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Autore: contessa barthory    29/10/2011    3 recensioni
"Vi è mai capitato di sentirvi come se stesse cadendo in un burrone di cui non vedete la fine, senza avere nulla a cui aggrapparvi, senza sapere quando arriverà la fine?
Oppure vi siete mai sentiti intrappolati in voi stessi?
Avete mai scoperto che l'unica cosa veramnete importante per voi, nel groviglio di sentimenti e pensieri, va contro tutti i vostri valori?"
E se Howl, anche dopo aver riacquistato l'animo, si sentisse come se una parte di lui si fosse persa?
E se nemmeno Sophie riuscisse a ritrovarla?
Se ci fosse bisogno di qualcun'altro per far sistemare tuuo come le linee del destino hanno deciso?
E' la mia prima ff, quindi recensite, per favore, e ditemi tutto ciò che non va, così potrò migliorare.
Grazie a tutti.
contessa barthory
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Howl, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Salve a tutti!! E’ la mia prima fan fiction e spero che vi piacerà!! Buona lettura!!
5 giugno 2011
Oggi è la comunione di mia cugina, Maria , e siamo tutti in un ristorante molto carino, all’aperto, con dei tavoli color avorio coperti da dei gazebo,con nastri e drappeggi di tessuto ai lati. Ho un vestito davvero bello, che ho comprato due settimane fa con mia zia. E’ arancione, senza spalline, con la scollatura a cuore e tanti fiori sul bordo.
Sono allegra, perché non sto pensando molto. Se pensassi, di sicuro non sarei più molto allegra.
E’ da una settimana e mezzo che non vado da mio padre all’ospedale. Quando sono con lui, o quando torno a casa, sono serena, cerco di non far vedere agli altri quanto soffro, e in realtà non lo vedo neanche io, me ne sono accorta solo dopo. Ma arrivata la sera, vado a letto e non riesco a trattenere le lacrime.
Credevo di non saper piangere più, ma a quanto pare non è vero. Penso che da sette mesi mio padre è in un letto di ospedale e che non parla bene, anzi, ormai non parla nemmeno più. Penso che all’inizio la speranza era tanta, pensavo che si sarebbe rimesso in un mese o due, dopo quell’ictus. Ma non era l’ictus il problema, quello era solo una conseguenza della malattia che già aveva e che, probabilmente per paura di conoscere la verità, non sapeva di avere. Aveva paura di avere un tumore, come mia madre, e aveva paura di morire.
Ma è stato molto peggio. Se si fosse fatto almeno un controllo, forse saremmo riusciti a curarlo. Perché, ictus a parte, aveva la possibilità di farcela. Con i se e con i ma non si va da nessuna parte. E pensare che all’inizio ero tanto fiduciosa, ma la speranza ha fatto le valigie quando abbiamo scoperto del tumore. Poi penso a quando si è dovuto operare, perché la metastasi che premeva sul cervelletto era troppo pericolosa, l’avrebbe potuto uccidere da un giorno all’altro. E penso a quando mia sorella mi ha chiamato per andare da papà, che voleva vedere me, lei e mio fratello e a quando mia ha detto, in lacrime, che era solo una questione di tempo e che una crisi respiratoria se lo sarebbe potuto portare via in qualunque momento. E poi quando la rassegnazione ha preso il posto della speranza, che però è tornata, per fare ancora più male di prima, come si dice, la “speranza dei disperati”, quella che quando viene uccisa in un modo così brutale fa tanto male.  E piango, in silenzio, con mia nonna a fianco a me nel letto che dorme. Mi sento sola, in ogni momento mi sento sola.
Ma oggi, proprio oggi, che dovrebbe essere un giorno di festa, il giorno del Signore, mi dicono che mio padre non c’è più.
Lui era tutto per me, era un padre fantastico, che faceva sorridere tutti, era un padre di cui a volte mi vergognavo in pubblico, come tutti gli adolescenti e che mi rifiutavo di salutare con un bacio quando mi accompagnava a scuola. Adesso mi pento, mi pento di tutto quello che non ho fatto, di quante volte non sono stata la figlia che meritava, di quante volte non l’ho apprezzato per quello che faceva, di quando non ho capito quanto sia stato difficile crescere una bambina di cinque anni senza una moglie accanto. Posso solo immaginare ora di quanto sia stato difficile per lui nascondere il suo dolore per cercare di cancellare il mio.
Ma io l’ho amato, l’ho amato davvero tanto, e spero che lo sappia, spero che l’abbia capito. Deve essere così. Altrimenti tutto ciò che sono sarebbe falso. La mia vita, la mia visione del mondo, la mia positività la devo a lui.
È stato un compagno di giochi, un padre meraviglioso, una madre, un insegnante e anche il mio migliore amico. Non mi chiedo come farò senza di lui perché so già che posso andare avanti. Nonostante mi sembri che il mondo stia per cadermi addosso, nonostante senta tutto come se fossi in una scatola, isolata dal resto, nonostante mi senta a pezzi, so che ce la posso fare. Ma non perché io sia forte o brava, solo perché sono umana.
E le ferite di un uomo guariscono sempre, che lui lo voglia o no. È solo questione di tempo.
Ora non mi resta che aspettare. 

  
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