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Autore: KymLYCANTHROPE    23/10/2011    3 recensioni
“Ciao.”, la sua voce, improvvisamente vicina, mi fece sobbalzare nonostante sapessi che stesse per arrivare. […]
“Ciao.”, risposi, pacata e nervosa allo stesso tempo.[…] “E’ libero qui?”, aggiunse, forse si corresse, dopo un istante, ed indicò con il mento la poltroncina accanto alla mia.
“Sì. Certo, sì, è libero.” […]
Si mise comodo sulla poltroncina e intrecciò le dita in grembo, allargò le gambe e mi fissò con un sorriso obliquo e il suo imbarazzo sembrò svanire. Sul suo viso da pseudo ventenne comparve un’aria sicura.
“Come mai qui?”, mi chiese, spostando gli occhi dal mio viso alle mie scarpe.
“Sono ad una festa.”, risposi. “Un compleanno. E tu?”
“Un addio al celibato.”, scrollò appena le spalle larghe. Restammo in silenzio per alcuni attimi. “Cassandra, giusto?”
“Cassandra? Cosa? Ah, il mio nome. Sì, sì mi chiamo Cassandra.”
C’era qualcosa, nel modo di guardarmi che quell’uomo aveva, che mi lasciava perplessa. Non riuscivo a capirlo. Come se lo conoscessi; come se in passato, o forse in un’altra vita, avessimo avuto qualcosa a che vedere l’uno con l’altra.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bill Kaulitz, Georg Listing, Gustav Schäfer, Tom Kaulitz, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Feels so good to be bad,
Not worth the aftermath, after that,
after that
try to get you back.
(Maroon 5 – Makes me Wonder)

 

“Mi serve solo un po’ di credito, Frank!”
“Sono mesi che ti faccio del credito, Kevin, mi dispiace. Non posso.”
“E’ solo una dose, per favore! Sono pochi grammi.”, Frank, un omaccione con folti capelli biondo cenere ed enormi occhiali scuri, scosse il capo in segno di negazione sollevando una mano.
“Mi dispiace.”, fece per andarsene ma lo bloccai per un braccio.
“Ti prego!”, Frank alzò gli occhi al cielo e attese un istante che continuassi. “Ti giuro che stavolta andrà bene. Stasera vado a giocare, e me lo sento! Vincerò, farò un sacco di soldi. Fidati. Ti risarcirò fino all’ultimo centesimo.”, Frank scoppiò in una risata fragorosa gonfiando il petto dentro al giubbino di pelle.
“Ho già sentito questa frase un sacco di volte, amico. Abbiamo capito che il tuo intuito in fatto di gioco non è il massimo. Ci si vede quando avrai un po’ di contante. Ciao.”, detto questo sparì dal pianerottolo lasciando che richiudessi malamente la porta con un ringhio.
“Bastardo.”, sbuffai tirando un calcio a una delle mie poltrone malmesse. Il mio appartamento polveroso e decadente non faceva altro che darmi il voltastomaco. Mi guardai attorno bisbigliando la mia necessità di denaro come se da dietro un mobile potessi veder magicamente spuntare dei soldi. Non potevo andare a giocare in quelle condizioni; non senza un centesimo in tasca e nemmeno una spolverata di coca nelle narici. Non così debole, non così nervoso, non così spossato.
Dovevo trovare una soluzione. Possibilmente prima di quella sera, in modo da salvarmi il culo prima di quella giocata così importante. Guardai il mio riflesso scomposto in uno specchio opaco e frammentato in fondo al corridoio; mi passai una mano nella barba folta e poi nei capelli unti. “Dovrei darmi una ripulita.”, pensai nel vedere quel riflesso malmesso di me. Mi sciacquai la faccia nel lavandino della cucina, poi mi asciugai con la mia maglietta gualcita, misi su una giacca e decisi di andare a far un giro per schiarirmi le idee.
Guardando le vetrine lungo la strada, solcando frettolosamente il marciapiede, alcuni abiti eleganti attiravano la mia attenzione. Giacche di sottile rifinitura, camicie fini. Tutte cose che fino a qualche anno prima potevo permettermi, godermi, indossare in occasioni importanti. Ora, riflesso nelle vetrine che mi separavano da quegli abiti, non vedevo altro che l’immagine di un barbone. Un tossico, un giocatore d’azzardo consumato e rovinato e impoverito.
Avevo un bell’appartamento. Una bella macchina. Un assegno che ogni mese andava a colmare abbondantemente il mio conto in banca e che sciupavo e stropicciavo dietro a donne e piccoli vizi. Poi ero entrato in quel giro; giocavo, sniffavo, sniffavo, giocavo. Era divertente; in qualche perversa maniera, divertente. E i quei soldi sul conto, non sparivano più mensilmente, ma settimanalmente. Poi giornalmente. Infine sembravano persino non arrivare, tanta era la velocità con cui li bruciavo.
Poi mio padre, il ricco giudice G
üttenberg, aveva detto basta. Stop. Non avrebbe sborsato più un centesimo. E la mia vita da mantenuto aveva iniziato lentamente a decadere; a sbriciolarsi; frantumarsi; stropicciarsi. Sgocciolare lungo le pareti di quell’appartamento da cui ero scappato non potendomi più permettere l’affitto.
Guardai il manichino aldilà della sottile parete di vetro e sospirai. Ora avrei dovuto adeguarmi a quella vita da pezzente, forse? Ma io ero Kevin G
üttenberg. Non uno qualsiasi.
E Kevin G
üttenberg non si arrende; non si accontenta. Aveva passato una vita ad ottenere tutto ciò che voleva. Non poteva certo finirla qui, no?
Mi sarebbe bastato poco tempo, e avrei trovato una soluzione… Svoltai l’angolo, e puntai gli occhi dritti davanti a me.
Scrutavo i passanti con quell’aria sospetta che ormai mi aveva impregnato il viso. Poi, d’un tratto, tra mille volti sconosciuti che mi scivolavano accanto, ne scorsi uno familiare. Forse solo somigliante. Incredibilmente simile ad un viso che conoscevo. Una testa inusualmente rossa come il fuoco, china sulla propria borsa, nell’intenta ricerca di qualcosa di imprecisato. Assottigliai lo sguardo. Doveva essere lei. Era lei.
Poi la rossa sollevò lo sguardo, si tirò sul capo gli occhiali da sole e lasciò intravedere due enormi pozze azzurre contornate da ciglia scure. Enormi occhi blu che non riuscii davvero a confondere. Roxanne Lehmann.
Scattò qualcosa nella mia testa. Ma fu istantaneo, come fare due più due. Mi strinsi di più nella giacca e mi accostai al muro aspettando che Roxy muovesse ancora qualche passo. Aspettando che facesse qualcosa. Per vedere se i suoi movimenti erano come li ricordavo, per ottenere l’ennesima conferma e ripetermi ulteriormente nella testa: “E’ lei”.
Poi Roxy riprese a camminare; quelle gambe così sottili non potevano che essere le sue. Raccolse i capelli con le mani e li portò da un lato, quel gesto casuale che però la segnò come un marchio di fabbrica. Attesi paziente che mi sorpassasse. Mi passò davanti senza notarmi. La lasciai camminare per alcuni metri seguendola solo con lo sguardo. Poi, come di riflesso, le mie gambe iniziarono a percorrere il tragitto segnato dai miei occhi e da quelle gambe bianchissime che ancheggiavano poco più avanti.
Un sorriso amaro dipinse sulle mie labbra l’obliqua immagine della vendetta.

***

Roxy percorse il marciapiede fino ad un incrocio. Attese paziente al semaforo, Kevin pochi passi dietro di lei. Attese con calma che l’omino da rosso diventasse verde, poi finalmente attraversò. L’uomo continuò a seguirla fin quando questa non si arrestò davanti ad un palazzo, frugò nella borsa tirando fuori un mazzo di chiavi e si infilò nel portone. Kevin si fermò pochi metri prima e attese alcuni minuti seduto su una panchina. Un quarto d’ora dopo si infilò nel palazzo assieme ad una vecchina che aveva sbadatamente lasciato il portone aperto. Percorse quattro piani controllando su ogni etichetta accanto al campanello se fosse casa di Roxy. Quando finalmente lesse “Lehmann” sulla piccola incisione dorata, colpì la porta due volte con il pugno chiuso. Passarono pochi secondi e la porta si spalancò su una Roxy adulta, diversa, con lunghi capelli rossi ma la stessa pelle bianca e gli occhi blu come il cielo. Rimasero a guardarsi per un istante in silenzio, poi lei schiuse a malapena le labbra. “Prego?”, bisbigliò, vagamente confusa. Kevin mosse un passo verso di lei poggiando il palmo della mano allo stipite della porta. Gli bastò abbozzare un sorriso per fare un po’ di chiarezza in quegli occhi confusamente blu. “Kevin…!”, fu l’unica parola che riuscì a fuggire, nel panico, dalle labbra di Roxy.
“Ciao, tesoro.”, lui che non faceva altro che avanzare di qualche millimetro. E lei, il respiro inesistente, impietrita.
“Che… che ci fai qui? Io credevo che tu… che…”, balbettò in preda all’ansia.
“Che fossi morto, forse? Oh, giusto. Certo, che sciocco.”, scosse il capo con fare sbadato. “Ovvio che lo credevi. Sai, qualcuno mi ha spedito giù da una rampa di scale un po’ di anni fa. Ventisette punti, leggero trauma cranico e tre costole rotte. Un buon risultato per una della tua taglia, non credi?”, la schernì, facendosi prepotentemente spazio tra il suo corpo esile e la porta e infilandosi nell’appartamento. Le parole non riuscivano davvero ad uscire dalle labbra affannate di Roxanne. Avrebbe solo voluto che quel rifiuto umano sparisse dalla sua vista non appena avesse riaperto gli occhi, che si ostinava a tenere chiusi. Kevin si muoveva a falcate sicure per tutto l’appartamento, seguito da una silenziosissima Roxy. “Ci vuole molto di più di un salto giù da venti gradini per far fuori un G
üttenberg.”, ghignò. “Ti sta bene quel colore di capelli.”
“Che diavolo ci fai qui?”, si fece finalmente coraggio la rossa, richiudendo violentemente il frigorifero che l’uomo aveva spalancato prendendosi una birra.
“Visita di cortesia.”, si strinse nelle spalle. “E’ carino qui.”
“Sparisci.”
“Davvero, un bell’appartamento.”
“Come sei arrivato qui? Chi ti ha dato il mio indirizzo?”, ringhiò lei, le braccia incrociate al petto e gli occhi fissi su Kevin, accomodato su una poltrona. Sotto quelle strane vesti da barbone di periferia, conservava ancora quel certo portamento nobile e viziato e quella camminata elegante che nemmeno una gamba rotta avrebbe potuto cancellargli di dosso.
“Ti ho seguita. Ti ho vista qui sotto e ho guardato in che palazzo entravi.”, rispose con candore.
“Dio, guarda come sei ridotto.”, bisbigliò Roxy. Kevin si alzò bruscamente in piedi dopo aver poggiato la lattina di birra a terra.
“Come sono ridotto, Roxy? Male, vero? Sembro un pezzente?”, le si parò a un centimetro dalla faccia. Lei trattenne il respiro; poteva sentire il suo fiato che sapeva di birra.
“Sì. Ma quello lo sei sempre stato.”, berciò la rossa, spingendolo via.
“Oh, che strano. Mi sembra di ricordare diversamente.”, lei gli rivolse un’occhiata fredda. “Mi sembrava che ti piacessero i miei soldi, eh Roxy? Ti piacevano, vero?”
“Ma che stai dicendo?”
“Non è forse per questo che mi scopavi? Non per i miei soldi?”
“No, ti scopavo, come dici tu, perché una volta eri una persona. A differenza di ora che sei solo un sacco di rifiuti. Guardati. Guardati. Fai schifo. Cos’altro vuoi da me? Non ti sei preso già abbastanza?”
“Cosa mi sarei preso, Roxy? La tua verginità? Me ne sono prese tante altre, sai?”
“Ti sei preso la mia vita. La mia intera vita, ecco cosa!”, urlò.
“Già. E sai perfettamente che se volessi potrei riprendermela anche adesso.”, la spinse violentemente contro il muro, di getto. Lasciò scivolare le mani lungo le gambe fino a risalire sotto il vestito.
“Lasciami!”, strillò la rossa. Lui spinse le mani ancora più su mentre lei cercava inutilmente di dimenarsi. Poi di colpo si bloccò, si scansò e scoppiò in una fragorosa risata. Lei rimase basita; si sistemò l’abito, tirandolo giù e lo guardò con occhi spaventati.
“Paura, eh?”, rise lui. Lei continuava a guardarlo scompostamente, terrorizzata. “E dov’è il tuo cavaliere? Dov’è Tom? Non c’è più a difenderti?”
“Non mettere in mezzo Tom.”
“Il tuo salvatore. Il tuo grande amore. E la piccola Cassie? Dov’è la mia bambina?”, riprese a camminare per l’appartamento spalancando tutte le porte delle stanze. “Cassie? Cassie? Dove sei? Vieni dal tuo papà.”, schioccava la lingua come se stesse chiamando un gatto. Roxy lo fissava inerme, poggiata a quella parete quasi fosse priva di forze. “Ma non c’è. Dov’è la piccola Cassie? E’ con il tuo Tom?”, indagò sadico, sollevandole il mento con due dita.
“Non ti importa dov’è Cassie. Non deve importarti.”
“Ma io voglio vedere la mia bambina. La voglio prendere in braccio, ci voglio giocare… voglio recuperare il tempo perso.”
“Già.”, lo scansò lei. “Peccato che la tua bambina ha diciotto anni, ormai. E da ben quattordici anni non vive più con me.”, Kevin si voltò a guardarla basito.
“Oh, giusto. Giusto. L’adozione.”, Roxanne non rispose e gli rivolse le spalle. “L’avevi mollata a quei ricconi. Ti piace proprio la gente con i soldi. E dimmi, Tom aveva più soldi di me?”
“Smettila.”
“E ti scopava meglio di me? Dimmelo!”, Roxy tacque per degli attimi. Come per raccogliere tutte le energie possibili per reagire. O forse solo per evitarlo.
“Credo che dovresti andartene.”
“Sei una puttana, Roxanne. Lo sei sempre stata.”
“Devi andare via.”
“Ti sei fatta mettere incinta a quindici anni.”
“…da uno stronzo che poi è scappato, già. Me lo ricordo anch’io.”, Roxy andò verso la porta e la spalancò. “Credo proprio che tu debba andare. Ti accompagno all’uscita.”
“Non ce n’è bisogno, credo di sapere la strada.”, solcò il pianerottolo facendole solo un cenno con la mano.
“Sai una cosa Kevin?”, aggiunse lei un istante prima che lui potesse scendere il primo gradino e lei richiudere la porta con un tonfo sordo. “No. Non credevo fossi morto. Ma non sai quanto l’avrei voluto.”


***


“Allora, quindi. In questa borsa ci sono i vestiti. Mi raccomando coprilo bene se è freddo! Poi, qui in questa busta invece ho portato tutto quello che deve mangiare. Quindi, ricapitolando: non dargli per nessun motivo al mondo cereali, cioccolato, nulla in cui ci siano farine e evita il più possibile i cibi precotti. Qui per la colazione ci sono i biscotti senza glutine e se ti venisse voglia di preparare qualcosa a base di farina, qualsiasi cosa, ricordati di prendere quella di mais che…”
“…che non contiene glutine ed è qui nella busta. Sì, ho capito.”, risi.
“Tom, mi raccomando. Sta’ attento a cosa mangia. Dagli solo tutto quello che è in queste buste. Nella sua bocca non dovrà entrare nemmeno una briciola di quello che si trova in questa casa e al di fuori di quelle due buste. Mi raccomando.”
“Tesoro, credo che Tom abbia capito.”, intervenne in mio soccorso Gustav.
“Prometto che in questa settimana questo posto sarà un paradiso per celiaci.”, mi poggiai una mano sul cuore. “Non si mangerà nulla che contenga glutine. Il glutine resterà fuori da quella porta e metterò dei cani ad impedirgli di entrare.”
“Tom, ti prego, non scherzare. Non è una stupidaggine!”, piagnucolò Alice. Le misi le mani sulle spalle.
“Stai tranquilla. Adesso tu lascerai Alain qui con lo zio Tom, uscirai da quella porta, ti metterai a sedere in macchina, Gustav guiderà fino all’aeroporto, prenderai un aereo per Santorini e ti godrai questa vacanza con tutta la calma del mondo. D’accordo?”, Alice si strinse nelle spalle.
“Va bene.”, si arrese con un sorriso. Poi si chinò sul piccolo Alain che era corso nella sua direzione. “Ciao tesoro. La mamma torna presto. Fai il bravo e non far arrabbiare lo zio Tom.”, il biondino annuì e abbracciò sua madre che gli stampò un bacio sulla fronte, poi corse da Gustav che lo prese in braccio.
“Ciao scheggia. Mi raccomando, fa’ il bravo.”
“Sì papà. Tornate presto però.”, Alain si aggrappò più forte a suo padre.
“Subito, piccolo.”, poi anche Gustav gli baciò la guancia e lo fece scendere.
“Ciao amore!”, lo strinse di nuovo Alice.
“Ciao mamma, ciao papà.”, sventolò una manina in aria il piccolo mentre stringeva l’altra nella mia. I due genitori varcarono la porta salutando affettuosamente. Alice proseguì verso la macchina e Alain le corse dietro. Gustav si soffermò un istante in più sulla porta mentre gli altri due membri della piccola famiglia si scambiavano gli ultimi saluti prima di lasciarsi.
“Grazie, amico.”, mi disse, mollandomi una pacca amichevole.
“Figurati. E’ un piacere avere un piccolo Sch
äfer per casa. In piccole dosi, ovviamente.”, gli sorrisi.
“Ti porterò un souvenir come ringraziamento per esserti immedesimato nel ruolo di baby-sitter con così poco preavviso.”, ridacchiò il biondo.
“Non bastano i 50 euro l’ora che mi ha promesso Alice?”
“Quali 50 euro?”, sollevò un sopracciglio l’ex batterista. Scoppiai a ridere e gli colpii affettuosamente la spalla.
“Sto scherzando.”, anche lui si lasciò andare in una risata.
“Ciao Tom. Occhio al nemico glutine.”
“Metterò dei cecchini sulla porta pronti a fermarlo.”, Gustav rise e mi salutò sventolando una mano, prima di incamminarsi verso la sua auto parcheggiata sul vialetto. “Buon viaggio.”, gli gridammo io e il piccolo Alain fermi sulla porta mentre l’Audi nera spariva oltre le sbarre del cancello e la coppia sventolavano le mani dal finestrino. “Allora?”, chiesi, rivolgendomi al biondino fermo al mio fianco. “Dove l’ha parcheggiata quest’astronave, Capitan Klaus?”

 

 

 

 

ECCOCIIIIIIIII!
Sì, lo so che vi sembrerà di avere un miraggio, perché è particolarmente incredibile che io sia qui con un capitolo (e credetemi che ne sono sorpresa anche io) ma… ma… eppure… nonostante tutto…. ECCOLO!!!! **
Mea culpa, mea culpa. Vi giuro che questo ritardo è stato causato da una serie di buoni motivi come a) carenza di ispirazione e b) mancanza assoluta di tempo.
Con la scuola non riesco a respirare un secondo e questo capitolo è stato praticamente partorito in due giorni dopo averne scritti alcuni pezzetti qua e là in ritagli di tempo!
Però adesso il capitolo c’è ed è questo l’importante. Questo sarà un breve Spazio Autrice che vi dedicherò prima di tuffarmi di nuovo nello studio T_T
Quindi. Ringraziamenti.
Vabbé, i soliti u.u Ovviamente a Memy e Nat, le mie affezionate <3 e a EliBeke, il mio sostegno morale sempre presente e che si fa in quattro per sostenermi **
Pooooi, passiamo al capitolo.
Ebbene sì! Roxy è tornata
J La nostra paladina, la nostra protagonista, il nostro fulcro è tornata sulla scena suscitando (come al solito) non poco scalpore. E chi doveva accalappiarsi quella lì, nella sua prima comparsata? Ovviamente, con la fortuna che si ritrova, chi meglio di Kevin?
Credevate fosse sparito eh u.u E INVECE NO!!!
Anzi, è tornato più cattivo, corrotto e maledetto che mai. Cosa vorrà questa volta?
E per quanto riguarda la coppia più bella del mondo <3 (Alice e Gusty), li vediamo concedersi un bel viaggetto romantico verso la Grecia in cui chissà quali sviluppi ci saranno!! E a chi lasciare il piccolo Alain se non al Kaulitz n.1? Mai baby-sitter fu più azzeccato…
Vedremo cosa succederà in questa breve convivenza tra i due!
J
Detto questo, spero che il capitolo vi sia piaciuto e che ne attendiate con ansia un altro.
Capitan Klaus vi saluta.
Un abbraccio,
=Alice=

  
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