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Autore: Occhi Cielo    20/10/2011    7 recensioni
Era una giornata piovosa alla Wammy's. Non che la cosa fosse strana.
I ragazzi si annoiavano. Più di tutti un bambino biondo dagl'occhi come il ghiaccio. Mello osservava la pioggia assorto nei suoi pensieri, fino a quando qualcosa di colorato lo distrasse. Una macchia Rossa.
Questa è la storia di come Mello conobbe Matt, di come i due divennero amici, delle loro avventure e del loro amore che a poco a poco sbocciò, portando nella loro vita un tocco di colore. Come il rosso dell'amore e il rosso dei capelli di Matt che Mello tanto amava. "Pioveva.
Un po' come sempre d'altronde.
Le gocce violente si abbattevano sui vetri della mia finestra. Fuori era grigio. Tutto era avvolto da quest'alone di colore. Grigio.
Grigio come gli alberi, come l'asfalto, come l'erba, come i muri.
Grigio. [...]
Genere: Romantico, Sentimentale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Near | Coppie: Matt/Mello
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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14.Un Nero diverso



Un odore.
Fu quello a svegliarmi.
Qualcosa di forte, aspro, che mi dava il volta stomaco.
Un odore rancido.. che mi fece sobbalzare, mettendomi in piedi.
Mi guardai attorno allarmato.
Della sera prima, nella mia mente rimanevano solo delle immagini sfocate, appannate come quelle che potevano apparire ad un ubriaco.
Ma io ero sobrio. Ero sveglio.
E quello che non riuscivo a capire, era il perchè mi trovavo in quel vicolo, sdraiato a terra, con la faccia incrostata .. e un odore putrido  mi soffocava e inquinava l'aria tutt'intorno.
Dov'ero esattamente? Perchè non riuscivo a ripescare immagini nitide dal mucchio appannato dei ricordi?
 
Allungai esitante la mano contro il muro per sorreggermi, mentre delicatamente con l'altra asciugai la fronte umida. 
I capelli stranamente sudati ciondolavano davanti i miei occhi pesanti, che tendevano a chiudersi. 
Un colpo secco di tosse fece vibrare il mio petto.
La gola bruciava ad ogni boccata che prendevo. L'aria rugginosa che inspiravo mi lasciava in bocca un sapore aspro.
Se avessi avuto lo stomaco pieno probabilmente avrei vomitato.

Rovesciai gli occhi al cielo come a chiedere aiuto. Ma come sempre dall'alto non arrivò niente. 
Dopotutto me l'aspettavo.
Sospirai rassegnato e lentamente inclinai la testa da un lato per scrocchiarla. Lo feci più volte prima di ritornare alla posizione originale.
Poggiai le spalle al muro, strusciando la schiena contro la parete ruvida e muffosa.
Sbuffai.
 
 
 
"Mi chiedevo se avesse compreso..."
 
 
 
Posando lo sguardo a terra, i miei occhi vennero catturati da uno strano scintillio. 
Una lama di luce tagliò l'aria, accecandomi come uno specchio che rifletteva la luce solare.
Era un oggetto scuro, dalla forma allungata e tozza. Non somigliava ad una pietra, ma ne aveva le dimensioni. 
Chiusi più volte le palpebre per togliere la sensazione fastidiosa di avere una pellicola opaca sulle iridi delicate, e osservai con più attenzione.
Immersa in una strana pozza vischiosa e dal colore sanguigno, una Colt 1911 giaceva abbandonata sotto le chiari luci dell'alba.
Sospirai portandomi una mano tra i capelli.
Che ci faceva lì un cimelio di tale portata? Chi era lo stolto che l'aveva gettata in quell'immondezaio?
Mi trascinai fino all'arma mentre il mondo attorno a me girava vorticosamente, facendomi più volte perdere l'equilibrio.
Ero conciato male.
A stento riuscii a posare i piedi l'uno davanti all'altro.
Mi chinai lentamente per raccogliere la pistola macchiata da quel liquido vischioso. 
La presi con delicatezza come se si fosse potuta rompere al minimo tocco. 
La pulii contro il gilet nero senza preoccuparmi di sporcarlo, e la rigirai più volte ammirandone la bellezza.
Istantaneamente mi riportò alla luce vaghi ricordi, smorzati da pause buie in cui tutto tornò nell'oblio.
 
 
 
"Ma forse non voleva spiegazioni..."
 
 
 
Quella pistola era la mia.
Mia.
Me l'avevano consegnata una sera, in una sala appartata di un bar del centro di Los Angeles.
Ricordavo l'atmosfera viziata di fumo e alcolici. Uno strano olezzo di profumi mischiati. Varie marche pregiate.
Il frusciare delle carte da gioco e il bordò acceso delle poltrone.
Il tavolo pezzato di verde davanti a me faceva da poggiapiedi ad un uomo rasato dalle spalle larghe.
Robusto e alto, incombeva come una montagna su di me nonostante fosse seduto.
Ricordo che mi porse quell'oggetto tra le mani con un ghigno beffardo.
Credeva fossi un pivellino...
Io feci un cenno con il capo e veloce, scattai fuori da una pesante porta socchiusa.
Infine sprofondai nel buio.
 
Un sorriso sornione apparve sul mio viso.
Quindi era così? Mia. Una bellezza del genere.
Ma a cosa poteva servirmi?
Avvicinai la Colt alle labbra e successivamente al naso.
Odorava di piombo e ferro caldo, come se fosse appena stata utilizzata. Di notti intense, di muffa, di omicidi compiuti e di proiettili sparati a vuoto. Odorava di silenzi e sguardi angosciati, di passi ovattati, di strade senza uscita. Di urli, di suppliche, di sangue sparso e altro risparmiato.
Aveva l'odore agro della fermezza, quella che ti permette di tenere gli occhi aperti mentre giustizi qualcuno. L'odore del pentimento, delle anime disperse in chissà quale limbo... e più degl'altri si distingueva un odore di ruggine e acciaio. Acido e aspro che il solo respirarlo mi dava alla testa.
Scansai l'arma disgustato da quella zaffata che mi colpì in pieno volto, e mi voltai alla mia sinistra per prendere una boccata d'aria.
Quando aprii la bocca però, di nuovo quel sapore putrido mi mandò in fiamme la gola, costringendomi a tossire più volte.
Da dove veniva?! 
 
 
 
"Lo afferrai per un braccio, esitante, mentre qualcosa nel mio petto voleva scoppiare.."
 
 
 
Quando i miei occhi, nonostante lacrimassero per l'insopportabile puzza, si riaprirono.. vennero inondati dalla verità che mi colpì come uno schiaffo inaspettato su una guancia.
Non ero pronto. 
E il perchè mi dimenticai tutto ciò ancora adesso mi è estraneo..ma quando ormai tutto si ricostruì, come un castello di carte crollato e poi ricostruito riavvolgendo il nastro delle immagini al contrario, i ricordi si fecero nitidi, terrificanti, senza spazi bui.
Era un puzzle dalle tessere perfettamente unite, e ora combaciavano a creare un quadro d'orrore e furia.
Quello della notte passata. Quello che mi raffigurava per quello che ero.
Il felino da troppo tempo ingabbiato e finalmente libero, che uccise senza pietà un uomo la cui morte sarebbe servita per puntare in alto. 
Per entrare a far parte di una delle più grandi organizzazioni mafiose di Los Angeles.. e poi arrivare ad essere il numero uno. Io.


 
Qualcosa squarciò l'aria.
Un grido acuto, perforante. Un urlo agghiacciante che riecheggiò come milioni di voce nel viale stretto.
Una voce insistente che non la finiva di disperarsi, cacciando fuori da quel grido tutta l'anima più marcia.
Solo dopo aver ricominciato regolarmente a respirare, mi accorsi di essere stato io.
Avevo inconsciamente portato le braccia allo stomaco lasciando cadere la pistola a terra.
Questa cadde nella pozza rossa ai miei piedi, schizzando l'aspro sangue nell'aria.
Caddi in avanti, in ginocchio. Le mani strette in segno di chiusura, le braccia attorno alla vita la cingevano come catene. Spingevo fuori l'ossigeno, come se avessi voluto vomitare tutto l'orrore che c'era stato in quelle ore. Come se avessi voluto cacciare il senso di colpa dal mio corpo e sentirmi leggero.
O forse... il ricordo di qualcos'altro, una sensazione di vuoto, la paura dell' infinito.
Poi chiusi la bocca. La sigillai tra le labbra secche e in silenzio, mi tirai su, raccogliendo nuovamente l'arma.
Tirai un sospiro, e  mi voltai verso l'interno più scuro. Nell'intreccio di viali che si estendeva a disperdersi tra gli anfratti di Los Angeles.
 
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"Volevo parlare, dire che eravamo noi.."
 
 
 
Chiuso.
Ovviamente a quell'ora non potevo pretendere che un locale unicamente notturno potesse essere aperto. Eppure la cosa mi infastidiva, tanto che iniziai a bussare bruscamente contro il legno rivestito di uno strano tessuto ovattato lucido.
Come avevo già previsto nessuno venne ad aprirmi, ne tanto meno mi rispose.
Sbuffai spazientito percorrendo il profilo del palazzo circolae, fino a ritrovarmi davanti ad un altro ingresso. Questa volta più diroccato, in un angolo buio della strada difficile da notare per chi non ne conosceva l'esistenza.
A quel punto salii i tre gradini prima di arrivare alla porta.  Bussai tre volte.
Niente.
Alzai gli occhi al cielo esasperato.
« Brutti idioti! Volete aprire questa dannata porta?! Chi credete possa essere a quest'ora? Uno sbirro? Muovetevi!»
Sbattei ancora diverse volte il pugno sul legno ruvido mentre inveivo contro di loro, maledicendo il giorno in cui li incontrai per la prima volta.
Esattamente due giorni prima.
In quell'istante, prima che mi decidessi a sferrare un calcio sulla maniglia per sfondarla, Jack si presentò aprendo la porta.
Era un tizio alto dalla carnagione chiara e i capelli lunghi biondi che gli sfioravano le spalle. 
Scarno e  al quanto debole. Portava gli occhiali,  e quasi appariva come un intellettuale. 
Un cretino in pratica. 
Ma mi sarebbe stato utile. 
Lo sguardo ostile e curioso mi fece alzare il sopracciglio, scettico.
« Che hai da guardare?» chiesi facendo roteare la pistola sporca di sangue.
« Credi che mi farai entrare?» 
La mia domanda lo infastidì.
Mi guardo dall'alto verso il basso con fare superiore, quasi fossi stato un insetto da eliminare.
«L'hai ucciso?» 
pronunciò quelle parole con incredulità, quasi fosse qualcosa di impossibile.
« Tu che dici?! sarei tornato secondo te se non l'avessi ammazzato?»
La mia risposta acida lo fece raddrizzare sulla schiena. Era un dibattito aperto. Lui non credeva alle mie parole, glie lo si leggeva sulla faccia increspata che si ritrovava. Mi osservava in silenzio arricciando ogni tanto le labbra.
« Senti ragazzino io non credo che..»
« Vuoi che uccida anche te?!» 
In un secondo lo misi a tacere. Lo afferrai per il colletto della camicia e con la pistola puntata alla sua tempia, lo guardavo fisso negl'occhi.
Taceva eh?! Non aveva il fegato di ribattere?
Premetti la canna più forte sulla sua pelle, rendendo il contatto un autentico tormento. Vedevo il suo viso sbiancare a poco a poco mentre con un ghigno sulle labbra mi gustavo quel momento di vittoria.
 
 
 
"Lui mi osservava, così rosea la sua pelle.."
 
 
 
Rodd Los era seduto sulla stessa poltrona dove l'avevo lasciato la sera prima. I vestiti firmati freschi di lavanderia, gli davano un aria molto più imponente.
Lo guardai da lontano, sull'uscio.
Lui incrociò il mio sguardo.
Non fece niente di particolare.. semplicemente allargò le braccia. 
Il sorriso beffardo riapparse sul suo viso rotondo e così, fiero, con il pugno serrato sulla mia Colt, entrai nella stanza che odorava di tabacco. 
 
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  Prologo
 

Non attraversai mai quella soglia.
Mai, da quando sparì.
Cosa poteva esserci di tanto inutile e doloroso, se non ripercorrere la strada dei ricordi, senza lui al mio fianco?
Un groppo in gola mi assalì.
Mai. Fino a quel momento.
Mai. 
Eppure dovevo averne il coraggio, farmi forza e lasciare il passato dov'era giusto che stesse. Nel passato.
 
Volsi lo sguardo alla ghiaia bagnata. Dietro di me, il cancello d'acciaio era chiuso.
Non c'era modo di tornare indietro e questo non fece che abbattermi più di quanto la pioggia riuscisse a fare.
 
Le campane suonarono...mi stavano salutando.
 
Rimasi in ascolto di quel suono tanto familiare.
Le avrei rievocate nei giorni più duri, insieme al rumore della pioggia, del vento...all'odore delle lenzuola fresche, del cioccolato.
Lo stomaco si chiuse.
D'un tratto fu come se un telo nero mi avvolse. Un telo nero che racchiudeva tutto quel tempo di assenza, di amaro dolore che mi sgorgava tra le labbra come un veleno. Un telo di un nero che bruciava, e mi corrodeva... 
Non somigliava al nero dell'armadio. Di quell'atmosfera calda e di respiri profondi. Di calore sognate, paure sfocate.
Un telo nero che mi soffocava, facendomi mancare il respiro.
Ma poi lo vidi. Lo spiraglio di luce. Il barlume di speranza.
Questa era la mia missione. L'avrei trovato.
 
Allungai il piede davanti a me.. non era difficile.
La strada grigia si allungava dinnanzi al mi viso. 
Misi lo zaino in spalla e nel silenzio...tra le nebbie mattutine di quell'inverno gelato mi resi conto di non voler vivere nel passato.
Speravo solo mi stesse aspettando.
  
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