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Autore: orual    20/10/2011    12 recensioni
Dopo le Cronache della Seconda Guerra... arrivano quelle della vita normale: tra progetti, studi, quotidianità, amori che sbocciano e bambini che nascono, carriere intraprese e ripensate, accompagneremo i nostri eroi nell'era post-Voldemort per scoprire che la routine non richiede meno impegno del pericolo. A voi la lettura!
...Rimasero un po’ in silenzio, poi Charlie si alzò. La notte intorno a loro era fresca e limpidissima.
La tomba di Tonks brillava lieve, illuminata dalle luci fatate dei fiori.
"Magari potrei davvero cercare qualcosa da queste parti. Giù in Galles, negli allevamenti statali...
Per qualche annetto e basta, o i Gallesi Comuni diventano un po’ noiosi.
Potrei veder crescere Teddy, per un po’...
Sì, potrei."
Charlie si incamminò, le mani in tasca, giù verso i cancelli.
"Il tuo... il vostro bambino è davvero uno splendore, Tonks."
Genere: Generale, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Famiglia Weasley, Un po' tutti | Coppie: Harry/Ginny, Ron/Hermione
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
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 Eccomi con un nuovo capitolo, che spero potrà piacervi: sono influenzata ed ho approfittato della pausa forzata per portare a termine il capitolo che già era quasi pronto. Come sempre sono un po’ indietro con le risposte alle recensioni, ma ormai sapete che quando pubblico ritaglio anche un po’ di tempo per sistemare gli arretrati, quindi abbiate fiducia.
Buona lettura!

 
 
Girare pagina
 
Audrey rise, e si aggiustò un’onda di riccioli scuri dietro l’orecchio.
-Dobbiamo festeggiare, Perce!- esclamò, lasciando cadere l’onnipresente valigetta di vecchia pelle per terra e buttandogli le braccia al collo.
-Ehm... suppongo di sì- rispose Percy, l’aria pacata che non riusciva a nascondere del tutto quanto fosse contento. Era stato appena reintegrato al lavoro, dopo lunghi e snervanti mesi di attesa. Ancora all’Ufficio da dove era partito, quello dei Rapporti Internazionali. Anche se significava ricominciare la sua carriera, non gli dispiaceva. Era un po’ un modo di cancellare ed espiare gli anni trascorsi in maniera che ora gli appariva odiosa, a fare il galoppino del Ministro. Il suo lavoro attuale era molto meno pagato, ma aveva certo più dignità.
-L’unica cosa che mi dispiace, Aud, è che non potrò più accompagnarti nei tuoi giri. Devi capire, non ho più molto... ehm, tempo libero, e...
-Ma Perce, certo che no! Vorrà dire che i nostri appuntamenti saranno un po’ più romantici- lo interruppe lei, allegrissima. Indossava una veste da strega celeste, lavorata a piccoli punti più scuri, terribilmente retrò, ed era straordinario come riuscisse ugualmente ad apparire snella e slanciata, avvolta in quella specie di sacco informe. O forse erano i suoi occhi ad essere parziali, pensò Percy. Comunque, si disse, un mago d’onore come lui era (o si sforzava di essere), si sarebbe deciso a chiederglielo da settimane. L’unica cosa che lo aveva trattenuto era stato il non poter contare ancora sulla sicurezza del posto, fino a quel giorno. O forse anche qualche esitazione dovuta al fatto che Audrey era diversa da lui, brillante ma disordinata, un vero ciclone che metteva sistematicamente in disordine la sua vita regolare. Come era potuto accadere che fosse arrivato al punto di cercare le parole giuste per chiederle di... sposarlo, addirittura, se erano così poco simili?
Forse era perchè si erano conosciuti in piena guerra, quando l’ordine non era proprio la caratteristica principale delle sue giornate, ed i suoi pensieri erano disperatamente incentrati sul modo di ritornare in contatto con i suoi senza mettere in pericolo nessuno.
L’aveva conosciuta al Ministero: prendevano quasi tutti i giorni lo stesso ascensore, Percy sempre uguale in completi gessati da lavoro in due o tre diverse sfumature di beige, e lei sempre diversa, ora con uno spaventoso graffio in faccia, ora con quindici strani uccelli chioccianti in una gabbia verde, ora con addosso odori inquietanti ed una volta completamente ricoperta di una specie di grondante bava purpurea. “E’ solo saliva di Tybula, dovevo consegnare questi moduli in fretta e non sono passata a ripulirmi” gli aveva detto con aria rassicurante quando lui aveva indietreggiato bruscamente, gli occhi fuori dalle orbite, al suo ingresso nell’ascensore. Era stata la prima volta che si erano rivolti la parola, il giorno che al Ministero era poi successo quel pandemonio a causa di Harry, Ron ed Hermione, ma lui lo aveva saputo solo dopo. Nel corso dei mesi avevano stretto uno strano rapporto di conoscenza “da ascensore” prima, da “due passi dopo il lavoro” poi, e Percy vi si era aggrappato, immerso com’era nella più profonda solitudine in quel periodo della sua vita. Con la sua famiglia non voleva e non poteva ancora ricongiungersi, e tutti quelli che erano stati suoi amici e colleghi al Ministero, con il nuovo regime mostravano aspetti nuovi ed inquietanti di loro stessi. L’arrivismo era diventato ferocia, l’amore per la carriera mancanza di scrupoli. E questo valeva per quelli a cui lo Stato di Sangue, per lo meno, aveva permesso di salvare il posto.
Audrey era del tutto aliena a questo tipo di mentalità, ed era abbastanza chiaro che non era una fan entusiasta del regime. Faceva opposizione allo stato delle cose semplicemente non prendendole sul serio. Seguiva la sua routine delle visite con ostinazione, anche certe giornate in cui tutti cercavano di non girare per le strade, faceva battute inopportune, e Percy era sicuro che sarebbe stata capace di entrare anche in una casa con sopra il Marchio Nero, se sull’indirizzario del giorno vi fosse stato segnalato un Crupp malato, perchè semplicemente si rifiutava, con una specie di incoscienza, di accorgersi di Voldemort e di tutto il resto. Trattava tutti allo stesso modo,  e una volta, sbalordito, Percy l’aveva vista prestare la bacchetta ad uno dei Nati Babbani ridotti in miseria a Diagon Alley, che gliela chiedeva lamentosamente per dimostrare  che era un mago, un ritornello ricorrente in quei giorni. E l’aveva fatto con molta cortesia. Percy, che si trovava con lei, aveva dovuto strappare di mano all’uomo la bacchetta di Audrey e Smaterializzarsi con lei all’istante per evitare che venisse arrestata da sgherri in uniforme ministeriale che si avvicinavano minacciosi.
-Ma dico, sei impazzita, vuoi farti arrestare? Non le conosci le nuove leggi?
-A me delle nuove leggi non me ne importa un fico- aveva risposto lei –Io, se un brav’uomo mi chiede la bacchetta in prestito gliela do.
-Che ne sapevi che era un brav’uomo?
-Oh, di recente quasi tutti i mendicanti sono brav’uomini- aveva risposto lei, guardandolo seria e tranquilla.
Ma tutta questa impermeabilità all’atmosfera di regime era più o meno crollata quando era venuta a sapere della sua partecipazione alla Battaglia di Hogwarts, quando si erano rivisti, un paio di settimane dopo. Lui l’aveva contattata per sapere come stava, visti i recenti enormi cambiamenti, e spiegarle che era tornato a stare alla Tana, lasciando l’appartamento di Londra.
Ricordava come se fosse accaduto il giorno prima la sua rabbia. Non l’aveva mai vista arrabbiata né prima né poi. Le aveva sempre raccontato poco della sua famiglia e di tutte le questioni relative, ma lei si era offesa quando aveva realizzato che era andato a combattere senza di lei.
-Aud, tu non hai fatto altro che correre rischi per mesi. Non mi rimprovererai di essere andato ad aiutare la mia famiglia!
-Dovevi chiamarmi. Cosa siamo amici a fare?
-Sono sicuro che hai tanti altri amici, e...- aveva argomentato ragionevolmente lui, pensando contemporaneamente che lui non ne aveva quasi nessuno.
-Lascia perdere i miei altri amici. Stiamo parlando di te.
-Non volevo certo metterti in pericolo!
-E se morivi, cosa facevo, io, eh?- aveva sbraitato lei –Non mi avevi ancora neanche chiesto se volevo essere la tua ragazza!
Percy era arrossito e glielo aveva chiesto allora. E lei aveva detto di sì.
 
Era strano, strano come Audrey fosse entrata nella sua vita in modo impercettibile. Quando l’aveva conosciuta non aveva creduto che potessero essere amici. Quando erano diventati amici non aveva creduto possibile innamorarsi di lei (men che meno che lei si innamorasse di lui, ma quando aveva parlato di essere la sua ragazza, non aveva esitato un minuto a cogliere la palla al balzo, stupendo persino se stesso). E forse, stando con lei, i primi tempi, non avrebbe potuto immaginare che avrebbe fatto la mossa successiva tanto presto. La sua vita era sempre stata organizzata e pianificata, doveva essere stata la guerra ad allentargli alcuni rigidi sistemi nella testa. La guerra e Audrey.
Audrey gli sorrise ancora, seduta com’era sul muretto che delimitava un campo nello Yorkshire, vicino ad una fattoria che aveva problemi con le sue vacche sperimentali.
-Un po’ mi mancherà, la tua compagnia durante il lavoro, ma chi sono io per ostacolare l’ascesa del futuro Ministro?- rise lei.
-Oh, non scherziamo, Aud- fece lui serio –Per diventare Ministro ci vuole una carriera di tutto rispetto alle spalle e...
-Ma lo vedi che in realtà ci hai pensato?- esclamò Audrey, ridendo a crepapelle. Poi si sporse in avanti e gli diede un bacio. Percy sentì un brivido che correva lungo la sua schiena. Audrey aveva gli occhi del colore del cielo lavato di marzo alle sue spalle ed era terribilmente bella.
-Vuoi sposarmi?- sputò fuori senza quasi rendersi conto di cosa stava dicendo.
Audrey sgranò gli occhi, sobbalzando come se avesse preso una botta in testa.
-Eh?
Percy non rispose, si limitò a fissarla con uno sguardo che sperava sembrasse serio e motivato, mentre il suo cervello gridava “Cosa hai combinato?”. Audrey si batté le mani sulle ginocchia:
-Caspita, Weasley...- cominciò.
-Non devi rispondermi per forza di sì, ma sono molto... ehm, sicuro di voler...- intervenne Percy, con la voce che andava via via scemando e un tale imbarazzo in viso da farsi appannare gli occhiali.
-Ci hai messo mesi per chiedermi di uscire... quanto a tempi siamo migliorati- disse Audrey in tono cordiale. Poi, semplicemente, saltò dal muretto in collo a lui, che barcollò per sostenerla e mantenersi in equilibrio –Sì, certo che voglio sposarti... oh, Perce! Mia madre sarà estasiata, dice sempre che sei un ragazzo così ammodo!- esclamò, con voce improvvisamente acuta, le braccia strette intorno al suo collo e la guancia appoggiata alla sua: -Però guarda che... non credo di essere molto adatta a fare la First Lady.
Percy la scostò appena da sé, per poterla guardare in faccia:
-Io penso di sì. Ma se dovesse risultare che è vero... vorrà dire che non sarò Ministro.
 
-Ciao Harry!- lo salutò Ron, le braccia piene di roba dagli strani involucri colorati. Il cartello sulla porta diceva “Chiuso”, ma Harry era entrato lo stesso, facendo trillare i Campanellini Spernacchianti, sicuro di trovare l’amico in negozio anche dopo l’orario di chiusura.
-Come va?
-Non male... il fatturato è in aumento. La gente sta ricominciando a comprare roba che la diverte, ma ci vorrà ancora un po’.
-George?
-E’ di là, passa a salutarlo, gli farà piacere- disse Ron, accennando col mento alla porta del retrobottega.
Harry vi si avventurò, e trovò George al suo tavolo da lavoro, circondato da mucchi di piume di tutti i tipi.
-Ehi, Harry!- fece, alzando appena gli occhi quando lo sentì entrare. Il laboratorio aveva sempre un’aria leggermente sbilenca, asimmetrica, con uno dei due grandi tavoli completamente liscio e vuoto e l’altro così sovraccarico. Il tavolino di Ron, dal lato di George, non faceva che accentuare quella sensazione.
-Qualcosa in preparazione?- chiese Harry.
-Qualcosa- tagliò corto George –Teddy che combina?
Harry alzò le spalle, con un sorrisetto:
-Dice “nanna”. Secondo Andromeda sta per “nonna”, secondo me vuol dire che ha sonno. Comunque...
-Come mai da queste parti?
-Volevo chiedere una mano a Ron.
-Perfetto. Portalo via, mi dà sui nervi quando finge di riordinare il negozio per sorvegliarmi.
-Ehi!- esclamò Ron, immerso tra gli scaffali.
-Vai pure con Potty, Ron, non farò alcun gesto inconsulto, stasera.
Ron arrivò con ancora una manciata di pacchi che ripose in una scatola in un angolo.
-Non fingo di riordinare. Non abbiamo assunto un magazziniere per investire quei soldi in quella roba costosissima dalla Cambogia, ti ricordo.
-E sarà un affare.
-Cosa volevi, Harry?
-Mi serve una mano, sei libero stasera?
Ron diede un’occhiata a George, ancora chino sul suo lavoro. Una delle piume sulle quali stava lavorando prese fuoco, e lui emise un verso soddisfatto.
-Come no- sospirò Ron –Ti ho lasciato un panino nel cassetto se fai tardi, George.
-Sì, mamma.
Ron prese la giacca da un gancio sopra il suo tavolino, dal quale scelse un paio di pergamene fittamente stampate che si mise in tasca con poca cura.
-Moduli- disse, con disgusto -Possiamo andare.
Uscirono insieme nel crepuscolo limpido. Le campane di Londra stavano suonando le sei.
-Come va con George?- chiese Harry quando furono fuori dal negozio, per i meandri di Diagon Alley ancora gremiti, illuminati meravigliosamente dalle vetrine accese, molto più interessanti di qualsiasi vetrina babbana.
-Lo hai visto. Direi bene, a parte il fatto che mangia sempre poco. Quando fa le notti in negozio salta la cena a piè pari. Ma siccome il lavoro secondo me e Bill gli fa bene, ho concordato con mamma di lasciargli sempre qualche panino in posti strategici, invece che insistere che ceni a casa.
-Tipo il cassetto?
-Oh, quello non credo lo mangerà. Ma ne ho messo uno sopra le scatole della Polvere Pustolente, così quando andrà a prenderla gli verrà in mente di mangiare.
-Ottima idea. E funziona?
-Quasi sempre. Dove stiamo andando?
Si erano incamminati verso il Paiolo Magico, ed Harry disse:
-Ora te lo spiego. Ti va una Burrobirra?
Seduti davanti alla loro bibita in un angolo del pub abbastanza riparato (non abbastanza, comunque, da impedire ad una strega di mezza età di avvicinarsi per stringere loro la mano con emozione ed occhi lucidi), Ron stese le gambe sotto il tavolo, sgranchendosele. Era stanco, fortunatamente si avvicinava il fine settimana. L’indomani, sabato, avrebbero chiuso all’ora di pranzo, e poi Hermione e Ginny sarebbero tornate per le vacanze di Pasqua, che cadeva molto presto visto che era ancora la fine di marzo.
-Allora?
-Allora... ho preso alcune decisioni- buttò lì Harry, giocherellando col boccale. Ron lo guardò trattenendosi dai plateali gesti che gli erano venuti in mente, come per esempio alzare le braccia al cielo e gridare “era ora!”.
-Ehm... bene. Che... che decisioni?
-Ci ho pensato in questi ultimi tempi, dopo Natale. Credo che... che mi stabilirò a Grimmauld Place. Non posso continuare a fare l’ospite vostro e di Andromeda in eterno.
-Lo sai che da noi puoi stare quanto vuoi. Mamma sarebbe felicissima- disse Ron. Ma in cuor suo era contento della decisione di Harry e gli sorrise.
-Però credo che farò qualche modifica alla casa.
-Amico, mi stai chiedendo una mano?
Harry gli diede un amichevole pugno sulla spalla:
-C’è ancora parecchia roba mia rimasta a Privet Drive. Non sono mai andato a prenderla. Se mi dai una mano volevo trasferire tutto a Grimmauld. Sempre, naturalmente, che i miei zii non abbiano buttato ogni cosa.
Ron non era particolarmente entusiasta del progetto. Ricordava gli zii di Harry come dei perfetti squilibrati, pur avendo avuto con loro pochi contatti. Tuttavia annuì.
-Basta che non ci arriviamo via camino- commentò.
 
Si Smaterializzarono fuori dal pub, per apparire in un giardino pubblico deserto. I lampioni erano già accesi, ed Harry lo guidò con sicurezza sul marciapiede di una quieta via residenziale, che svoltò poi in un’altra apparentemente identica. Ricordava la difficoltà che avevano avuto ad identificare la casa arrivandoci in volo con la Ford Anglia di papà: visto dall’alto quel quartiere era una distesa di blocchetti identici al centro di fazzoletti verde prato.
Il numero 4, con un pratino delimitato da aiuole simmetriche e due alberelli uguali ai due lati del sentierino di cemento, mise Ron a disagio. Tuttavia seguì Harry fino alla porta.
-Sai, prima di stasera non ero nemmeno sicuro che abitassero ancora qui- fece lui, indicando il campanello con la targa di ottone sopra che recitava “Dursley” –Non li ho più rivisti dalla sera in cui sono stati portati al sicuro da Dedalus e Hestia Jones.
Ron ricordò di aver sentito, tra le notizie confuse e a flusso continuo dei primi giorni, quando il dolore per Fred era ancora così forte che tutti erano come storditi, anche qualcosa riguardo a comunicazioni dell’Ordine per cui la famiglia di Harry era stata risistemata nella sua casa e la scorta aveva potuto essere ritirata.
Harry suonò il campanello e la mano di Ron corse irresistibilmente alla bacchetta, in tasca. Non si poteva mai sapere.
Il viso della donna che aprì la porta, la zia di Harry, si trasfigurò in modo indescrivibile quando si rese conto di chi c’era sulla soglia, e ci furono vari attimi di silenzio.
-Tu- mormorò, sconvolta e decisamente poco accogliente.
-Ciao. Posso entrare?
Lei esitò per un tempo che parve lunghissimo, poi si fece da parte, e loro poterono finalmente entrare nell’ingresso pulito e ordinato della casa. La zia di Harry lo guardò esitante, e per un attimo parve che non volesse permettere loro di andare più in là dell’ingresso.
-Vedo... ehm, che vi siete risistemati bene.
La donna strinse le labbra sottilissime, poi annuì. Gli occhi slavati erano carichi di uno strano misto di antipatia (odio era una parola eccessiva), disagio e apprensione.
-Sono... sono venuto per prendere le mie ultime cose. Sempre che non abbiate buttato tutto.
-Sono... sono di sopra- rispose zia Petunia, con voce inespressiva.
-Ah. Allora, se non ti dispiace vado a prenderle. Ron mi darà una mano.
Non sembrava che ci fosse nessun altro in casa. Ron seguì Harry per le scale, fino a che non arrivarono al piano superiore, il corridoio foderato in carta da parati a strisce bianche e celesti e le porte laccate di bianco, tutto così pulito che faceva impressione a toccarlo. La porta in fondo al corridoio era chiusa a chiave, e Harry dopo un momento di sconcerto, tirò fuori la bacchetta per aprirla, quando zia Petunia li raggiunse facendoli sobbalzare (non faceva alcun rumore con le pattine indosso), scostò Harry sibilando:
-Metti via quell’arnese!-, e con la chiave che teneva in mano aprì la porta.
-Ehm... grazie- fece Harry.
Lui e Ron entrarono nella stanza, che sapeva di chiuso. Probabilmente gli zii di Harry non avevano neanche riaperto la stanza, da quando erano tornati a stare a Privet Drive il maggio precedente. Harry, a tentoni, accese la luce che illuminò la stanza per un attimo prima che la lampadina, per il lungo inutilizzo, si fulminasse. Allora brancolò fino alla finestra, aprendo i vetri e gli scuri e lasciando che l’ultima luce della sera entrasse nella camera. Una coltre di polvere copriva ogni cosa: il letto fatto, con un copriletto sbiadito, il comodino vuoto se si faceva eccezione per una lampada da tavolo ed un bicchiere completamente vuoto, dai bordi opachi. La scrivania era sgombra, sul piano un solo giornale, rimasto spiegazzato. Quando Ron si avvicinò vide un Silente in fotografia che camminava, e constatò la data, risalente al luglio del 1997, quasi due anni prima. Uno strato di polvere grigiastra si era depositato tra le pagine. Quando ne sollevò un lembo, vide l’impronta del giornale sul legno marrone chiaro della scrivania. Non c’era molto altro in quella stanza: un armadio con le ante rimaste socchiuse, dalle quali occhieggiavano alcuni maglioni e pantaloni appesi alle grucce, un paio di scaffali vicino alla scrivania, con vecchie cianfrusaglie per lo più babbane e qualche libro per bambini. In un angolo, tra la scrivania e la finestra, stava un mucchio informe di roba sulla quale Harry si chinò:
-Ad essere sincero pensavo che avrebbero buttato via tutto.
Erano vesti mal piegate: l’uniforme della scuola, quella del Quidditch con i ricami dorati che scintillavano debolmente alla luce ormai morente del crepuscolo, molti libri di testo, il vecchio calderone di peltro nel quale tante volte anche Ron aveva lavorato, quando avevano preparato pozioni in coppia. Era pieno di provette mezze vuote, con ingredienti ormai da buttare, vecchie scorte di scuola, la bilancia di ottone di Harry con i suoi pesetti, il coltello d’argento. Accanto c’era un mazzo di piume legato insieme da un elastico, alcune vecchie e spennacchiate, sporche d’inchiostro, altre lisce, mai usate, ancora bianche o marrone chiaro, varie boccette d’inchiostro che col tempo si era seccato, un paio di rotoli di pergamena nuova.
Harry Evocò un paio di scatole di cartone che si posarono dolcemente al centro del pavimento, poi accese sia la lampada della scrivania che quella sul comodino, visto che non ci si vedeva quasi più.
-Allora, pensavo che questa roba di Hogwarts potrebbe finire in una scatola. Io riempio l’altra con alcuni di questi vestiti- fece, aprendo l’armadio.
Ron annuì senza parlare e si mise all’opera. Pensava silenziosamente a quanta roba inutile ci fosse in camera sua, e quanto fossero sorprendentemente scarse le proprietà personali di Harry. In una casa come Grimmauld Place, non avrebbero riempito neanche l’anta di uno dei grandi armadi scuri del primo piano. C’era qualcosa di triste e di patetico nell’uniforme stropicciata e polverosa, che nessuna madre aveva provveduto a lavare quando Harry era tornato dal suo sesto anno di scuola. Gli altri oggetti erano come relitti di un’infanzia perduta, che in qualche modo era anche la sua: conosceva quella vecchia roba come se fosse stata di sua proprietà, tante erano le volte in cui l’aveva vista usare, ma in mezzo scorreva come un oceano di avvenimenti e di tempo, che faceva sembrare tutto come appartenente ad un altro mondo. Era strano pensare, per esempio, che Hermione avesse ancora a che fare con roba del genere tutti i giorni, tanto lui se ne sentiva lontano.
-Ehi, Harry, vuoi... tenere anche questi?- chiese, indicando gli inchiostri secchi ed inutilizzabili.
Harry, che osservava critico una vecchia felpa grigiastra, alzò lo sguardo.
-Credo che ci sia un incantesimo per scioglierli. E poi... sì. Sono di Hogwarts. E non è che abbia tanta roba, fanno numero, no?
Ron annuì con un mezzo sorriso, mettendo anche gli inchiostri nello scatolone. Finì  prima dell’amico, e si avvicinò per guardarlo scegliere tra jeans oversize e vecchie felpe. Il cassetto della biancheria era già stato interamente trasferito nello scatolone. Ron era abituato ad avere cose di seconda mano ed a non fare molto caso a quello che metteva addosso, ma quella vecchia roba del cugino di Harry gli parve più orrenda del solito.
-Harry... io lascerei stare tutto. Comprati dei vestiti nuovi.
-La roba che mi ero portato in viaggio era l’unica decente, in effetti. Ma ormai mi è rimasto poco.
-Sono due anni che hai sempre indosso i soliti quattro golf e quella decina di magliette.
-Magari c’era qualcosa da recuperare. Le canottiere si possono usare.
-Ok, però poi basta- sollevò un pigiama infeltrito e particolarmente orrendo: -Questa roba la mettevi al quarto anno, scommetto che non ti sta neanche più.
Era come se l’amico cercasse, in quella vecchia camera, la speranza di qualche bel ricordo a cui aggrapparsi. Anche l’usare sempre gli stessi vestiti era preoccupante, in un certo senso. Come una spia dell’incapacità di andare avanti.
-Senti, Harry, io butterei tutto. Non la roba di Hogwarts, intendo questa robaccia.
-Dici che dovrei lasciarla qui? Non credo che i Dursley la toccheranno per i prossimi cinquant’anni!
-Allora portiamo via tutto, lo buttiamo noi.
Così cominciarono a svuotare totalmente l’armadio, buttando ogni cosa nello scatolone, fino a che i cassetti non furono tutti vuoti, come gli scaffali.
-C’è qualcos’altro?
Harry si guardò intorno e raccolse qualche libricino da bambini (“Dudley non li leggeva, arrivavano direttamente a me”), un paio di vecchi soldatini di plastica, una corda per saltare (“Santo cielo, quanto mi piacevano questi soldatini...”), un sacchetto di biglie scheggiate, e mise tutto nello scatolone della roba di scuola.
-Possiamo andare- disse poi, guardandosi intorno un’ultima volta –Sai... l’ultima volta che sono stato qui, non credevo che avrei mai più rivisto questa stanza. Ero abbastanza sicuro che saremmo morti.
Ron, appoggiato al davanzale della finestra, spostò un bioccolo di polvere con il piede:
-Lo eravamo tutti- diede un sospiro –ma siamo vivi, ed è una bella fortuna. Tanto vale ricominciare a vivere, non ti pare?
-Lo so che non... sono stato il massimo.
-Sono contento che vai a vivere a Grimmauld. Anche se ti ci vorranno secoli prima di mettere tutto in ordine. E’ un passo avanti.
Harry si tolse gli occhiali e li pulì nell’orlo del maglione:
-Ho... ho pensato di entrare all’Accademia Auror- buttò lì.
Ron lo guardò un momento. Sentì che all’altezza dello stomaco si rimescolavano vari sentimenti, fino a che prevalse il sollievo per il fatto che Harry avesse finalmente deciso di fare qualcosa. Hermione ne sarebbe stata contenta, e ne era felice anche lui. Lottò per richiudere immediatamente la porta che quella notizia aveva spalancato in lui. La porta dell’ “e perchè non anche tu?”.
-Naturalmente se... se supero l’esame di ammissione.
Ron fece una risatina:
-Stai scherzando, vero?
-No, mi sono informato, c’è un test. Lo avevo chiesto a... a Tonks. Ed inoltre ci vogliono almeno cinque MAGO, me lo disse la McGranitt... penso che dovrò dare degli esami sostitutivi.
-Ok, stai scherzando. Harry! Diamine, appena ti vedranno entrare dalla porta ti nomineranno Auror Supremo o qualcosa del genere... non so chi diriga il Dipartimento, da quando Scrimgeour è morto, ma per la miseria, si metterà a... a piangere di gioia quando ti vedrà!
Harry sembrò sul punto di rispondere, quando un rumore nel corridoio ricordò loro dov’erano e cosa stavano facendo.
-Continuiamo a parlarne a... ehm, a casa mia?- disse Harry. Ron annuì, e sollevando lo scatolone con gli ultimi ricordi di Harry, mentre lui prendeva quello dei vestiti, lo seguì nel corridoio, dove zia Petunia, che evidentemente, vincendo il terrore che sembravano ispirarle, si era avventurata per controllare che non volessero demolirle la casa, stava addossata ad una porta chiusa, guardandoli con i grandi occhi slavati spalancati.
-Io... ho fatto tutto. Grazie per aver conservato questa roba...- fece Harry, piuttosto urbanamente.
Sua zia annuì. Harry si guardò intorno.
-Gli altri dove sono?
-Vernon starà per tornare, e Dudley è a Snobkin, ovviamente- rispose lei, fredda.
-Beh, mi farebbe piacere se tu salutassi Dudley da parte mia.
Sul volto cavallino della donna si contrasse un muscolo. Ma restava uno dei visi più indecifrabili che Ron avesse visto in vita sua. Harry si schiarì la gola, poi si frugò in tasca.
-Sono stato a Godric’s Hollow, di recente... il villaggio dove abitavano i miei genitori. La casa...cioè, quello che ne resta... è stata... preservata con la magia- zia Petunia contrasse il viso come davanti ad una parolaccia –Tra le cose ho trovato questa e penso che... ho pensato che lei sarebbe stata contenta che la avessi.
Porse alla donna una fotografia, e Ron intravide due bambine con le teste vicine, davanti ad una altalena appesa ad un albero. L’immagine era immobile, in un bianco e nero leggermente sfocato che le conferiva l’aspetto di un ricordo lontanissimo. Una grafia sottile aveva scritto sul bordo bianco “maggio ‘66”. Dopo quella che sembrò un’infinità, zia Petunia allungò la mano che tremava leggermente, prese la foto e la avvicinò al viso. La luce radente del lampadario nel corridoio le incideva profondamente sul viso le dure linee di espressione agli angoli della bocca. Alzò gli occhi su Harry che la fronteggiò tranquillo, in silenzio.
-Credo... credo che sia tutto- disse Harry dopo qualche istante.
Zia Petunia non disse nulla, ancora. Aveva gli occhi annebbiati: Ron non avrebbe saputo dire se fosse dovuta alla rabbia, all’imbarazzo o ad una qualche forma di commozione. La mano che teneva la foto si strinse inconsciamente fino a spiegazzarla.
-Beh... ciao, zia.
Ron seguì Harry mentre superava la donna, ed erano quasi arrivati alle scale, all’altro capo del corridoio, quando la sentirono mormorare:
-Ciao.
Harry si voltò verso di lei, che all’apparenza almeno non lo guardava, fece un mezzo sorriso, e si avviò giù per le scale.
-Andiamo a Grimmauld. Ceni da me?
-E chi cucina? Kreacher?- fece Ron. Harry annuì.
-In questi mesi gli avevo chiesto di stare ad Hogwarts, Hermione dice che si deprimono se non hanno nulla da fare, guarda come si era ridotto gli anni scorsi! Ma ora che sono tornato, l’ho richiamato.
-Hermione non sarebbe molto contenta di sapere che Kreacher lavora per te- fece Ron con un sorriso.
-Io avevo bisogno di una mano, e lui è contento. Comunque non l’ho ancora detto a Hermione, volevo aspettare  fino a che non sarò riuscito a passare alla Gringott ad aprirgli un conto, visto che si è offeso quando mi sono offerto di salariarlo... dovrò farlo di nascosto.
Si Smaterializzarono dall’ingresso di Privet Drive ridendo.
 
-Devo... devo dirvi una cosa.
Ron alzò gli occhi dal piatto di spezzatino. Lui e George erano a pranzo alla Tana, quel giorno, e Ginny era tornata solo quella mattina, per l’inizio delle vacanze di Pasqua. Percy li guardava esitante, e suo padre dovette incoraggiarlo:
-Cosa c’è, Perce?
-Non... insomma, volevo evitare un annuncio ufficiale, ma ho... insomma, ho chiesto a Audrey... Audrey Herriot... di sposarmi, e lei ha detto di sì.
George sbatté gli occhi:
-E chi sarebbe Audrey?
Ron e Ginny si guardarono, sollevando le sopracciglia, piuttosto increduli.
Percy non aveva mai parlato con loro di Audrey, e se Ron non l’avesse incontrata in novembre sarebbero rimasti all’oscuro come George. Per la verità, Ron aveva raccontato anche al fratello dell’esilarante serata che gli era capitata qualche mese prima, ma George non ci aveva fatto alcun caso, commentando con: “Perce è così ingessato che farebbe scappare anche Eloise Midgeon” e dimenticandosi l’episodio subito dopo.
-Dai, George, te l’avevo raccontato!
I signori Weasley si guardavano al di sopra del tavolo.
-Beh, penso che sia una bella notizia, figliolo- cominciò Arthur, appoggiando il tovagliolo.
-Lei è molto carina. Davvero una brava ragazza- fece Molly, allungando intenerita la mano ad accarezzare quella del figlio. Dalla morte di Fred, tutte le sue espressioni, di gioia e di dolore, erano diventate più misurate. Un tempo avrebbe strillato: di gioia o di raccapriccio.
-Come, cosa, ma... mamma, tu la conosci?-sbottò George, accigliato.
-Tuo fratello ce l’ha presentata qualche mese fa. Comunque Arthur l’aveva già incontrata al Ministero.
George sbuffò:
-Ministero? Anche lei una bacchettona del Ministero?
-Ti ringrazio a nome della categoria!- rise il signor Weasley.
-Comunque è Guaritrice Veterinaria. Frequenta il Ministero solo perchè c’è l’Apoteca Generale all’Ufficio Regolazione e Controllo delle Creature Magiche!- puntualizzò Percy, piccato.
-Beh, Perce, è... fantastico. Davvero- commentò Ginny, aprendo bocca per la prima volta. Sorrideva: un vero, genuino sorriso. Sembrava anche un po’ commossa.
L’intervento di George li aveva distratti, ma tutti realizzarono meglio quello che Percy aveva appena comunicato. Si sarebbe sposato!
-Santo cielo, tesoro...- Molly asciugò furtivamente una lacrima mentre si alzava:
-Sarà meglio chiamare Bill, scriverò a Charlie in serata- disse, avvicinandosi al camino e prendendo un manciata di polvere.
C’era qualcun altro, che non avrebbe potuto essere avvertito. Forse era per quello che George continuava ad avere un’aria così scontrosa, e gli occhi vagamente appannati. Ginny avvicinò la sedia alla sua, e bisbigliò, con voce ferma:
-Lui lo sa già, George!
Suo padre ed i suoi fratelli, rimasti intorno alla tavola, annuirono. George alzò gli occhi dallo spezzatino. Il suo volto era la maschera di un sogghigno:
-Beh, Perce, farai l’addio al celibato, vero?

“...Ci sono novità grosse da queste parti, e te le scrivo subito invece di aspettare di vederti domani perchè altrimenti scoppio... e piombo a casa tua, e spavento il tuo zio babbano che state ospitando. Percy si sposa. Hai capito bene. Con la ragazza che vi avevo raccontato di aver incontrato alla Testa di Porco, mesi fa. Quel furbastro non solo ci stava insieme da mesi... praticamente dalla Battaglia, ma l’aveva anche già presentata a mamma, e senza farsi accorgere di nulla!
Non avrei mai detto che Percy avrebbe trovato una in grado di sopportarlo, e il bello è che lei sembra anche proprio simpatica! Mi fa anche un po’ impressione perchè Bill è molto più grande di me, ma Percy non poi tanto, e... vabbè. Naturalmente sei invitata. Sarà per settembre, a quanto pare.
Siamo contenti, anche se un po’ turbati per il fatto che Fred non sarà con noi per questo evento... né per tutti i prossimi. George l’ha buttata sul ridere ma era evidente che fingeva, lì per lì era proprio... non so descrivertelo, come sconvolto di non avere una spalla con cui fare battute a ripetizione su un argomento che si prestava così bene. Se ci fosse stato Fred l’avrebbero fatto morbido, invece è stato tutto molto tranquillo, con noi che eravamo felici, mamma che ha chiamato Bill, così dopo lui e Fleur si sono Materializzati da noi, papà che era proprio contento, e anche Ginny, avresti dovuto vederla, era proprio emozionata, lei che lascia sempre trapelare poco. Comunque di certo ti racconterà tutto lei domani. Ma è stata una felicità tranquilla, quasi sottotono, ed ho pensato che la nostra famiglia è cambiata, e sarà anche normale ma devo abituarmici.
Visto che ti sto scrivendo ti anticipo anche un’altra cosa, anche se comunque te l’avrei detta domani: Harry si è trasferito definitivamente a Grimmauld. Ed ha fatto anche progetti per settembre, ma non ti dico nulla perchè di certo ti avrà scritto lui o te lo dirà domani. Solo che non volevo ti preoccupassi più, perchè secondo me ha proprio... voltato pagina e vorrei che anche tu fossi più tranquilla. Ora vorrei solo che tornasse con Ginny, il che è strano dopo tutte le storie che avevo fatto quando si misero insieme, vero?
Mi sei mancata, sono contento di vederti domani, quanto tempo è che non ci vediamo? Un mese dall’ultimo Hogsmeade? Un po’ troppo.
Mi manchi molto (l’avevo già scritto).
(Comunque, tanto vale ripetertelo perchè è vero. Vorrei poterti vedere tutti i giorni, ma per favore non dirmi che allora avrei dovuto tornare a scuola anche io.)
(So che non lo faresti.)
Per adesso buonanotte senza bacio della buonanotte, addebitamelo a domani, ho parecchi arretrati (e anche tu).
Ron
PS: se non ti dispiace, tieni Leo da te e riportamelo domattina, si sarà stancato ad arrivare fino a Londra.”
 
Vorrei fare una precisazione su Harry e la carriera da Auror. Sul sito di J.K., quindi la Bibbia per i fanwriter IC, c’è scritto che “Harry Potter si unì a 17 anni al rinnovato dipartimento degli Auror”. Chiarissimo. Questo significa che Harry in realtà è entrato subito, immediatamente negli Auror, perchè compiva 18 anni nel luglio dopo la Battaglia di Hogwarts, quindi tra maggio e luglio! Inoltre qui sembra che non abbia neanche fatto un po’ di addestramento. Ma anche considerando gli anni di addestramento come un periodo in cui Harry era già “unito al rinnovato dipartimento Auror”, è evidente che l’Harry della mia storia è in ritardo di più di un anno. Quando ho cercato di immaginare come si sarebbe comportato Harry dopo la Battaglia, non avevo letto questa frase così precisa sui tempi. Mi sembrava naturale che ci avrebbe messo un po’ a decidere cosa fare della sua vita e su questa base ho inventato e scritto. Evidentemente zia Jo non la pensava così. Ora è tardi per cambiare, ma mi sembrava giusto segnalare che in questo aspetto, la mia storia non è esattamente canon. Mi perdonate? ;)
 
 
 

   
 
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