Feels so good to be
bad,
Not worth the aftermath, after that,
after that
try to get you back.
(Maroon 5 – Makes me Wonder)
“Mi serve solo un po’ di credito, Frank!”
“Sono mesi che ti faccio del credito, Kevin, mi dispiace. Non posso.”
“E’ solo una dose, per favore! Sono pochi grammi.”, Frank, un omaccione con
folti capelli biondo cenere ed enormi occhiali scuri, scosse il capo in segno
di negazione sollevando una mano.
“Mi dispiace.”, fece per andarsene ma lo bloccai per un braccio.
“Ti prego!”, Frank alzò gli occhi al cielo e attese un istante che continuassi.
“Ti giuro che stavolta andrà bene. Stasera vado a giocare, e me lo sento!
Vincerò, farò un sacco di soldi. Fidati. Ti risarcirò fino all’ultimo
centesimo.”, Frank scoppiò in una risata fragorosa gonfiando il petto dentro al
giubbino di pelle.
“Ho già sentito questa frase un sacco di volte, amico. Abbiamo capito che il
tuo intuito in fatto di gioco non è il massimo. Ci si vede quando avrai un po’
di contante. Ciao.”, detto questo sparì dal pianerottolo lasciando che
richiudessi malamente la porta con un ringhio.
“Bastardo.”, sbuffai tirando un calcio a una delle mie poltrone malmesse. Il
mio appartamento polveroso e decadente non faceva altro che darmi il
voltastomaco. Mi guardai attorno bisbigliando la mia necessità di denaro come
se da dietro un mobile potessi veder magicamente spuntare dei soldi. Non potevo
andare a giocare in quelle condizioni; non senza un centesimo in tasca e
nemmeno una spolverata di coca nelle narici. Non così debole, non così nervoso,
non così spossato.
Dovevo trovare una soluzione. Possibilmente prima di quella sera, in modo da
salvarmi il culo prima di quella giocata così importante. Guardai il mio
riflesso scomposto in uno specchio opaco e frammentato in fondo al corridoio; mi
passai una mano nella barba folta e poi nei capelli unti. “Dovrei darmi una
ripulita.”, pensai nel vedere quel riflesso malmesso di me. Mi sciacquai la
faccia nel lavandino della cucina, poi mi asciugai con la mia maglietta
gualcita, misi su una giacca e decisi di andare a far un giro per schiarirmi le
idee.
Guardando le vetrine lungo la strada, solcando frettolosamente il marciapiede,
alcuni abiti eleganti attiravano la mia attenzione. Giacche di sottile
rifinitura, camicie fini. Tutte cose che fino a qualche anno prima potevo
permettermi, godermi, indossare in occasioni importanti. Ora, riflesso nelle vetrine
che mi separavano da quegli abiti, non vedevo altro che l’immagine di un
barbone. Un tossico, un giocatore d’azzardo consumato e rovinato e impoverito.
Avevo un bell’appartamento. Una bella macchina. Un assegno che ogni mese andava
a colmare abbondantemente il mio conto in banca e che sciupavo e stropicciavo
dietro a donne e piccoli vizi. Poi ero entrato in quel giro; giocavo, sniffavo,
sniffavo, giocavo. Era divertente; in qualche perversa maniera, divertente. E i
quei soldi sul conto, non sparivano più mensilmente, ma settimanalmente. Poi
giornalmente. Infine sembravano persino non arrivare, tanta era la velocità con
cui li bruciavo.
Poi mio padre, il ricco giudice Güttenberg,
aveva detto basta. Stop. Non avrebbe sborsato più un centesimo. E la mia vita
da mantenuto aveva iniziato lentamente a decadere; a sbriciolarsi; frantumarsi;
stropicciarsi. Sgocciolare lungo le pareti di quell’appartamento da cui ero scappato
non potendomi più permettere l’affitto.
Guardai il manichino aldilà della sottile parete di vetro e sospirai. Ora avrei
dovuto adeguarmi a quella vita da pezzente, forse? Ma io ero Kevin Güttenberg. Non uno qualsiasi.
E Kevin Güttenberg non si arrende; non si
accontenta. Aveva passato una vita ad ottenere tutto ciò che voleva. Non poteva
certo finirla qui, no?
Mi sarebbe bastato poco tempo, e avrei trovato una soluzione… Svoltai l’angolo,
e puntai gli occhi dritti davanti a me.
Scrutavo i passanti con quell’aria sospetta che ormai mi aveva impregnato il
viso. Poi, d’un tratto, tra mille volti sconosciuti che mi scivolavano accanto,
ne scorsi uno familiare. Forse solo somigliante. Incredibilmente simile ad un
viso che conoscevo. Una testa inusualmente rossa come il fuoco, china sulla
propria borsa, nell’intenta ricerca di qualcosa di imprecisato. Assottigliai lo
sguardo. Doveva essere lei. Era lei.
Poi la rossa sollevò lo sguardo, si tirò sul capo gli occhiali da sole e lasciò
intravedere due enormi pozze azzurre contornate da ciglia scure. Enormi occhi
blu che non riuscii davvero a confondere. Roxanne Lehmann.
Scattò qualcosa nella mia testa. Ma fu istantaneo, come fare due più due. Mi
strinsi di più nella giacca e mi accostai al muro aspettando che Roxy muovesse
ancora qualche passo. Aspettando che facesse qualcosa. Per vedere se i suoi movimenti
erano come li ricordavo, per ottenere l’ennesima conferma e ripetermi
ulteriormente nella testa: “E’ lei”.
Poi Roxy riprese a camminare; quelle gambe così sottili non potevano che essere
le sue. Raccolse i capelli con le mani e li portò da un lato, quel gesto
casuale che però la segnò come un marchio di fabbrica. Attesi paziente che mi
sorpassasse. Mi passò davanti senza notarmi. La lasciai camminare per alcuni
metri seguendola solo con lo sguardo. Poi, come di riflesso, le mie gambe
iniziarono a percorrere il tragitto segnato dai miei occhi e da quelle gambe
bianchissime che ancheggiavano poco più avanti.
Un sorriso amaro dipinse sulle mie labbra l’obliqua immagine della vendetta.
***
Roxy percorse il marciapiede fino ad
un incrocio. Attese paziente al semaforo, Kevin pochi passi dietro di lei.
Attese con calma che l’omino da rosso diventasse verde, poi finalmente
attraversò. L’uomo continuò a seguirla fin quando questa non si arrestò davanti
ad un palazzo, frugò nella borsa tirando fuori un mazzo di chiavi e si infilò
nel portone. Kevin si fermò pochi metri prima e attese alcuni minuti seduto su
una panchina. Un quarto d’ora dopo si infilò nel palazzo assieme ad una
vecchina che aveva sbadatamente lasciato il portone aperto. Percorse quattro
piani controllando su ogni etichetta accanto al campanello se fosse casa di
Roxy. Quando finalmente lesse “Lehmann” sulla piccola incisione dorata, colpì
la porta due volte con il pugno chiuso. Passarono pochi secondi e la porta si
spalancò su una Roxy adulta, diversa, con lunghi capelli rossi ma la stessa
pelle bianca e gli occhi blu come il cielo. Rimasero a guardarsi per un istante
in silenzio, poi lei schiuse a malapena le labbra. “Prego?”, bisbigliò,
vagamente confusa. Kevin mosse un passo verso di lei poggiando il palmo della
mano allo stipite della porta. Gli bastò abbozzare un sorriso per fare un po’
di chiarezza in quegli occhi confusamente blu. “Kevin…!”, fu l’unica parola che
riuscì a fuggire, nel panico, dalle labbra di Roxy.
“Ciao, tesoro.”, lui che non faceva altro che avanzare di qualche millimetro. E
lei, il respiro inesistente, impietrita.
“Che… che ci fai qui? Io credevo che tu… che…”, balbettò in preda all’ansia.
“Che fossi morto, forse? Oh, giusto. Certo, che sciocco.”, scosse il capo con
fare sbadato. “Ovvio che lo credevi. Sai, qualcuno
mi ha spedito giù da una rampa di scale un po’ di anni fa. Ventisette
punti, leggero trauma cranico e tre costole rotte. Un buon risultato per una
della tua taglia, non credi?”, la schernì, facendosi prepotentemente spazio tra
il suo corpo esile e la porta e infilandosi nell’appartamento. Le parole non
riuscivano davvero ad uscire dalle labbra affannate di Roxanne. Avrebbe solo
voluto che quel rifiuto umano sparisse dalla sua vista non appena avesse
riaperto gli occhi, che si ostinava a tenere chiusi. Kevin si muoveva a falcate
sicure per tutto l’appartamento, seguito da una silenziosissima Roxy. “Ci vuole
molto di più di un salto giù da venti gradini per far fuori un Güttenberg.”, ghignò. “Ti sta bene quel colore di capelli.”
“Che diavolo ci fai qui?”, si fece finalmente coraggio la rossa, richiudendo
violentemente il frigorifero che l’uomo aveva spalancato prendendosi una birra.
“Visita di cortesia.”, si strinse nelle spalle. “E’ carino qui.”
“Sparisci.”
“Davvero, un bell’appartamento.”
“Come sei arrivato qui? Chi ti ha dato il mio indirizzo?”, ringhiò lei, le
braccia incrociate al petto e gli occhi fissi su Kevin, accomodato su una
poltrona. Sotto quelle strane vesti da barbone di periferia, conservava ancora
quel certo portamento nobile e viziato e quella camminata elegante che nemmeno
una gamba rotta avrebbe potuto cancellargli di dosso.
“Ti ho seguita. Ti ho vista qui sotto e ho guardato in che palazzo entravi.”,
rispose con candore.
“Dio, guarda come sei ridotto.”, bisbigliò Roxy. Kevin si alzò bruscamente in
piedi dopo aver poggiato la lattina di birra a terra.
“Come sono ridotto, Roxy? Male, vero? Sembro un pezzente?”, le si parò a un
centimetro dalla faccia. Lei trattenne il respiro; poteva sentire il suo fiato
che sapeva di birra.
“Sì. Ma quello lo sei sempre stato.”, berciò la rossa, spingendolo via.
“Oh, che strano. Mi sembra di ricordare diversamente.”, lei gli rivolse
un’occhiata fredda. “Mi sembrava che ti piacessero i miei soldi, eh Roxy? Ti
piacevano, vero?”
“Ma che stai dicendo?”
“Non è forse per questo che mi scopavi? Non per i miei soldi?”
“No, ti scopavo, come dici tu, perché
una volta eri una persona. A differenza di ora che sei solo un sacco di
rifiuti. Guardati. Guardati. Fai schifo. Cos’altro vuoi da me? Non ti sei preso
già abbastanza?”
“Cosa mi sarei preso, Roxy? La tua verginità? Me ne sono prese tante altre,
sai?”
“Ti sei preso la mia vita. La mia intera vita, ecco cosa!”, urlò.
“Già. E sai perfettamente che se volessi potrei riprendermela anche adesso.”,
la spinse violentemente contro il muro, di getto. Lasciò scivolare le mani
lungo le gambe fino a risalire sotto il vestito.
“Lasciami!”, strillò la rossa. Lui spinse le mani ancora più su mentre lei
cercava inutilmente di dimenarsi. Poi di colpo si bloccò, si scansò e scoppiò
in una fragorosa risata. Lei rimase basita; si sistemò l’abito, tirandolo giù e
lo guardò con occhi spaventati.
“Paura, eh?”, rise lui. Lei continuava a guardarlo scompostamente,
terrorizzata. “E dov’è il tuo cavaliere? Dov’è Tom? Non c’è più a difenderti?”
“Non mettere in mezzo Tom.”
“Il tuo salvatore. Il tuo grande amore. E la piccola Cassie? Dov’è la mia
bambina?”, riprese a camminare per l’appartamento spalancando tutte le porte
delle stanze. “Cassie? Cassie? Dove sei? Vieni dal tuo papà.”, schioccava la
lingua come se stesse chiamando un gatto. Roxy lo fissava inerme, poggiata a
quella parete quasi fosse priva di forze. “Ma non c’è. Dov’è la piccola Cassie?
E’ con il tuo Tom?”, indagò sadico, sollevandole il mento con due dita.
“Non ti importa dov’è Cassie. Non deve importarti.”
“Ma io voglio vedere la mia bambina. La voglio prendere in braccio, ci voglio
giocare… voglio recuperare il tempo perso.”
“Già.”, lo scansò lei. “Peccato che la tua bambina ha diciotto anni, ormai. E
da ben quattordici anni non vive più con me.”, Kevin si voltò a guardarla
basito.
“Oh, giusto. Giusto. L’adozione.”, Roxanne non rispose e gli rivolse le spalle.
“L’avevi mollata a quei ricconi. Ti piace proprio la gente con i soldi. E
dimmi, Tom aveva più soldi di me?”
“Smettila.”
“E ti scopava meglio di me? Dimmelo!”, Roxy tacque per degli attimi. Come per
raccogliere tutte le energie possibili per reagire. O forse solo per evitarlo.
“Credo che dovresti andartene.”
“Sei una puttana, Roxanne. Lo sei sempre stata.”
“Devi andare via.”
“Ti sei fatta mettere incinta a quindici anni.”
“…da uno stronzo che poi è scappato, già. Me lo ricordo anch’io.”, Roxy andò
verso la porta e la spalancò. “Credo proprio che tu debba andare. Ti accompagno
all’uscita.”
“Non ce n’è bisogno, credo di sapere la strada.”, solcò il pianerottolo facendole
solo un cenno con la mano.
“Sai una cosa Kevin?”, aggiunse lei un istante prima che lui potesse scendere
il primo gradino e lei richiudere la porta con un tonfo sordo. “No. Non credevo
fossi morto. Ma non sai quanto l’avrei voluto.”
***
“Allora, quindi. In questa borsa ci sono i vestiti. Mi raccomando coprilo bene
se è freddo! Poi, qui in questa busta invece ho portato tutto quello che deve
mangiare. Quindi, ricapitolando: non dargli per nessun motivo al mondo cereali,
cioccolato, nulla in cui ci siano farine e evita il più possibile i cibi
precotti. Qui per la colazione ci sono i biscotti senza glutine e se ti venisse
voglia di preparare qualcosa a base di farina, qualsiasi cosa, ricordati di prendere
quella di mais che…”
“…che non contiene glutine ed è qui nella busta. Sì, ho capito.”, risi.
“Tom, mi raccomando. Sta’ attento a cosa mangia. Dagli solo tutto quello che è
in queste buste. Nella sua bocca non dovrà entrare nemmeno una briciola di
quello che si trova in questa casa e al di fuori di quelle due buste. Mi
raccomando.”
“Tesoro, credo che Tom abbia capito.”, intervenne in mio soccorso Gustav.
“Prometto che in questa settimana questo posto sarà un paradiso per celiaci.”,
mi poggiai una mano sul cuore. “Non si mangerà nulla che contenga glutine. Il
glutine resterà fuori da quella porta e metterò dei cani ad impedirgli di
entrare.”
“Tom, ti prego, non scherzare. Non è una stupidaggine!”, piagnucolò Alice. Le
misi le mani sulle spalle.
“Stai tranquilla. Adesso tu lascerai Alain qui con lo zio Tom, uscirai da
quella porta, ti metterai a sedere in macchina, Gustav guiderà fino
all’aeroporto, prenderai un aereo per Santorini e ti godrai questa vacanza con
tutta la calma del mondo. D’accordo?”, Alice si strinse nelle spalle.
“Va bene.”, si arrese con un sorriso. Poi si chinò sul piccolo Alain che era
corso nella sua direzione. “Ciao tesoro. La mamma torna presto. Fai il bravo e
non far arrabbiare lo zio Tom.”, il biondino annuì e abbracciò sua madre che
gli stampò un bacio sulla fronte, poi corse da Gustav che lo prese in braccio.
“Ciao scheggia. Mi raccomando, fa’ il bravo.”
“Sì papà. Tornate presto però.”, Alain si aggrappò più forte a suo padre.
“Subito, piccolo.”, poi anche Gustav gli baciò la guancia e lo fece scendere.
“Ciao amore!”, lo strinse di nuovo Alice.
“Ciao mamma, ciao papà.”, sventolò una manina in aria il piccolo mentre
stringeva l’altra nella mia. I due genitori varcarono la porta salutando
affettuosamente. Alice proseguì verso la macchina e Alain le corse dietro.
Gustav si soffermò un istante in più sulla porta mentre gli altri due membri
della piccola famiglia si scambiavano gli ultimi saluti prima di lasciarsi.
“Grazie, amico.”, mi disse, mollandomi una pacca amichevole.
“Figurati. E’ un piacere avere un piccolo Schäfer per casa. In
piccole dosi, ovviamente.”, gli sorrisi.
“Ti porterò un souvenir come ringraziamento per esserti immedesimato nel ruolo
di baby-sitter con così poco preavviso.”, ridacchiò il biondo.
“Non bastano i 50 euro l’ora che mi ha promesso Alice?”
“Quali 50 euro?”, sollevò un sopracciglio l’ex batterista. Scoppiai a ridere e
gli colpii affettuosamente la spalla.
“Sto scherzando.”, anche lui si lasciò andare in una risata.
“Ciao Tom. Occhio al nemico glutine.”
“Metterò dei cecchini sulla porta pronti a fermarlo.”, Gustav rise e mi salutò
sventolando una mano, prima di incamminarsi verso la sua auto parcheggiata sul
vialetto. “Buon viaggio.”, gli gridammo io e il piccolo Alain fermi sulla porta
mentre l’Audi nera spariva oltre le sbarre del cancello e la coppia
sventolavano le mani dal finestrino. “Allora?”, chiesi, rivolgendomi al
biondino fermo al mio fianco. “Dove l’ha parcheggiata quest’astronave, Capitan
Klaus?”
ECCOCIIIIIIIII!
Sì, lo so che vi sembrerà di avere un miraggio, perché è particolarmente
incredibile che io sia qui con un capitolo (e credetemi che ne sono sorpresa
anche io) ma… ma… eppure… nonostante tutto…. ECCOLO!!!! **
Mea culpa, mea culpa. Vi giuro che questo ritardo è stato causato da una serie
di buoni motivi come a) carenza di ispirazione e b) mancanza assoluta di tempo.
Con la scuola non riesco a respirare un secondo e questo capitolo è stato
praticamente partorito in due giorni dopo averne scritti alcuni pezzetti qua e
là in ritagli di tempo!
Però adesso il capitolo c’è ed è questo l’importante. Questo sarà un breve
Spazio Autrice che vi dedicherò prima di tuffarmi di nuovo nello studio T_T
Quindi. Ringraziamenti.
Vabbé, i soliti u.u
Ovviamente a Memy e Nat, le
mie affezionate <3 e a EliBeke, il mio sostegno morale sempre presente e che
si fa in quattro per sostenermi **
Pooooi, passiamo al capitolo.
Ebbene sì! Roxy è tornata J La nostra paladina, la nostra protagonista, il nostro
fulcro è tornata sulla scena suscitando (come al solito) non poco scalpore. E
chi doveva accalappiarsi quella lì, nella sua prima comparsata? Ovviamente, con
la fortuna che si ritrova, chi meglio di Kevin?
Credevate fosse sparito eh u.u E INVECE NO!!!
Anzi, è tornato più cattivo, corrotto e maledetto che mai. Cosa vorrà questa
volta?
E per quanto riguarda la coppia più bella del mondo <3 (Alice e Gusty), li vediamo concedersi un bel viaggetto romantico
verso la Grecia in cui chissà quali sviluppi ci saranno!! E a chi lasciare il
piccolo Alain se non al Kaulitz n.1? Mai baby-sitter fu più azzeccato…
Vedremo cosa succederà in questa breve convivenza tra i due! J
Detto questo, spero che il capitolo vi sia piaciuto e che ne attendiate con
ansia un altro.
Capitan Klaus vi saluta.
Un abbraccio,
=Alice=