dello zio, o quando aveva venduto la sua anima – beh, in parte –
a un maggiordomo.
Harry era segregato nella
sua stanza ventiquattrore su ventiquattro, sette giorni su sette, ma la cosa
non sembrava disturbarlo più di tanto. Aveva persino risolto il problema della
vescica piena grazie al varco nell’armadio – e gli abitanti di Narnia
assistettero ad un misterioso quanto inspiegabile scioglimento della neve
attorno al famoso lampione.
Una sera buia e tempestosa,
mentre il goth guy era intento a scegliere che gradazione di nero indossare per
andare a dormire, sentì battere sulla finestra della sua stanza. Deciso a
rovesciare una caterva di insulti su colui o colei che avesse osato toccare e
lasciare le proprie immonde impronte digitali sulle sue bellissime vetrate,
spalancò la finestra e… non vide niente. Sembrava che un vasto cumulonembo
color antracite si fosse staccato dal cielo e si fosse piazzato davanti alla
sua finestra. Poi capì.
Fuori dalla finestra, c’era
il suo amico emo, Ron Weasley.
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E siamo giunti alla fine. U_U
Vi direi “a presto”, se non sembrasse una presa in giro ^^”
Siate clementi… Chu!~