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Autore: crissi    23/10/2011    12 recensioni
Se Nanny si fosse rifiutata di accondiscendere il generale, andandosene a servizio altrove? Se avesse lasciato Oscar tutta sola a vedersela con l’educazione maschile imposta dal generale, senza che né lei né di conseguenza André, il suo punto fermo, potessero prendersene cura? Se André da piccolo fosse stato adottato da un nobile ed avesse mantenuto il suo carattere posato, ma spiritoso come da ragazzo? Se Victor non avesse dovuto sfidare Oscar diventando il suo innamorato, fedele, solitario vice? Se la bionda avesse scelto di non arruolarsi nella Guardia Reale, ma di ritirarsi ad Arras, arrivando a conoscere prima del tempo le condizioni di vita dei suoi contadini? Se questi due giovani uomini avessero saldato una amicizia ed Oscar ci fosse finita in mezzo? Ovviamente, più monelli, se non un poco libertini, in quanto ancora non conoscono la donna della loro vita, OOC per via delle diverse esperienze in gioventù e dello stato sociale.
“Re del mondo”, come Jack sulla prua del Titanic, quando la gioventù rende invincibili, quasi arroganti nella certezza di potere tutto, esponendosi di conseguenza. Tanti “se”, una sola grande svolta.” Con FAN ART
Genere: Azione, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: * Victor Clemente Girodelle, Alain de Soisson, Altri, André Grandier, Oscar François de Jarjayes
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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I re del mondo cap. 5 - parte 2
cap. 5  “… qui Noi siamo i re” parte 2


Parigi, caserma della Guardia Francese, sempre quel caldo luglio del 1784


Un soffio di vento caldo gli scompigliò i capelli, riportandolo al presente, lontano dalla sua infanzia, ma il pensiero di quella donna arrogante ed affascinante non lo abbandonava.
André alzò il capo, perdendo lo sguardo fuori da quella finestra.
“Oscar de Jarjayes … “
Sorrise.
“Il piccolo dispettoso Jarjayes … “
Non era mai venuto a far visita a Nanny con madre e sorelle.
“Meglio così”, pensò, “doveva essere tremenda da piccola”.
Col tempo aveva capito il perché delle lacrime che sua nonna versava sentendone parlare. Per Marron Glacé era stato un dolore immenso sapere che quella bimba cresceva convinta di essere un maschio, che il generale aveva persistito nella sua pazzia.
La contessa Jarjayes aveva raccontato che per i primi anni la bimba era stata davvero convinta di esser l’erede del Generale. Si era applicata negli studi riservati ad un giovane rampollo, adorava il padre e lo seguiva ciecamente.
Di tanto in tanto, specie se il generale era lontano, qualcuno aveva osato tentare di dirle la verità. Ma lei si era sempre rifiutata di creder loro ed aveva reagito aumentando i dispetti, scomparendo anche per giorni.
Questo finché la natura non aveva fatto il suo corso e la verità non era più stata occultabile con marachelle e mattane.
Da allora era stato anche peggio. L’amore, il rispetto, l’adorazione che aveva provato per il padre da piccina, si trasformarono in odio e aperta ribellione per le menzogne subite, per sentirsi “lo scherzo” del generale.
Il padre aveva dovuto aprire gli occhi e constatare il proprio fallimento. Ma ormai era tardi per rimediare, tardi per rattoppare.
Oscar non aveva alcuna intenzione di perdere i vantaggi offerti dallo status maschile, ma neppure era più disposta ad accontentare il genitore nei suoi progetti.  E durante una visita, poco prima della morte di Nanny, madame aveva confessato tra le lacrime alla rimpianta tata che, alla fine, erano stati costretti ad allontanare Oscar da palazzo perché la convivenza era diventata intollerabile.
“Attento a ciò che desideri, perché potresti ottenerlo …”
Il generale aveva desiderato un figlio maschio, ed aveva ottenuto una figlia ribelle, ingestibile.


Bussarono.
-    Avanti…
Alain De Soisson entrò ed era stranamente serio.
-    I turni sono stati fissati. Le pattuglie sono già uscite. Il colonnello D’Agout ha preso le consegne e … ci augura una buona serata. Capitano? – lo sollecitò.
André pareva perduto, come il suo sguardo, fisso sul centro della sottostante piazza d’armi, intento ad osservare piccioni.
-    Capitano …? André?
L’amico si scosse e si voltò.
-    Bionda o bruna? – ridacchiò Alain.
-    Fosse così semplice … - mormorò l’ufficiale pensando alla strana donna del laghetto.
-    Devo preoccuparmi?
André si scosse e ridendo portò una mano a grattarsi la nuca.
-    No, tranquillo, non ho intenzione di lasciarti da solo al Palais, stasera!
-    Bene. Per te bene, che ne hai bisogno. Per quanto mi riguarda, potrei benissimo assolvere ai miei ed anche ai tuoi di “doveri di maschio”! – si vantò – Però, passo da casa a salutare mia madre e a gustarmi una cena come si deve, prima.
-    Sì, pure io passo da casa. Ci vediamo al mio portone quando hai finito.
Alain lo salutò con uno sgangherato cenno militare, strizzandogli l’occhio e si defilò.

***

Il vociare per le strade era ancora notevole, ma si sentiva già nell’aria il sollievo che si prova alla fine di una lunga giornata di lavoro.
Il caldo cominciava a scemare un poco, mentre il sole si faceva basso dietro le case.
Lungo il cammino, entrando nel quartiere dove abitava, André incrociò dei vicini, che lo salutarono cordialmente.
-    Ehy, André, che si dice a Versailles? Sua Maestà l’austriaca si diletta ancora con suo cognato? – esclamò il ciabattino all’inizio della strada spalmando di colla puzzolente il cuoio per le suole.
-    Suvvia, Antoine, se anche fosse vero, non lo verrei certo a raccontare ad un pettegolo come te! E poi son certo che i tuoi pettegolezzi di quartiere son migliori di quelli che potrei rivelarti io!
Il calzolaio rise sonoramente, perché effettivamente la vita in quelle strade era assai più movimentata e piccante se raffrontata a quel mortorio abitato da manichini imparruccati.
-    Antoine, non importunare il barone! – esclamò una donna rubiconda da dietro il suo carretto di frutta – Tenete, signore! – disse sorridente allungandogli una mela rossa tra le tante che stava lucidando.
-    Ma è splendida! Sembra levata da un dipinto, Lorette! – l’addentò – Cielo! Ed è anche buonissima! Davvero, Lolò, le tue mele son sempre le migliori! – esclamò allungandole un soldo.
-    Già, è quello che dicono tanti giovanotti! – ridacchiò il calzolaio.
La donna sbottò con un commento sulla quantità di sterco che riusciva ad uscire da quella maledetta boccaccia e l’uomo replicò con un secco “Ma quanto fai pena! Ci provi di continuo con lui!”
André si allontanò sorridendo, poiché sapeva che la loro discussione sarebbe andata avanti per un pezzo, tra accuse e ripicche, ma senza spargimento di sangue e che alla fine, da bravi marito e moglie, avrebbero fatto pace.
Il suo quartiere era così, non ci si annoiava mai.



Il suono di una spinetta si spandeva per la via e si faceva più pulito man mano che si avvicinava a casa.
Arrivò al palazzo dei Plessis Bellière, quell’edificio che da piccolo gli era sembrato la cosa più immensa del mondo e che ora cominciava  a ridimensionare. Aprì il cancelletto che era solo accostato, che non era mai riuscito a riparare a dovere. Le finestre erano aperte, tutte tranne quelle di due stanze al primo piano, le camere di Nanny e del barone. Non aveva bisogno di guardare in su per saperlo.
Lei veniva in quella casa per cambiar aria ai locali, portargli biancheria pulita e suonare quello strumento che lui non toccava mai; ma non aveva le chiavi per aprire quelle due stanze.
La voce delicata, cristallina, si esibiva su note tentennanti, interrompendosi per riprendere su quelle stonate, per ripetere una strofa insoddisfacente, sospirando e prendendo fiato quando questa non riusciva come evidentemente si era prefissata.
André entrò nell’ingresso. Tolse la sciabola dal fianco e la depose sul mobile, insieme al tricorno. Passò la mano tra i capelli sudati, iniziando a slacciare la giubba mentre si avviava verso la stanza da musica.
Il vento caldo gonfiava le tende delle finestre tutte aperte, spazzando via l’odor di chiuso e l’umidità. L’aria che proveniva dalla spinetta era indecisa, ma la musicista ce la stava mettendo tutta.
Gli dava le spalle, seduta sulla panca di velluto verde, circondata dalla nube rosa del vestitino di cotone da ragazzina, coi capelli castani fermati da un nastro. Tutta intenta a seguire uno spartito, mentre le dita ora incerte, ora nervose  tormentavano i tasti bianchi e neri, riprendendo le note sbagliate e la voce canticchiava parole d’amore.
Quella voce, gentile e melodiosa, azzardò una nota troppo alta e stonò miseramente.
-    Devo proprio farla accordare prima che le tue corde vocali si spezzino cantando! – esclamò il giovane.
Diane, la sorellina di Alain, si volse e lo accolse raggiante.
André l’abbracciò, stampandole un bacio sulla fronte, quindi si sedette accanto a lei ed allungò un occhio allo spartito.
-    Ancora una canzone d’amore? – chiese.
-    Sono romantica senza speranza – si giustificò guardandolo intensamente.
-    Senza speranza sono i giovanotti che si consumano per te, bambina. – ridacchiò André strappando un paio di note dai tasti.
Diane  gli si fece più vicina, fissandolo con i grandi occhi nocciola, come un cucciolo smarrito.
-    Non usare il tuo sguardo da cerbiatta con me, ragazzina! – l’avvisò sorridendo.
-    Se ti stanno a cuore i miei spasimanti, perché non fai qualcosa per loro?
La guardò scettico.
-    Sposami, André, così si metteranno il cuore in pace! – disse lei ridendo, ma rivolgendogli un’occhiata seria e speranzosa.
Lui esitò un istante, non era intenzionato  a ferirla.
-    Offerta interessante, piccola mia,- mormorò – ma … no, per me sarai sempre la sorellina di Alain.
-    Ad Alain mica dispiacerebbe averti come cognato … - azzardò.
-    Uhm, ho qualche dubbio che Alain possa trovare piacevole anche solo l’idea di un cognato, ma, credimi, non sono io la tua metà, piccola Diane.
La fanciulla si afflosciò su sé stessa.
-    Non avrò mai la metà della mia mela, con Alain che spaventa qualunque essere maschile tenti solo di sorridermi.
In rafforzamento di quel timore, dalla strada si udì una pesante bestemmia.
-    Diane! Ma porc … Diane! – gridò la voce di un furibondo Soisson - E’ ora di rientrare! André, sposala o rimandala a casa!
I due si guardarono, sospirando, senza nulla da commentare all’evidenza: Alain De Soisson era drammaticamente e senza scampo malato di gelosia fraterna.
-    Ti ho lasciato la biancheria pulita sul letto e qualcosa da mangiare in cucina. – disse lei alzandosi.
-    Grazie per quel che fai per me, Diane.
-    Che dici! Grazie a te, per esser capitato nella nostra vita.
Si chinò a baciarlo sul capo  e si avviò all’uscio.
-    Sto arrivando! – la sentì esclamare per interrompere il borbottio del fratello – Smettila di gridare! Neppure l’arrotino fa tanta cagnara!
L’occhio di André cascò su una battuta del gentiluomo ed una replica della dolce damigella di quel duello amoroso in note, nero su bianco nello spartito nuovo.

Don Giovanni: “Là ci darem la mano, là mi dirai di sì. Vedi, non è lontano: partiam, ben mio, di qui.”
Zerlina: “Vorrei, e non vorrei...mi trema un poco il cor...Felice, è ver, sarei; ma può burlarmi ancor.”(1)

Era così lui? Un uomo che si burla delle donne?
Sapeva chiaramente che non voleva burlarsi di alcuna. Eppure continuava a raccogliere fiori senza l’intenzione di metter radici. Marie glielo aveva fatto notare, senza alcuna recriminazione, senza colpe.
Chiuse lo spartito. Forse era giunto il momento di voltar pagina anche nella sua vita.


**


Un paio d’ore dopo, Alain si era ripresentato a casa Plessis-Bellière, messo a lucido, in abiti civili come l’amico, col panciotto leggermente tirato sul ventre.
-    Credo d’aver esagerato con le patate … - borbottò ad André, una mano posata sullo stomaco gonfio, mentre entrambi si incamminavano verso il centro città.
“Quandomai il contrario”, pensò André.
Serata di piena estate. Il caldo invitava i cittadini a lasciare le case per una fresca passeggiata per le vie della città. C’erano coppie, famiglie, soldati in libera uscita, ragazzotti in libera uscita, fidanzati e mariti ... in uscita controllata.
Di fatto, sotto i portici del Palais Royale si sgomitava.

André scantonava le persone, Alain semplicemente le travolgeva senza degnarsi di chieder scusa. Aveva troppo caldo, lì in mezzo a quella calca, per permettersi di sprecar fiato in buone maniere.
Dietro a loro, Pierre e Lasalle, ricambiavano gli occhieggi di fanciulle sorridenti, professioniste dell’amore.
-    No no no, Lasalle! – borbottò Alain acchiappandolo per il colletto dell’uniforme – Hai voglia di topa, lo posso capire, ma la topa non deve per forza puzzare di fogna! Andiamo ragazzo, non sei più in campagna, qui hai scelta, evita quelle che ti appioppano le piattole! Cerca di aprire gli occhi, usare il naso e pure il cervello. No, nemmeno quella! – esclamò tirandolo ancora – E’ brava, ma ti succhia fino all’ultima moneta!
Nella calca ad André parve di scorgere poco più in là, una sagoma conosciuta, alta, esile, bionda, entrare in un locale sotto i portici, in compagnia di due uomini.
-    Voilà, la casa delle meraviglie! – esclamò Alain davanti all’ingresso del bordello di cui era affezionato cliente, tirandosi su il cavallo dei pantaloni.
-    Io ho voglia di bere. – disse André muovendosi nella direzione opposta a quella puntata dall’amico, verso l’ingresso del café d’artisti all’interno del quale quella sagoma così interessante era scomparsa.
-    Ma no, li ci vanno tutti quei damerini con la puzza sotto il naso dell’università!
-    Se non vuoi, non venire. - Replicò l’altro senza voltarsi né fermarsi.
Pierre e Lasalle guardarono il gigante, quindi senza proferir parola, s’accodarono al capitano.

L’interno era già strapieno. Comitive di ragazzi giovani, per lo più di classe benestante, stavano ai tavoli o al bancone, quasi tutti con un boccale in mano. André cercò con lo sguardo per la sala e ci mise poco ad individuare la folta chioma biondissima. Si era appena accomodata ad un tavolo coi suoi due amici, uno decisamente più giovane. Sembravano in confidenza.
Si appoggiò al bancone e, ostentando indifferenza, si mise a fissarla.
Alain al suo fianco lo osservava perplesso. E, man mano che possibili risposte affioravano alla sua mente, lo sguardo si incupiva e preoccupava.
-    Quindi … biondo??? – disse allarmato da quel guardare insistente dell’amico che pareva davvero uno sguardo innamorato.

In quell’istante lo sguardo di Oscar incrociò quello di André.
Gli abbozzò un saluto ed un sorriso, quindi con un cenno lo invitò ad avvicinarsi.
-    Bene bene bene … - disse Alain al suo fianco, con un tono che indicava l’esatto contrario.  Quindi lo seguì.
-    Che incontro inaspettato!- disse Oscar.  – Barone, permettete che vi presenti i signori Robespierre e Chatelet.
-    André Grandier De Plessis Bellière. - disse con un inchino.
-    Alain de Soisson. E basta. – aggiunse Alain, nonostante nessuno si mostrasse ansioso di conoscerlo.
-    Oscar Françoise de Jarjayes. – si presentò al gigante, il quale alternava occhiate strane al suo amico moro e a lei.
-    Il conte … mi da lezioni … di scherma. – André sentì di doversi giustificare.
Alain azzardò un mezzo sorriso.
-    Sì, certo certo … E sicuramente sei un allievo diligente. – fece sarcastico.
Scostò l’amico, costringendolo a fare un passo indietro e si chinò a fianco di Oscar spostando la sedia vuota accanto a lei, accomodandosi non invitato. Nel chinarsi si fece volutamente vicino alla bionda e ne annusò i capelli.
-    Il tuo insegnante profuma di rose, Grandier – mormorò allusivo senza farsi sentire dagli altri, quando anche André lo imitò sistemandosi tra lui ed il giovane Chatelet.
-    Bene bene, posso osare domandare a lor signori, quale attività conducono nella vita?
-    Sono studente, mentre il signor Robespierre è avvocato. – esordì il ragazzo con aria di superiorità.
Alain acciuffò un boccale di birra dal vassoio di una cameriera di passaggio e gustò un lungo sorso.
-    Sì, beh, questo lo avevo intuito dal vostro parlare forbito, giovanotto, dai modi raffinati e dalla totale mancanza di  calli sulle mani. Intendevo nel dettaglio a quale futuro ambite?
-    A me piacerebbe diventare giornalista, e tu? Cosa vorresti diventare da grande? – lo provocò il giovane con supponenza.
Lasalle e Pierre, alle spalle di Alain, fischiarono in tono allarmato.
-    Bernard … - lo richiamò severamente all’ordine l’uomo seduto dall’altro lato di Oscar.
-    Calmi calmi, stiamo solo facendo conversazione, vero Bernard? … Dunque, per rispondere al tuo quesito, non ho ancora obiettivi definiti, ma di certo so cosa non vorrei mai essere.
Tutti tesero orecchio, mentre André con un filo di preoccupazione cominciava a massaggiarsi le tempie indolenzite dall’ansia.
-    Il re! – esclamò Alain come se fosse la cosa più scontata del mondo. – Andiamo gente, davvero qualcuno vorrebbe essere al suo posto? Chiariamoci … So che non se la passa male sotto certi punti di vista e che la pollastrella austriaca non è da buttare, ma … Come? Le vostre facce esprimono perplessità: non mi credete? Ora vi do una dimostrazione di che significa fare il re.
Si alzò in tutta la sua statura e senza esitare salì in piedi sulla sedia e da lì sul tavolo.
-    Pierre… renditi utile! – ordinò al soldato.
-    Che devo fare capo?
-    Ora tu cominci a passeggiare attorno al tavolo e declami le mie lodi.
-    De… cosa?
-    Mi parli delle mie qualità.
-    E sarebbero?
Alain strappò il cappello dalla testa del soldato e lo colpì con una berrettata sulla fronte.
-     Ehh cavolo! Con tutte le qualità che ho! Comincia col dirmi che sono il migliore degli amici, il più divertente, il più spassoso… Continua, dai!
-    Beh, ecco … - mormorò quello massaggiandosi il capo e cominciando a camminare attorno al tavolo.- Sì, Alain, tu sei un grande!
-    Bene!
-    Sei il migliore a freccette! … - disse, preso da una improvvisa illuminazione riguardo l’amico.
-    Sì, ecco continua!
-    E anche a braccio di ferro nessuno ti batte!
-    Bravo !
-    Poi reggi il vino come nessuno … e, oh,sì, con le signore sei un maestro!
-    Benissimo, stai andando davvero bene!
-    Sei il nostro idolo,  Alain! Sei il nostro capo!
-    Continua! Continua …
-    Senti, Alain, il gioco è divertente, ma mi son stufato …Non possiamo far cambio? Salgo io sul tavolo ora! (3)
-    Ecco, vedi! – esclamò Alain, abbassandosi accosciato all’altezza dello sguardo sorpreso dell’amico, puntandogli un dito in mezzo agli occhi - Hai centrato il punto! Questo è il re!- disse rialzandosi ed  indicando sé stesso sul tavolo -  Se ne sta lì, fermo, sopra tutti, una immobilità noiosa e pretende che lo lodiamo, che ripetiamo all'infinito quanto è grande; ma non possiamo stancarci di farlo? I re son solo capaci di prendere! Stanno lassù, nei loro palazzi e nemmeno sanno quel che realmente pensiamo di loro noi, qui in basso. E quel che è peggio, loro devono proteggersi da tutto, perfino dall’amore! Si fanno le guerre l’un con l’altro, si aspettano che noi combattiamo per loro senza neppure sapere il perché, se non che sono giochi per loro, giochi da re!  Hanno paura di tutto, confondono cani con lupi, costruiscono trappole dove un giorno saranno loro a cadere. Vivono lontani da noi, rinchiusi nei loro castelli, ma Luigi sarà re a Versailles e non sa che quaggiù i veri re siamo noi! (2)
Robespierre accostò la bocca all’orecchio di Oscar.
-    Come vedete mia cara, i tempi sono pronti. Oramai manca poco, molto poco al crollo di questo regime. Le folle sono pronte a sollevarsi. Hanno solo bisogno di una spinta. E quel giorno dovremo essere pronti, preparati, e nei posti giusti.
Oscar annuì con aria complice.
-    Già! Noi! Noi che viviamo la vita, giorno dopo giorno…- continuava Alain, infervorato – Noi! – saltò giù dal tavolo ed abbracciò la  cameriera, tastandole i floridi seni, acchiappando un manrovescio automatico sul viso . – sorrise beffardo massaggiandosi la guancia arrossata – noi…  Che facciamo l’amore, notte dopo notte e ce ne fottiamo della morale, noi che non facciamo del male! Che senso ha vivere, se dobbiamo vivere in ginocchio? Pertanto … – alzò un boccale verso il loro tavolo – questo voglio fare da grande, Bernard: vivere la vita, fregandomene perché, andiamo, alla fine so di non far del male!



Finalmente Alain aveva finito di cantare, ballare, imprecare, blaterare, insultare ed era crollato sul tavolo.
Oramai nella locanda erano rimasti pochi avventori. Lasalle e Pierre si erano ritirati in compagnia di due ragazze: Lasalle con quella “brava” e Pierre con quella con le piattole.  D’altronde, Lasalle aveva bisogno di pratica e Pierre, beh, lui le piattole le aveva già.

Solo loro due erano svegli.
Anche Bernard e Robespierre se ne erano andati, mentre Oscar aveva dichiarato di voler restare ancora un po’.
L’avvocato era rimasto perplesso, evidentemente poco tranquillo all’idea di lasciare l’amica in compagnia di soldati, uno dei quali decisamente alticcio.
-    Sicura che …?
-    Sì. – si era limitata a rispondergli. E Maximilien ormai la conosceva abbastanza da sapere che quel tono era una decisione irremovibile.
-    Se vuoi, posso restare io ancora un po’ – aveva aggiunto Bernard, in piedi dietro a lei, sostenendo lo sguardo su André, mentre le posava una mano al centro della schiena in un modo che il capitano aveva trovato oltremodo irritante. Ma la donna aveva troncato immediatamente la provocazione.
-    Non serve, grazie Bernard.
Si congedarono con un cenno del capo e li lasciarono soli al tavolo con Alain fuori combattimento, addormentato sulle sue braccia conserte.
André le sorrise, tormentando il boccale ancora pieno a metà.
Oscar ricambiò il sorriso e bevve dal proprio, a piccoli sorsi, guardandolo di tanto in tanto con la coda dell’occhio, mentre l’uomo non distoglieva lo sguardo da lei neppure un istante.
Attorno a loro era calato uno strano silenzio, dopo il chiasso che c’era stato qualche ora prima.
Ad interromperlo di tanto in tanto a parte il russare di Alain ed il monologo sommesso di un ubriaco, il tintinnare di boccali che venivano lavati e riposti.
-    Sapete, è buffo che noi ci sia incontrati per sbaglio quel giorno, nella vostra proprietà.  Mia nonna è stata per molti anni al servizio della vostra famiglia.
Oscar scosse il capo, sorpresa e perplessa.
-    Io sono il figlio adottivo del Barone Di Plessis Bellière … - spiegò André – Mia nonna era la vostra governante, Marron Glacé …
Il viso di Oscar si illuminò.
-    Oh, sì, la vecchia governante. Mia madre la ricorda sempre con affetto e così pure le mie sorelle. Io ebbi un maggiordomo personale, mio padre insistette affinché non fossi seguita dal personale che si occupava delle mie sorelle. Come sta vostra nonna?
Lui si strinse nelle spalle.
-    E’ mancata … Da molti anni.
-    Mi spiace. – disse convinta – E …
-    No, nessun altro parente prossimo.

L’oste annunciò l’orario di chiusura.
André rivolse uno sguardo sconsolato all’amico.
-    Ancora una volta mi tocca mettermelo in spalla… Alain, dai muoviti, è ora di andare
Il gigante grugnì un “Mamma, lasciami dormire ancora un po’!” ed entrambi risero.
Che bambinone!
André lo tirò su per la giacca e lo obbligò a passargli il braccio al collo.
Dovette tirarlo su quasi di peso, mentre l’oste reggeva la seggiola affinché non cadesse.
-    Vi do una mano a portarlo fino ai cavalli – si offrì Oscar.
-    Oh, no, non è un problema … Ci sono abituato …
L’oste apri loro la porta, salutandoli con un inchino.
Oscar si sistemò il tricorno sul capo mentre André, realmente abituato a serate come quella, schivando i baci ed abbracci dell’espansivo  ed incontrollato amico, riusciva a farlo salire in groppa al cavallo fulvo.
-     Madamigella Oscar… Non interpretate male l’offerta che sto per farvi, ma … Casa mia è vicina e, se volete approfittare…
Oscar non trattenne la risata.
-    Un po’ difficile non interpretare malamente, signore!
-    Ecco, intendevo che è molto tardi e la vostra residenza è assai lontana da Parigi. Davvero, non dovete aver timore ad accettare la mia ospitalità … - gli sguardi si facevano seri – Vi assicuro che il mio sergente non ha mai avuto di che lamentarsi della mia ospitalità! E che non l’ho mai molestato. – scherzò per stemperare la tensione.
Oscar non gli rispose, se non con un sorriso tirato. Quindi salì in groppa a César.
-    Grazie per l’allettante offerta, signore ma la lunga strada non è un problema … Non ho paura del buio da molto tempo… - disse,  con un ultimo saluto, sfiorando la tesa del cappello ed avviandosi verso Palazzo Jarjayes.
-    E di me? Di me avete paura? – le chiese Andrè improvvisamente.
Oscar sorrise dalla sella e se ne andò senza replicare, vincendo la tentazione di voltarsi a guardarlo.
Ma tra sé pensava: “Sì, perché quando mi guardate mi sento debole e ogni cosa che non sia il vostro sguardo su di me, perde importanza”
E quello sguardo la seguì finché fu possibile e lei scomparve nella notte.

-    Continua : )


1)    Mozart scrisse il “Don Giovanni” qualche anno dopo, nel 1787. Licenza!!! XD
2)    adattamento del testo della canzone “Les rois du monde”
3)    tutta questa scena è un vago ricordo di un film di serie molto “B”, anni 70, credo … Assolutamente non ricordo che film. Era un monologo di Lucifero a proposito di Dio che ho adattato al caso.

   
 
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