Capitolo
II: In marcia
Il
viaggio era insidioso ma non per uno
come Legolas, che i prati e le foreste le conosceva da più
di mille anni e le
praticava con sicurezza meccanica. A guardar lui che correva leggero
sopra i
massi, i ciuffi d’erba umidi e infidi, tra i rami bassi e
sporgenti, sempre
all’erta ma con quella grazia innata tipica della sua stessa
razza, quello che
per lei era un inferno poteva apparire quasi una tranquilla scampagnata
tra i
boschi. Si muoveva rapido e sicuro, senza mai voltarsi indietro o
guardare per
terra, come se sapesse già cosa aspettarsi e dove dirigersi.
Invece Lúthien
arrancava, non abituata ad affrontare lunghi percorsi e, nonostante la
sua
indubbia praticità, continuava a non sentirsi a proprio agio
nel completo da
caccia. Eppure se lo usavano tutti, un motivo doveva esserci. Ma,
ahimè, l’elfa
dovette ammettere a se stessa che, uno, quella non era una semplice
escursione,
e due, lei era praticamente inesperta anche di quelle. Stavano
viaggiando già
da alcuni giorni, dividendo il viaggio tra lunghe cavalcate nelle
radure, su
sentieri scoscesi o accidentati, oppure a piedi, come in quel momento,
dentro
fitte foreste, sempre sul chi va là e attenti a dove mettere
i piedi. Era
stanca, i capelli si appiccicavano di continuo al viso sudato, per
mantenere il
passo le gambe facevano una fatica tale che spesso le cedevano, creando
non
poche occasioni di imbarazzanti cadute. La chioma bionda
dell’elfo era il suo
punto luce nel buio tra i folti alberi, anche se ormai la seguiva con
una certa
noia e persin odio, dal momento che lui non sembrava interessato alla
sua
presenza. Quelle poche volte che lo vedeva fermarsi era per ascoltare i
rumori
della foresta e subito dopo riprendeva imperterrito la propria marcia.
Aveva
provato a chiedere un percorso più praticabile ma le era
stato ribadito che
quella era la strada più breve, nonostante le frequenti
camminate. Maledetta
Dol Amroth, quanto era lontana! Infine, quando la sua frustrazione le
fece
perdere la cognizione della sua guida, lanciò un ringhio che
aveva ben poco di
femminile. Sbatté un piede per terra, rischiando pure di
scivolare sul
vischioso humus di una roccia, e si fermò. Chiamò
a gran voce il suo fissato compagno
aspettando che tornasse indietro a cercarla. Sapeva bene che
l’impresa necessitava
di entrambi e quindi aspettò infastidita e lasciando
trapelare sul bel viso la
sua stizza. Dopo poco ecco infatti Legolas sbucare da dietro un tronco
con la
sua solita aria superiore e fastidiosa, di chi aveva a che fare con un
bambino
viziato e dispettoso. Appena giunto la vide adombrata da uno sguardo
che non
prometteva nulla di buono, col respiro affannoso, il pugno destro
chiuso in una
morsa e abbandonato lungo un fianco. Non disse nulla,
aspettò che fosse lei a
parlare. Non gli sembrava proprio il caso di peggiorare inutilmente la
situazione. Lei invece prese quel suo insopportabile silenzio come
un’accusa e,
mani sui fianchi, lo osserò dritto con quei suoi inquietanti
occhi chiari.
“Ora
basta! Sono ore che camminiamo ad un
ritmo impossibile, ho bisogno di una pausa e me la prendo,
intesi?”
L’elfa
allora si avvicinò al cavallo che sostava poco distante,
tirò fuori una coperta
dalla sua sacca, la distese per terra e si sedette, senza batter ciglio
né
tanto meno attendere una risposta da parte del compagno. Legolas parve
sorridere
di quell’atteggiamento risoluto e testardo, cosa che lo
stupì non poco,
essendosi immaginato l’elfa, fino a quel momento zitta e
impacciata, solo come un
silenzioso e pesante fardello. Ora invece gli appariva sotto una luce
diversa,
con quel completo tutto sporco di fango e pieno di graffi, i capelli
scomposti,
il viso accaldato e gli occhi vivi e decisi. Lúthien
stava mostrando carattere. Ad ogni modo non era certo il tipo da darla
vinta
così facilmente e con pacato disinteresse si sedette anche
lui su una roccia
poco distante, nel totale, quasi offeso, silenzio. Durante quella breve
sosta l’elfa
si scoprì ad osservarlo più volte di sottecchi,
attratta dall’alone di mistero
e riservatezza che lo circondava, cercando di carpirne le emozioni, i
pensieri,
ma nulla, lui rimaneva sempre composto e serio, mentre
all’erta osservava la
natura e ascoltava con le puntute i rumori attorno. Chissà
se si era accorto
che lo stava osservando di nascosto, chissà cosa pensava di
lei dopo quei
giorni passati insieme. Era la prima volta che lo considerava oggetto
di
interesse e non solo la sua rigida guida. Inoltre, nonostante i giorni
passati,
non si erano detti praticamente nulla. A ben pensarci non sapeva niente
di lui.
Ovviamente la cugina le aveva parlato del suo ruolo durante la Guerra
dell’Anello, dei vari nomi e luoghi che avevano fatto la
storia della Terra di
Mezzo, lei stessa ne era stata parte attiva. Eppure non erano che
reminescenze,
nozioni superficiali. Non che lui sapesse nulla di lei, né
gliel’aveva chiesto.
Chissà se Aragorn gli aveva accennato qualcosa, o la stessa
Arwen? Non sapeva
neanche in che rapporti era con l’amata cugina,
rifletté con un piccolo sbuffo.
Strano, perché solitamente era una persona solare e di buona
compagnia, ma
evidentemente quella volta il suo sorriso cortese non aveva fatto
centro. Ma
perché continuava a studiarlo in quel modo poco educato? Era
come se il suo
sguardo non potesse fare a meno di cercarlo, come se alla mancanza di
parole
potesse sopperire almeno l’esteriorità. Se ne
stava seduto lì, immerso nei suoi
pensieri, solo le puntute ruotavano lievemente intorno, a carpire
rumori
lontani. Durante la sua silenziosa analisi le capitò di
catturarne lo sguardo
ma subito egli si ritraeva come toccato sul vivo, oppure la fissava di
rimando,
tanto da distrarla dalla sua stessa osservazione. Un raggio di sole era
sceso
miracolosamente fino a terra dalle folte chiome delle quercie secolari
e lo sfiorava
di traverso, andando ad illuminargli qualche ciocca di capelli attorno
al viso,
rilucente anch’esso di candido pallore. La mano destra era
abbandonata
mollemente sul ginocchio piegato mentre l’altra accarezzava
con delicatezza un
soffice manto di licheni. Era oggettivamente bello, dovette ammettere
con se
stessa, e questa constatazione le creò un certo disagio. Non
poteva permettersi
di osservarlo così impunemente e ad ogni modo lui era la sua
guida, null’altro.
Appena finita quella strana impresa ognuno se ne sarebbe tornato nel
suo mondo,
al quale l’altro era del tutto estraneo. Sì, non
c’era davvero nulla che li
legasse. Lui era un combattente, un abile cacciatore ed esploratore di
foreste,
viaggiava molto e non per l’ultimo era di stirpe regale. Lei
invece amava
leggere, studiare, sperimentare con la mente, con le piante,
difficilmente si
muoveva da casa e nonostante fosse di ottima famiglia, se
così si può dire, non
aveva intenzione di diventare la regina di nessun posto. Non faceva per
lei.
Eppure non poteva non pensare che la medesima attitudine solitaria e
introversa
li accumunava nelle loro differenti attività. Ma lui era un
elfo vero e
nonostante il suo aspetto fosse decisamente più tipico di
quello del compagno,
in cuor suo ancora non aveva capito a che mondo appartenesse. Al pari
di Arwen
sentiva un particolare legame col mondo degli umani e, come lei, e la
sua
famiglia, era stata spesso allontanata dalla sua stessa razza.
Un’incompresa,
che ancora non aveva trovato il suo posto nella vita. Lei assomigliava
incredibilmente a sua nonna, stesso aspetto freddo e ancestrale, occhi
chiarissimi e magnetici, capelli lunghi e di un dorato pallido, alta e
longilinea. Agli altri appariva con deferenza e rispetto. Eppure non
poteva
essere più diversa, nei modi, negli atteggiamenti, nelle
stesse parole. E comunque
lui non la sopportava, poco ma sicuro. Trasalì nel notare lo
sguardo profondo e
screziato dell’altro fisso nel suo. Da quanto tempo la stava
fissando? Si
domandò con una certa apprensione. Doveva invertarsi
qualcosa, e in fretta.
“Tu
sei un Sindar, vero?”
Lúthien
abbassò leggermente lo sguardo, era davvero una cosa stupida
da dire. Si morse
il labbro inferiore con irritazione, sapeva fare di meglio accidenti!
Ma tutte
le volte che gli rivolgeva la parola si sentiva incredibilmente
stupida, e a
disagio, come se fosse sotto costante esame. Dopo alcuni secondi di
panico lui annuì.
Illuminati da quel lieve raggio di sole i suoi occhi blu parevano
vibrare
d’intensità.
“Sono
il Principe di Bosco Atro, figlio di re Thranduil ”
“Eppure
sei biondo
”
Legolas
ora la osservò con più attenzione. Parve prendere
tempo, quasi a non capire il
senso di quella che per lui era una scontata domanda.
“Anche
se i Sindar sono per lo più castani, non vuol dire che lo
siano nella totalità”
“Magari
avevi una discendenza Vanyar”
Lui
accennò un gesto, forse di diniego, poi il nulla. Rimasero
così, a fissarsi,
uno su di una pietra e l’altra su quella opposta, con non
solo il silenzio a
dividerli.
“Su,
rimettiamoci in marcia prima che faccia buio”
Si
ritrovò a dire, allentando una tensione fin troppo evidente
e che mal
sopportava. Attese quindi che Legolas le facesse nuovamente strada. Lo
vide
rivolgerle uno sguardo perplesso. Stupito forse di una così
risoluta decisione?
“Ci
fermeremo al limitare del bosco per dormire”
Lúthien
non poté che annuire, sperando che il limitare non fosse
così distante. Ma
vista la pendenza del sole fu rincuorata dal percepire la vicinanza
della notte
e quindi dell’agognato riposo.
***
Si
alzarono di buon’ora, come ogni mattino, ma quel giorno le
parve più allegro
del solito dal momento che Legolas l’aveva svegliata con la
bella novella che a
meno di due giorni di cammino sarebbero arrivati a Lórien,
dove finalmente
avrebbero dormito su di un letto vero e si sarebbero ristorati a
dovere. Legolas
non parve esprimere alcuna emozione a riguardo, ma Lúthien
era felice abbastanza per entrambi. Conosceva bene
l’ambiente, vi era cresciuta
per tanti anni, anche se dovette ammettere che le montava una certa
ansia al
pensiero di rincontrare Galadriel, ma i fattori negativi di quella
sosta non le
fecero perdere il buonumore. Avrebbe rivisto anche altri elfi a cui
teneva e a
cui non faceva visita da molte lune ormai. Superarono a piedi ancora
per
un’oretta quello che rimaneva dell’intricato bosco
per poi proseguire
finalmente a cavallo. Non che cavalcare fosse più piacevole,
ma di sicuro era
meno faticoso e la velocità del cavallo faceva sembrare il
tragitto più breve.
Non poterono certo galoppare molto, il terreno era ancora accidentato e
a volte
c’erano tratti di foresta da oltrepassare a piedi, ma le ore
parvero passare
più in fretta. Lúthien
si sentiva
sempre meglio, forse perché cominciava a riconoscere dei
luoghi familiari,
forse perché l’elfo le aveva comunicato che
Lórien era la prima delle tre grandi
tappe che avrebbero affrontato prima dell’agognata meta,
forse perché il sole
era raggiante quella mattina, sta di fatto che l’elfa
affrontava le difficoltà
con un sorriso meno teso. Legolas non parve dare peso a quei piccoli
visibili
cambiamenti, forse perché a lui il regno di
Lórien e la Dama Bianca non davano
quella gran fiducia che vedeva in essi riposta dalla compagna di
viaggio, ma
perfino lui disse qualche cosa in più del solito e parve
apprezzare
maggiormente il viaggio. Il tratto più insidioso era quello
in cui avrebbero
dovuto attraversare il fiume Celebrant ,
un
affluente dell’Anduin, il Grande Fiume, che li separava dal
Regno della Dama
Bianca. Avrebbero dovuto affrontare ancora un pezzo a piedi nella
foresta per
poi giungere in un punto ben preciso in cui il fiume era più
basso e facilmente
guadabile dai cavalli. Cavalcarono tranquilli, stranamente uno affianco
all’altro, ormai la loro destinazione era vicina e non
c’era nessuna fretta di
raggiungerla. Scesero un’ulteriore volta da cavallo per
proseguire a piedi, la
foresta era nuovamente intricata e difficilmente percorribile,
così Legolas
riprese il suo ruolo di capofila con Lúthien
subito dietro e i cavalli alle redini. Nel bel mezzo del nulla Legolas
si girò
di scatto nella sua direzione e con un balzo improvviso le si mise al
fianco,
bloccandole il cammino col suo stesso corpo e le intimò di
non parlare con una
mano sulla bocca. Il suo sguardo profondo incontrò per un
momento quello
confuso di lei a pochi centimetri, poteva sentire il cuore battere
all’impazzata per lo spavento ma infine il suo udito elfico
ebbe la meglio e
percepì dei rumori provenire qualche miglio più
in là. E si avvicinavano
rapidamente. Legolas percepì il suo leggero rilassamento e
le lasciò la mano
sulla bocca. La osservò intensamente, da farla quasi
intimorire.
“Goblin.
E forse sono capitanati da un Uruk-hai.”
Lúthien
lo osservò con occhi sbarrati.
Aveva sempre sentito parlare di quegli elfi decaduti ma rare volte
aveva avuto
il piacere di incontrarli. Eppure erano stati sconfitti con la caduta
di Sauron
e Saruman, cosa facevano ancora in giro? La sua unica arma era da
sempre la
parola, quelle vere non sapeva neanche come nominarle.
“Ho
un piccolo pugnale”
Rivelò
con malcelata sicurezza. Stava
sudando freddo, nonostante la fermezza dell’altro. Legolas
ragionava mentre lo
sguardo e le puntute erano tutte concentrate nei paraggi.
L’elfa percepì la
tensione che emanava e sapeva benissimo di essere lei la causa di tanto
timore,
lui se fosse stato solo non avrebbe avuto di che risentirsi. Alla fine
si voltò
verso di lei.
“Ascolta:
noi dobbiamo attraversare quel
fiume in quell’esatto punto ma i Goblin coi loro spostamenti
ci bloccano la
strada. Tu prendi i cavalli e vai verso Sud, monta appena possibile e
corri
verso il guado attraversandolo, io li prendo di sorpresa distraendoli
da te,
poi ti raggiungo. Lascia il mio cavallo proprio vicino al guado. Hai
capito?”
La
ragazza lo ascoltò con apprensione e
annuì decisa, anche se l’idea di andare da sola
non le piaceva affatto. Cercò
rapida un compromesso.
“E
se semplicemente aspettiamo che vadano
via nascosti qui?”
“Non
se ne parla, potrebbero bloccare il
passaggio per troppo tempo. E se ci scoprono prima loro non avremmo
dalla
nostra neanche l’effetto sorpresa. Devo distrarli
finché sono in tempo”
Indi
incoccò una freccia sull’arco e mentre
il rumore di quegli esseri si avvicinava sempre più la
incitò vigorosamente ad
andare, passandole con forza le redini dei cavalli, recalcitranti alla
fretta
dell’elfo. Con un ultimo segno del capo Legolas le
indicò la direzione e
Lúthien si apprestò ad andare, più
veloce che poté su quel terreno accidentato
e con due cavalli alla mano. L’elfa si sentiva braccata da
quei rumori che il
suo udito percepiva vicinissimi, e correva col cuore in gola, tra
scivolamenti
e inciampi vari, sempre attenta ai due cavalli dietro di lei, mentre si
faceva
strada tra quell’intricato miscuglio di rami e boscaglia che
le rallentavano la
corsa. La fatica si faceva sentire, anche perché i due
cavalli spesso non ubbidivano
prontamente ai suoi comandi, inoltre la sua agitazione li stava
influenzando e
ogni tanto doveva fermarsi per calmarli. Di Legolas intanto nessuna
traccia e
si sentiva sempre più presa di mira da quel gruppo di orchi
a cui stava andando
deliberatamente incontro. Giunse infine in un punto in cui
poté montare a
cavallo e proprio in quel momento apparvero due goblin, in
avanscoperta. Non
poté fare a meno di gridare per la sorpresa ma si
ridestò subito, spronando con
insistenza i cavalli verso la salvezza. I poveri mammiferi
però si erano
imbizzarriti, scalciavano e recalcitravano all’idea di essere
trasportati verso
il pericolo, e fece molta fatica a tenerli a freno, di quello al traino
per
poco non perse le redini, ledendosi a sangue le mani nello sforzo di
tenere
ferme le briglie. I goblin furono travolti dai cavalli spaventati,
anche se uno
riuscì ad afferrarla alla gamba e neanche con dei calci ben
assestati riuscì a
staccarselo di dosso. Solo un masso sulla loro traiettoria gli diede
una botta
tale da farlo cadere a terra ma nella rovinosa caduta si
portò dietro anche la
sua borsa attaccata al fianco del cavallo. Lúthien si
girò un secondo indietro
con orrore, guardando la borsa che cadeva rovinosamente a terra e
sparpagliava
tutte le sue preziose cose. Sentì salire un nodo in gola ma
spronò il cavallo
ancora più forte. Le puntute intanto seguivano le urla degli
orchi provenire
poco più in là e un rassicurante scagliare di
frecce. I goblin in avanscoperta
non erano però morti come pensava e quello che era rimasto
ferito per primo
soffiò malauguratamente in un corno. Con gli occhi sbarrati
l’elfa si accorse
che un piccolo gruppo di quegli esseri maledetti si era staccato da
quello
principale e venivano verso di lei, il piano stava decisamente avendo
un esito
non previsto e il guado era ancora lontano. I tre goblin che si erano
staccati
dagli altri videro il bel bottino e si avvicinarono veloci. Si
lanciò al
galoppo ma le mani le facevano un male cane. Strappò di
corsa un lembo del
vestito per fasciarsele ma i goblin stavano prendendo campo e Legolas
era
ancora impegnato altrove. Stava quasi per giungere al guado quando un
goblin le
saltò addosso disarcionandola e facendole perdere
contemporaneamente le redini
dell’altro cavallo. Gli altri due orchi intanto la
raggiunsero e lei si trovò
accerchiata, così alta e così indifesa, ma si
rialzò velocemente e impugnò il
pugnale che nascondeva sotto la tunica. Non aveva mai combattuto
né ucciso
nessuno prima di allora. Il compagno era vicino, ma il suo continuo
scoccare di
frecce le rivelò che non era un aiuto valido al momento. Si
studiarono per
alcuni interminabili secondi quando attaccarrono. L’elfa
brandì il pugnale alla
cieca, colpendo nella mischia mentre i goblin la graffiavano su
più punti.
Annaspava intimorita e sovraeccitata, nelle orecchie rumori di grida e
frecce che
la distraevano, si sentiva mancare, soffocata dal dolore, la stanchezza
e
l’odore nauseabondo che quelle creature emanavano senza
pudore. Odore di terra,
sangue e sudore si mischiavano nella sue narici mandandola in
confusione, si
girava in tutte le direzioni per rispondere al molteplice attacco
quando all’ultimo
si accorse di un goblin che le si scaraventava contro a peso morto,
evitandolo
per un soffio. L’orco cadde rovinosamente a terra con la
schiena trafitta da
una freccia e subito altre andarono a colpire con precisione gli altri
due.
“11!
E con questi abbiamo finito.”
Lúthien,
intontita dall’immediato silenzio creatosi,
fissò confusa Legolas esultare poco lontano mentre, arco
alla mano, si
avvicinava lesto. Mai come in quel momento fu felice di vederlo. Appena
le fu
dinanzi lo abbracciò in un impeto di gratitudine, cingendolo
con delicatezza, e
sprofondando il volto nella morbidezza della sua camicia. Lo
sentì irrigidirsi a
quell’inaspettato contatto ma dopo qualche secondo
ricambiò con titubanza il
suo gesto, cingendole a sua volta la vita con il braccio libero
dall’arco. Il
suo corpo era incredibilmente caldo e rassicurante, e nonostante avesse
sudato,
manteneva un odore gradevole di erba tagliata. La ragazza a fatica si
ritrasse
da quel contatto, ancora in uno stato di semi incoscienza, e con un
lieve
imbarazzo alzò lo sguardo verso il suo, prendendo infine
consapevolezza di
quello che era accaduto. Si accorse che anche lui riportava alcuni
graffi e
ferite. La realtà parve di nuovo inondarla di concreta
consistenza e d’istinto
andò ad osservare il guado poco distante.
“Ho
perso i cavalli”
Ammise
con delusione e rammarico,
nonostante il volto mantenesse un’espressione decisa. Legolas
non disse nulla,
solo si guardò rapido intorno e cominciò a
correre verso il fiume. Lúthien lo
raggiunse qualche minuto dopo a passo più moderato ed
osservò come i due
cavalli stavano bevendo serenamente vicino ad un albero.
Quelll’immagine bucolica,
idilliaca, stonava con il loro aspetto trasandato, con le sacche
lacerate
ancora appese sui fianchi, i loro oggetti sparsi
tutt’intorno, i corpi morti dei
goblin poco lontano. Eppure l’aria fresca che le sfiorava il
volto, il tiepido
tepore del sole e il cinguettio degli uccelli dalla foresta le facevano
apparire tutto come un sogno. Osservò inebetita Legolas
giungere presso i due
mammiferi per ricondurli indietro quando con orrore si
ricordò che la sua borsa
mancava, e con essa il suo prezioso contenuto. Doveva tornare indietro
a
prenderlo, non doveva essere lontano. Richiamò
l’attenzione dell’elfo con un
gesto della mano quando un forte odore muschiato provenire da Nord le
inondò
d’improvviso i sensi. Vide ansia riflessa nello sguardo
dell’altro ed ecco
apparire un Uruk-hai. La ragazza percepì con un brivido la
sua spaventosa
presenza e con fatica riuscì a girarsi per osservarlo. Non
aveva mai visto un
Uruk-hai prima di allora. Erano raccapriccianti, lasciavano trasparire
una
ferocia senza pari, al loro confronto i goblin sembravano teneri
pupazzi. Rendendosi
conto del pericolo si buttò rapida a terra mentre la
montagna puzzolente le
passava indifferente di lato avanzando con pericoloso interesse verso
Legolas, il
quale si era reso conto troppo tardi che la sua faretra non era al suo
posto e
preso alla sprovvista lo schivò con un agile salto.
Osservò l’elfa che era
dall’altra parte del colosso, malconcia e dolorante, e le
ordinò di scappare
dall’altra parte del fiume. Lúthien
annuì decisa ma non si mosse in quella
direzione. Lui senza la sua arma era perduto. Recuperò lesta
la faretra
abbandonata vicino il corpo di un goblin e corse verso Legolas ma
l’Uruk-hai,
accortosi della sua presenza, si preparò a colpirla con un
lungo pugnale.
Legolas approfittò di quella breve distrazione per
trattennerlo vigorosamente
da dietro ma il molosso era troppo grosso per lui e riuscì
brevemente nel suo
intento. Almeno il mortale pugnale si era conficcato a terra. Intanto
l’elfa, invece
di lasciare la faretra e scappare, si era piantata di fronte
all’Uruk-hai e,
guardandolo dritto negli occhi, pronunciò alcune parole in
una lingua che Legolas non riuscì a decifrare. Gli
occhi della ragazza erano fissi,
le pupille dilatate come nel buio più totale, i muscoli del
volto contratti per
lo sforzo, le mani, malamente fasciate, stese col palmo in avanti in
evidente tensione.
Legolas non vide mai esattamente cosa fecero entrambi ma si accorse che
il
molosso ad un certo punto non si opponeva più alla sua
presa, rimanendo docile nella sua morsa. Il corpo era rigido e senza
vita. L’elfo
lasciò andare immediatamente le mani dalla vita
dell’Uruk-hai e vi girò curioso attorno,
osservandone
lo stato immobile e lo sguardo fisso. Non era morto, non era cosciente
di sé. Lúthien aveva riacquistato il suo stato
normale, spaventato e malconcio, quando
lo prese per mano con forza per allontanarlo da lì.
“Non
durerà in eterno!”
L’elfo,
stupito, si lasciò trasportare per qualche secondo quando si
fermò perentorio. La osservò con i severi occhi
blu.
“Non
so cosa diamine gli hai fatto ma non
può rimanere così, devo ucciderlo”
Incoccò
deciso una freccia e scoccò verso
il petto del gigante. Sentiva la ragazza che lo spronava ad andare ma
solo
ora, sentendosi più tranquillo, poté rinfoderare
l’arco per guadare
il fiume. Invitò Lúthien a precederlo e lei
accettò. Il tratto di fiume da
attraversare non era molto lungo ma insidioso per via dei
ciottoli
scivolosi che ne coprivano il fondo. Lúthien stava
ripensando tra sé e sé a quello che aveva fatto
all’Uruk-hai e a quello che era
successo nell’arco di poche ore, di come aveva rischiato la
vita, di come
Legolas l’avesse raggiunta e protetta con maestria, al calore
del suo
abbraccio. All’ultimo pensiero arrossì
vistosamente e scrollò repentina la
testa, come a scacciare una mosca fastidiosa. Le mani le dolevano
ancora, aveva
perso il libro di incantesimi che era la cosa a cui teneva di
più e non
erano ancora arrivati a destinazione. Per non parlare del fatto che
stavano
guadando un fiume e doveva prestarci attenzione. Decisamente quelle non
erano
cose da pensare. Era talmente stanca che si accorse di un rumore tonfo,
come di
passi pesanti nell’acqua, solo il tempo di girarsi e vedere
il cavallo di
Legolas scalciare imbizzarrito e cadere rovinosamente
nell’acqua mentre Legolas
stesso veniva afferrato per la collottola e tirato per aria dallo
stesso
Uruk-hai che aveva colpito sulla riva e che ora
mostrava molte più frecce sul
corpo. Lúthien in un solo pensiero si ricordò che
il controllo forzato portava
all’immunità momentanea del malcapitato e si rese
conto che
Legolas non l’avrebbe mai battuto con le sole frecce.
Sorpassando come
impazzita i cavalli si avvicinò repentina a Legolas che
intanto tirava frecce
inutili e si divincolava nella stretta ferrea dell’umanoide e
cercò di tirarlo
a sé prendendolo per una gamba. L’uruk-hai ancora
mezzo incosciente lo stava
trascinando con sé in un turbine d’acqua. La sua
presa era decisamente debole e
ben presto il molosso se lo portò via. L’elfa si
accasciò nell’acqua disperata,
era stanca e non riusciva a pensare a nient’altro, il trucco
di prima non era
più utile poiché per paralizzarlo aveva bisogno
del contatto visivo diretto.
Osservò le acque tranquille del fiume e lo sguardo si
illuminò per un istante. Si rialzò e, nonostante
il tempo scarseggiasse e Legolas pareva
allontanarsi sempre più, prese una delle redini del cavallo
e corse sulla riva dove legò
un’estremità ad un tronco e l’altra la
lanciò al compagno
intrappolato. La testa bionda
dell’elfo stava lentamente scomparendo
nell’abbraccio ferreo di quell’essere ma ci
riuscì. L’elfa allora cominciò a urlare
qualcosa in quello che
ora si riconosceva come Quenya,
una
lingua ormai che nessuno parlava e che solo gli studiosi apprendevano.
Legolas
carpì alcune parole ma la stretta del colosso ormai lo
stava soffocando. La faretra pareva inutile e il pugnale idem, sembrava
spacciata per lui. Nel mentre che imprecava tra sé e
sé continuando a
divincolarsi e a sferrare colpi, in lontananza parve avvertire il
rumore sordo
di una cascata. L’elfa continuava a ripetere le stesse
incomprensibili frasi
mentre il ragazzo ora cominciava a capire cosa stesse facendo.
L’aveva fatto
anche Arwen per salvare Aragorn durante la Guerra
dell’Anello. Conscio di
quello che sarebbe accaduto a momenti si aggrappò con tutto
sé stesso alla corda
e cercò di divincolarsi dalla stretta il più
possibile. Dopo qualche
interminabile minuto una montagna d’acqua si
riversò nel fiume, facendoli
scomparire al suo interno turbinoso. Lúthien trattenne il
respiro alla vista di
tutta quell’acqua venuta in suo soccorso e tenne
stretta a sé la corda. Le mani le sanguinavano ma non le
sentiva, la corda era
ancora molle. Osservò con il batticuore le acque fragorose e
dirompenti che si
portavano tutto a valle quando finalmente la corda si
irrigidì tra le sue mani.
Attese qualche secondo ma di lui nessuna traccia. Si
avvicinò preoccupata ma non percepiva nulla nella
corrente. Stava per buttarsi quando lo vide.
Il capo biondo fece capolino tra i flutti e lo vide arrancare sulla
corda
tesa che subito cominciò a tirare a sé.
Dopo
quelli che sembravano minuti interminabili Legolas fece la sua intera
comparsa
sulla riva dove si riversò dolorante. Il volto era livido e
stravolto, dalla
bocca usciva ancora acqua, lo sguardo perso nel vuoto.
Lúthien lo
aiutò a sistemarsi al sicuro sulla riva mentre
l’ondata d’acqua anomala ormai stava scomparendo
verso valle,
portandosi dietro anche l’Uruk-hai. La ragazza si sedette
vicino al
compagno con aria assente, le gambe piegate al petto e circondate dalle
braccia, il mento appoggiato su di esse. Lo sguardo era fisso davanti a
sé, in attonito silenzio. Aspettò che
l’elfo mezzo svenuto al suo fianco si riprendesse, almeno
fino
a quando non fosse stato fuori pericolo. Erano vivi, vivi. Non riusciva
a pensare ad altro. Le mani le dolevano incredibilmente e senza motivo
sorrise di quel dolore, sintomo di esistenza terrena. Si
soffermò ad osservare l'elfo al suo fianco, era davvero
malconcio. Aveva bisogno di cure ma finchè non fosse stato
fuori pericolo non poteva allontanarsi in cerca di cibo e cure. I
capelli gli ricadevano scomposti sul volto pallido e ansante, ma il
petto si alzava con regolarità, sebbene mostrasse delle
profonde lacerature. Alcuni lividi gli rovinavano le braccia perfette e
alcune costole erano state sicuramente lacerate dalla forte stretta del
nemico. Sapendolo svenuto, si avvicinò maggiormente,
piegandosi su di lui senza imbarazzi. Gli osservò
clinicamente le ferite, scostando lievemente la camicia. Il suo sguardo
rimase però incatenato da quel petto d'alabastro, e
scostò repentina la mano ad un suo movimento imprevisto. Si
ritrovò ad arrossire come una ragazzina mentre si accertava
del suo stato incosciente. Rimase a fissarlo inebetita per alcuni
secondi quando si ridestò dal suo torpore con una scrollata
di spalle. Era una curatrice lei! L'osservò ancora
clinicamente. Infine, sapendolo salvo, andò a legare
i cavalli e si addentrò nella foresta.
***
Era
pomeriggio, la luce filtrava arancione
nei suoi occhi che piano piano stavano riprendendo a vedere. Era ancora
vicino
al fiume, ne poteva sentire il placido scrosciare. Cominciò
a muovere qualche
arto e tutto il corpo parve indolenzito. Cercò di alzarsi ma
una mano calda gli
impose la quiete. Girò lo sguardo verso
quell’odore dolce e familiare al suo
fianco: Lúthien stava imbrattando delle bende con qualcosa
di verde dal forte
odore di erba fresca e aromatica e si accorse che ne aveva il corpo
pieno,
ovunque c’era una ferita o un taglio. Riuscì ad
alzare leggermente la testa per
guardarla, lei era tutta concentrata nel suo lavoro. Le
osservò le mani lunghe
e affusolate che lo medicavano dolcemente, nonostante il composto
bruciasse
sulle ferite aperte. Emise un piccolo rantolo al sentire la pomata che
penetrava
dentro una delle ferite più profonde, ora che cominciava a
prendere coscienza
di se.
“Purtroppo
il fastidio cesserà solo quando
le ferite cominceranno a cicatrizzarsi”
La
ragazza non lo aveva guardato in volto,
ancora intenta a curarlo e a preparare le bende, ad ogni modo si era
accorta
che si era alzato. Anche lui era esperto in erbe e composti
medicamentosi,
dovendo per forza imparare per sopravvivere nelle foreste, ma non
pensava che
anche una come lei potesse conoscerne le virtù. Aveva agito
da sola, prendendo
così per tempo le ferite più gravi. Ed era
rimasta vicino al fiume per non
peggiorare la situazione e per avere l’acqua necessaria a
pulire le ferite.
Legolas osservò per un momento il cielo che imbruniva e
pensò a quanto si era
sbagliato sul conto di quella ragazza. Ripensò al suo sangue
freddo quando era
stata attaccata da sola, a come lo aveva aiutato quando era in
difficoltà. E
sapeva anche usare gli unguenti. Non era certamente quello che si
poteva
definire un cacciatore ideale né un esperto di foreste, ma
stava dimostrando
dei lati del suo carattere decisamente interessanti. Le
osservò ancora le mani
per accorgersi che erano ancora fasciate, ma in malo modo. Gliene prese
una tra
le sue più grandi e la sentì gemere.
“Cosa
hai fatto?”
Gli
chiese lui guardandola negli occhi.
L’elfa non rispose subito, declinando un poco con la testa
come a dire che non
era nulla di grave, e continuò la sua operazione.
“Dobbiamo
cambiare le bende tra circa
quattro ore, devo preparare del composto da portarci dietro”
La
voce della donna era seria e scura, come
a voler sottolineare il fatto che c’erano cose più
importanti a cui pensare.
Lui le prese con più decisione la mano e la sentì
mugolare ancora.
“Cosa
hai fatto alle mani?!”
Le
chiese lui più insistentemente, non
lasciandola andare e obbligandola ad osservarlo. Lei si
girò, il volto serio e
composto, ancora leggermente pallido e decisamente stanco. Erano
passate delle
ore in cui lui aveva riposato ma lei sembrava non aver fatto
altrettanto. Non
ricambiò però il suo sguardo, la mano ancora
nella sua. Lui le girò il dorso
per vedere il palmo. Del sangue raffermo si intravedeva dalla benda
improvvisata che era un lembo del suo vestito. Era pulita, o meglio era
impiastricciata di quella roba verde ma non di terra o fango.
“Le
redini del cavallo, con i goblin…”
“Perché
non ti sei medicata?”
Lui
la osservò, sembrava così piccola e
fragile con quei grandi occhi chiari che lo guardavano seri e in
silenzio.
“Le
tue ferite erano più gravi. Mi curerò
dopo.”
E
così ritirò la mano dalla sua e andò
al
fiume dove si sciacquò accuratamente le mani e poi vi ripose
sopra una benda
imbrattata di verde che legò stretta. La vide fare una
vistosa smorfia ogni
volta che la ferita veniva a contatto con il medicamento ma non disse
nulla di
più, controllando ogni suo gesto. Si avvicinò a
lui nuovamente.
“Come
stai?”
Gli
chiese osservandolo al petto dove le
numerose ferite erano state medicate o coperte con le bende. Legolas
poggiò
infine anche lui lo sguardo a se stesso e si accorse di essere a petto
nudo e
quella rivelazione lo fece arrossire di imbarazzo. Si era spesso
ritrovato in
condizioni simili ma sempre con compagni di viaggio uomini o comunque
con
curatori. Lo sguardo di quella ragazza lo imbarazzava, anche se lei lo
guardava
come un medico con il suo paziente. Non c’era nessuna malizia
in quei occhi
grandi e indagatori.
“Direi
bene”
Il
biondo non sapeva bene cosa dire in quel
momento, avrebbe dovuto ringraziarla del lavoro che aveva fatto per
curarlo ma
non sapeva bene da dove cominciare. Non erano certamente partiti col
piede
giusto, e gran parte della colpa di quello forse era sua, ma non si era
mai
trovato a dover ringraziare quasi una perfetta sconosciuta di avergli
salvato
la vita. I compagni di viaggio solitamente si davano fiducia reciproca
per quei
casi e niente era visto come favore personale. Ma qui era diverso; lei
non lo
conosceva e lui l’aveva anche trattata con pochi riguardi.
Mentre si sedeva
composto vicino a lei la vide sorridere mentre guardava il fiume dalle
venature
aranciate.
“E
meno male che li avevi uccisi tutti”
Legolas
la osservò stupita per poi
scoppiare in una cristallina risata che lei seguì
volentieri. Era un ottimo
toccasana per finire quella giornata così turbolenta. La
osservò ridere al
colore del tramonto e quasi gli parve un’altra persona. O
forse semplicemente
lui non l’aveva mai vista per come era. Lei si
girò a guardarlo sorridente
mostrando una dolcezza che poco si addiceva ad una tipica discendente
dei
Vanyar ma che lui riuscì a scoprire nel fondo della sua
espressione.
“Sei
stata brava oggi”
Quello
che disse era il segno di qualcosa
che si era infine rotto tra loro due: l’indifferenza e il
pregiudizio. Lei lo
guardò e annuì soltanto.
“Credo
che sia meglio rimanere qui per stanotte,
hai bisogno di riposo e devo cambiarti gli unguenti”
Legolas
osservò meglio la luce che filtrava
tra gli alberi e sul fiume, doveva aver dormito parecchio. Avevano
però ancora
del tempo prima di sera, e con uno sforzo si tirò su a
sedere. Il viso si
contrasse in una smorfia dolorante. Accidenti, il suo corpo non
rispondeva a
dovere. Tentò con l’altra mano ma sentì
un lieve tocco sul petto scoperto,
costringendo a guardare la compagna negli occhi.
“Arriveremo
comunque in tempo, non
affaticarti inutilmente. Tieni, bevi questo, io intanto raccolgo quello
che
trovo per la cena”
L’elfa
gli porse una ciotola con del
liquido caldo dall’odore pungente ma non proferì
verbo e lo deglutì
rapidamente. La osservò muoversi con grazia attorno ad un
fuoco improvvisato,
elegante nelle movenze anche in quelle vesti tutte rovinate. In breve
tempo la
vista parve offuscarsi e gli arti cedere mollemente sotto il suo stesso
peso.
Si accasciò a terra mentre in uno stato di semincoscienza
cadeva in un sonno
profondo.
***
La
luce creava un luminoso riverbero
sull’acqua increspata del fiume e i raggi che penetravano tra
le fronde erano
sfolgoranti d’intensità. L’aria era
fresca e frizzante, gli uccelli cantavano
sonori nei paraggi. Alzò piano la testa, giusto per vedere i
resti di un fuoco
poco distante, alcune ciotole sparse nell’intorno, bende
lavate lasciate ad
asciugare al sole. Si tirò su appoggiando un gomito a terra
e fece meno fatica
del previsto. Il suo corpo rispondeva bene agli stimoli. Si mise quindi
a
sedere, alcune piccole fitte gli provenirono dalle ferite
più gravi. Andò a
tastare istintivamente i punti dolenti e si accorse di essere vestito e
coperto. Doveva aver dormito tantissimo. Gli ritornarono alla mente gli
ultimi
istanti prima di cadere in un sonno profondo. Probabilmente
Lúthien aveva messo
del sonnifero in quella specie di infuso. Infastidito da quella
constatazione
dovette tuttavia ammettere di aver avuto bisogno di riposo. Come in un
sogno
aveva improvvisi flashback di lei che lo curava con pazienza, doveva
essersi
svegliato durante la notte, rimanendo però incosciente.
Ricordò con uno strano
languore la sua vicinanza, le sue mani che gli stringevano con
delicatezza le
bende attorno al torace, il lieve sfiorare dei suoi capelli
sull’incavo del
collo, il respiro leggero ma intenso vicino all’orecchio, il
profumo di fiori
di campo che emanava. Si
fermò
improvvisamente preso dalle sue stesse sensazioni, incredibilmente
forti e
intense. Possibile che quella ragazza gli facesse così
effetto? Dovette
ammettere a sé stesso che l’aveva trovata
avvenente già dal primo incontro, ma
la condizione in cui si erano ritrovati l’aveva resa ai suoi
occhi inutile e
fastidiosa, togliendole tutto quello che di bello poteva avere. Ora,
dopo
quello che era accaduto, dopo averla osservata all’opera,
decisa, determinata,
sicura di sé e allo stesso tempo fragile e delicata, la sua
mente pareva
scostare lentamente quel velo di pregiudizio che da subito aveva
aggravato i
loro rapporti. L’elfo scrollò rapido la testa. Lui
era un tipo solitario, amava
girare da solo per le foreste, non aveva bisogno di nessuno,
soprattutto di
qualcuno a cui badare. Erano troppo diversi, inutile fantasticarci
sopra. Sì ma
il fulcro dei suoi maldestri pensieri dov’era finita? Si mise
allora in piedi e
spaziò con lo sguardo intorno. Si sentiva la testa pesante.
Niente.
Provò a fare alcuni passi, tutte le loro
cose erano ancora lì, i cavalli legati a degli alberi
brucavano placidamente.
Tutto taceva. Si addentrò un poco nei dintorni e la
chiamò a gran voce.
Niente di nuovo.
Ritornò sui suoi passi per cercare
eventuali indizi ma non c’erano segni evidenti di
colluttazione né di orme
sconosciute. Si sedette vicino al fuoco spento e attese.
Guardò i pesci saltare
dal fiume e pensò di andarne a pescare qualcuno, magari era
andata a
raccogliere frutta e radici per colazione. Attese ancora ma non
arrivava. Un
atroce dubbio gli serrò la mente: e se i goblin non fossero
stati tutti
sconfitti? Lei era da sola, con lui senza sensi protetto in un angolo!
Con un
balzo raccattò la sua faretra e tenendosi
sull’attenti si addentrò nel bosco.
Le puntute non percepivano che i normali rumori della foresta, lo
sbattere
leggero delle ali di una coppia di passeri, il lieve raschiare di un
roditore
alla base di un albero, il vento che agitava placido le fronde.
Camminava piano
sul tappeto erboso, facendo attenzione a non fare rumore. La mano
destra teneva
saldamente l’arco mentre l’altra era pronta a
scattare nella faretra. Camminava
da dieci minuti quando un oggetto fuori posto attirò il suo
sguardo. Si
avvicinò cauto, quando quella che sembrava una camicia
buttata malamente per
terra si palesò nel suo campo visivo. Aveva il suo odore.
Girò rapido la testa
e scoprì anche gli stivali affusolati abbandonati a loro
stessi. Nessun rumore
palesava però la sua presenza, solo lo scrosciare
dell’acqua. Non doveva essere
lontana. Che fosse tenuta in ostaggio? Scostò deciso alcuni
cespugli che
chiudevano il passaggio ed eccola lì, vicino al fiume. Con
un sospiro di
sollievo fece alcuni passi decisi nella sua direzione quando al cuore
mancò un
battito, distogliendolo bruscamente dalla sua intenzione. Il lieve
digradare
della riva gli mostrò l’elfa nella sua interezza.
I lunghi capelli sciolti
ricadevano sulla schiena nuda, giocando con i riflessi
dell’acqua e dei raggi
del sole, apparendo intrisi di luce, come se sottili fili dorati li
percorressero da cima a fondo. Il candore del suo incarnato ne
stagliava la
longilinea figura dal buio della riva opposta. Il sole la imbeveva di
luce, il
volto alzato a raccoglierne i benefici, i capelli che ad ogni piccolo
movimento
oscillavano pigri, mostrando con maliziosa alternanza la grazia delle
sue
forme. Le gambe sottili e tornite sfioravano il pelo
dell’acqua, apparendo
anche al di sotto nell’acqua cristallina. Nella sua
sfolgorante bellezza
Lúthien apparive come una creatura del bosco, una ninfa
apparsa per sbaglio ad
occhi indiscreti. Le mani pallide e affusolate, di nuovo libere dalle
fasciature, creavano piccoli cerchi sulla superficie
dell’acqua. Legolas rimase
lì, impietrito, conscio della pericolosità della
sua posizione ma incapace di
staccarsi da quella visione, come se la luce che emanava il suo corpo
lo
attirasse a sé. Intanto la sua mano destra andò a
scostare con delicatezza la
chioma sul davanti, strizzandoli dalla troppa acqua, mostrando per
brevi e
intensi secondi l’intera nudità della ragazza,
prima che si immergesse fino a
metà busto. Quell’impudica visione lo fece
tradire, poiché cercò di tornare
indietro nel bosco di gran lena, spezzando rumorosamente un ramo.
L’elfa si
girò improvvisamente verso di lui, la mano destra che ancora
teneva i capelli,
l’altra a proteggere le piccole forme sul busto. Uno sguardo
allibito, stupito,
le labbra aperte appena per lo stupore, ma nessun grido, nessun
movimento
inconsulto, semplicemente rimase lì, nascosta
dall’acqua, stupida ma non
spaventata. Legolas colto sul fatto balbettò qualcosa in
risposta, ancorato al
suo sguardo cristallino dal quale non riusciva a sciogliere il legame.
Era
stupita, certo, ma non mostrava segni di rimprovero in quello sguardo
estremamente pacato.
“Non
ti trovavo al campo, ho provato a
chiamarti, cercarti ma niente, poi ho pensato ai goblin e...”
Confusione
totale. Lei non rispose,
continuando ad osservarlo composta.
“Girati
per favore”
L’elfo
parve stupito da quella frase. Ci
mise qualche secondo ad adempiere a quanto richiesto, girandosi
maldestramente,
arco e frecce ancora alla mano. Le puntute percepirono dei movimenti
alle sue
spalle, passi uscire dall’acqua, gocce che cadevano a terra,
lo scricchiolare
di foglie morte. La camicia che era al suo fianco venne tirata
rapidamente
dietro di sé, così come gli stivali
sull’altro lato. Non aveva idea di cosa
potesse dirgli, sembrava tutto così assurdo. Non si sarebbe
mai aspettato una
tale calma reazione da parte sua, che l’avventura coi goblin
le avesse dato più
sangue freddo. La sentì avvicinarsi ma non si mosse
finchè non gliel’avesse
detto lei. Percepì il suo odore farsi più intenso
e alcune ciocche dei capelli
biondissimi stuzzicargli il braccio. Che diamine stava combinando?
Improvvisamente sentì il tocco fresco della sua mano sul
fianco, lanciandogli
un involontario fremito lungo la schiena. La visione di lei era ancora
impressa
nel suo sguardo. Le sue dita lo tastavano con delicatezza, incuranti
delle
sensazioni che gli procuravano. Si girò ad osservarla, china
sul suo fianco
osservare esperta le sue stesse medicazioni. Era così vicina
che poteva sentire
il suo respiro sulla pelle. Il cuore sembrò accellerare il
battito. Si tirò su
con eleganza e dopo aver incatenato lo sguardo al suo per alcuni
secondi
l’oltrepassò di un passo.
“Devo
cambiarti i medicamenti”
Inebetito
la vide allontanarsi verso il
loro piccolo campo e senza altro aggiungere la seguì di
buona lena.
Si
era tolto la camicia con un certo
imbarazzo, conscio del suo sguardo attento su di lui. Era seduta nella
stessa
posizione del giorno prima ma questa volta non c’era
né il dolore né
l’incoscienza a nascondere i suoi pensieri. Il suo sguardo
era fisso ma non c’era
nulla di malizioso in esso, sembrava assorto nei suoi pensieri. Si
sedette
nuovamente vicino a lei che con destrezza slegò rapida le
bende, andando a
cambiarle con altre pulite e imbrattate di pomata verde.
Percepì ancora il suo
tocco delicato ed abile sfiorargli il torace, e quasi gli dispiacque
che era
l’ultima medicazione.
“Le
ferite vanno molto meglio. Direi che
possiamo rimetterci in marcia quando ho finito.”
Legolas
annuì riprendendo fiducia nel suo
ruolo di guida. L’essersi abbandonato alle sue cure in quelle
ore gli aveva
mostrato una debolezza che non gli piaceva. E la sua vicinanza gli
sortiva un
pericolo effetto. Quando sentì stringersi l’ultimo
nodo si alzò repentino,
aiutando anche lei nel fare lo stesso. Senza dirsi altro si
avvicinò ai cavalli
quando si accorse che al cavallo di Lúthien mancava la
borsa. Lesto gli balenò
un pensiero e, prese le redini di entrambi, li portò quieti
al suo cospetto.
“Aspetta”
Prima
che lei potesse montare in sella la
fermò. Prese la faretra che portava sempre dietro alla
schiena e che ora si
trovava attaccata al cavallo e ci rovistò dentro. Ne
tirò fuori un libro ammaccato
e sporco, ma ancora integro e leggibile.
“Credo
che questo sia tuo”
La
vide illuminarsi di gioia. Si avvicinò
lenta a prendergli il libro tra le mani e subito lo aprì per
vederne lo stato. Accarezzò
le pagine con affetto, sfiorandone con cura la superficie ruvida. Dopo
alcuni
secondi di silenzioso contatto, il suo sguardo umido
incontrò il suo,
esprimendo quello che la bocca non diceva. Lo strinse al petto, conscia
della
sua concretezza. Doveva essere proprio importante quel libro.
“E’
il libro di incantesimi. C’è tutta la
mia vita qui dentro”
La
sua contentezza gli incoraggiò un
pallido sorriso, da lei presto ricambiato con riconoscenza.
Montò quindi a
cavallo, mettendosi al suo fianco, per ripartire verso
Lórien. Nessuno dei due aveva ringraziato l'altro, come due
veri compagni di viaggio.