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Autore: Moriar tea    31/10/2011    2 recensioni
Yu Kanda non sapeva –non doveva sapere– che lui lo stava osservando da lontano, ancora una volta. Se l’avesse saputo probabilmente Lavi avrebbe avuto vita breve; tra le cose che conosceva del compagno, c’era l’indubbia insofferenza verso chiunque disturbasse i suoi rituali.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Rabi/Lavi, Yu Kanda | Coppie: Rabi/Kanda
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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possessione.


Molti dicono che non c'è nulla che piaccia, a Yu Kanda. E in effetti non ti sei mai preoccupato di smentire una simile favola, sebbene sia stupida quanto chi la sostiene: questa stessa diceria, infatti, in qualche modo ti piace.
Oh, certo, non ammetteresti mai ad anima viva che in effetti a te
piace qualcosa. Va contro ogni dettaglio di quello che è il personaggio spietato e senza cuore del temibile Kanda, e tu non manderesti mai all'aria una parte tanto ben costruita: ma nella segretezza della tua introspezione, sai che non è affatto così.
Mugen, per esempio; lei ti piace. Ti piace la soba. E soprattutto ti piacciono tutti quei piccoli, preziosi e quasi invisibili rituali che costringono rigidamente con mille paletti -
orgoglio, onore, fedeltà, silenzio- una vita fatta di soli doveri e mai di piaceri. Sono quelli a renderti tanto territoriale con le tue cose -e perchè no, anche con le persone?-, ad accogliere con fastidio qualsiasi novità.
Detesti i cambi di piano e l'evolversi di una quotidianità che, per quanto fastidiosa, è la
tua. Ai luoghi non ti leghi, questo no; ma guai a toccare quelle abitudini che fanno di te ciò che sei.


Ti piace l'odore dei pini, quando ancora non è sorto il sole. L'aria è profumata di qualcosa che non ti sai spiegare, ma oh, quanto è dolce quel profumo: niente a che vedere col puzzo di chiuso che aleggia nella tua stanza buia -quattro mura che non hanno bisogno delle sbarre per somigliare a una
prigione.
Il colore del cielo in quel momento, poi, è di una bellezza imbarazzante. Dura un istante, e forse è proprio la sua brevità a renderlo tanto bello: un indaco scuro, opaco, a malapena contaminato dai primi raggi vermigli che preannunciano l'alba. Lo sai che fra pochi attimi quel colore sbiadirà, per lasciare spazio all'invadente, esuberante cremisi.
E' sempre così
eccessivo, il rosso.
Ti prendi un istante, un istante solo, per contemplare il blu denso della notte lasciar spazio ad una acquarellata aurora: somiglia ad un limpido sorriso sincero, quell'alba, e devi sbattere le palpebre più volte per cacciarne le insopportabili rievocazioni.
Solo a quel punto, dopo un sospiro rinfrancato che non teme di esser udito -né giudicato- in tutta la sua vulnerabilità, pianti Mugen nel terreno. Il lupetto nero che ti avvolge il torace scivola a terra, adesso, ai piedi di una vecchia quercia ricca di resina; e nonostante l'aria frizzante del primo mattino rimanere a petto nudo non ti da alcun fastidio, la pelle nivea stretta solo da dei lunghi bendaggi color panna,.
Le dita sottili vanno ad allacciare il lembo di stoffa scuro attorno agli occhi chiusi. Fai un nodo stretto, che non possa cedere, e tastando l'erba umida sotto i tuoi piedi afferri l'elsa della tua fidata arma, ascoltando il rassicurante suono della lama che si sfodera dalla custodia e sferza l'aria, impunemente.
I primi raggi chiari ti illuminano i capelli, come una carezza, ed è faticoso trattenere il sollievo che ti da una simile sensazione. Anche se non puoi vederli ne avverti il calore sulla pelle; e questo calore somiglia in maniera snervante a quel sorriso che intravedi spesso nel sole che sorge.
Tu non te ne accorgi, ma è proprio questa carezza che rilassa i muscoli del tuo viso e ti fa socchiudere le labbra, mentre afferri con entrambe le mani l'impugnatura di Mugen, e inizi a passi lenti il tuo allenamento.
Non pensi a niente: ti fai solo trascinare, le orecchie tese, il respiro calmo.
Ascolti con attenzione il rumore dell'erba sotto le suole delle scarpe e quello del vento che muove le foglie, come se questo potesse suggerirti le mosse giuste da fare. Ed ogni movimento è calmo, ogni passo è equilibrato, come parte di un copione da eseguire egregiamente, senza possibilità d'errore.
Ogni gesto sembra studiato per combattere un nemico invisibile; affondi, pari, schivi. Il tutto però è dettato dalla sola percezione dei quattro sensi che ti rimangono, e ogni cosa intorno a te, ogni suono, ogni odore, vuole condurti in una danza tanto aggraziata quanto mortale.
Sei succube e padrone di ciò che ti circonda, e questo
ti piace, ti fa sentire.. in pace.

Il suo fiato caldo sul collo: ti fa sussultare debolmente. Pensi di avere un'espressione molto stupida in volto, sicuramente molto assorta e molto stupida, troppo vulnerabile per i tuoi gusti: ma in fondo non è importante. Senti quelle mani morbide -
di chi è più abituato a sfogliare pagine che a trapassare Akuma- sfiorarti le spalle nude, le scapole, i fianchi, e ti dici che dopotutto è così bravo a leggere tra le righe che non ha senso ostentare la solita maschera, in quel momento.
I suoi palmi scorrono su di te con maestria, come suonando un complicato strumento musicale, e si posano ad intrecciare le tue dita, a sostenere la presa ferrea sull'elsa della tua spada. Non appena tu torni a muovere i passi lenti di quell'attenta coreografia, il suo corpo ti segue, accompagnando con dolcezza ogni tuo movimento, prevedendo e costruendo ogni gesto. Come se già sapesse, come se avesse sempre saputo.
Ti sfiora a malapena, lo senti come senti la carezza del sole, e allo stesso modo quella sensazione di calore ti appaga. I vostri passi si intrecciano, lo senti girarti intorno, avverti il suo sguardo posato su di te. Non riesci a trattenere un sospiro.
Ah, potrebbero esser passate ore, o forse solo attimi, quando dopo una vita intera di quel lento danzare ogni tuo gesto si immobilizza. Lui non ne sembra sorpreso; rimane semplicemente dietro di te, toccandoti solo per le mani, il suo petto ad una manciata di centimetri dalla tua schiena.
Reggi Mugen orizzontalmente, graffiando l'aria e ascoltando per un secondo non più il frusciare delle foglie o il rumore dell'erba sotto i piedi, ma unicamente il suo respiro regolare e leggero che si infrange contro il tuo collo. E quando finalmente riprendi a muoverti e indietreggi, sei certo che lui accompagnerà anche quel tuo passo, perchè ti è così complice, così affine, così vicino che non dubiti nemmeno per un istante...
Ma in effetti, lui non si muove.
E dio,
tu lo sai, è del tutto volontario.
Cozzi violentemente contro il suo corpo, e trattieni il respiro: non passa un istante che le sue braccia ti stringono impetuosamente a sé e il suo viso affonda nei tuoi capelli, mentre ti abbandoni a lui e lasci cadere senza volontà la lama affilata sull'erba morbida.
Se anche non avessi quella benda stretta sulle palpebre, probabilmente avresti chiuso gli occhi. Ma anche se il tuo cuore perde più di un battito, non un suono ti sfugge dalle labbra sottili... nemmeno quando senti la sua bocca posarsi sulla pelle sensibile della tua gola, qualche bacio delicato susseguire seguendo la linea della mandibola, e infine raggiungere il lobo soffice del tuo orecchio.
Quelle mani, -
ah, quelle mani!; quando avverti i polpastrelli delicati sfiorarti la guancia e farti girare il viso di lato, non ci provi nemmeno a contrastarli. Esegui docilmente la richiesta, ti volti piano facendo frusciare i capelli lunghi contro le spalle. E il contatto delle sue labbra contro le tue labbra, di quella bocca morbida che sa di zucchero premuta contro la tua, è talmente esasperato, così perfetto, che perdi ogni concezione della realtà che ti circonda.
Non ti serve la vista. Ti basta e ti avanza quel profumo di buono che ti entra nelle narici, quel calore naturale quanto i raggi del primo sole che ti si infila tra le viscere. Ti bastano quei brividi, provocati dalle sue braccia attorno al tuo corpo, e quel sapore squisito che ti riempie la gola che, lo sai, possiedono solo coloro che sorridono spesso.
Quel bacio dura per sempre, in qualche modo, anche se in realtà il vostro sempre non è più di qualche secondo.
Poi, lui ti lascia.

Il vuoto della sua mancanza viene colmato solo dalla certezza che anche domani mattina, prima dell'alba, tu sarai là, in quello spiazzo verde sul retro della Sede dell'Ordine Oscuro; e Lavi sarà appoggiato al vetro della finestra della sua camera, l'occhio verde smeraldo ancora una volta lucido di tenera commozione.
Ci tieni, ai tuoi rituali; sono terribilmente simili ad un'
ossessione.


















Non ero sicura di scrivere questo capitolo, ma alla fine mi è venuto così. L'intenzione è di lasciare un mare di cose sottintese ma non troppo, e dubito di esserci riuscita poi tanto bene; ma se nel primo capitolo il punto di vista è esterno, in questo non ho potuto fare a meno di far parlare Kanda, pur lasciando tanto di non detto.
Non sono affatto convinta, ma... non importa, va bene così.
macch

  
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