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Autore: Hikari93    19/10/2011    8 recensioni
[Seto X Jono]
«Ti va un’offerta di lavoro?»
«Cosa?» spalancai ridicolmente la bocca.
Lui scosse il capo. «L’avevo detto che avevi problemi di udito… ti serve un lavoro sì o no?»
La domanda era diretta e la risposta anche. Era indubbio che avessi bisogno di soldi. Il mio ultimo lavoro, ovvero consegnare i giornali, era finito nel momento esatto in cui avevo mandato in malora la maggior parte dei quotidiani, dato che ero caduto rovinosamente dalla bicicletta. Il mio ego mi diceva di rifiutare, ma quel minimo di coscienza mi consigliava di accettare. «Di che si tratta?» Sempre meglio informarsi, prima.
«Niente che ti ammazzerà Katsuya, lo scoprirai a tempo debito. Ma voglio una risposta adesso. Accetti?» Mi porse la mano.
Ci riflettei su, ma mi pareva di avere una sola possibilità, anziché due, almeno se volevo sopravvivere dignitosamente. Strinsi la mano al mio peggior nemico, preparandomi al peggio.
Genere: Comico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Joey Wheeler/Jounouchi Kazuya, Seto Kaiba
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 2: Sotto un'altra luce










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Seto mi congedò, affidandomi a Mokuba affinché mi conducesse in quella che per due settimane circa sarebbe stata camera mia. Quando uscii, tirai un respiro profondo.
«Allora hai accettato» constatò.
Annuii, anche se col pensiero ero distante. Man mano che il tempo passava, stavo capendo di dovermi rilassare un po’, ecco. Per quanto Seto Kaiba fosse odioso, presuntuoso e tanti altri aggettivi che, per riuscire in quello che volevo fare, ovvero darmi una calmata, dovevo necessariamente allontanare dal cervello, come se non li avessi mai conosciuti.
Aveva inizio una nuova operazione: “ignorare la parte malefica di Seto Kaiba”, alias comportarsi come se si trattasse di Yugi, per quanto fosse impossibile.
«Mio fratello è stato gentile a offrirti un lavoro» osservò Mokuba, come se mi avesse letto nel pensiero e volesse dirmi di non trattarlo male. Quando poi, al massimo, era lui che trattava male il sottoscritto.
«Dipende da quale punto di vista si vede la cosa» affermai, ma non spiegai cosa intendessi. Praticamente, se Seto mi aveva assunto solo per umiliarmi, non era un fattore positivissimo. In ogni caso, però, mi avrebbe pagato – Seto aveva tutte le odiose caratteristiche dell’universo osservabile, ma era una persona d’onore, glielo dovevo concedere –, quindi tanto valeva smetterla di comportarsi da bambini capricciosi e fare sul serio.
«Questa è camera tua.» La voce di Mokuba mi riscosse.
Avevamo attraversato corridoi tutti uguali, con pareti tutte uguali e porte… tutte uguali ovviamente, finchè non eravamo giunti in fondo ad un ultimo corridoio. Chissà quale tra quegli usci conduceva alla camera di Seto.
«Scusami Mokuba» Lo fermai prima che, veloce come una lepre, fosse già ritornato da suo fratello. «La stanza di Seto?»
Lui accennò un sorrisetto. «E’ al primo piano.»
Mi ci vollero due secondi in più del dovuto per capire il perché di quella espressione “alla Kaiba”. Primo piano…
«Seto sei un bastardo!» urlai, mentre il ragazzino, piuttosto divertito, si affrettava a raggiungere le scale.
Lo sentii mentre aggiungeva: «Seto dice che ti farà bene fare un po’ di esercizio fisico ogni mattina, prima di metterti al lavoro!»
Giustamente, Signor Kaiba, scendere dall’ultimo piano al primo, ogni mattina, è l’attività fisica che tutti sognano di fare. Ma non mi sarei avvilito, al massimo avrei chiesto un aumento del salario. Il suo gioco era proprio quello di indispettirmi, ma a me perdere contro Seto Kaiba non piaceva per niente, e non avrei perso.
Calmo, entrai nella stanza.
Dovevo ammettere che non era niente male. Era enorme e completamente arredata con tutte le comodità. Il letto sembrava morbidissimo; immaginai quale sollievo mi avrebbe dato dopo un’intensa giornata da “tuttofare”. Oltretutto, era a due piazze, quindi avrei potuto dispormi come meglio volevo, anche nel modo più strambo.
Lo tastai subito, buttandomici sopra senza troppi convenevoli. L’apparenza inganna a volte, ma non in quel momento: il materasso era veramente il più comodo che avessi mai provato e le coperte, rosse, non erano da meno.
Per il resto c’era una scrivania nell’angolo, di un colore bianco tendente all’avorio, con sopra alcuni libri, che di sicuro non avrei mai letto, e questo lo sapeva anche il padrone di casa.
Non che non fossi intellettuale, ma leggere non era nelle mie priorità, ecco.
In fondo alla stanza, intravidi una finestra nascosta da una tenda decorata con dei ghirigori particolari: era carina da vedere. Grazie a essa, almeno, non sarei stato svegliato dai possibili raggi solari di Dicembre.
Sul comodino al mio fianco era posizionata la lampada e dirimpetto ad esso si ergeva un armadio enorme. Ma considerando che non avevo vestiti con me, con cosa lo avrei riempito? Chissà, magari Seto era stato buono e mi aveva fatto trovare qualcosa della mia misura. Ipotesi alquanto assurda, infatti, aprendolo, trovai solo il vuoto più totale.
Mi scompigliai i capelli, mentre, pensieroso, mi grattavo la testa.
Non mi restava altro da fare che andare da Seto e chiedergli di poter passare a casa mia, per recuperare qualcosa da mettermi, oltre che spazzolino e altri oggetti che mi sarebbero stati utili.

«Salve ragazzi!» salutai Yugi, Anzu e Atem, che probabilmente si erano incontrati per caso al supermercato – dove ero diretto – dato che avevano delle buste in mano.
Lì per lì non capii le loro facce basite.
«Vedo che hai cominciato da Seto» osservò Atem. Avevo comunicato ai miei amici del mio prossimo lavoro a casa Kaiba… se ne ricordavano quindi. Ma come faceva Atem a sapere che Seto mi aveva mandato a fare la spesa?
«Come fai a saperlo?» domandai confuso.
Le risatine di Anzu non mi piacquero. Atem, invece, accennò un sorrisetto, mentre Yugi, alquanto imbarazzato, fece incrociare gli indici delle mani, avvicinandoli e allontanandoli nervoso. «Vedi Jonouchi, credo che Atem l’abbia capito da quello.» Mi indicò.
Forse Seto non aveva tutti i torti quando mi diceva che ero un babbeo. Come avevo fatto a dimenticare di togliermi uno stupido grembiulino rosa shocking che lui mi aveva fornito?
Sbiancai, slacciandolo alla svelta per toglierlo, con gesti nervosi e inconcludenti. Mi aiutò Atem. Lo ringraziai.
«Ma perché eri vestito così?» rise Anzu, la mano davanti alla bocca come se volesse nascondermi il suo atto.
Sospirai. «Ora vi racconto come sono andate le cose finora.»
Dissi loro del colloquio, del contratto e soprattutto raccontai di quando mi ero recato da Seto, per chiedergli di poter andare a recuperare qualcosa da mettermi addosso a casa mia.
«Mi ha ricattato» dissi. «Mi ha detto» tossii per prepararmi a una perfetta imitazione «se proprio ci tieni, dovrai indossare questo!» indicai il grembiulino «almeno all’andata» conclusi. «Visto, è stato un ricatto!» piagnucolai.
«Ma Jonouchi, avresti potuto togliertelo appena svoltato l’angolo, non so! Come faceva a controllarti?» intervenne Yugi.
Il fatto che avesse ragione mi lasciò a bocca aperta. «Come ho fatto a non pensarci?» mi lamentai inginocchiandomi sul posto e iniziando a disegnare cerchi immaginari per terra.
«Dai non importa!» disse Yugi, tentando di consolarmi con delle affettuose pacche sulla spalla. «Se non fossi così sbadato, non saresti il nostro Jonouchi!» aggiunse.
Gli scoccai un’occhiata avvilita e mormorai un “grazie” poco convinto.
Dopo aver salutato i miei amici, mi diressi al supermercato. Acchiappai un carrello e iniziai a gironzolare tra i diversi reparti, acciuffando ciò che serviva al mio datore di lavoro, e sbavando ridicolmente davanti a barrette di cioccolato al latte o alle nocciole che non facevano parte della mia spesa di quel giorno.
Anche perché le parole di Seto erano state chiare: «I soldi sono contati, bada.»
Ma mi stava venendo il sospetto, osservando l’involucro che conteneva una deliziosissima cioccolata con gli smarties, che Kaiba-senior mi avesse dato i soldi strettamente necessari non perché fosse tirchio come Zio Paperone, ma cosicché non potessi comprare altro, come dolci e schifezze varie che mi facevano gola.
Con un’alzata di spalle avvilita, salutai il reparto dolci, recandomi verso quello “frutta e verdura”.
Alla fine del giro, pagai – Seto era stato un mito, erano avanzati solo pochi spiccioli, coi quali sarebbe stato impossibile comprare anche un solo dolcetto – e imboccai, con tanto di buste in mano, la strada di casa mia.
Ma ora sorgeva un bel problemino: come avrei fatto a trasportare sia buste che valigia? Probabilmente la prima parte dell’esercizio fisico cominciava ora.
Presi il minimo indispensabile: si trattava soltanto di trascorrere due settimane a casa Kaiba, non mi serviva l’intera casa. Cercai una borsa non troppo grande, così che fosse più leggera da trasportare, e la riempii. Poi, me la caricai addosso come un normale zaino scolastico e portai le buste della spesa in mano.
Il tutto era terribilmente pesante, come se la gravità si fosse triplicata all’improvviso, ma piano piano, cercando di accelerare per non sentirmi dire di aver fatto tardi, arrivai sano e salvo a casa Kaiba. Per dimostrare che ero a mio agio, non l’avrei nemmeno chiamata “carcere Kaiba”, come mi era venuto in mente di fare.
«Ecco fatto!» boccheggiai, quando fui entrato. Lasciai che lo zaino scivolasse a terra, attirato da quella forza gravitazionale che, finalmente, sembrava essere ritornata normale. «Accipicchia, e che faticaccia!» Accennai a un sorriso quasi – e ripeto quasi – spontaneo, mentre fissavo Seto negli occhi.
Lui aveva le braccia conserte e, appoggiato alla parete dell’atrio, mi fissava in modo indecifrabile. «Ben fatto, ora sistema tutto» ordinò. Non c’era rabbia né costrizione nel suo tono, ma sembrava quasi che mi stesse chiedendo un favore.
«Ma non conosco la casa» obiettai semplicemente, senza allarmarmi o cominciare a dar di matto come facevo spesso quando Seto era nei paraggi. Anch’io sapevo fare la persona matura, uhm.
«Imparerai sul posto.»
«Non credo sia possibile.» Ero ancora calmo.
Fece un sospiro. «E’ come quando fai un esame, ammesso che tu ne abbia mai sostenuto uno, o un colloquio importante. Bisogna capire subito cosa si richiede che tu dica per essere visto sotto una buona luce.»
Incrociai anch’io le braccia al petto. «Forse non avrai tutti i torti, Kaiba, ma non posso mica aprire tutti i cassetti di casa tua!» Calmo, calmo, dovevo restare calmo e, per quanto fosse strano, ci stavo riuscendo abbastanza bene.
«Dovrai intuire, allora» rispose semplicemente, facendo comparire il “bellissimo” ghigno da pugni in faccia.
«Cosa vuoi che ci voglia!» ironizzai.
«Appunto» concesse. «Inoltre mi pare che tu sia abbastanza fortunato.»
Alzai le sopracciglia, contrariato. «Chissà cosa me lo fa pensare, ma credo che la fortuna mi stia abbandonando da un po’ di tempo a questa parte.»
«Ma davvero?» ghignò. «Problemi tuoi, e ora fila. Basta con le chiacchiere.»
«La fa semplice il signorino» bisbigliai, torcendo leggermente il collo, come seavessi voluto parlare a qualcuno di invisibile al mio fianco. Gettandogli un’occhiata in tralice, vidi che Seto stava salendo le scale, ignorandomi.
«E va bene!» mi opposi, alzando la voce. «Credi che non ne sia capace? Capirai che ci vuole per aprire tutti i miseri cassetti della tua illustre dimora! Ci metterò pochi attimi!»

«Vedo che non hai ancora finito» osservò Seto, vedendomi con in mano ancora una scatola di cereali, probabilmente per Mokuba. «Mezz’ora fa» simbolicamente guardò l’orologio «mi pare di averti sentito dire che sarebbe stato un giochetto.»
«Infatti lo è stato» risposi naso all’insù, trovando finalmente l’ultimo scaffale. «Certo, sarebbe stato più facile se avessi potuto mettere tutto in un solo posto, ma a quanto pare qui piace posizionare le cose a chilometri di distanza» esclamai.
Seto non si mosse di un millimetro. «Non ci vedo nulla di strano, questa è casa mia
Purtroppo aveva ragione, quindi, onde evitare ulteriori figuracce e parlate a vanvera, preferii starmene zitto.
«Jonouchi?»
Alzai il capo, esponendo un mezzo broncio. «Che vuoi?» biascicai.
«Sai cucinare?»
«Ehm… c-certo.» Cercai di non mostrarmi insicuro, ma la verità era che non ero capace di prepararmi nemmeno un piatto di pasta decente, a momenti. Insomma, a me – e lo ammettevo vergognosamente – aveva sempre, o quasi, badato mia sorella Shizuka. E come dirlo a Seto senza fare una figuraccia?
«Se si tratta di panini, vero?» domandò sicuro.
«Va bene, va bene, non ne sono capace, okay?» mi lamentai, imbronciato. «Ma scommetto che nemmeno tu lo sai fare!» azzardai.
«Scommetti male, Katsuya.»
Alzai un sopracciglio. «Allora abbiamo risolto il problema, te la sbrighi tu?»
Scosse il capo e mosse il dito, negando. «Sarebbe troppo facile.»
«E allora che si fa?»
«Semplice, puoi scegliere: o avrai una diminuzione della paga, perché non svolgi un servizio efficiente, oppure ti piazzerai lì e starai a guardare cosa faccio, così da apprendere quanto prima possibile» disse.
Non che la scelta fosse difficile, ma avevo qualcos’altro da dire. «Scusami, ma non c’è proprio nessun’altra persona che può svolgere questo compito? Tra tutti i tuoi camerieri, non c’è nessuno che possa cucinare?»
«Hai visto qualcun altro oltre noi?» chiese paziente.
Scossi la testa.
«Ebbene, ti sei risposto. Quindi non perdiamo altro tempo.»
Mi ordinò – “chiese” sarebbe troppo gentile – di prendere la carne e l’insalata. Così feci. Non mi lamentai del fatto che l’avessi appena posata al suo posto, percorrendo in lungo e in largo il corridoio del primo piano.
«Guarda» imperò, mentre velocemente la lavava e la tagliuzzava.
Mi accorsi che aveva indossato un grembiule nero come quello che avevo indosso io. Mi astenni dal fare commenti a voce, ma non avrei mai pensato che Seto potesse scendere dal piedistallo cui credevo non si allontanasse mai. Non pensavo che potesse essere così umano.
«Ti piace cucinare?» chiesi. Chissà, magari Seto non era così male come pensavo. Magari era giusto un po’ meno peggio di quello che credevo.
«Continua tu.» Mi passò il resto dell’insalata, senza rispondermi. Mi voltai, seguendolo con lo sguardo. Prese un coltello e iniziò a tagliare la carne cruda a fette. D’un tratto alzò gli occhi e li puntò nei miei, facendomi sobbalzare, tanto era intenso quel blu. Mi sentii in soggezione. Stavo cominciando a vedere Seto sotto un’altra luce?
«Che c’è? Sbrigati.»
«Un secondo, mamma mia» sbottai. Gli diedi subito le spalle e ripetei quanto gli avevo visto fare. Non riuscivo a tenere bene il coltello tra le mani, perché queste, inspiegabilmente, mi tremavano. Chiusi un secondo gli occhi e cacciai fuori l’aria. Poi ripresi.
Mi sentivo stranamente stonato: sicuramente era colpa dei Kaibagermi, che mi stavano attaccando, contagiandomi chissà quale strana patologia.


 





Ringrazio sempre la mia cara beta-reader e sensei (da oggi ù.ù) che risolve tutti i miei disastri in quanto a grammatica e affini, perdendoci un sacco di tempo, suppongo, curando la forma, il suono e tutto. Grazie mille Tayr Soranance Eyes

E grazie anche a tutti quelli che leggono o leggono e recensiscono! ^///^




 

   
 
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