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Autore: crissi    22/10/2011    10 recensioni
Se Nanny si fosse rifiutata di accondiscendere il generale, andandosene a servizio altrove? Se avesse lasciato Oscar tutta sola a vedersela con l’educazione maschile imposta dal generale, senza che né lei né di conseguenza André, il suo punto fermo, potessero prendersene cura? Se André da piccolo fosse stato adottato da un nobile ed avesse mantenuto il suo carattere posato, ma spiritoso come da ragazzo? Se Victor non avesse dovuto sfidare Oscar diventando il suo innamorato, fedele, solitario vice? Se la bionda avesse scelto di non arruolarsi nella Guardia Reale, ma di ritirarsi ad Arras, arrivando a conoscere prima del tempo le condizioni di vita dei suoi contadini? Se questi due giovani uomini avessero saldato una amicizia ed Oscar ci fosse finita in mezzo? Ovviamente, più monelli, se non un poco libertini, in quanto ancora non conoscono la donna della loro vita, OOC per via delle diverse esperienze in gioventù e dello stato sociale.
“Re del mondo”, come Jack sulla prua del Titanic, quando la gioventù rende invincibili, quasi arroganti nella certezza di potere tutto, esponendosi di conseguenza. Tanti “se”, una sola grande svolta.” Con FAN ART
Genere: Azione, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: * Victor Clemente Girodelle, Alain de Soisson, Altri, André Grandier, Oscar François de Jarjayes
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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I re del mondo cap. 5 parte 1

cap. 5  “… qui Noi siamo i re” parte 1

Parigi, agosto 1760

Con le tempie poggiate alle colonnine della balaustra, quasi incastrato fra i due pezzi di pietra con la testa mora e delicatamente riccioluta,  il bambino guardava la Senna scorrere veloce, tumultuosa dopo una settimana di pioggia incessante.
Osservava le acque di un verde scuro, torbido, spaventoso; poi alzava gli occhi ammirati a tutti i bei palazzi che si affacciavano lungo le sponde e si rispecchiavano, candidi, chiari grazie al sole vivace che filtrava tra le nubi ancora minacciose.
La quiete dopo la tempesta. Cos’altro poteva augurarsi un bimbo di sei anni appena compiuti, orfano e senza averi?
Quella era Parigi. Quella era Parigi!, ripeteva, eccitato, nella sua testina.
Non era mai stato in una città così grande. A dire il vero, neppure in una più piccola.
Quanto chiasso!
Quanta puzza!
Quanta gente!
Nuvolette di vapore si alzavano dalla pavimentazione delle strade, risultato del sole ancora caldo di quel fine agosto sulle pozze formatesi per gli acquazzoni.
Pochi istanti prima, pareva l’inferno visto da Noè; ora tutto si risvegliava alla vita.
Un po’ come quel germoglio di speranza che egli sentiva nel suo cuoricino già troppo provato.
La voce della cugina Claire lo riportò al presente, alla inevitabile realtà.
-    Vieni, André, siamo quasi arrivati alla casa dove presta servizio tua nonna. Sarà contenta di vederti!
Gli tese la mano ed il piccolo gliela prese fiducioso, ma non abbastanza sicuro di ciò che l’aspettava da potersi permettere un sorriso.
“Già. I miei sono morti, per questo sono qui. Sarà contentissima di avermi tra i piedi! Nemmeno la riconoscerei la nonna. Dicono che c’era quando sono nato, ma io mica me la ricordo.”, rifletté .
Arrivarono ad una grande casa con giardino. Curato, fiorito. Il cancelletto in ferro battuto non era chiuso a chiave e loro entrarono. Un giardiniere, abbronzato ed accaldato, si inchinò al loro passaggio e sorrise a Claire, ma non disse loro nulla. André non si meravigliò: tutti gli uomini sorridevano a sua cugina Claire e restavano senza parole.
Arrivati al portoncino d’ingresso,  la ragazza picchiò il battente d’ottone di quella casa immensa mentre André allungava la testa all’indietro per osservare meglio le facce strane incise nella pietra della facciata; dopo pochi istanti, una vecchina dai capelli grigi in abito blu e cuffietta aprì l’uscio.
Sua nonna.
“E così questa è nonna Marron Glacé… Che nome strano. “, pensò il bimbo, soffocato dalle gonne delle due donne che si abbracciavano.
Dopo esclamazioni di benvenuto e frasi di rito con Claire, la piccola donna calò lo sguardo su di lui, uno sguardo severo ma luminoso dietro gli occhialini tondi.
-    E così tu sei il mio André, eh? … Non distrarti mentre ti parlo, giovanotto! – lo riprese per lo sguardo preoccupato lanciato a Claire, la sempre sorridente Claire.
“Sì, è anche una donna strana, forse perfino più del suo nome. Fa anche abbastanza paura. E da adesso abiteremo insieme.”

Marron Glacé, che tutti chiamavano Nanny identificandola con il suo lavoro di governante, li invitò ad accomodarsi nell’anticamera del palazzo e da lì, nelle cucine.
Numerose pentole sbuffavano sulle stufe, con le diverse pietanze che sarebbero state servite a cena da lì ad un paio d’ore.
La nonna corse a verificare lo stato di cottura, velocemente, rimestando il contenuto di una, aggiungendo ingredienti ad un’altra.
-    Sedete, sedete! – esclamò loro – Ho preparato dei biscotti all’uva passa e dovrebbero esser pronti. Giusto in tempo!
Prese una teglia dal forno e riversò il contenuto su di un piatto da portata, per poi metterlo fumante e profumato proprio sotto il naso di André.
-    Una bel semifreddo al cioccolato ci starebbe proprio bene insieme, vero André? – disse piano.
André sorrise. Il primo vero sorriso da mesi. Non aveva idea di cosa fosse un “semifreddo”, ma la parola “cioccolata” lo allettava parecchio. L’aveva assaggiata una sola volta e non ne aveva mai scordato il sapore.
Cominciò a convincersi che la nonna non dovesse poi esser malaccio … Anche se tutti quei mestoli appesi, lo inquietavano un poco.

Terminò il semifreddo: troppo buono! E anche i biscotti: troppo buoni!
Si pulì le mani e la bocca nel tovagliolo di cotone, così come gli aveva insegnato mamma e si accorse che le due donne non facevano molto caso a lui.
La nonna teneva lo sguardo basso, fisso sul grembiule e Claire parlava piano, triste.
Non capiva bene cosa dicessero, ma era certo stessero discorrendo di sua madre.
Quando vide la nonna levarsi gli occhialini e metter mano ad un fazzoletto, pensò di allontanarsi. Era stanco di veder la gente attorno a lui disperarsi.

Scivolò piano dalla sedia e uscì dalla cucina senza che le due se ne accorgessero. Aprì la porta che stava in fondo all’ingresso e sbirciò dentro.
Il mondo che si apriva oltre quella porta era immenso.
Una grossa scala di legno scuro e lucido troneggiava al centro della stanza, niente altro che un ingresso, ma André, abituato alle misere due stanze in cui era cresciuto con mamma, non poteva saperlo. Alla destra udì le voci di Claire e della nonna provenire da un’altra porta che dava su un corridoio, evidentemente un altro ingresso alle cucine. Guardò ancora la scala che così maestosa gli incuteva un poco di paura. Si avvicinò al primo gradino e guardò su, in alto, al soffitto affrescato. Non aveva mai visto nulla di così alto, forse nemmeno la chiesa del suo paese arrivava a quell’altezza. Gli tremarono un poco le ginocchia per le vertigini che immaginò di poter provare se fosse riuscito a salir lassopra. A quel punto venne distratto da un tonfo, qualcosa che era caduto sul legno del pavimento in un’altra stanza. Andò ad affacciarsi ad una porta grandissima, coi vetri come finestre.
Un signore ben vestito, si teneva con la mano sinistra ad un mobile e con il bastone che teneva nella destra, brancolava sotto di questo, borbottando piano. Evidentemente cercava di cavare qualcosa che stava là sotto per mezzo del bastone. Ogni tanto accennava a piegar le ginocchia e subito seguivano dei lamenti conditi con altri borbottii e termini che una volta André aveva sentito provenire dall’interno di una locanda.
Mosse qualche passo e si fermò accanto all’uomo anziano.
-    Avete forse bisogno d’aiuto, signore?
L’uomo lo guardò sorpreso, non avendolo udito arrivare.
-    A dir la verità sì, giovanotto … mi è caduto un oggetto là sotto e non riesco a chinarmi per prenderlo.
Senza che dovesse chiedere, André si inginocchiò sul parquet lucido e allungò una mano sotto il grande cassettone. Brancolò un poco inutilmente, quindi decise di sdraiarsi completamente e di infilare anche la testa oltre alle braccia per raggiungere l’oggetto.
-    Ecco a voi, signore. – disse un istante dopo consegnando la fiaschetta d’argento all’uomo.
-    Grazie, giovanotto. Sei stato molto utile. – lo squadrò un istante, sorpreso da quei grandi occhioni innocenti fissi senza timore su di lui - Posso sapere il tuo nome?
-    Mi chiamo André Grandier, signore. – rispose il bimbo, educatamente e senza esitazioni.
-    Ah, André! Sei forse il nipote di Nanny?
André capì che si riferiva alla nonna. Annuì.
-    Piacere di conoscerti, giovanotto. Sono il Barone di Plessis Bellière e questa è la mia casa.
André fece un inchino, così come gli era stato spiegato da Claire.
-    La sua casa è davvero molto grande, signore.
-    Suppongo lo sia abbastanza, André. – ruotò lo sguardo intorno, provando ad immaginarsi bambino – Sì, credo che dal tuo punto di vista si possa effettivamente definirla così … - mormorò. – Tua nonna?
-    Sta conversando con la cugina Claire.
-    Oh, allora suppongo ne avranno per un bel po’. Tua nonna è una conversatrice … insistente. Se ti va, potrei farti fare un  giro per la casa?
-    Volentieri, signore.
-    Ah, André, la fiaschetta … Ecco, se tua nonna dovesse … Possiamo farne il nostro segreto?
André sorrise: a quanto pareva, nonna incuteva timore anche al barone. Annuì.
-    Bene! Le cucine le hai già viste, questo è lo studio e ora andiamo nel salone da pranzo, quindi nel salone delle feste, quindi nel salottino delle signore …
Di salotto in salotto, André si domandò se ce l’avrebbero fatta in tempo per cena, ma non disse nulla e si limitò a seguire il barone che aveva cominciato a raccontargli la storia della casa e di ogni persona raffigurata nei dipinti alle pareti.
Parlava e gesticolava, camminando piano aiutato dal quel bastone con una testa di leone in argento appena sotto l’impugnatura. Cominciò a raccontargli storie di dame e di avventurieri dei quali, a quanto pareva, il suo albero genealogico era fornitissimo.
Era davvero bravo a raccontare quelle storie. André decise, in quell’istante, che il barone gli piaceva. La sua mamma era brava a raccontare storie e mamma gli era piaciuta tanto.
-    … e qui terminiamo con me, l’ultimo Barone di Plessis Bellière! – esclamò l’uomo, indicando un dipinto  che lo ritraeva con parecchi anni di meno.
Restarono entrambi in silenzio ad osservare il quadro.
-    Già … - mormorò il Barone – I Plessis Bellière finiranno con me, giovanotto. Secoli di storia, avventure, amori …
André sentiva le domande scivolare sulla punta della lingua, ma non poté osare perché, dal piano di sotto udirono la voce squillante di Nanny che chiamava il nipotino.
Il barone sussultò.
-    Svelto, svelto, giovanotto! Prima che tua nonna si alteri ulteriormente!
Lo spinse verso le scale e lo invitò con uno sguardo a non aspettarlo, mentre con cautela e qualche smorfia di dolore, scendeva i gradini.
-    André! dov’eri finito!? – esclamò Nanny con uno sguardo truce. Claire alle sue spalle sorrideva, ma André non ricambiò il sorriso perché constatò che la bella cugina era già in partenza. – Saluta Claire che riparte per tornare a casa sua.
La ragazzina dai bei capelli castani e dagli occhi smeraldini, si chinò, spalancando le braccia. André corse da lei, abbracciandola stretta ai fianchi. Sapeva che forse non l’avrebbe più vista. Non come era stato per sua madre e suo padre, ma era consapevole che ora la sua vita sarebbe stata accanto a sua nonna. Solo, in quella casa enorme … Con due estranei.


Restò sul cancelletto a guardare finché Claire non scomparve alla sua vista. Quindi richiuse e rientrò in cucina, dove la nonna stava collocando le pietanze cucinate nei piatti di portata.
-    Lavati le mani, piccolo, laggiù in quel bacile. E poi siedi e mangia, o si raffredda tutto. Intanto io servo la cena al signor barone.
André obbedì, in silenzio.
La minestra era davvero buona e c’era anche una fetta di arrosto con patate. Carne… Poteva contare sulle sue ditine le volte che ne aveva mangiata. Ma non riusciva a gustare comunque la cena.
C’era troppo silenzio in quella casa e questo permetteva ai tristi pensieri di riaffiorare.
Vide la nonna rientrare e borbottare qualcosa riguardo la sua camera che non aveva ancora preparato. Lo lasciò di nuovo solo. André spazzò il piatto, andò a posarlo nel catino delle stoviglie, vicino alle pentole da lavare.
Uscì nel corridoio che dava sullo scalone e piano piano, andò verso quella che il barone gli aveva indicato come sala da pranzo.
L’uomo era là.  Tutto solo, a capotavola di un enorme tavolo. La tovaglia bianca era ricoperta di argenteria fumante per le pietanze contenute. Il barone aveva un’aria davvero triste e faceva ciò per cui, di tanto in tanto, mamma aveva rimproverato André quando gli riempiva il piatto di cipolle.
“Non si gioca col cibo, André!”, gli diceva.
-    Non è buono?
L’uomo alzò lo sguardo sorpreso. Sorrise. Quel bambino si vedeva quanto non fosse abituato a regole d’etichetta e differenze sociali. Ma non gli dispiaceva questa sua genuinità.
-    No, André, è tutto delizioso. Ma non ho fame.
Il bimbo sgranò gli occhi.
-    Vi fa male la pancia forse?
L’uomo sorrise di nuovo.
-    Vieni qui, André. Aiutami a finire la cena.
Il bimbo avrebbe potuto dire che aveva già cenato, ma, vedendo quanto ben di dio stava su quella tavola, pensò di omettere il particolare.
-    Ti piacciono le fragole?
-    Preferisco le ciliegie, signore, ma per aiutarvi posso mangiare anche fragole.
“Furbo il piccolo …”
-    Ah, André ….
-    A nonna diremo che avete finito tutto voi, signore!
Esclamò prontamente, stringendo le labbra sul frutto più grande che era riuscito ad acciuffare.
Il barone sorrise ancora.
-    Tua nonna è una brava donna, André. Dobbiamo solo stare attenti quando ha un mestolo in mano… - e sorrise strizzandogli l’occhio .

Andrè iniziò a lavorare per il Barone di Plessis Bellière, seguendo le direttive di sua nonna.
Aveva cominciato nelle cucine, aiutando a lavare i piatti, pelare patate, tagliuzzare cipolle e ramazzando il pavimento con uno scopettone più grande di lui.
Sovente il barone lo sottraeva ai suoi doveri di piccolo ometto, per avere la sua assistenza nei suoi giri in carrozza, in città, per affari o dagli amici; a Nanny diceva di aver bisogno del suo aiuto, ma in realtà voleva lui, la compagnia di quel bimbo educato e sveglio.
Ogni giorno la nonna era la prima ad alzarsi, prima ancora che la cameriera e lo stalliere, gli unici due domestici fissi del barone, aprissero gli occhi. D’inverno aspettava che il fuoco nei camini fosse ben vivo, prima di andare a svegliare il suo piccolo. D’estate le cose andavano diversamente: André era molto più entusiasta di fiondarsi fuori dal lettuccio all’alba.
Il sabato mattina, si vestiva velocemente e correva dal lattaio all’angolo a prender la panna e le uova fresche perché una volta a settimana,  nonna gli preparava il semifreddo e lui si divertiva a mangiarlo sulla terrazza, in compagnia del barone, giocando a chi faceva la faccia più buffa succhiando e leccando il cucchiaio.
Alla domenica, accompagnava il barone alla prima messa, perché c’era meno gente, meno dame imbellettate e, una volta terminata la funzione, potevano svicolare scambiando pochi saluti con gli ancora assonnati fedeli. Il resto della mattinata era dedicato alla città, mentre al pomeriggio, quando il signore si ritirava per una pennichella, André si sdraiava nell’erba, fra i fiori del giardino a godersi il sole. La sua era proprio una bella vita, anche se qualche volta si sentiva solo, qualche volta avrebbe desiderato un fratellino o almeno un amico.

La vita in quella casa di persone già più che adulte, poteva risultare piuttosto noiosa per un ragazzino.
Il padrone aveva ritmi precisi e Nanny li rispettava in maniera ferrea.

Solitamente, la nonna serviva in tavola al barone, in silenzio, quindi si ritirava alle sue faccende.
André era molto incuriosito da quegli strani comportamenti che nonna chiamava “etichetta”. Nel villaggio dove aveva sempre vissuto, non aveva visto molti nobili. A Parigi invece erano davvero tanti e anche fra coloro non aristocratici, erano molti quelli che si atteggiavano come tali.
“Gente con soldi.”, li aveva definiti un giorno con acidità il giardiniere, mentre spuntava il glicine arrampicato sul cancelletto e André lo aiutava a raccoglier le ramaglie. Mettendo i fasci potati nella carriola, cominciò a tentare delle proporzioni su chi potesse essere definito “coi soldi”. Il barone gli insegnava a leggere, scrivere e far di conto, ed era il caso di concretizzare quelle nozioni.
-    Monsieur Florent? – esordì rivolto al giardiniere – Se possiedo due vestiti per la festa, sono ricco?
-    No.
-    Vestiti e un cavallo?
-    No.
André si guardò intorno.
-    Vestiti, cavallo e una casa come la vostra?
L’uomo scoppiò in una sincera risata, pensando alla misera stanza in cui viveva giù a Saint Antoine.
-    No, piccolo, temo dovrai ampliare parecchio la tua visione sul mondo per definire il significato di “ricco”!
In quel mentre, una carrozza, molto bella, grande e vistosa, si fermò a pochi passi da loro, proprio davanti la cancellata.
Un valletto in livrea scese dal sellino posteriore e si affrettò ad aprire lo sportello, collocare lo gabellino per agevolare la discesa dalla vettura e porgere aiuto ai passeggeri. 
Ne scesero una dama e alcune ragazzine, cinque. 
Un frusciare caotico di seta, un arcobaleno di piume, fiori e cappellini; dopo un veloce riordinarsi dietro quella che una bimba chiamò “mére”, in silenzio seguirono tutte la bella donna bionda. Il giardiniere si chinò profondamente al loro passaggio e André lo imitò, alzando però lo sguardo sulla bimba in rosa, bionda come tutte, poco più grande di lui, che chiudeva la fila e che lo guardò a sua volta, alzando subito il mento con fare stizzito.

“Gente coi soldi!”, vide che gli sillabava Monsieur Florent, sorridendo e strizzandogli l’occhio.
Fu da allora che André collegò l’aria impettita con il potere economico.
Il valletto picchiò all’uscio e lo sentì dire alla cameriera che la Contessa Jarjayes e le sue figlie erano lì per incontrarsi con Marron Glacé.
“Veramente strano”, pensò il bimbo. Quindi mollò i rametti di glicine e si avviò verso casa, la curiosità a muovere i suoi passi verso il finestrone del salotto principale, col terrazzo rialzato di poco da terra.
Puntò i piedi alla soletta del balcone, si aggrappò alla balaustra di marmo e si mise a sbirciare.
Vide Marron accorrere nella stanza con le mani giunte ed il viso felice, salutare “madame” con una riverenza ed abbracciare una per una le contessine. Subito dopo sua nonna cominciò a piangere e dovette tuffare il nasino a patata in un grande fazzoletto, levandosi gli occhialini.



André aggrappato alla balaustra, mani incrociate sotto il mento, osservava la scena perplesso.
Non aveva mai visto tante donne così benvestite tutte insieme. Nanny le aveva fatte accomodare nel salone grande, col permesso del barone, aveva servito loro del tè coi biscotti ed ora, con la più piccola sulle ginocchia, si stava facendo raccontare di tutto.

La più grande aveva parlato del suo ingresso in società, la più piccola del gattino che le era stato permesso tenere. Il gattino che Oscar aveva portato sul ramo alto di un albero e aveva lasciato là a piangere finché un loro domestico non era andato a recuperarlo.
Aveva detto che Oscar le aveva prese dal generale per quel dispetto, tante e “di santa ragione”. La piccola rimarcò che Oscar faceva sempre dispetti. Le schizzava quando correva a cavallo, aveva rotto la bambola bella che il padre aveva portato da Venezia, ed era impossibile giocarci, perché Oscar voleva sempre fare i suoi giochi “da maschio” , pretendeva ragione anche quando non l’aveva e metteva sempre le mani addosso.

Vide Nanny soffiarsi il naso. Di nuovo.

Chissà chi era questo Oscar così poco simpatico!
-    Che si dice, giovanotto? – la voce del barone lo sorprese. Si mise nella stessa posizione accanto a lui, ma i piedi dell’uomo toccavano terra, mentre quelli di André erano ancora a più di mezzo metro dal suolo. – Stai forse spiando tua nonna, André?
-    Non la capisco. – affermò semplicemente senza tentare di negare - Da quando quella signora con tutte quelle ragazze è arrivata, nonna non fa che piangere. Ride e subito dopo piange.
-    Ah, le donne! André sappi che sono imperscrutabili.
-    Increp…
-    Imperscrutabili. Significa che noi non ci capiremo mai niente.
-    Ah … beh, fa nulla. Tanto non so se ci tengo ad avere a che fare con una femmina
-    Benedetto bimbo… Un giorno ti rammenterò questa sciocchezza che hai detto.
E gli scompigliò i capelli.

- continua con la seconda parte

Ho diviso il capitolo lungo in due parti, perchè così la lettura è più agevole e perchè ... ho tempo di aggiustare la seconda parte! :D
Dovrei riuscire a caricarla entro il fine settimana.
Saluti! : )
   
 
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