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Autore: Trick    19/10/2011    23 recensioni
"«Eri con loro, vero?» chiese tagliente Arthur e Remus chiuse gli occhi, mentre una fitta di dolore gli incendiava le costole. «Eri con Fabian e Gideon? È per questo che Alastor ti ha portato qui, vero?».
«Mi dispiace» disse Remus senza pensare.
Arthur sorrise.
«Non è colpa tua, Remus».
"
Remus tenta di spiegare la guerra a Tonks attraverso il fantasma della propria giovinezza. Ma la guerra, come l'amore, può solo essere vissuta.
Prima classificata al contest "Full Moon Sways" indetto da CoS.
Vincitrice degli Oscar Miglior membro dell'Ordine della Fenice, Miglior scenografia, Miglior attore non protagonista e Miglior regista al contest "Anche noi abbiamo fatto la nostra parte" indetto da MedusaNoir.
Genere: Drammatico, Guerra, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Alastor Moody, Altro personaggio, Arthur Weasley, Nimphadora Tonks, Remus Lupin
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica, II guerra magica/Libri 5-7
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Titolo della fanfiction: Londra sta chiamando i suoi ragazzi
Titolo del contest: Full moon sways – Remus Lupin mode
Personaggi: Remus Lupin, Ninfadora Tonks, Alastor Moody, Arthur Weasley, Fabian e Gideon Prewett.
Generi: Guerra, drammatico, triste
Warnings: nessuno
Note personali:
  • Le date non sono completamente precise. Ho letto che Fabian e Gideon Prewett sono morti nel 1981; io ho preferito far accadere la vicende nel 1979, la data della storica uscita di London Calling dei The Clash che dà il titolo alla fan fiction e ne segue poi le vicende.
  • Non si sa che genere di animale sia il Patrono di Remus Lupin. Io ho scelto lo sparviero per due motivi: a) nel terzo libro si legge che dalla bacchetta di Lupin è uscito qualcosa che poi è volato via o robe simili e b) lo sparviero è un rapace piuttosto pericoloso, probabilmente quello più cacciato dagli uomini, e mi è venuta in mente la condizione di licantropo di Remus, tutto qui.
  • Nessuno ha mai detto che Remus Lupin sia irlandese, mezzo irlandese o robe simili e io non so nemmeno come diavolo mi sia venuta in mente un'idea tanto balorda. Mi piace l'Irlanda, mi piace Remus e ho sempre pensato che sua madre fosse irlandese. Così, de gustibus... nel mio immaginario, quindi, la madre di Remus è originaria della piccola cittadina di Kinsale, nel sud dell'Irlanda, a venticinque chilometri da Cork.
*


Prima classificata al contest Full Moon Sways indetto da CoS.

 
Vincitrice degli Oscar Miglior membro dell'Ordine della Fenice, miglior scenografia e miglior regista
al contest "Anche noi abbiamo fatto la nostra parte" indetto da MedusaNoir.
*


London calling to the faraway towns
Now that war is declared and battle come down
[Londra sta chiamando le città sperdute
Ora che è stata dichiarata guerra e la battaglia è finita]


«Malocchio non voleva prendermi nell'Ordine».
Remus sollevò la testa dalla Gazzetta del Profeta e le rivolse un'occhiata imperturbabile. La fissò a lungo, studiando attentamente ogni tratto del suo giovane viso. Quella mattina i suoi capelli sbarazzini erano verde smeraldo, le sue unghie di un intenso arancione e indossava una maglietta dei The Clash a cui Remus aveva indirizzato un sorriso nostalgico. Portava una paio di Dr. Martens provenienti da un'altra epoca, e Remus si era domandato se fossero appartenuti a Ted Tonks o se lei li avesse raccattati in qualche mercatino delle pulci della domenica in Cheshire Street.
«Non fatico a crederlo» le rispose dopo qualche istante di silenzio, arricciando appena le labbra. «Sono stato il primo a stupirmi quando ti ha portato qui».
Tonks parve accusare a fatica il colpo: aveva sperato in una reazione di disappunto nei confronti di Moody, in qualche parola di conforto da parte di Remus o in qualunque altra cosa avrebbe potuto significare: «Ho fiducia nelle tue capacità».
«Io sono un'Auror» ribatté piccata lei, alzando orgogliosamente il naso e scrutando Remus con aria torva. «Sono stata addestrata a combattere. Sono pronta, dannazione, e non sono più una ragazzina. Credevo che almeno tu, questo, lo avessi capito».
«Non è questo il punto».
«E quale diavolo è, allora, il punto?».
«Il punto è che sei troppo giovane per questa guerra, Ninfadora. In effetti, saresti troppo giovane per qualunque guerra».
Tonks parve risentita.
«Tu e Sirius avevate diciotto anni quando iniziaste a combattere» sputò pungente. «È un po' ipocrita da parte tua dirmi questo».
Remus emise uno sbuffo divertito e le sorrise comprensivo.
«Io la definirei propensione al paternalismo».
«Cosa di cui io non ho bisogno, grazie».
L'espressione indignata sul volto di Tonks la faceva apparire una ragazzina imbronciata e Remus non riuscì a trattenere una risatina: voleva essere trattata come una donna, come un soldato, e per quanto lui fosse a conoscenza delle sue abilità di duellante, aveva un volto troppo trasparente per poter sembrare tale. Era in gamba, era determinata ed era ferocemente piena di buoni ideali: Remus lo sapeva perfettamente. Era quasi come rivedere Sirius nel 1979, ma con più mezze misure addosso e con la faccia più angelica.
«Fu Alastor ad arricchire la maggior parte dei membri del primo Ordine della Fenice» raccontò Remus, forzatamente distaccato. «Edgar Bones, Dorcas Meadowes, Benjy Fenwick, Marlene McKinnon, Frank e Alice Paciock, i fratelli Prewett... erano tutti suoi pupilli, al Ministero. È per questo che sono stato tanto stupito nel vederti accanto a lui e Kingsley. Non credevo che Alastor avrebbe avuto la forza di rifarlo».
«Che cosa?».
Remus le mostrò i palmi in un gesto di muta rassegnazione.
«Trascinare altri ragazzi in una guerra evidentemente più grossa di loro... non dopo che l'ultima ha quasi decimato la mia generazione, almeno».
Tonks si mordicchiò nervosamente il labbro inferiore, ma Remus riusciva a leggere nei suoi occhi scuri una grintosa testardaggine. Represse a stento un sorriso al pensiero di quanto quella ragazza portasse addosso le tracce dei duri insegnamenti di Alastor.
Determinazione. Lealtà. Sacrificio.
Il trinomio dell'essere Auror secondo Alastor Moody.
«Io ce la farò» sentenziò con profonda risolutezza lei, annuendo con forza. «Ce la farò, Remus. Hai capito?».
«Non ho mai detto di non ritenere che tu possa farcela, né mai lo dirò» le rispose con franchezza. «I tempi sono diversi, ora, e noi abbiamo imparato cosa significhi affrontare Lord Voldemort. A conti fatti, credo che tu possa farcela».
Rimasero in silenzio qualche istante.
«Ma una guerra è pur sempre una guerra» scosse il capo lei, confusa. «Tu eri appena maggiorenne quando iniziasti a combattere. Io ho quasi ventidue anni e sono un'Auror a tutti gli effetti. Perciò, a conti fatti, credo di avere molte più credenziali io, oggi, di quante tu non ne avessi all'epoca, Remus».
«Vorrei che tu capissi che non sei tu a non essere all'altezza, né io ti ritengo tale. Ciò che fa la differenza è che tutti noi abbiamo imparato a nostre spese chi è Lord Voldemort. Oggi siamo più preparati. Oggi sappiamo cosa stiamo facendo.».
«E la prima volta... cosa sapevate, allora?».
Remus le rivolse un debole sorriso.
«Nulla. Eravamo troppo giovani per sapere qualcosa. È per questo che la guerra si è mangiata ognuno di noi, alla fine».
*


London calling, now don't look at us
[Londra sta chiamando, non guardateci ora]


Era un ragazzetto pallido e allampanato, con gli occhi arrossati e cerchiati da spesse ombre bluastre, le labbra e le nocche screpolate dal freddo e la corporatura smilza e ossuta di chi dalla vita ha ricevuto troppi ceffoni per ogni carezza. Ma quella era la fine degli anni Settanta e quella era l'Inghilterra dei Sex Pistols, di Margaret Thatcher, degli acidi e degli allucinogeni, e un ragazzetto così era soltanto uno come tanti. Era il figlio degli altri di cui si vociferava con i vicini, quello che se fosse stato figlio mio, sarebbe diventato sicuramente un avvocato di successo.
Poco importava che Remus Lupin non avesse la benché minima intenzione di intraprendere una carriera all'interno dell'Ufficio per l'Applicazione della Legge Magica, né che detestasse ogni singolo angolo del Ministero, dalla statua che dominava sull'Atrium alle scomode sedie dell'Ufficio per la Regolazione e il Controllo della Creature Magiche. A Remus Lupin non piacevano nemmeno i Sex Pistols, Margaret Thatcher, gli acidi e gli allucinogeni: ascoltava i Clash, non credeva nella politica e aveva già fin troppe dipendenze per potersi sballare di droga ai bordi dei viottoli di Londra. Era ben lontano dall'essere un buon candidato per il londinese medio, figurarsi per l'avvocato di successo.
A Remus Lupin non fregava niente, poi, di fare l'avvocato. Non era che un diavolo di licantropo, con una diavolo di madre irlandese morta e un diavolo di padre con cui aveva smesso di condividere la propria vita da anni. Era un diavolo, Remus Lupin, con tre diavoli di amici persi in mezzo a tutta quella merda che era diventata Londra nel 1979.
Era il 1979 e Lord Voldemort si era insinuato un po' da tutte le parti del mondo magico. S'infiltrava all'interno e all'esterno del Ministero, cacciava nei vicoli di Diagon Alley, si sussurrava timoroso fra i corridoi di Hogwarts. Lord Voldemort era in così tanti posti contemporaneamente che quasi lo si sentiva al proprio fianco, certe volte. Remus lo vedeva, allora, levarsi dal fumo di quello schifo di sigarette di Sirius, muoversi con la gestualità nervosa di James, balbettare con la voce tremante di Peter. E quando fissava il proprio riflesso, ecco che Lord Voldemort gli compariva alle spalle per mostrargli quanto fossero pesanti le sue occhiaie, quanto fosse segnato il suo volto e quanto fosse deprimente vedere un ragazzetto di neppure vent'anni già rovinato davanti a uno specchio del cazzo.
Quella era la Londra del 1979, con le sue esplosioni di Babbani e le uscite tutte matte di quel coglione di Sid Vicious, con i Mangiamorte che ammazzavano di notte e con la Thatcher che parlava di fede e speranza di giorno. Era la Londra del 1979 e Remus Lupin, ragazzetto pallido e allampanato, figlio di nessuno che non sarebbe mai diventato un avvocato, lo sapeva perfettamente. Era la fine degli anni Settanta, quella, e Remus aveva il sentore che ci fosse qualcosa di schifosamente profetico in quel cazzo di decennio.
Fino a pochi anni prima, c'erano stati gli anni dei Malandrini. Gli anni di Hogwarts, gli anni di Grifondoro, gli anni dove a James e Sirius sembrava essere concesso tutto, gli anni dei disastri, dei litigi e delle prime volte. Gli anni che Remus pensava non sarebbero mai finiti perché, dannazione, quegli anni avevano significato troppo per ognuno di loro e la sola idea che potessero realmente andarsene faceva troppo male ad ognuno dei loro stomaci. Invece, eccoli lì, tutti e quattro: terribilmente più vecchi e per niente più grandi, distanti pochi mesi dagli anni in cui erano stati i Malandrini, e già proiettati verso quel futuro di merda che Londra stava offrendo loro.
Era il 1979, in fin dei conti, e Remus sentiva ogni giorno di quegli anni Settanta scapparsene via sempre più velocemente, strappandogli brandelli di gioventù senza che esistesse alcun modo di recuperarli dal passato.
Stava finendo tutto; lo avvertiva nel sangue.
Talvolta, nascosto dall'oscurità dello sciatto monolocale di turno e con la bacchetta saldamente stretta fa le mani, sperava che gli anni Ottanta avrebbero avuto un migliore inizio. E qualche volta, disgraziatamente, finiva per crederlo sul serio.
*


Come out of the cupboard, all you boys and girls
[Venite fuori dall'armadio, tutti voi ragazzi e ragazze]


Il patriottismo non era mai stata una caratteristica del giovane Lupin. Della Gran Bretagna e della comunità magica gli importava quel tanto che bastava per non farla esplodere, in effetti. James Potter, nazionalistico a livello genetico, aveva sempre imputato la tiepida vena anarchica dell'amico alla discendenza irlandese e Babbana della madre, ma tutti quanti sapevano che la spiegazione affondava in radici ben più intricate.
Remus era un disgraziato licantropo, disgraziato mezzo irlandese e disgraziato figlio di uno di quei cani dell'Unità di Cattura da cui si teneva alla larga da anni, ormai. Era un disgraziato in qualunque modo si volesse rigirare la storia, e non si poteva certo presumere che un disgraziato potesse essere anche patriottico.
Nonostante tutto, aveva deciso di combattere al fianco di Silente e dell'Ordine della Fenice prima ancora di raggiungere la maggiore età, sebbene fosse perfettamente a conoscenza di quanto i suoi sforzi e i suoi sacrifici avrebbero ingiustamente incrementato il consenso popolare nei confronti del Ministero della Magia. A Remus non importava niente: indipendentemente dall'esito di quella guerra, sapeva che avrebbe perso. Se Lord Voldemort avesse vinto, sarebbe morto; se il Ministero fosse sopravvissuto, sarebbe rimasto il solito disgraziato licantropo e sarebbe morto di stenti, prima o poi.
Spesso si domandava se ci fosse un motivo per il quale valesse la pena di rimanere in Gran Bretagna e combattere contro tutta quella merda che erano gli anni Settanta e, nel caso esistesse un valido motivo, quale diavolo esso fosse.
Il più delle volte non ne aveva una mezza idea, ma lui restava lì, e continuava a stringere la bacchetta fra le dita fra una bestemmia al Ministro e una alla Regina.

*

London calling, see we ain't got no swing
[Londra sta chiamando, guardate che non siamo cambiati]


«Per cosa combattevi, allora? Cosa ti spingeva a restare?».
Remus rimase immobile diversi istanti, fissando intensamente le goccioline di brandy che Tonks aveva rovesciato sul tavolo mentre gli riempiva il bicchiere. Alla luce delle candele incantate che illuminavano la cucina di Grimmauld Place, il liquore sembrava sanguigno.
«Tu per cosa vuoi combattere?» domandò in rimando lui, appoggiando il mento al palmo della mano e scrutando il giovane volto di Tonks con un sorriso accondiscendente.
Dalla sua espressione incredula, Remus dedusse che lei, a differenza di lui, aveva già la propria risposta. Non ne era affatto stupito: sapeva perfettamente quanto lei fosse un soldato infinitamente migliore di lui e per i soldati, in fin dei conti, è obbligatorio sapere per cosa combattere.
«È giusto combattere questa guerra. È giusto difendere tutto ciò che abbiamo di buono» disse a bassa voce Tonks, scuotendo piano la testa e con la fronte aggrottata. «Se non combattessimo... dimmi, Remus, che succederebbe se non combattessimo?».
«Perderemmo».
Tonks si umettò le labbra e annuì piano.
«E chi verrà dopo di noi si chiederà per quale motivo non abbiamo combattuto. Per quale motivo abbiamo permesso che il mondo crollasse sotto i nostri piedi senza muovere un dito. Diranno: “Come cavolo hanno potuto farlo?”, “Che razza di vigliacchi erano mai quelli?”. E ci odieranno a giusta ragione, perché non abbiamo difeso ciò che era nostro dovere difendere. Noi dobbiamo combattere. Dobbiamo vincere».
«Immaginavo avresti dato una risposta da Auror».
«Io sono un'Auror».
Remus le sorrise affettuosamente.
«Io non lo ero. Non lo sono mai stato».

*

London calling upon the zombies of death
[Londra sta chiamando gli zombie della morte]


Remus fece la conoscenza di Arthur Weasley nel febbraio del 1979 nell'unico piano sotterraneo del San Mungo. Era il più freddo, il più silenzioso e il più deserto, come si conviene a qualunque obitorio che si rispetti. Aveva sempre odiato quel posto allo stesso modo in cui aveva sempre odiato il San Mungo; quando era obbligato a recarsi là con Moody, poi, la sua insofferenza aumentava prodigiosamente, perché se c'era qualcosa che odiava più del San Mungo e del suo fottuto e gelido obitorio, ecco, quello era il pragmatismo di Moody. Parlava di incidenti, parlava di sacrifici e parlava di decessi, ma Remus si riassumeva tutti quei discorsi con una sola parola: niente. Non c'era più niente, e per quanto Moody fosse in grado di sezionare la morte con la stessa lucidità con la quale si sezionavano i ratti nei sotterranei di Lumacorno, Remus non ne era in grado e, quasi sicuramente, non ne sarebbe mai stato in grado.
Arthur era in piedi in mezzo al corridoio e i suoi capelli rossi creavano un assurdo contrasto con la parete bianca alle sue spalle. Teneva le mani nelle tasche del mantello e lo sguardo fisso sulla porta davanti a sé. La dicitura “Obitorio numero due” troneggiava a grandi lettere scure.
Quando Remus e Moody lo raggiunsero, trasalì appena e si voltò allarmato verso di loro, come se lo avessero appena scoperto compiere chissà quale oltraggioso peccato. I suoi capelli erano curati e pettinati, la barba rasata di fresco e la veste, nonostante le toppe e i rammendi, era evidentemente stata stirata da poco. Remus aveva l'impressione che Arthur Weasley, o qualcuno per lui, avesse avuto la premura di tirarlo elegante, com'era solita ripetere sua madre nei giorni di festa. Stronzate del tipo “tirati elegante, Remus, che oggi c'è da andare in chiesa”, “tirati elegante, Remus, che oggi passa la zia Kitty, e alla zia Kitty piace vederti tirato elegante”, “tirati elegante, Remus, che c'è da andare dal dottore” e “tirati bene elegante, Remus, che c'è da andare al funerale della zia Kitty, e alla zia Kitty piaceva vederti tirato elegante”. Remus stringeva accuratamente il cravattino e si pettinava con cura davanti allo specchio, ma non poteva evitare di pensare “a chi importa se indosso o meno il cravattino? Importa a Gesù, forse, se vado in chiesa con i pantaloncini? Importa al dottore, forse, se ho il raffreddore e non indosso la camicia? E alla zia Kitty, ora come ora, frega davvero qualcosa se la mia cravatta è dritta o storta?”.
Arthur Weasley aveva proprio l'aspetto di qualcuno che è stato tirato elegante a forza da qualcuno fatto come sua madre e convinto che visitare la morte fosse un po' come visitare Gesù o il dottore, e ci si dovesse presentare a modo.
A Remus sarebbe probabilmente venuto da ridere, se solo non si fosse trovato in quel maledetto obitorio e davanti a quella maledetta porta.
«Weasley» salutò con implacabile professionalità Moody. «Mi rincresce doverti disturbare, ma spero tu possa capire che il protocollo--».
«Non importa, Alastor» lo interruppe sbrigativamente il signor Weasley. Tese la mano destra in avanti con un affettato sorriso cortese. «Molly ha preferito non venire» aggiunse dopo qualche secondo di silenzio, rivolgendo un intensa occhiata penetrante. «Spero tu possa capire lei».
Alastor annuì appena.
«Facciamo in fretta, allora. Vado a controllare che quegli incompetenti là dentro non abbiamo combinato qualche casino» disse, voltando sui tacchi e dirigendosi verso la porta dell'obitorio numero due.
Remus fece per seguirlo, ma Moody lo fermò con un gesto spazientito della mano.
«No, Lupin. Tu resti qui. Weasley, lui è Lupin. Uno dei nostri».
Mentre lo fissava sparire dietro la porta, Remus gli augurò la dannazione eterna. Non aveva avuto ancora capito perché Moody avesse voluto che fosse proprio lui ad accompagnarlo al San Mungo. Impietrito da un silenzio raggelante accanto ad Arthur Weasley, Remus si diede dello sciocco per aver dimenticato la propensione di Moody a essere così maledettamente bastardo. E ora Remus era lì, accanto a un uomo che aspettava di riconoscere i volti dei cognati nei corpi contorti all'interno dell'obitorio e, chissà, magari il suo ingenuo amore ancora sperava che potessero non essere loro. Si spera sempre che siano gli altri, in queste situazioni.
«Remus Lupin, immagino» esordì improvvisamente Arthur in tono confidenziale. «Il figlio di John Lupin, dell'Unità di Cattura».
Remus fissò l'uomo negli occhi qualche istante, prima che il suo volto si storcesse in una smorfia involontaria. Distolse rapidamente lo sguardo e finse di essere particolarmente interessato alla porta chiusa dell'obitorio.
«Già» si limitò a rispondere.
«E quanti anni hai?».
«Ventiquattro» mentì d'istinto Remus, tentando di apparire quanto più naturale possibile. «Venticinque a marzo».
Le labbra di Arthur si piegarono in un lieve sorriso complice, mentre i suoi occhi esaminavano ogni centimetro del giovane accanto a sé.
«Venticinque...» ripeté Arthur con una punta di divertimento nella voce. «Ovviamente».
Ancora silenzio. Remus continuava a fissare insistentemente la porta, come se bastasse il suo desiderio di allontanarsi da quel posto a farla aprire.
«Eri con loro, vero?» chiese tagliente Arthur e Remus chiuse gli occhi, mentre una fitta di dolore gli incendiava le costole. «Eri con Fabian e Gideon? È per questo che Alastor ti ha portato qui, vero?».
«Mi dispiace» disse Remus senza pensare.
Arthur sorrise.
«Non è colpa tua, Remus».
Remus si umettò nervosamente le labbra e scosse con violenza il capo.
«Sì, invece» disse rapidamente. «È stata una mia idea deviare per South Kensington. Gideon pensava fosse un'idea brillante, sebbene andasse completamente contro i piani di Moody, perché di notte South Kensington è più affollata e pensavamo che ci sarebbero state meno probabilità di imbatterci nei Mangiamorte. Fabian ci disse che era una pessima trovata e che se Moody aveva detto di proseguire lungo Thurloe Square, doveva avere i suoi dannati motivi, ma noi eravamo così sicuri che South Kensington fosse libera...».
Aveva parlato ben più velocemente di quanto non fosse solito parlare, come se gettare tutto ciò che era avvenuto quella notte addosso ad Arthur Wesley potesse aiutare se stesso nella dura ricerca della redenzione; come se la fretta attutisse il significato di ogni parola e facesse un po' meno male, in effetti. Non era che un'altra cazzata, quella, e Remus lo sapeva perfettamente: poco importava se ricordavi più o meno in fretta, perché ricordare faceva male in qualunque modo.
Arthur Weasley continuava a guardarlo con un lieve sorriso premuroso, ma negli occhi chiari riluceva lo spettro di una lacrima trattenuta con i denti. Con un moto di improvviso dolore, a Remus ritornò in mente la madre: anche lei aveva sempre pianto fra i denti.
«Non è comunque colpa tua, Remus».
Di nuovo, Remus scosse violentemente il capo.
«Avrei dovuto dare ascolto agli ordini di Moody».
«Se la tua testa diceva che avevi ragione, hai avuto ragione a darle ascolto. Credevi di essere nel giusto, e tanto basta a discolparti da qualunque responsabilità» lo consolò Arthur, posandogli una mano sulla spalla con aria lievemente paternalistica. «Gideon e Fabian sapevano quello che stavano facendo, Remus. Erano due ottimi Auror. E se hanno appoggiato la tua idea di cambiare i piani, è solo perché anche loro la ritenevano una buona idea, o non ti avrebbero mai assecondato. Non incolparti per quello che è successo: poteva toccare a chiunque».
Poteva toccare a me”.


*

London calling and I don't wanna shout
[Londra sta chiamando e io non voglio gridare]


A sentire Moody, Smaterializzarsi era fuori discorso: i Mangiamorte potevano essere appostati in qualunque angolo della città e durante la Materializzazione ci si rendeva troppo vulnerabili. Muoversi con la Metropolvere era diventato un suicidio da quando i Mangiamorte avevano iniziato a deviare con la magia i corsi dei camini. A causa del folle aumento dei Dissenatori, poi, volare con le scope era oltremodo pericolosissimo, sicché i maghi e le streghe più accorti della comunità magica avevano semplicemente smesso di spostarsi.
C'erano sempre, poi, quei tre o quattro disgraziati che dovevano spostarsi, dovevano farcela e dovevano riportare delle maledette planimetrie al Ministero prima che finissero in mani sbagliate. S'andava a piedi, a quel punto, con il bavero alzato a nascondere il volto, la bacchetta magica serrata fra le dita e pronta a colpire e gli occhi puntati ovunque potessero vedere. Quella notte faceva un freddo del diavolo e Remus era uno di quei disgraziati che doveva farcela.
«Potremmo svoltare per Thurloe Square» propose a un tratto Remus. «Se dovesse succedere qualche imprevisto, South Kensington è totalmente priva di vicoli e strade. Dove potremmo nasconderci?».
Gli Auror Gideon e Fabian Prewett si voltarono per guardare il ragazzo che copriva a entrambi le spalle. Facevano parte del Quartier Generale del Ministero della Magia da poco meno di cinque anni, ma erano probabilmente due fra gli Auror più talentuosi al seguito di Alastor Moody. Eppure, quel ragazzetto mezzo irlandese continuava a stupirli con le sue trovate imprevedibili. Sarebbe stato un Auror di notevole talento, se solo le circostanze fossero state differenti.
«Remus ha ragione» disse Gideon con un sorriso scanzonato. «Thurloe Square è l'ideale per chi ha bisogno di un nascondiglio rapido».
«Ma non per una rapida via di fuga» lo contraddisse Fabian, scuotendo piano il capo. «Non avertene, Remus: in un altro momento, avrei sicuramente approvato la tua idea. Ora, però, è troppo rischioso».
«Più rischioso di ritrovarsi nel pieno di South Kensington circondati da quattro o cinque Mangiamorte?» incalzò con educata decisione Remus. «Da dove mai potremmo fuggire, in South Kensington? Thurloe Square è un'unica strada incrociata solo da viottoli e da stradine di poco conto. Potrebbe rivelarsi più semplice da percorrere, a conti fatti».
Fabian lo fissò intensamente per qualche istante, grattandosi la barba rossa.
«Se Moody ci ha dato una traiettoria da seguire, è indiscutibilmente perché non ne esistono di migliori».
«Sì, ma non credo che Moody abbia pensato che oggi è San Valentino. Dubito che sia a conoscenza dell'esistenza di San Valentino, in effetti...».
Gideon ridacchiò con profondo divertimento.
«South Kensington è piena di ristoranti e locali che saranno stracolmi di coppiette, e ci sarà sicuramente qualche spettacolo lungo la strada... e sarà tutto rosso e rosa, probabilmente» riprese Remus. «Ci vorrebbe un sacco di tempo per attraversare la folla e noi, così incappucciati, attireremmo un sacco di attenzione. Thurloe Square è famosa per le botteghe alimentari e non credo che una macelleria sia un'attrazione abbastanza romantica per richiamare uno stormo di innamorati».
L'idea sembrava davvero buona.


*

London is drowning and I... I live by the river
[Londra si sta allagando ed io... io vivo vicino al fiume]


«Gideon e Fabian mi ordinarono di prendere quelle dannate planimetrie e correre lungo Harrington Road. Era la direzione completamente opposta al Ministero della Magia, ma non avevo alternative. I Mangiamorte stavano fra noi e il Ministero, Gideon e Fabian stavano fra i Mangiamorte e me, e se qualcuno di quei maledetti avesse messo le mani su quelle carte, la guerra sarebbe stata praticamente persa».
Tonks aveva ascoltato ogni parola in un rigido silenzio. Non si era mossa di un centimetro, nemmeno per sorseggiare un poco del brandy che aveva nel bicchiere. Lo fissava con le labbra lievemente dischiuse e lo sguardo attento di chi sta memorizzando ogni singola parola del racconto che sta ascoltando.
«Cos'hai fatto, alla fine?».
Remus le rivolse uno sorriso amaro.
«Ho eseguito gli ordini».

*

London calling to the underworld
[Londra sta chiamando dall'oltretomba]


Remus sfrecciava lungo Harrington Road più velocemente di quanto non avesse mai corso. Le coppiette e i passanti che urtava nella sua corsa si voltavano indignati e gli gridavano un sacco di insulti, ma per lui esistevano solo quelle dannate planimetrie nascoste nella tracolla di pelle di drago di Fabian Prewett. Si volgeva indietro, di tanto in tanto, ma la strada era troppo affollata perché fosse possibile distinguere lo svolazzare di un mantello nero. Si tuffò a sinistra in un vicolo che costeggiava un ristorantino cinese, scavalcò una recinzione con un salto agile ed estrasse la bacchetta.
Chiuse gli occhi e cercò di convincersi che sarebbe andato tutto bene. Pensò a James e Lily, che lo aspettavano l'indomani per la colazione insieme a Sirius e Peter. Pensò a quella volta in cui lui e Sirius si erano quasi ammazzati di botte in sala comune a causa di quello scherzo idiota a Severus Piton; a quella volta in cui James e Sirius avevano volato con le scope fino a Kinsale per fargli una sorpresa e si erano fatti arrestare dallo sceriffo O'Gallagher; a quella volta in cui Sirius aveva incantato quella stupida motocicletta e si erano schiantati contro la porta della Testa di Porco di Aberforth; a tutte quelle volte in cui si era svegliato l'alba dopo i pleniluni, con quei tre cretini a fianco tutti sporchi di fango, erba e terriccio e il mondo gli appariva improvvisamente un posto stupendo.
«Expecto Patronum!».
Dalla punta della sua bacchetta uscì una vaga nuvola di vapore argenteo che volteggiò a mezz'aria qualche istante, prima di attorcigliarsi su se stessa e schizzare verso l'alto. Remus vide il proprio sparviero aprire le lunghe ali brillanti e svanire nella notte londinese.
Strinse a sé la tracolla di Fabian, fece un respiro profondo, poi giù, di nuovo a correre fra i vicoli più piccoli, in direzione della Cromwell.
Buon Dio, fa' che arrivino in fretta”.

*

An' you know what they said? Well, some of it was true!
[E sai che dissero? Beh, che in parte era vero!]


«Credo di essere arrivato solo pochi istanti dopo. Buona parte della strada era esplosa a causa degli incantesimi e le pietre incandescenti fumavano ancora. Era rimasto soltanto un lampione funzionante e io non riuscivo a vedere granché bene. Ricordo che parecchi Babbani stavano già accorrendo verso Thurloe Road ed io evocai un Incantesimo di Dissimulazione in modo da impedirgli di raggiungermi. Avanzavo cautamente fra le macerie, con la bacchetta illuminata tesa davanti a me e la mano libera ben stretta attorno alla tracolla. Non riuscivo davvero a vedere niente».
Remus si rigirò fra le mani il bicchiere di brandy, con aria profondamente distante. Tonks era ancora lì, immobile di fronte a lui e con lo sguardo più brillante che le avesse mai visto sul viso.
«Poi inciampai su Fabian».

*

After all this, won't you give me a smile?
[Dopo tutto questo, non vuoi farmi un sorriso?]



Alastor Moody era un mago fin troppo esperto per non capire che l'imbocco di Thurloe Road era stato Dissimulato da un incantesimo difensivo. Fu attraversato da un brivido al pensiero che il solo motivo per cui valeva la pena Dissimulare un'intera strada era qualcosa di profondamente grosso da nascondere ai Babbani.
Era arrivato con altri quattro uomini membri dell'Ordine della Fenice e un paio di uomini del Quartier Generale, ma in quel momento rimpianse di non aver chiamato più gente.
«Sloper, McDougal» latrò ai due Auror. «Controllate la strada e tenete alla larga tutti questi Babbani. McKinnon, contatta il Ministero e di' loro che avremmo bisogno di un sacco di Obliviatori in gamba. Voi altri, invece, con me».
Moody mosse lestamente la bacchetta ed Evocò una grossa creatura argentea che si dileguò rapidamente nell'oscurità della via. Dovette attendere solo qualche istante, prima che l'Incantesimo di Dissimulazione svanisse. Entrò con prudenza nella strada deserta, seguito a ruota da Benjy Fenwick e Frank Paciock. Paciock, che chiudeva la fila, si voltò rapidamente e scandì:
«Salvio Hexia!».
Moody girò la testa per osservare la lunga parete cristallina che Paciock aveva creato fra loro, Thurloe Road e il resto del mondo.
«Ben fatto».
Più proseguivano, più le tracce lasciate dalle maledizioni e dagli incantesimi si facevano evidenti. Gran parte dell'asfalto era esploso, e ora le tubature rilucevano alla luce delle loro bacchette come le interiore di un gigante squarciato. C'era fumo ovunque, parecchie vetrine erano esplose e i marciapiedi erano ricoperti di schegge di vetro.
«Moody, non credo che i Mangiamorte siano ancora qui» disse Fenwick.
«Potrebbe essere una trappola. Tenete gli occhi aperti e le bocche chiuse».
Continuarono a camminare, evitando grossi macigni o pezzi di tettoie volati lì chissà da dove. Poi, da una nuvola di fumo particolarmente densa, si levò una voce spezzata.
«Innerva... Innerva... Innerva!».
«Diavolo!» imprecò Moody, mentre si lanciava con sorprendete agilità in avanti. «Lupin!» gridò. «Lupin, che diavolo--?».
Remus Lupin, diciannove anni a marzo, era inginocchiato al fianco dell'Auror Fabian Prewett, la bacchetta tremante puntata contro il suo petto e una tracolla di pelle tenacemente stretta fra le braccia.
«Innerva...» singhiozzò Remus. «Innerva!».
Moody lo sollevò con forza. Si stupì della facilità con la quale era riuscito a rimetterlo in piedi: era convinto che il giovane avrebbe tentato di opporre resistenza; era come maneggiare una bambola di pezza. Remus teneva gli occhi saldamente puntati sulle proprie scarpe, mentre le braccia stringevano ancora la tracolla come se ne dipendesse la sua stessa vita. Fra le lacrime respirava a fatica. Dopo pochi secondi, le gambe gli cedettero e lui crollò sulle ginocchia davanti a Moody.
Moody chiuse gli occhi, sofferente.
«Benjy, Frank...» mormorò appena, muovendo vagamente una mano a mezz'aria in direzione del corpo di Fabian.
I due uomini annuirono in religioso silenzioso, ma i loro occhi rilucevano di folle disperazione. Perdere un compagno era un po' come perdere se stessi, ma bisognava farlo senza troppo rumore. A Moody erano serviti anni per impararlo; sperava soltanto che al giovane Lupin sarebbe stata sufficiente quella lunga notte di febbraio.
S'inginocchiò davanti a lui e fece per appoggiargli una mano sulla spalla, ma quello gli crollò addosso e appoggiò la fronte al suo petto.
«Mi dispiace...».
Moody gli sfiorò appena la testa in una carezza quasi paterna.
«Sei stato in gamba, ragazzo» borbottò debolmente. «Sei stato davvero in gamba».

*

I never felt so much a'like
[Non mi sono mai sentito così bene]


«Avevi ragione».
Remus ruotò pigramente la testa verso la porta della cucina di Grimmauld Place. Tonks era in piedi di fronte a lui, con le braccia che ricadevano molli lungo i fianchi e lo sguardo stanco e stravolto di chi ha visto troppo e ha dormito poco – il suo sguardo, realizzò con un moto di dolore Remus.
«Avevi ragione su tutto».
Con un lieve soffio e un triste sorriso appena accennato, Remus estrasse la propria bacchetta e Appellò a sé una bottiglia di brandy vuota per metà e due raffinati calici che erano appartenuti a Walburga Black.
«Non è stata colpa tua» le rispose con voce roca, mentre versava il brandy con calma estenuante in ognuno dei due calici.
«Ma se io non avessi sottovalutato tutto questo schifo, forse, ora--».
«Sirius sarebbe morto, Tonks. In qualsiasi modo, Sirius sarebbe morto» disse con un'occhiata grave. «Era lui a sottovalutare ogni cosa. Lo ha sempre fatto... e non ha mai avuto modo di imparare dai propri errori».
Tonks trattenne il fiato e chiuse stoicamente gli occhi con un'espressione dolorosa. Rimase immobile qualche istante, prima di trascinarsi verso il tavolo con movimenti lenti. Prese posto sulla sedia accanto a lui e avvicinò l'indice al calice, sfiorandolo appena con aria distante. Remus vide i suoi occhi farsi sempre più umidi e brillanti, la bocca tremare impercettibilmente e i denti mordicchiare frenetici le labbra.
Si allungò istintivamente verso di lei e le toccò lievemente il polso destro. Tonks si chinò in avanti con un singhiozzo, serrò la propria mano fra le sue dita e appoggiò il capo fra le braccia. Remus si avvicinò ancora un poco e iniziò a carezzarle il capo con movimento meccanici.
«Non è stata colpa tua, per Godric...» le ripeté angosciato. «Non è stata colpa tua...».
Non è mai stata colpa di qualcuno.



   
 
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