L'alba profuma di terra.
Ha colore rosso e arancione,
dipinge il cielo con sbuffi di nuvole.
Fuori dalla finestra ragazzi
fumano, seduti nella strada.
Iris dorme.
Sogna leggero boschi incantati,
il suo spirito cavalca libero nelle pianure.
Ricorda con la gola chiusa i
fratelli, i genitori. Ricorda il suo cavallo, bianco puledro impaziente.
La camera intorno a lui è
avvolta dalle ombre. Il sole non riesce a sfuggire alle persiane, anche se
cerca di penetrarle, vorrebbe scivolare sul viso immobile di Iris e baciarlo,
carezzarlo.
Il sole lo ama. Da sempre.
Iris apre gli occhi. Sorride.
Aurora di vita, nuovo giorno che
si annuncia uguale agli altri, altrettanto doloroso.
La loro esistenza è un
susseguirsi di mattine luminose e pomeriggi assorti, e notti gelide, candide,
accecanti. Ormai non riesce a immaginare un'altra realtà.
Sono passati giorni dal
soggiorno in carcere, giorni dall'esperienza della stanza insonorizzata, e
Libertà non gli ha ancora detto niente.
Lo lasciano in pace, tutti, lo
ascoltano quando vuole parlare e rispettano il suo silenzio quando gli occhi
gli si fanno bui. Lo abbracciano se ha bisogno di conforto, lo stringono forte
e aciugano le sue lacrime con i baci.
Iris si sente bambino, in mezzo
a loro.
Si sente ragazzino immaturo,
fragile fiore di campo cresciuto tra querce e pioppi maestosi.
Gli occhi grigi di Libertà
sottolineano questa impressione. La sua tenerezza è speciale, preziosa come
l'aria.
Non si è ancora ripreso, lo sa
bene. La sensazione improvvisa di essere niente, soltanto una delicata
composizione di sangue e ricordi e sogni, la consapevolezza di essere in bilico
su un filo invisibile, di essere del tutto indifferente al mondo, e così
debole, così di passaggio… tutti i pensieri turbinosi di quei momenti di
solitudine arrossata hanno scavato la sua mente e si sono annidati nella carne,
per maturare.
Nell'altra stanza, dietro la
parete sottile, si indovinano suoni ed esclamazioni soffocate.
C'è una voce conosciuta che non
appartiene ai suoi compagni, che si mischia ai mormorii tanto rassicuranti. Le
proteste diffidenti di Libertà, a volume appena udibile.
E Iris capisce a chi appartiene
la voce, ma troppo tardi, perché la resistenza dei fratelli ha ormai ceduto e
la porta si sta aprendo. Iris resta seduto sul letto, rassegnato, osservando
Giuliano entrare nella camera con l'arroganza di ogni militare, e guardarlo
soddisfatto, dritto negli occhi.
Giuliano deglutisce per prendere
tempo. Non sa come cominciare.
Non si era immaginato questo, di
trovarlo raggomitolato sopra il letto, come un gatto, così giovane, con le
cicatrici che si incrociano sulle scapole e cominciano a rimarginarsi ma paiono
urlare l'assurdità di quella guerra.
Non pensava di restare di nuovo
senza parole davanti al suo sguardo trasparente.
Adesso camminano per strada.
Iris è silenzioso, remoto,
sembra perso in pensieri lontani.
I ragazzi che vivono con lui
l'hanno guardato andare via con l'aria di temere per il suo ritorno.
Ha dovuto faticare, per vederlo.
Ha dovuto convincere coscienze di marmo, diffidenti e protettive.
Il giovane con gli occhi grigi
non li avrebbe lasciati partire. Ma Iris ha sorriso triste, e sussurrato parole
in una lingua sconosciuta. L'altro ha chinato la testa, rabbioso.
Giuliano è rimasto affascinato
dal loro cameratismo. È un sentimento che profuma di notti passate a parlare,
di conoscenza profonda e dolori comuni. È diverso dalla complicità estranea che
lo lega ai suoi colleghi, più commovente.
Vorrebbe chiedere tante cose a
Iris, domandargli perché stanno rischiando tutto questo, domandargli chi sono
quei ragazzi, cosa rappresentano per lui, quali sono le loro storie, i percorsi
tortuosi che li hanno portati lì, in quella città estranea, in quelle notti
limpide e fredde, a giocare con le lame.
Vorrebbe chiedergli cosa
nasconde dietro gli zigomi candidi, dietro quegli occhi azzurri e remoti,
chiedere cosa gli permette di resistere muto sotto le botte sapienti della
milizia, chiedergli se è vero, come continua a pensare, che le cicatrici
intraviste sulla sua schiena non sono le più dolorose.
Vorrebbe sapere, capire il
perché della loro lotta accanita e feroce, il perché di tutto quel sangue
versato e della loro tristezza, vorrebbe chiedere quale passato scorre nelle
loro vene, quali antenati hanno portano ai loro visi quella bellezza incantevole
e gelida, quali sono quegli dèi misteriosi e distaccati che loro amano nei
rituali notturni, sotto la luna vergine.
Giuliano ha troppe domande nella
testa, e aspetta le risposte da troppo tempo per non averne paura. Ricorda la
prima volta che ha sentito parlare di quei guerrieri.
Aveva quattordici anni, era
appena finita la guerra, e lui pranzava con i genitori e la sorella. Suo padre
raccontava dell'ultimo attentato di quelli che venivano chiamati "gli
angeli della morte".
Era caduto loro zio, in quello
scontro, e Giuliano aveva imparato a odiarne gli assassini, aveva imparato a
temere la parte orientale della città, dove vivevano i ribelli, i criminali.
Era entrato nella milizia con
queste idee limpide davanti agli occhi. Sapeva dove stava il bene e dove stava
il male, il bianco e il nero erano due colori distinti e immiscibili.
Ma il grigio non si può ignorare
per tutta la vita, non se hai una personalità vivace e fantasiosa come quella
di Giuliano. E presto i dubbi avevano cominciato a tormentarlo, mentre sempre
più amici morivano sotto le lame affilate di quei demoni e le strade al mattino
si scoprivano insanguinate da altre battaglie.
La rivoluzione nei pensieri di
Giuliano era scoppiata davanti al cadavere di uno dei ribelli.
Era uscito disteso da una porta
misteriosa, un blocco di acciaio al quale era vietato l'ingresso.
Lui non si era mai chiesto cosa
succedesse dietro quel portale, la mente aveva troppa paura della risposta.
Ma quel giorno tutto era
luminoso, e freddo, e i dottori avevano abbandonato il lettino in mezzo al
corridoio, per andare a riempire i documenti.
Giuliano si era avvicinato,
mosso da un maledetto bisogno di sapere, e aveva sollevato il lenzuolo.
Il volto era pallido, non per la
morte ma per il candore della pelle.
I lineamenti erano puri, ed
eterni. Pareva un angelo.
Giuliano aveva capito perché li
nominassero così.
Ma la morte non era loro madre,
si capiva chiaramente dalla fissità di quelle labbra.
Loro erano animali selvatici:
uccidevano perché costretti.
Non c'era crudeltà, in quel
sorriso. Solo, pace e tristezza.
Giuliano aveva sfiorato gli
zigomi pesti, il sangue che sgorgava dalla bocca aveva macchiato il suo viso.
Aveva lo stesso sapore del
sangue dei suoi amici, lo stesso colore, la stessa consistenza.
Giuliano si era chiesto cosa
fosse successo al giovane, in quel locale, per ucciderlo.
Non si era mai risposto.
E adesso ha di fianco Iris, Iris
che ne è uscito vivo, e vorrebbe domandarlo a lui, ma sa di non poterlo fare.
C'è troppo dolore da condensare in poche parole, e esperienze oniriche, e
sensazioni estreme. C'è la sapienza accumulata nelle cellule ribelli, c'è il
piatto deserto dell'incoscienza.
E c'è quel viso pallido, così
bello, così fragile, quel viso immoto, angelico.
Giuliano non dice una parola.
Solo lo guarda, e ascolta il
silenzio tra loro vibrare di note non suonate.
Giuliano lo riaccompagna a casa,
sempre muti.
Quando vedono la strada dove
Iris vive, vedono la gente che lo conosce e che lavora, i bambini che giocano e
le ragazze che ogni tanto lanciano loro sguardi perplessi, incerti, entrambi si
fermano.
Si guardano negli occhi, per la
prima volta pari, per la prima volta sotto il sole.
Giuliano sorride, per nascondere
la paura.
-Posso tornare di nuovo?
Iris sorride, e il volto si
illumina come un cristallo. Poi annuisce, e i loro occhi sembrano perdersi in
quello sguardo.
Saranno ancora nemici, la notte,
se si incontreranno si sfideranno di nuovo con il pugnale, e danzeranno di
nuovo quella danza coronata dalla morte.
Ma di giorno, sotto quel sole
che li bagna entrambi, possono cercare un'altra strada, una nuova soluzione.
Di giorno possono vivere, e
sognare.
Fiona…. Mi fa un piacere immenso
leggere i tuoi commenti! Sono contenta che la storia ti piaccia… la maggior
parte dei capitoli l’ho già scritta, però sono arrivata a un punto morto. Non so
come andare avanti, boh, si vedrà.
Comunque… grazie ancora dei
complimenti, sai, avevo paura che questa storia non piacesse, che lo stile
fosse troppo lento, pesante. Anche perché credo sia un po’ diverso dai miei
soliti lavori. Sono contenta che, ad almeno una, vada invece a genio! Kiss Roh