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Autore: Antogeta    17/10/2011    4 recensioni
Un matrimonio regale, un favore ad una cugina esigente, un viaggio avventuroso con un perfetto sconosciuto, un legame inaspettato e insperato tra due elfi inadatti ma nati per incontrarsi. Cosa accadde al concludersi della guerra dell'anello.
“Diteci perché siamo qui”. Il tono era freddo e distaccato, sebbene mantenesse la propria armoniosità.
Arwen non sembrò farci caso e abbozzato un radioso sorriso tirò magicamente fuori una cartina della terra di mezzo. “Ecco” puntò il dito su Gran Burrone. “Noi siamo qui.” Poi, in un percorso quasi rettilineo verso il basso, fermò nuovamente il dito su un puntino abbastanza grosso.“La città portuale di Dol Amroth, è questa la vostra meta. Il Principe Imrahil è già avvisato del vostro arrivo.”
Lúthien fissò ammutolita la cartina. Conosceva bene la tradizione, ma non pensava che avessero scelto un laboratorio così lontano.
Legolas aveva il volto tirato che nascondeva una pericolosa ira tenuta a bada. Un viaggio così difficile, con quell’imbranata della cugina di Arwen, sarebbe stato un suicidio. Aveva pensato al peggio, ma non così tanto.Batté un pugno sul tavolino.
“Abbiamo solo due settimane prima delle vostre nozze, non ce la faremo” sibilò minaccioso.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Legolas, Nuovo personaggio, Sorpresa
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo II: In marcia

  

Il viaggio era insidioso ma non per uno come Legolas, che i prati e le foreste le conosceva da più di mille anni e le praticava con sicurezza meccanica. A guardar lui che correva leggero sopra i massi, i ciuffi d’erba umidi e infidi, tra i rami bassi e sporgenti, sempre all’erta ma con quella grazia innata tipica della sua stessa razza, quello che per lei era un inferno poteva apparire quasi una tranquilla scampagnata tra i boschi. Si muoveva rapido e sicuro, senza mai voltarsi indietro o guardare per terra, come se sapesse già cosa aspettarsi e dove dirigersi. Invece Lúthien arrancava, non abituata ad affrontare lunghi percorsi e, nonostante la sua indubbia praticità, continuava a non sentirsi a proprio agio nel completo da caccia. Eppure se lo usavano tutti, un motivo doveva esserci. Ma, ahimè, l’elfa dovette ammettere a se stessa che, uno, quella non era una semplice escursione, e due, lei era praticamente inesperta anche di quelle. Stavano viaggiando già da alcuni giorni, dividendo il viaggio tra lunghe cavalcate nelle radure, su sentieri scoscesi o accidentati, oppure a piedi, come in quel momento, dentro fitte foreste, sempre sul chi va là e attenti a dove mettere i piedi. Era stanca, i capelli si appiccicavano di continuo al viso sudato, per mantenere il passo le gambe facevano una fatica tale che spesso le cedevano, creando non poche occasioni di imbarazzanti cadute. La chioma bionda dell’elfo era il suo punto luce nel buio tra i folti alberi, anche se ormai la seguiva con una certa noia e persin odio, dal momento che lui non sembrava interessato alla sua presenza. Quelle poche volte che lo vedeva fermarsi era per ascoltare i rumori della foresta e subito dopo riprendeva imperterrito la propria marcia. Aveva provato a chiedere un percorso più praticabile ma le era stato ribadito che quella era la strada più breve, nonostante le frequenti camminate. Maledetta Dol Amroth, quanto era lontana! Infine, quando la sua frustrazione le fece perdere la cognizione della sua guida, lanciò un ringhio che aveva ben poco di femminile. Sbatté un piede per terra, rischiando pure di scivolare sul vischioso humus di una roccia, e si fermò. Chiamò a gran voce il suo fissato compagno aspettando che tornasse indietro a cercarla. Sapeva bene che l’impresa necessitava di entrambi e quindi aspettò infastidita e lasciando trapelare sul bel viso la sua stizza. Dopo poco ecco infatti Legolas sbucare da dietro un tronco con la sua solita aria superiore e fastidiosa, di chi aveva a che fare con un bambino viziato e dispettoso. Appena giunto la vide adombrata da uno sguardo che non prometteva nulla di buono, col respiro affannoso, il pugno destro chiuso in una morsa e abbandonato lungo un fianco. Non disse nulla, aspettò che fosse lei a parlare. Non gli sembrava proprio il caso di peggiorare inutilmente la situazione. Lei invece prese quel suo insopportabile silenzio come un’accusa e, mani sui fianchi, lo osserò dritto con quei suoi inquietanti occhi chiari.

 “Ora basta! Sono ore che camminiamo ad un ritmo impossibile, ho bisogno di una pausa e me la prendo, intesi?”

L’elfa allora si avvicinò al cavallo che sostava poco distante, tirò fuori una coperta dalla sua sacca, la distese per terra e si sedette, senza batter ciglio né tanto meno attendere una risposta da parte del compagno. Legolas parve sorridere di quell’atteggiamento risoluto e testardo, cosa che lo stupì non poco, essendosi immaginato l’elfa, fino a quel momento zitta e impacciata, solo come un silenzioso e pesante fardello. Ora invece gli appariva sotto una luce diversa, con quel completo tutto sporco di fango e pieno di graffi, i capelli scomposti, il viso accaldato e gli occhi vivi e decisi. Lúthien stava mostrando carattere. Ad ogni modo non era certo il tipo da darla vinta così facilmente e con pacato disinteresse si sedette anche lui su una roccia poco distante, nel totale, quasi offeso, silenzio. Durante quella breve sosta l’elfa si scoprì ad osservarlo più volte di sottecchi, attratta dall’alone di mistero e riservatezza che lo circondava, cercando di carpirne le emozioni, i pensieri, ma nulla, lui rimaneva sempre composto e serio, mentre all’erta osservava la natura e ascoltava con le puntute i rumori attorno. Chissà se si era accorto che lo stava osservando di nascosto, chissà cosa pensava di lei dopo quei giorni passati insieme. Era la prima volta che lo considerava oggetto di interesse e non solo la sua rigida guida. Inoltre, nonostante i giorni passati, non si erano detti praticamente nulla. A ben pensarci non sapeva niente di lui. Ovviamente la cugina le aveva parlato del suo ruolo durante la Guerra dell’Anello, dei vari nomi e luoghi che avevano fatto la storia della Terra di Mezzo, lei stessa ne era stata parte attiva. Eppure non erano che reminescenze, nozioni superficiali. Non che lui sapesse nulla di lei, né gliel’aveva chiesto. Chissà se Aragorn gli aveva accennato qualcosa, o la stessa Arwen? Non sapeva neanche in che rapporti era con l’amata cugina, rifletté con un piccolo sbuffo. Strano, perché solitamente era una persona solare e di buona compagnia, ma evidentemente quella volta il suo sorriso cortese non aveva fatto centro. Ma perché continuava a studiarlo in quel modo poco educato? Era come se il suo sguardo non potesse fare a meno di cercarlo, come se alla mancanza di parole potesse sopperire almeno l’esteriorità. Se ne stava seduto lì, immerso nei suoi pensieri, solo le puntute ruotavano lievemente intorno, a carpire rumori lontani. Durante la sua silenziosa analisi le capitò di catturarne lo sguardo ma subito egli si ritraeva come toccato sul vivo, oppure la fissava di rimando, tanto da distrarla dalla sua stessa osservazione. Un raggio di sole era sceso miracolosamente fino a terra dalle folte chiome delle quercie secolari e lo sfiorava di traverso, andando ad illuminargli qualche ciocca di capelli attorno al viso, rilucente anch’esso di candido pallore. La mano destra era abbandonata mollemente sul ginocchio piegato mentre l’altra accarezzava con delicatezza un soffice manto di licheni. Era oggettivamente bello, dovette ammettere con se stessa, e questa constatazione le creò un certo disagio. Non poteva permettersi di osservarlo così impunemente e ad ogni modo lui era la sua guida, null’altro. Appena finita quella strana impresa ognuno se ne sarebbe tornato nel suo mondo, al quale l’altro era del tutto estraneo. Sì, non c’era davvero nulla che li legasse. Lui era un combattente, un abile cacciatore ed esploratore di foreste, viaggiava molto e non per l’ultimo era di stirpe regale. Lei invece amava leggere, studiare, sperimentare con la mente, con le piante, difficilmente si muoveva da casa e nonostante fosse di ottima famiglia, se così si può dire, non aveva intenzione di diventare la regina di nessun posto. Non faceva per lei. Eppure non poteva non pensare che la medesima attitudine solitaria e introversa li accumunava nelle loro differenti attività. Ma lui era un elfo vero e nonostante il suo aspetto fosse decisamente più tipico di quello del compagno, in cuor suo ancora non aveva capito a che mondo appartenesse. Al pari di Arwen sentiva un particolare legame col mondo degli umani e, come lei, e la sua famiglia, era stata spesso allontanata dalla sua stessa razza. Un’incompresa, che ancora non aveva trovato il suo posto nella vita. Lei assomigliava incredibilmente a sua nonna, stesso aspetto freddo e ancestrale, occhi chiarissimi e magnetici, capelli lunghi e di un dorato pallido, alta e longilinea. Agli altri appariva con deferenza e rispetto. Eppure non poteva essere più diversa, nei modi, negli atteggiamenti, nelle stesse parole. E comunque lui non la sopportava, poco ma sicuro. Trasalì nel notare lo sguardo profondo e screziato dell’altro fisso nel suo. Da quanto tempo la stava fissando? Si domandò con una certa apprensione. Doveva invertarsi qualcosa, e in fretta.

 “Tu sei un Sindar, vero?”

 Lúthien abbassò leggermente lo sguardo, era davvero una cosa stupida da dire. Si morse il labbro inferiore con irritazione, sapeva fare di meglio accidenti! Ma tutte le volte che gli rivolgeva la parola si sentiva incredibilmente stupida, e a disagio, come se fosse sotto costante esame. Dopo alcuni secondi di panico lui annuì. Illuminati da quel lieve raggio di sole i suoi occhi blu parevano vibrare d’intensità.

 “Sono il Principe di Bosco Atro, figlio di re Thranduil ”

 “Eppure sei biondo [1]

 Legolas ora la osservò con più attenzione. Parve prendere tempo, quasi a non capire il senso di quella che per lui era una scontata domanda.

 “Anche se i Sindar sono per lo più castani, non vuol dire che lo siano nella totalità”

 “Magari avevi una discendenza Vanyar”

 Lui accennò un gesto, forse di diniego, poi il nulla. Rimasero così, a fissarsi, uno su di una pietra e l’altra su quella opposta, con non solo il silenzio a dividerli.

 “Su, rimettiamoci in marcia prima che faccia buio”

 Si ritrovò a dire, allentando una tensione fin troppo evidente e che mal sopportava. Attese quindi che Legolas le facesse nuovamente strada. Lo vide rivolgerle uno sguardo perplesso. Stupito forse di una così risoluta decisione?

 “Ci fermeremo al limitare del bosco per dormire”

 Lúthien non poté che annuire, sperando che il limitare non fosse così distante. Ma vista la pendenza del sole fu rincuorata dal percepire la vicinanza della notte e quindi dell’agognato riposo.

 ***

Si alzarono di buon’ora, come ogni mattino, ma quel giorno le parve più allegro del solito dal momento che Legolas l’aveva svegliata con la bella novella che a meno di due giorni di cammino sarebbero arrivati a Lórien, dove finalmente avrebbero dormito su di un letto vero e si sarebbero ristorati a dovere. Legolas non parve esprimere alcuna emozione a riguardo, ma Lúthien era felice abbastanza per entrambi. Conosceva bene l’ambiente, vi era cresciuta per tanti anni, anche se dovette ammettere che le montava una certa ansia al pensiero di rincontrare Galadriel, ma i fattori negativi di quella sosta non le fecero perdere il buonumore. Avrebbe rivisto anche altri elfi a cui teneva e a cui non faceva visita da molte lune ormai. Superarono a piedi ancora per un’oretta quello che rimaneva dell’intricato bosco per poi proseguire finalmente a cavallo. Non che cavalcare fosse più piacevole, ma di sicuro era meno faticoso e la velocità del cavallo faceva sembrare il tragitto più breve. Non poterono certo galoppare molto, il terreno era ancora accidentato e a volte c’erano tratti di foresta da oltrepassare a piedi, ma le ore parvero passare più in fretta. Lúthien si sentiva sempre meglio, forse perché cominciava a riconoscere dei luoghi familiari, forse perché l’elfo le aveva comunicato che Lórien era la prima delle tre grandi tappe che avrebbero affrontato prima dell’agognata meta, forse perché il sole era raggiante quella mattina, sta di fatto che l’elfa affrontava le difficoltà con un sorriso meno teso. Legolas non parve dare peso a quei piccoli visibili cambiamenti, forse perché a lui il regno di Lórien e la Dama Bianca non davano quella gran fiducia che vedeva in essi riposta dalla compagna di viaggio, ma perfino lui disse qualche cosa in più del solito e parve apprezzare maggiormente il viaggio. Il tratto più insidioso era quello in cui avrebbero dovuto attraversare il fiume Celebrant [2], un affluente dell’Anduin, il Grande Fiume, che li separava dal Regno della Dama Bianca. Avrebbero dovuto affrontare ancora un pezzo a piedi nella foresta per poi giungere in un punto ben preciso in cui il fiume era più basso e facilmente guadabile dai cavalli. Cavalcarono tranquilli, stranamente uno affianco all’altro, ormai la loro destinazione era vicina e non c’era nessuna fretta di raggiungerla. Scesero un’ulteriore volta da cavallo per proseguire a piedi, la foresta era nuovamente intricata e difficilmente percorribile, così Legolas riprese il suo ruolo di capofila con Lúthien subito dietro e i cavalli alle redini. Nel bel mezzo del nulla Legolas si girò di scatto nella sua direzione e con un balzo improvviso le si mise al fianco, bloccandole il cammino col suo stesso corpo e le intimò di non parlare con una mano sulla bocca. Il suo sguardo profondo incontrò per un momento quello confuso di lei a pochi centimetri, poteva sentire il cuore battere all’impazzata per lo spavento ma infine il suo udito elfico ebbe la meglio e percepì dei rumori provenire qualche miglio più in là. E si avvicinavano rapidamente. Legolas percepì il suo leggero rilassamento e le lasciò la mano sulla bocca. La osservò intensamente, da farla quasi intimorire.

 “Goblin. E forse sono capitanati da un Uruk-hai.” 

 Lúthien lo osservò con occhi sbarrati. Aveva sempre sentito parlare di quegli elfi decaduti ma rare volte aveva avuto il piacere di incontrarli. Eppure erano stati sconfitti con la caduta di Sauron e Saruman, cosa facevano ancora in giro? La sua unica arma era da sempre la parola, quelle vere non sapeva neanche come nominarle.

 “Ho un piccolo pugnale”

 Rivelò con malcelata sicurezza. Stava sudando freddo, nonostante la fermezza dell’altro. Legolas ragionava mentre lo sguardo e le puntute erano tutte concentrate nei paraggi. L’elfa percepì la tensione che emanava e sapeva benissimo di essere lei la causa di tanto timore, lui se fosse stato solo non avrebbe avuto di che risentirsi. Alla fine si voltò verso di lei.

 “Ascolta: noi dobbiamo attraversare quel fiume in quell’esatto punto ma i Goblin coi loro spostamenti ci bloccano la strada. Tu prendi i cavalli e vai verso Sud, monta appena possibile e corri verso il guado attraversandolo, io li prendo di sorpresa distraendoli da te, poi ti raggiungo. Lascia il mio cavallo proprio vicino al guado. Hai capito?”

 La ragazza lo ascoltò con apprensione e annuì decisa, anche se l’idea di andare da sola non le piaceva affatto. Cercò rapida un compromesso.

 “E se semplicemente aspettiamo che vadano via nascosti qui?”

 “Non se ne parla, potrebbero bloccare il passaggio per troppo tempo. E se ci scoprono prima loro non avremmo dalla nostra neanche l’effetto sorpresa. Devo distrarli finché sono in tempo”

 Indi incoccò una freccia sull’arco e mentre il rumore di quegli esseri si avvicinava sempre più la incitò vigorosamente ad andare, passandole con forza le redini dei cavalli, recalcitranti alla fretta dell’elfo. Con un ultimo segno del capo Legolas le indicò la direzione e Lúthien si apprestò ad andare, più veloce che poté su quel terreno accidentato e con due cavalli alla mano. L’elfa si sentiva braccata da quei rumori che il suo udito percepiva vicinissimi, e correva col cuore in gola, tra scivolamenti e inciampi vari, sempre attenta ai due cavalli dietro di lei, mentre si faceva strada tra quell’intricato miscuglio di rami e boscaglia che le rallentavano la corsa. La fatica si faceva sentire, anche perché i due cavalli spesso non ubbidivano prontamente ai suoi comandi, inoltre la sua agitazione li stava influenzando e ogni tanto doveva fermarsi per calmarli. Di Legolas intanto nessuna traccia e si sentiva sempre più presa di mira da quel gruppo di orchi a cui stava andando deliberatamente incontro. Giunse infine in un punto in cui poté montare a cavallo e proprio in quel momento apparvero due goblin, in avanscoperta. Non poté fare a meno di gridare per la sorpresa ma si ridestò subito, spronando con insistenza i cavalli verso la salvezza. I poveri mammiferi però si erano imbizzarriti, scalciavano e recalcitravano all’idea di essere trasportati verso il pericolo, e fece molta fatica a tenerli a freno, di quello al traino per poco non perse le redini, ledendosi a sangue le mani nello sforzo di tenere ferme le briglie. I goblin furono travolti dai cavalli spaventati, anche se uno riuscì ad afferrarla alla gamba e neanche con dei calci ben assestati riuscì a staccarselo di dosso. Solo un masso sulla loro traiettoria gli diede una botta tale da farlo cadere a terra ma nella rovinosa caduta si portò dietro anche la sua borsa attaccata al fianco del cavallo. Lúthien si girò un secondo indietro con orrore, guardando la borsa che cadeva rovinosamente a terra e sparpagliava tutte le sue preziose cose. Sentì salire un nodo in gola ma spronò il cavallo ancora più forte. Le puntute intanto seguivano le urla degli orchi provenire poco più in là e un rassicurante scagliare di frecce. I goblin in avanscoperta non erano però morti come pensava e quello che era rimasto ferito per primo soffiò malauguratamente in un corno. Con gli occhi sbarrati l’elfa si accorse che un piccolo gruppo di quegli esseri maledetti si era staccato da quello principale e venivano verso di lei, il piano stava decisamente avendo un esito non previsto e il guado era ancora lontano. I tre goblin che si erano staccati dagli altri videro il bel bottino e si avvicinarono veloci. Si lanciò al galoppo ma le mani le facevano un male cane. Strappò di corsa un lembo del vestito per fasciarsele ma i goblin stavano prendendo campo e Legolas era ancora impegnato altrove. Stava quasi per giungere al guado quando un goblin le saltò addosso disarcionandola e facendole perdere contemporaneamente le redini dell’altro cavallo. Gli altri due orchi intanto la raggiunsero e lei si trovò accerchiata, così alta e così indifesa, ma si rialzò velocemente e impugnò il pugnale che nascondeva sotto la tunica. Non aveva mai combattuto né ucciso nessuno prima di allora. Il compagno era vicino, ma il suo continuo scoccare di frecce le rivelò che non era un aiuto valido al momento. Si studiarono per alcuni interminabili secondi quando attaccarrono. L’elfa brandì il pugnale alla cieca, colpendo nella mischia mentre i goblin la graffiavano su più punti. Annaspava intimorita e sovraeccitata, nelle orecchie rumori di grida e frecce che la distraevano, si sentiva mancare, soffocata dal dolore, la stanchezza e l’odore nauseabondo che quelle creature emanavano senza pudore. Odore di terra, sangue e sudore si mischiavano nella sue narici mandandola in confusione, si girava in tutte le direzioni per rispondere al molteplice attacco quando all’ultimo si accorse di un goblin che le si scaraventava contro a peso morto, evitandolo per un soffio. L’orco cadde rovinosamente a terra con la schiena trafitta da una freccia e subito altre andarono a colpire con precisione gli altri due.

 “11! E con questi abbiamo finito.”

 Lúthien, intontita dall’immediato silenzio creatosi, fissò confusa Legolas esultare poco lontano mentre, arco alla mano, si avvicinava lesto. Mai come in quel momento fu felice di vederlo. Appena le fu dinanzi lo abbracciò in un impeto di gratitudine, cingendolo con delicatezza, e sprofondando il volto nella morbidezza della sua camicia. Lo sentì irrigidirsi a quell’inaspettato contatto ma dopo qualche secondo ricambiò con titubanza il suo gesto, cingendole a sua volta la vita con il braccio libero dall’arco. Il suo corpo era incredibilmente caldo e rassicurante, e nonostante avesse sudato, manteneva un odore gradevole di erba tagliata. La ragazza a fatica si ritrasse da quel contatto, ancora in uno stato di semi incoscienza, e con un lieve imbarazzo alzò lo sguardo verso il suo, prendendo infine consapevolezza di quello che era accaduto. Si accorse che anche lui riportava alcuni graffi e ferite. La realtà parve di nuovo inondarla di concreta consistenza e d’istinto andò ad osservare il guado poco distante. 

 “Ho perso i cavalli”

 Ammise con delusione e rammarico, nonostante il volto mantenesse un’espressione decisa. Legolas non disse nulla, solo si guardò rapido intorno e cominciò a correre verso il fiume. Lúthien lo raggiunse qualche minuto dopo a passo più moderato ed osservò come i due cavalli stavano bevendo serenamente vicino ad un albero. Quelll’immagine bucolica, idilliaca, stonava con il loro aspetto trasandato, con le sacche lacerate ancora appese sui fianchi, i loro oggetti sparsi tutt’intorno, i corpi morti dei goblin poco lontano. Eppure l’aria fresca che le sfiorava il volto, il tiepido tepore del sole e il cinguettio degli uccelli dalla foresta le facevano apparire tutto come un sogno. Osservò inebetita Legolas giungere presso i due mammiferi per ricondurli indietro quando con orrore si ricordò che la sua borsa mancava, e con essa il suo prezioso contenuto. Doveva tornare indietro a prenderlo, non doveva essere lontano. Richiamò l’attenzione dell’elfo con un gesto della mano quando un forte odore muschiato provenire da Nord le inondò d’improvviso i sensi. Vide ansia riflessa nello sguardo dell’altro ed ecco apparire un Uruk-hai. La ragazza percepì con un brivido la sua spaventosa presenza e con fatica riuscì a girarsi per osservarlo. Non aveva mai visto un Uruk-hai prima di allora. Erano raccapriccianti, lasciavano trasparire una ferocia senza pari, al loro confronto i goblin sembravano teneri pupazzi. Rendendosi conto del pericolo si buttò rapida a terra mentre la montagna puzzolente le passava indifferente di lato avanzando con pericoloso interesse verso Legolas, il quale si era reso conto troppo tardi che la sua faretra non era al suo posto e preso alla sprovvista lo schivò con un agile salto. Osservò l’elfa che era dall’altra parte del colosso, malconcia e dolorante, e le ordinò di scappare dall’altra parte del fiume. Lúthien annuì decisa ma non si mosse in quella direzione. Lui senza la sua arma era perduto. Recuperò lesta la faretra abbandonata vicino il corpo di un goblin e corse verso Legolas ma l’Uruk-hai, accortosi della sua presenza, si preparò a colpirla con un lungo pugnale. Legolas approfittò di quella breve distrazione per trattennerlo vigorosamente da dietro ma il molosso era troppo grosso per lui e riuscì brevemente nel suo intento. Almeno il mortale pugnale si era conficcato a terra. Intanto l’elfa, invece di lasciare la faretra e scappare, si era piantata di fronte all’Uruk-hai e, guardandolo dritto negli occhi, pronunciò alcune parole in una lingua che Legolas non riuscì a decifrare. Gli occhi della ragazza erano fissi, le pupille dilatate come nel buio più totale, i muscoli del volto contratti per lo sforzo, le mani, malamente fasciate, stese col palmo in avanti in evidente tensione. Legolas non vide mai esattamente cosa fecero entrambi ma si accorse che il molosso ad un certo punto non si opponeva più alla sua presa, rimanendo docile nella sua morsa. Il corpo era rigido e senza vita. L’elfo lasciò andare immediatamente le mani dalla vita dell’Uruk-hai e vi girò curioso attorno, osservandone lo stato immobile e lo sguardo fisso. Non era morto, non era cosciente di sé. Lúthien aveva riacquistato il suo stato normale, spaventato e malconcio, quando lo prese per mano con forza per allontanarlo da lì.

 “Non durerà in eterno!”

 L’elfo, stupito, si lasciò trasportare per qualche secondo quando si fermò perentorio. La osservò con i severi occhi blu.

 “Non so cosa diamine gli hai fatto ma non può rimanere così, devo ucciderlo”

 Incoccò deciso una freccia e scoccò verso il petto del gigante. Sentiva la ragazza che lo spronava ad andare ma solo ora, sentendosi più tranquillo, poté rinfoderare l’arco per guadare il fiume. Invitò Lúthien a precederlo e lei accettò. Il tratto di fiume da attraversare non era molto lungo ma insidioso per via dei ciottoli scivolosi che ne coprivano il fondo. Lúthien stava ripensando tra sé e sé a quello che aveva fatto all’Uruk-hai e a quello che era successo nell’arco di poche ore, di come aveva rischiato la vita, di come Legolas l’avesse raggiunta e protetta con maestria, al calore del suo abbraccio. All’ultimo pensiero arrossì vistosamente e scrollò repentina la testa, come a scacciare una mosca fastidiosa. Le mani le dolevano ancora, aveva perso il libro di incantesimi che era la cosa a cui teneva di più e non erano ancora arrivati a destinazione. Per non parlare del fatto che stavano guadando un fiume e doveva prestarci attenzione. Decisamente quelle non erano cose da pensare. Era talmente stanca che si accorse di un rumore tonfo, come di passi pesanti nell’acqua, solo il tempo di girarsi e vedere il cavallo di Legolas scalciare imbizzarrito e cadere rovinosamente nell’acqua mentre Legolas stesso veniva afferrato per la collottola e tirato per aria dallo stesso Uruk-hai che aveva colpito sulla riva e che ora mostrava molte più frecce sul corpo. Lúthien in un solo pensiero si ricordò che il controllo forzato portava all’immunità momentanea del malcapitato e si rese conto che Legolas non l’avrebbe mai battuto con le sole frecce. Sorpassando come impazzita i cavalli si avvicinò repentina a Legolas che intanto tirava frecce inutili e si divincolava nella stretta ferrea dell’umanoide e cercò di tirarlo a sé prendendolo per una gamba. L’uruk-hai ancora mezzo incosciente lo stava trascinando con sé in un turbine d’acqua. La sua presa era decisamente debole e ben presto il molosso se lo portò via. L’elfa si accasciò nell’acqua disperata, era stanca e non riusciva a pensare a nient’altro, il trucco di prima non era più utile poiché per paralizzarlo aveva bisogno del contatto visivo diretto. Osservò le acque tranquille del fiume e lo sguardo si illuminò per un istante. Si rialzò e, nonostante il tempo scarseggiasse e Legolas pareva allontanarsi sempre più, prese una delle redini del cavallo e corse sulla riva dove legò un’estremità ad un tronco e l’altra la lanciò al compagno intrappolato. La testa bionda dell’elfo stava lentamente scomparendo nell’abbraccio ferreo di quell’essere ma ci riuscì. L’elfa allora cominciò a urlare qualcosa in quello che ora si riconosceva come Quenya[3], una lingua ormai che nessuno parlava e che solo gli studiosi apprendevano. Legolas carpì alcune parole ma la stretta del colosso ormai lo stava soffocando. La faretra pareva inutile e il pugnale idem, sembrava spacciata per lui. Nel mentre che imprecava tra sé e sé continuando a divincolarsi e a sferrare colpi, in lontananza parve avvertire il rumore sordo di una cascata. L’elfa continuava a ripetere le stesse incomprensibili frasi mentre il ragazzo ora cominciava a capire cosa stesse facendo. L’aveva fatto anche Arwen per salvare Aragorn durante la Guerra dell’Anello. Conscio di quello che sarebbe accaduto a momenti si aggrappò con tutto sé stesso alla corda e cercò di divincolarsi dalla stretta il più possibile. Dopo qualche interminabile minuto una montagna d’acqua si riversò nel fiume, facendoli scomparire al suo interno turbinoso. Lúthien trattenne il respiro alla vista di tutta quell’acqua venuta in suo soccorso e tenne stretta a sé la corda. Le mani le sanguinavano ma non le sentiva, la corda era ancora molle. Osservò con il batticuore le acque fragorose e dirompenti che si portavano tutto a valle quando finalmente la corda si irrigidì tra le sue mani. Attese qualche secondo ma di lui nessuna traccia. Si avvicinò preoccupata ma non percepiva nulla nella corrente. Stava per buttarsi quando lo vide. Il capo biondo fece capolino tra i flutti e lo vide arrancare sulla corda tesa che subito cominciò a tirare a sé. Dopo quelli che sembravano minuti interminabili Legolas fece la sua intera comparsa sulla riva dove si riversò dolorante. Il volto era livido e stravolto, dalla bocca usciva ancora acqua, lo sguardo perso nel vuoto. Lúthien lo aiutò a sistemarsi al sicuro sulla riva mentre l’ondata d’acqua anomala ormai stava scomparendo verso valle, portandosi dietro anche l’Uruk-hai. La ragazza si sedette vicino al compagno con aria assente, le gambe piegate al petto e circondate dalle braccia, il mento appoggiato su di esse. Lo sguardo era fisso davanti a sé, in attonito silenzio. Aspettò che l’elfo mezzo svenuto al suo fianco si riprendesse, almeno fino a quando non fosse stato fuori pericolo. Erano vivi, vivi. Non riusciva a pensare ad altro. Le mani le dolevano incredibilmente e senza motivo sorrise di quel dolore, sintomo di esistenza terrena. Si soffermò ad osservare l'elfo al suo fianco, era davvero malconcio. Aveva bisogno di cure ma finchè non fosse stato fuori pericolo non poteva allontanarsi in cerca di cibo e cure. I capelli gli ricadevano scomposti sul volto pallido e ansante, ma il petto si alzava con regolarità, sebbene mostrasse delle profonde lacerature. Alcuni lividi gli rovinavano le braccia perfette e alcune costole erano state sicuramente lacerate dalla forte stretta del nemico. Sapendolo svenuto, si avvicinò maggiormente, piegandosi su di lui senza imbarazzi. Gli osservò clinicamente le ferite, scostando lievemente la camicia. Il suo sguardo rimase però incatenato da quel petto d'alabastro, e scostò repentina la mano ad un suo movimento imprevisto. Si ritrovò ad arrossire come una ragazzina mentre si accertava del suo stato incosciente. Rimase a fissarlo inebetita per alcuni secondi quando si ridestò dal suo torpore con una scrollata di spalle. Era una curatrice lei! L'osservò ancora clinicamente. Infine, sapendolo salvo, andò a legare i cavalli e si addentrò nella foresta.

 ***

Era pomeriggio, la luce filtrava arancione nei suoi occhi che piano piano stavano riprendendo a vedere. Era ancora vicino al fiume, ne poteva sentire il placido scrosciare. Cominciò a muovere qualche arto e tutto il corpo parve indolenzito. Cercò di alzarsi ma una mano calda gli impose la quiete. Girò lo sguardo verso quell’odore dolce e familiare al suo fianco: Lúthien stava imbrattando delle bende con qualcosa di verde dal forte odore di erba fresca e aromatica e si accorse che ne aveva il corpo pieno, ovunque c’era una ferita o un taglio. Riuscì ad alzare leggermente la testa per guardarla, lei era tutta concentrata nel suo lavoro. Le osservò le mani lunghe e affusolate che lo medicavano dolcemente, nonostante il composto bruciasse sulle ferite aperte. Emise un piccolo rantolo al sentire la pomata che penetrava dentro una delle ferite più profonde, ora che cominciava a prendere coscienza di se.

 “Purtroppo il fastidio cesserà solo quando le ferite cominceranno a cicatrizzarsi”

 La ragazza non lo aveva guardato in volto, ancora intenta a curarlo e a preparare le bende, ad ogni modo si era accorta che si era alzato. Anche lui era esperto in erbe e composti medicamentosi, dovendo per forza imparare per sopravvivere nelle foreste, ma non pensava che anche una come lei potesse conoscerne le virtù. Aveva agito da sola, prendendo così per tempo le ferite più gravi. Ed era rimasta vicino al fiume per non peggiorare la situazione e per avere l’acqua necessaria a pulire le ferite. Legolas osservò per un momento il cielo che imbruniva e pensò a quanto si era sbagliato sul conto di quella ragazza. Ripensò al suo sangue freddo quando era stata attaccata da sola, a come lo aveva aiutato quando era in difficoltà. E sapeva anche usare gli unguenti. Non era certamente quello che si poteva definire un cacciatore ideale né un esperto di foreste, ma stava dimostrando dei lati del suo carattere decisamente interessanti. Le osservò ancora le mani per accorgersi che erano ancora fasciate, ma in malo modo. Gliene prese una tra le sue più grandi e la sentì gemere.

 “Cosa hai fatto?”

 Gli chiese lui guardandola negli occhi. L’elfa non rispose subito, declinando un poco con la testa come a dire che non era nulla di grave, e continuò la sua operazione.

 “Dobbiamo cambiare le bende tra circa quattro ore, devo preparare del composto da portarci dietro”

 La voce della donna era seria e scura, come a voler sottolineare il fatto che c’erano cose più importanti a cui pensare. Lui le prese con più decisione la mano e la sentì mugolare ancora.

 “Cosa hai fatto alle mani?!”

 Le chiese lui più insistentemente, non lasciandola andare e obbligandola ad osservarlo. Lei si girò, il volto serio e composto, ancora leggermente pallido e decisamente stanco. Erano passate delle ore in cui lui aveva riposato ma lei sembrava non aver fatto altrettanto. Non ricambiò però il suo sguardo, la mano ancora nella sua. Lui le girò il dorso per vedere il palmo. Del sangue raffermo si intravedeva dalla benda improvvisata che era un lembo del suo vestito. Era pulita, o meglio era impiastricciata di quella roba verde ma non di terra o fango.

 “Le redini del cavallo, con i goblin…”

 “Perché non ti sei medicata?”

 Lui la osservò, sembrava così piccola e fragile con quei grandi occhi chiari che lo guardavano seri e in silenzio.

 “Le tue ferite erano più gravi. Mi curerò dopo.”

 E così ritirò la mano dalla sua e andò al fiume dove si sciacquò accuratamente le mani e poi vi ripose sopra una benda imbrattata di verde che legò stretta. La vide fare una vistosa smorfia ogni volta che la ferita veniva a contatto con il medicamento ma non disse nulla di più, controllando ogni suo gesto. Si avvicinò a lui nuovamente.

 “Come stai?”

 Gli chiese osservandolo al petto dove le numerose ferite erano state medicate o coperte con le bende. Legolas poggiò infine anche lui lo sguardo a se stesso e si accorse di essere a petto nudo e quella rivelazione lo fece arrossire di imbarazzo. Si era spesso ritrovato in condizioni simili ma sempre con compagni di viaggio uomini o comunque con curatori. Lo sguardo di quella ragazza lo imbarazzava, anche se lei lo guardava come un medico con il suo paziente. Non c’era nessuna malizia in quei occhi grandi e indagatori.

 “Direi bene”

 Il biondo non sapeva bene cosa dire in quel momento, avrebbe dovuto ringraziarla del lavoro che aveva fatto per curarlo ma non sapeva bene da dove cominciare. Non erano certamente partiti col piede giusto, e gran parte della colpa di quello forse era sua, ma non si era mai trovato a dover ringraziare quasi una perfetta sconosciuta di avergli salvato la vita. I compagni di viaggio solitamente si davano fiducia reciproca per quei casi e niente era visto come favore personale. Ma qui era diverso; lei non lo conosceva e lui l’aveva anche trattata con pochi riguardi. Mentre si sedeva composto vicino a lei la vide sorridere mentre guardava il fiume dalle venature aranciate.

 “E meno male che li avevi uccisi tutti”

 Legolas la osservò stupita per poi scoppiare in una cristallina risata che lei seguì volentieri. Era un ottimo toccasana per finire quella giornata così turbolenta. La osservò ridere al colore del tramonto e quasi gli parve un’altra persona. O forse semplicemente lui non l’aveva mai vista per come era. Lei si girò a guardarlo sorridente mostrando una dolcezza che poco si addiceva ad una tipica discendente dei Vanyar ma che lui riuscì a scoprire nel fondo della sua espressione.

 “Sei stata brava oggi”

 Quello che disse era il segno di qualcosa che si era infine rotto tra loro due: l’indifferenza e il pregiudizio. Lei lo guardò e annuì soltanto.

 “Credo che sia meglio rimanere qui per stanotte, hai bisogno di riposo e devo cambiarti gli unguenti”

 Legolas osservò meglio la luce che filtrava tra gli alberi e sul fiume, doveva aver dormito parecchio. Avevano però ancora del tempo prima di sera, e con uno sforzo si tirò su a sedere. Il viso si contrasse in una smorfia dolorante. Accidenti, il suo corpo non rispondeva a dovere. Tentò con l’altra mano ma sentì un lieve tocco sul petto scoperto, costringendo a guardare la compagna negli occhi.

 “Arriveremo comunque in tempo, non affaticarti inutilmente. Tieni, bevi questo, io intanto raccolgo quello che trovo per la cena”

 L’elfa gli porse una ciotola con del liquido caldo dall’odore pungente ma non proferì verbo e lo deglutì rapidamente. La osservò muoversi con grazia attorno ad un fuoco improvvisato, elegante nelle movenze anche in quelle vesti tutte rovinate. In breve tempo la vista parve offuscarsi e gli arti cedere mollemente sotto il suo stesso peso. Si accasciò a terra mentre in uno stato di semincoscienza cadeva in un sonno profondo.

 ***

La luce creava un luminoso riverbero sull’acqua increspata del fiume e i raggi che penetravano tra le fronde erano sfolgoranti d’intensità. L’aria era fresca e frizzante, gli uccelli cantavano sonori nei paraggi. Alzò piano la testa, giusto per vedere i resti di un fuoco poco distante, alcune ciotole sparse nell’intorno, bende lavate lasciate ad asciugare al sole. Si tirò su appoggiando un gomito a terra e fece meno fatica del previsto. Il suo corpo rispondeva bene agli stimoli. Si mise quindi a sedere, alcune piccole fitte gli provenirono dalle ferite più gravi. Andò a tastare istintivamente i punti dolenti e si accorse di essere vestito e coperto. Doveva aver dormito tantissimo. Gli ritornarono alla mente gli ultimi istanti prima di cadere in un sonno profondo. Probabilmente Lúthien aveva messo del sonnifero in quella specie di infuso. Infastidito da quella constatazione dovette tuttavia ammettere di aver avuto bisogno di riposo. Come in un sogno aveva improvvisi flashback di lei che lo curava con pazienza, doveva essersi svegliato durante la notte, rimanendo però incosciente. Ricordò con uno strano languore la sua vicinanza, le sue mani che gli stringevano con delicatezza le bende attorno al torace, il lieve sfiorare dei suoi capelli sull’incavo del collo, il respiro leggero ma intenso vicino all’orecchio, il profumo di fiori di campo che emanava.  Si fermò improvvisamente preso dalle sue stesse sensazioni, incredibilmente forti e intense. Possibile che quella ragazza gli facesse così effetto? Dovette ammettere a sé stesso che l’aveva trovata avvenente già dal primo incontro, ma la condizione in cui si erano ritrovati l’aveva resa ai suoi occhi inutile e fastidiosa, togliendole tutto quello che di bello poteva avere. Ora, dopo quello che era accaduto, dopo averla osservata all’opera, decisa, determinata, sicura di sé e allo stesso tempo fragile e delicata, la sua mente pareva scostare lentamente quel velo di pregiudizio che da subito aveva aggravato i loro rapporti. L’elfo scrollò rapido la testa. Lui era un tipo solitario, amava girare da solo per le foreste, non aveva bisogno di nessuno, soprattutto di qualcuno a cui badare. Erano troppo diversi, inutile fantasticarci sopra. Sì ma il fulcro dei suoi maldestri pensieri dov’era finita? Si mise allora in piedi e spaziò con lo sguardo intorno. Si sentiva la testa pesante.
Niente.
Provò a fare alcuni passi, tutte le loro cose erano ancora lì, i cavalli legati a degli alberi brucavano placidamente. Tutto taceva. Si addentrò un poco nei dintorni e la chiamò a gran voce.
Niente di nuovo.
Ritornò sui suoi passi per cercare eventuali indizi ma non c’erano segni evidenti di colluttazione né di orme sconosciute. Si sedette vicino al fuoco spento e attese. Guardò i pesci saltare dal fiume e pensò di andarne a pescare qualcuno, magari era andata a raccogliere frutta e radici per colazione. Attese ancora ma non arrivava. Un atroce dubbio gli serrò la mente: e se i goblin non fossero stati tutti sconfitti? Lei era da sola, con lui senza sensi protetto in un angolo! Con un balzo raccattò la sua faretra e tenendosi sull’attenti si addentrò nel bosco. Le puntute non percepivano che i normali rumori della foresta, lo sbattere leggero delle ali di una coppia di passeri, il lieve raschiare di un roditore alla base di un albero, il vento che agitava placido le fronde. Camminava piano sul tappeto erboso, facendo attenzione a non fare rumore. La mano destra teneva saldamente l’arco mentre l’altra era pronta a scattare nella faretra. Camminava da dieci minuti quando un oggetto fuori posto attirò il suo sguardo. Si avvicinò cauto, quando quella che sembrava una camicia buttata malamente per terra si palesò nel suo campo visivo. Aveva il suo odore. Girò rapido la testa e scoprì anche gli stivali affusolati abbandonati a loro stessi. Nessun rumore palesava però la sua presenza, solo lo scrosciare dell’acqua. Non doveva essere lontana. Che fosse tenuta in ostaggio? Scostò deciso alcuni cespugli che chiudevano il passaggio ed eccola lì, vicino al fiume. Con un sospiro di sollievo fece alcuni passi decisi nella sua direzione quando al cuore mancò un battito, distogliendolo bruscamente dalla sua intenzione. Il lieve digradare della riva gli mostrò l’elfa nella sua interezza. I lunghi capelli sciolti ricadevano sulla schiena nuda, giocando con i riflessi dell’acqua e dei raggi del sole, apparendo intrisi di luce, come se sottili fili dorati li percorressero da cima a fondo. Il candore del suo incarnato ne stagliava la longilinea figura dal buio della riva opposta. Il sole la imbeveva di luce, il volto alzato a raccoglierne i benefici, i capelli che ad ogni piccolo movimento oscillavano pigri, mostrando con maliziosa alternanza la grazia delle sue forme. Le gambe sottili e tornite sfioravano il pelo dell’acqua, apparendo anche al di sotto nell’acqua cristallina. Nella sua sfolgorante bellezza Lúthien apparive come una creatura del bosco, una ninfa apparsa per sbaglio ad occhi indiscreti. Le mani pallide e affusolate, di nuovo libere dalle fasciature, creavano piccoli cerchi sulla superficie dell’acqua. Legolas rimase lì, impietrito, conscio della pericolosità della sua posizione ma incapace di staccarsi da quella visione, come se la luce che emanava il suo corpo lo attirasse a sé. Intanto la sua mano destra andò a scostare con delicatezza la chioma sul davanti, strizzandoli dalla troppa acqua, mostrando per brevi e intensi secondi l’intera nudità della ragazza, prima che si immergesse fino a metà busto. Quell’impudica visione lo fece tradire, poiché cercò di tornare indietro nel bosco di gran lena, spezzando rumorosamente un ramo. L’elfa si girò improvvisamente verso di lui, la mano destra che ancora teneva i capelli, l’altra a proteggere le piccole forme sul busto. Uno sguardo allibito, stupito, le labbra aperte appena per lo stupore, ma nessun grido, nessun movimento inconsulto, semplicemente rimase lì, nascosta dall’acqua, stupida ma non spaventata. Legolas colto sul fatto balbettò qualcosa in risposta, ancorato al suo sguardo cristallino dal quale non riusciva a sciogliere il legame. Era stupita, certo, ma non mostrava segni di rimprovero in quello sguardo estremamente pacato.

 “Non ti trovavo al campo, ho provato a chiamarti, cercarti ma niente, poi ho pensato ai goblin e...”

 Confusione totale. Lei non rispose, continuando ad osservarlo composta.

 “Girati per favore”

 L’elfo parve stupito da quella frase. Ci mise qualche secondo ad adempiere a quanto richiesto, girandosi maldestramente, arco e frecce ancora alla mano. Le puntute percepirono dei movimenti alle sue spalle, passi uscire dall’acqua, gocce che cadevano a terra, lo scricchiolare di foglie morte. La camicia che era al suo fianco venne tirata rapidamente dietro di sé, così come gli stivali sull’altro lato. Non aveva idea di cosa potesse dirgli, sembrava tutto così assurdo. Non si sarebbe mai aspettato una tale calma reazione da parte sua, che l’avventura coi goblin le avesse dato più sangue freddo. La sentì avvicinarsi ma non si mosse finchè non gliel’avesse detto lei. Percepì il suo odore farsi più intenso e alcune ciocche dei capelli biondissimi stuzzicargli il braccio. Che diamine stava combinando? Improvvisamente sentì il tocco fresco della sua mano sul fianco, lanciandogli un involontario fremito lungo la schiena. La visione di lei era ancora impressa nel suo sguardo. Le sue dita lo tastavano con delicatezza, incuranti delle sensazioni che gli procuravano. Si girò ad osservarla, china sul suo fianco osservare esperta le sue stesse medicazioni. Era così vicina che poteva sentire il suo respiro sulla pelle. Il cuore sembrò accellerare il battito. Si tirò su con eleganza e dopo aver incatenato lo sguardo al suo per alcuni secondi l’oltrepassò di un passo.

 “Devo cambiarti i medicamenti”

 Inebetito la vide allontanarsi verso il loro piccolo campo e senza altro aggiungere la seguì di buona lena. 

 Si era tolto la camicia con un certo imbarazzo, conscio del suo sguardo attento su di lui. Era seduta nella stessa posizione del giorno prima ma questa volta non c’era né il dolore né l’incoscienza a nascondere i suoi pensieri. Il suo sguardo era fisso ma non c’era nulla di malizioso in esso, sembrava assorto nei suoi pensieri. Si sedette nuovamente vicino a lei che con destrezza slegò rapida le bende, andando a cambiarle con altre pulite e imbrattate di pomata verde. Percepì ancora il suo tocco delicato ed abile sfiorargli il torace, e quasi gli dispiacque che era l’ultima medicazione.

 “Le ferite vanno molto meglio. Direi che possiamo rimetterci in marcia quando ho finito.”

 Legolas annuì riprendendo fiducia nel suo ruolo di guida. L’essersi abbandonato alle sue cure in quelle ore gli aveva mostrato una debolezza che non gli piaceva. E la sua vicinanza gli sortiva un pericolo effetto. Quando sentì stringersi l’ultimo nodo si alzò repentino, aiutando anche lei nel fare lo stesso. Senza dirsi altro si avvicinò ai cavalli quando si accorse che al cavallo di Lúthien mancava la borsa. Lesto gli balenò un pensiero e, prese le redini di entrambi, li portò quieti al suo cospetto.

 “Aspetta”

 Prima che lei potesse montare in sella la fermò. Prese la faretra che portava sempre dietro alla schiena e che ora si trovava attaccata al cavallo e ci rovistò dentro. Ne tirò fuori un libro ammaccato e sporco, ma ancora integro e leggibile.

 “Credo che questo sia tuo”

 La vide illuminarsi di gioia. Si avvicinò lenta a prendergli il libro tra le mani e subito lo aprì per vederne lo stato. Accarezzò le pagine con affetto, sfiorandone con cura la superficie ruvida. Dopo alcuni secondi di silenzioso contatto, il suo sguardo umido incontrò il suo, esprimendo quello che la bocca non diceva. Lo strinse al petto, conscia della sua concretezza. Doveva essere proprio importante quel libro.

 “E’ il libro di incantesimi. C’è tutta la mia vita qui dentro”

 La sua contentezza gli incoraggiò un pallido sorriso, da lei presto ricambiato con riconoscenza. Montò quindi a cavallo, mettendosi al suo fianco, per ripartire verso Lórien. Nessuno dei due aveva ringraziato l'altro, come due veri compagni di viaggio.



[1] Tra i fan di Tolkien il colore dei capelli di Legolas è spesso elemento di contesa. Ne Lo Hobbit suo padre Thranduil è descritto con una chioma "dorata", e questo potrebbe far pensare che anche il figlio abbia mantenuto lo stesso colore di capelli (come nel film di Peter Jackson). Ma alcuni sostengono che fosse scuro di capelli (com'era la norma tra i Sindar; i capelli biondi spesso erano una caratteristica dei Vanyar) basandosi su un passaggio de La Compagnia dell'Anello

[2] Sceso dalle Montagne, il Celebrant scorre attraverso Lórien, dove incontra il fiume Nimrodel, per sfociare poi nell'Anduin. I personaggi della Compagnia dell'Anello seguirono questo fiume per raggiungere Lórien da Moria.

[3] Il Quenya usato nella Terra di Mezzo, durante la Terza Era (il periodo corrispondente alle storie narrate ne Il Signore degli Anelli), era divenuto un'occupazione da studioso - qualcosa di analogo al latino nel nostro tempo (in effetti, lo stesso Tolkien si riferì più volte al Quenya come "latino elfico")

  
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