La strana intimità di quelle due rotaie.
La certezza di non incontrarsi mai.
L’ostinazione con cui continuano a corrersi di
fianco.
( Alessandro Baricco)
Capitolo Ventuno: “ Nugae”
Vorrei poter dire che dopo quel giorno venne
la fine.
Una di quelle fini belle con il velo da sposa di Ginevra e i sorrisi
sereni di coloro che erano scampati alla guerra o le
risate isteriche di uno scampato al pericolo.
Non sto parlando di una fine qualsiasi, no, stiamo parlando di un lieto fine; come tutti vorremmo; dopo la guerra, la fine di
tutte le sofferenza… ma non fu così.
Se la guerra è bruciore, il dopoguerra è follia
lenta che si tramuta in disperazione.
Sono cani che si contendono a morsi un cadavere in decomposizione.
Sono ossa che vengono spezzate per essere ricomposte
nuovamente da un macellaio che qualcuno continua a chiamare chirurgo.
Sono bambini che giocano fra le rovine di case bruciate o distrutte.
Sono famiglie che attendono dispersi, il pianto degli orfani che non
attendono più.
Terre distrutte dalla siccità dove non cresce erba e il contadino non
coglie i frutti che troppo maturi si schiantano in terra con il rumore fosco
dei corvi che straziano i corpi.
Il Dopoguerra sono nemici che si odiano e
continuano a distruggersi in modo differente. Perché
se la guerra è odio, il dopoguerra è distruzione.
E poi dopo il dopoguerra arriva la vita.
Ma se i guerrieri muoiono in guerra ci sarà un
motivo no?
BENIJAMIN
Non sono mai stato un gran chiacchierone, non ho mai considerato
necessario dover parlare tanto, perché è difficile parlar
tanto senza finire per parlare troppo.
Eppure ora mi ritrovavo a dover spiegare tante cose che io stesso non
avevo capito, ero sempre stato servo dei Malfoy da quando
la mia colpa mi aveva condotto da Lucius. No, non
provavo vergogna per quello che avevo fatto. Una vita per una vita è sempre uno scambio equo. Il signor Lucius in questo era stato molto astuto.
“Benijamin puoi scegliere da te, continuare a
fuggire ai tuoi strozzini e finire sgozzato da qualche parte oppure puoi vendermi
la tua vita”
“Vendere la mia vita?”
“Tu hai un debito con me di ventiduemila galeoni, un debito simile non
potrai saldarlo neppure se lavori una vita intera” avevo fissato ancora una
volta quell’uomo senza capire il significato del suo compromesso.
“Ma allora come…”
“Credo che due vite possano bastare però”
“Vuoi che io divenga il tuo servetto?”
“Non solo, di servi ne ho a decine, mi serve la tua vita” aveva
ripetuto ancora.
“La mia vita non è in vendita” lui aveva riso di gusto continuando a
fissarmi intensamente. Tirai ancora la giacchetta che mi andava corta di
maniche e soffia su con il naso.
“Sei il figlio di un commerciante Benjamin
dovresti sapere che tutto e tutti sono in vendita, l’importante e dar loro un
prezzo” sobbalzai ancora al ricordo del negozio di mio padre che il cattivo Lucius mi aveva ricordato. Il negozio lo avevo venduto otto mesi prima, ma non ero riuscito a saldare per intero il
mio debito.
“Tutto ha un prezzo…” mi arresi balbettando, Lucius
approvò sorridendo e poi aveva continuato.
“Il tuo prezzo è ventiduemila galeoni, ma
dovrai vendermi la tua vita per intero” avevo annuito e da lì era cominciata la
mia plurivita* a casa Malfoy.
Lucius pochi mesi dopo conobbe la dolce Narcisa, lo vidi cambiare davanti ai miei occhi,
quella mente così fredda e razionale totalmente annichilita e asservita a
quella giovinetta dai fluenti capelli biondi che era sua moglie. L’amore che
c’era fra quei due era talmente intenso che trascendeva la mia concezione. Una
volta chiedendo il perché a Lucius lui mi aveva
risposto.
“Tu, Joe, non potresti mai comprendere, nella
tua vita hai amato solo il gioco e quello non ti ha mai ricambiato”
“Io non ho mai amato il gioco quanto Lei ama sua moglie” avevo ribadito, lui aveva sorriso nuovamente e aveva detto.
“Io darei la mia vita per mia moglie e è la
stessa cosa che hai fatto tu per il gioco. Hai dato la
tua vita per lui ma dato che non ti ha mai ricambiato sei finito a lavorare per
me”
Era stata l’ultima volta che aveva parlato di amore
con il signor Malfoy.
La signora Narcisa invece era una donna molto differente. Lei amava il
bello e circondarsi di questo e più di ogni altra cosa
amava Lucius ed era ricambiata allo stesso modo. Sapevo quando Lucius le aveva
comprato qualcosa di nuovo perché i suoi occhi si illuminavano come quelli di
una bambina e prendeva a ridere.
Con Lei spesso mi intrattenevo a parlare
d’amore. Lei non credeva che potesse esserci qualcuno che al mondo non poteva
essere felice perché toccato dall’amore. Io le raccontai che l’unico amore della
mia vita era stato il gioco, ma lei mi rispose che era una sciocchezza. Mi
sembrò inutile insistere nel diniego,
Fu Lei a insegnarmi la sottile arte dell’ascoltare
senza intervenire troppo spesso, a lei non piaceva essere interrotta ed ebbe a
dire più di una volta che la maggior parte delle interruzioni non avevano davvero una grande importanza o
utilità quindi che le facevo a fare? Amava leggere poesie la signora Malfoy e
io mio malgrado mi ritrovai davvero accorato ad
ascoltare quei sentimenti che sporgevano da ogni frase.
“Joe, perché mio marito ti chiama così,
pensavo che il tuo nome fosse Benijamin” mi guardò
intensamente e compresi che quel giorno Narcisa Malfoy avrebbe desiderato
essere risposta e lo feci.
“Joe è il nome che mi ha dato il Signor Malfoy quando ho venduto la mia vita a lui” ella sgranò gli
occhi e mi afferrò di riflesso la mano.
“Come è possibile che tu, un mago, possa
essere divenuto uno schiavo, alla stregua di un elfo domestico” sospirai
lasciando che la mia mano si allontanasse dalla Signora Malfoy.
“Signora Malfoy, nella mia vita ho amato una sola cosa, il gioco,
quest’ultimo però è un’amante davvero volubile così mi
sono ritrovato indebitato e senza vostro marito mi sarei ritrovato perso, per
sempre” la donna aveva stretto nuovamente la mia mano e con una dolcezza che
pensavo fosse estranea a tutte le persone del suo rango me la carezzò
leggermente.
“Oh Benijamin tu dovresti smetterla con
queste sciocchezze. Non sono le cose di cui ci innamoriamo
che cambiano la nostra vita, sono le persone” la fissai sorpreso e anche
imbarazzato, la mia mano fra le sue e un rossore mai provato sulle guance,
quando i nostri sguardi si incrociarono capì e lasciai andare nuovamente la mia
mano.
“Singora Malfoy sarò sempre il vostro più
umile servo” ella non rispose intenta com’era a
lanciare sguardi circospetti verso la sua mano e poi ancora verso di se.
Anche quella fu una delle ultime
discussioni che feci con
Robert Granger era una persona
arida di qualsivoglia sentimento, anche la sua moglie purosangue lo lasciava
del tutto insensibile. Li ricordo nello studio. Lei davanti alla scrivania e
lui dietro a quella che progettavano l’eventualità di far figli.
“Mi occorre un erede, oramai sei troppo al di là negli anni mi algida sposa per pretendere un erede maschio ma mi
occorre ugualmente un erede” ella aveva annuito, come se stessero parlando dell’ultimo vaso da
acquistare, perché la signora aveva una vera
e propria fissazione per quei maledetti oggetti.
L’unica donna che portava il Signor Robert a
provare qualche sentimento fu Nicolae
Vane, la governante babbana.
Un giorno finì di scrivere la corrispondenza una mezz’ora prima del
solito e stavo per entrare nello studio occupato dal signore
quando mi resi conto che non era solo, la governante era in quella
stanza e ripuliva lentamente i libri alle spalle del Signor Granger, era molto
silenziosa e i bordi della veste non sfioravano nemmeno la sedia del signore ma
ugualmente egli era in tensione. Lo si poteva
percepire dalla linea rigida delle spalle.
“Smettila” aveva sbottato all’improvviso, il Signor Robert.
Lei non aveva replicato nulla, aveva bloccato il braccio, si era
voltata verso di lui e si era inchinata leggermente poi si era allontanata da
quella scrivania.
Velocemente ero entrato nella stanza rendendomi conto che sarei risultato in ritardo se avessi continuato la mia azione di
spionaggio.
Alcuni mesi dopo in quello stesso studio potei vedere una scena
singolare.
“Credo che le tue visite stiano divenendo troppo frequenti”
“Tre mesi fa mi avete detto che volete un
erede, ma lasciate le prime due settimane non mi avete fatto più visita. Devo
intendere che non vi interessa più” aveva l’aria
piccata la nobildonna e lo stesso Robert se ne rese
conto perché replicò.
“Moglie vi ho mai dato modo di dubitare della mia fedeltà?” ella dissentì con forza
“Questa non è una scenata di gelosia, non ne sono mai stata avvezza, è
solo praticità. Dovervi attendere per alcune ore mi spossa”
il Signor Robert aveva annuito.
“Verrò da voi ogni lunedì e ogni venerdì” rispose secco,
elle strinse le labbra ma non replicò e uscì dalla stanza.
Poche ora dopo entrò la governante e
prese nuovamente a spolverare la biblioteca alle sue spalle, questa volta il
Signor Robert non sembrava più infastidito anche se
il nervosismo era rimasto.
“Smettila Nicolae” disse infine alzandosi dal
suo scanno, sembrava stanco per qualcosa “Si signore”
rispose ella e lui la inchiodò fra la libreria e lo scanno in modo tale che la
governante non potesse uscire.
“Nicolae che cos’è quel Si Signore ? Siamo soli” ella aveva
abbassato lo sguardo, improvvisamente meno spavalda.
“Questo non cambia che voi rimaniate il mio padrone e non posso ne
guardarvi ne parlare con voi” aveva replicato ancora, cocciutamente incatenata
con lo sguardo al pavimento in marmo.
“Deve essere per forza così?” non potevo pensare che quella voce dolce
provenisse davvero dal Signor Robert Granger.
“Si, deve esserlo per forza così come voi domani giacerete nuovamente
con quella donna” aveva alzato lo sguardo Nicolae e
vi avevo colto stille di pianto.
“E’ mio dovere coniugale partorire un erede con la mia sposa” aveva
risposto rigido a quello sfogo così femminile ma
quegli occhi lo avevano visto capitolare pochi secondi dopo. Con mia somma sorprese il Signor Granger aveva stretto fra le braccia
quella creaturina.
“Nicolae, mio Dio, cosa mi è successo” aveva
sussultato come se invece di abbracciarla le avesse dato
un pugno in pieno ventre.
“Oh Robert” aveva detto solo, poi erano
rimasti avvinti e io avevo preferito non vedere cosa continuassero
a dirsi o a farsi.
Avevo la macabra sensazione che tutto avrebbe avuto un tragico epilogo.
Non avrei mai immaginato che l’epilogo sarebbe stato così tragico, è proprio vero che quando l’amore non riesce a cambiare le
persone tende a cambiare le situazioni e a cambiarle in peggio.
DRACO
Il Salvatore del Mondo Magico, il famoso Draco Lucius
Malfoy, purosangue e migliore amico di Harry Potter e
Ronald Bilius Weasley, grandi nomi anch’essi, aveva
trovato rimedio alla sua popolarità rifugiandosi in un appartamento anonimo
della Londra ibrida, nel mezzo esatto di Londra, fra babbani
e maghi.
Aveva rinunciato al castello grottesco della sua famiglia
ma non aveva rinunciato ai suoi soldi che ora spendeva di malavoglia
come un rampollo annoiato qual’era.
Dicono che le persona hanno bisogno
di un sogno per poter sopravvivere, non importa se questo sogno sia puro o nero
ed infausto.
Il sogno di Draco era di poter ottenere la sua vendetta, ora l’aveva ottenuta ma se ne chiedeva il perché. Cosa
aveva aggiunto la vendetta che rendeva la sua vita così satura e allo stesso
tempo repellente a suo dire.
Repellente, come scoprire che il Bagno dei Prefetti era esploso pochi
minuti dopo, era stato inutile ritornare sui suoi passi, cercare di sollevare
massi, spegnere l’incendio, non aveva trovato Hermione e non aveva trovato Blaise, l’esplosione se li era mangiati entrambi.
Avvinti
nella morte come non lo erano mai stati nella vita.
Questo è il commento migliore che aveva raccolto
dai detriti di quel mondo oramai morto. Il mondo dei Purosangue. Il suo nuovo mondo e insieme un mondo che non gli apparteneva.
Lui non poteva arrivare a odiare tanto una persona che non possedeva il suo
stesso sangue. Non poteva credere che nelle vene scorresse sangue differente.
Lui non era quel tipo d’uomo, non era Blaise.
“Eppure siete stato voi a consegnare
Non si stupiva più di quella singolare intrusione nella sua mente ad opera di quell’insulso riflesso, perché Joe, dopo aver esaurito la sua verità, aveva abbandonato la
sua umanità ed era tornato solo un riflesso dello specchio.
“Non accetto consigli da te” non era vero, continuavo ad accettare suoi
consigli, era l’unico che me ne deva ed era l’unico
con cui parlavo oramai da almeno sei mesi.
“Dovrebbe trovarsi un’occupazione” rispose ancora Joe,
dalla specchio velato.
“Sono troppo ricco per averne voglia”
“Un lavoro non serve solo a raccogliere soldi” lo occhieggiai
divertito, il suo sorrisetto ironico era
sparito. Quello si che mi metteva i brividi.
“E a cos’altro potrebbe servire?”
“I soldi non dureranno per sempre” non aveva risposto, non lo faceva
mai, un giorno avrei gettato quello specchio dal
balcone e lo avrei distrutto.
“Me li farò bastare per il tempo necessario” mi alzai dal divano, non ne avevo più voglia, infilai il giubbotto e uscì
dall’appartamento.
Ero in strada.
Avevo bisogno d’aria, Joe
alle volte riusciva a togliermela l’aria, a mozzarmi il fiato, ad
uccidere i miei pensieri.
Dovevo sbarazzarmi di lui, dovevo
sbarazzarmi dello specchio.
Ma Joe era l’unico tassello che ancora mi
ricongiungeva alla mia famiglia, lui era la mia famiglia ancora in vita ma allo stesso tempo non lo era.
Non era nessuno ed insieme era tutto.
“Dove fuggi?” mi voltai al suono della sua
voce.
Ero di nuovo nel mio appartamento, le persiane
tirate, una penombra innaturale, il velo sullo specchio sembrava
assomigliare ad un sudario.
La sua voce, l’avevo sentita.
“Da chi fuggi” la seconda
voce, il sangue mi si congelò nelle vene, quella era un’altra voce conosciuta.
Mi sentì trascinare sul divano, sprofondarci, le mani
tremavano in modo incontrollato, il sudore scendeva lungo la schiena.
“Guardalo come trema, sembra una foglia” le parole era
sospinte dalla brezza di un ghigno, il suo
ghigno.
“Io direi un volgare ratto di cloaca” sarcasmo, fonemi gelidi.
“Dove siete?” avevo la voce incrinata dalla paura, il divano stesso
contribuiva a precipitarmi in quello stato di agitazione.
“Siamo al tuo fianco, dove potremmo mai essere” era di nuovo la sua
voce mi voltai a fissare oltre la spalla imbottita del divano e mi salì un urlo
alle labbra.
Era lei.
Apparsa all’improvviso reale e insieme frutto di un incubo
raccapricciante. Sembrava la pallida mietitrice, con il suo mantello lungo e
nero e quegli occhi d’ambra che mi fissavano immensi. Quante volte avevo detto che quegli occhi erano belli, avevo sempre mentito, ora erano belli.
Inquietanti ma perfetti.
“Sei davvero tu?” i suoi occhi guizzarono sulla mia figura e un
sussurro roco, come proveniente da un mondo lontano mi rispose da se, stava
ridendo di me.
“Sei davvero tu” era la seconda voce ad aver imitato la mia per farmi
il verso, la voce di qualcosa di raccapricciante e insieme di insensatamente
crudele. Come faceva lui a continuare a stare con lei.
“Non sono più io “ rispose alla fine di quel teatrino macabro la
pallida mietitrice, il mantello scivolò in un lato ed insieme il mio cuore
urlò. Non sono il mio cuore anche la mia bocca lo
seguì.
Il viso che nella parte alta era sempre di pallida porcellana, nella
parte inferiore era scarnificato dalla pelle, dai tendini e i denti bianchi e
perfetti spiccavano del tutto scoperti in quel ghigno
che tutti noi biologicamente abbiamo nascosto sotto le labbra…il fuoco doveva
averle prese per prime.
Erano sempre state irresistibili.
Cercai di alzarmi dal divano ma ella si sporse
in avanti e mi bloccò. Le sue mani, no non stavo
fissando le sue mani, fissavo le sue falangi, pallide ossa collegate da carne
virulenta e sangue raggrumato. Erano su di me.
“Lasciami” piagnucolai, ero di nuovo un
bambino.
“Lascialo” le sue mani mi
lasciarono andare ed ella si ritirò nuovamente nelle
ombre dell’appartamento. Mi aveva lasciato come aveva detto lui. Perché faceva
quello che lui diceva? Perché adesso era così remissiva come…
“Avvinti nella morte come non lo siamo mai stati nella vita” decisi
finalmente a voltare il capo, ed eccolo, anche lui era una terribile e
virulenta visione. Un ammasso di carni scempiate, ossa schioccanti e pelle che
cadeva a brandelli – che cadeva a brandelli sul mio
tappeto nuovo.
Indossava un mantello anch’egli, con un cappuccio e a fodera rossa lo
faceva apparire ancor più spettrale con quelle orbite vuote e quel ghigno
demoniaco ma lo avevo già visto tramutarsi in mostro e
rivedere il suo volto non mi scompose come era successo prima.
“Non ti incuto terrore soldatino?” in balia di
due incubi che non volevano saperne di farlo sollevare dal divano, grandioso!
Dove era finito quel maledetto Black quando gli
serviva?
“Non hai mai fatto paura a nessuno, nemmeno da vivo”
“Ma sono i morti che fanno paura, soprattutto quelli che camminano,
parlano e…uccidono” era avanzato verso di me ad ogni verbo poi sull’ultimo si
era piegato fino all’altezza del mio viso, era così vicino che potevo percepire
quell’odore di morte e putrefazione “BUU!” e poi rise
di nuovo, latrò di nuovo, come latra una lupa dopo esser stata violentata dal
maschio per essere ingravidata.
“E’ veramente coraggioso il nostro
soldatino, peccato che non lo sia stato nel momento giusto” capì a cosa si
riferiva e mi voltai repentinamente a fissare la mietitrice che mi restituì
quel suo magnifico sguardo gelido e insieme caldo di colpa e di tradimento.
“Io ci ho provato, te lo giuro Hermione, ho provato
a salvarti. Quando mi sono reso conto che il Bagno dei
Prefetti era esploso mi sono precipitato su. Ho smosso pietre o spento il fuoco
ma non ho trovato i corpi. Non c’eravate più.”
“Non hai cercato bene” la voce fredda di lui.
Lei non parlava, rimaneva immobile e fredda.
“Te lo giuro, Hermione, sono tornato indietro”
“Tu sei tornato indietro per salvarci?” si era
nuovamente spianta verso il divano, quelle mani scheletriche si
strinsero sull’imbottitura del divano.
“No, sono tornato indietro per salvarti” lei si avvicinò ancora e mi
continuò a fissare con quei meravigliosi occhi.
“Ti ho amato così tanto e senza accorgermi”
sentì uno sbuffo sulla sua sinistra, lui era contrariato dalla scelta delle
parole della compagna “Non sapevo che cosa fossero i sentimenti prima di
incontrare te, prima di amare te” ancora uno sbuffo, me la risi sotto i baffi e
tornai a fissare i suoi occhi, volevo allungare una mano a sfiorarla ma provavo
raccapriccio.
“Te lo giuro, sono tornato indietro per salvarti” un rumore roco, il
suo sembrava davvero una risata, ma la mancanza di labbra rendeva quella
risatina macabra e triste.
“Ma non ci sei riuscito,” il suo sguardo si
allontanò seguendo il movimento della testa che tornava nell’ombra
dell’appartamento “Non sei riuscito a salvare lui” avrei voluto dirle che non ci avrei nemmeno provato e che
l’idea non si era mai affacciata alla mia mente ma continuai a tacere “E non
sei riuscito a salvare nemmeno te stesso, mio piccolo amore” aveva usato ancora
quel termine.
“No, Malfoy, non era una stupida
la nostra piccola. Sapeva quel che
voleva. Solamente voleva delle cose impossibili” le cingeva le spalle mentre ella abbassava lo sguardo precludendo i suoi
sentimenti a me.
“Addio”
Aveva sussurrato proprio quello e poi avevo spalancato gli occhi.
GINNY
Mi ero sposata sette anni, ottantadue giorni e due ore dopo la mia
prima cotta adolescenziale. Mi ero sposata dopo tre anni, ottantadue giorni e
dieci ore dopo il mio primo bacio d’amore. Mi ero sposata un anno, ottantadue
giorni e nove ore dopo la mia prima volta.
Mi ero sposata due mesi e ventidue giorni dopo
Il mio Harry James
Potter.
La cerimonia
era stata bellissima; un prato tagliato all’inglese di un verde simile agli
occhi dello sposo. Una cappella semplice creata da un vecchio nido di rami, era
stata mia madre ad incantarla per l’occasione. Ah la mamma! Quanto aveva pianto
la mamma quando mi aveva visto con indosso il mio
vestito bianco, il suo vestito bianco.
Era semplice come avevo sempre desiderato, aveva il colletto alto e una
scollatura fittizia a forma di cuore coperta da un velo, si stringeva in vita e
scendeva semplice fino ai piedi, dove calzavo ballerine bianche, fortunatamente
comode.
Le maniche cadevano lunghe sulle mani a coprirle lasciando scorgere
solo le dita, tra cui l’anulare dove avrei infilato l’anello più prezioso della
mia vita: la vera.
Una vecchia leggenda magica sostiene che la vera in oro viene posta sopra quel dito perché al di sotto pulsa una
piccola vena che ha un collegamento diretto con il cuore. Era un’idea così
romantica che al solo pensiero sarei scoppiata a piangere di nuovo se non fosse
entrata Lavanda, la fidanzata di mio fratello, a spettegolare sugli abiti delle
invitate e su alcuni cappelli che mi proposi io stessa di vedere perché mi
sembravano davvero eccessivi anche per le inglesi.
Attraversai di corsa lo spazio che mi separava da Harry che sorrideva
ironico durante tutto il tragitto concitato e quando mi fermai dinanzi a lui
arrossì come una mela matura e cercai il suo appoggio che subito mi diede.
Ero la donna più felice del mondo. Avevo sposato il mio principe
azzurro.
La vita è davvero strana, io che non meritavo davvero niente dalla
precitata vita avevo vinto il mio principe azzurro e
invece il testimone di mio marito, Draco, che era sempre stato l’uomo più
gentile e cortese al mondo, non aveva vinto nulla.
Anzi sembrava più infelice di
prima.
Di prima della Granger.
Di tutte le persone che avrei mai potuto credere cadessero
in depressione l’ultima era proprio Draco. No forse l’ultimo era mio fratello
Ron, ma se non l’ultimo avevo sempre creduto che Draco
sarebbe stato il penultimo o che comunque se la sarebbe potuta tirare con mio
fratello. Perché?
Non perché era la persona più gaudiosa del
mondo ma perché era sempre stato così forte, con tutti e per tutti. Adesso
vederlo così fragile mi spezzava il cuore e lo spezzava
anche a Harry e a Ron.
Loro, i maschi, credevano che
la sua vuota esistenza era dovuta alla sua nuova
identità perché si oramai lo sapevano tutti, Draco Malfoy, il timido e
secchione Draco Malfoy era diventato Sir Draco Lucius Malfoy, ultimo rampollo della famiglia ultimamente
ritrovata Malfoy.
In due parole? Lo scapolo d’oro di Londra.
Questo era quello che pensavano i maschi che non hanno mai capito nulla
d’amore, nemmeno se lo vedono sgambettare davanti agli occhi potrebbero capire
qualcosa d’amore. Ah!
Io credevo che la disperazione di Draco provenisse dai sensi di colpa
per aver permesso che
Naturalmente il suicidio era stato il diversivo con cui
Era questo il motivo che mi aveva spinto a bussare per mezz’ora alla
porta del suo appartamento e lo stesso motivo che mi aveva spinto ad entrare
senza essere invitata. Ed eccolo lì, lo scapolo d’oro, troppo ricco per lavorare, troppo povero per essere felice. Dormiva
imprigionato in quei suoi maledetti incubi.
Ed ecco la prova che l’ossessione si era
tramutata in malattia dopo che era scaduto l’amore.
“Hermione te lo giuro… borbottava il suo nome
nel sogno, borbottava il suo nome ed era terrorizzato. Lo afferrai per le
spalle e lo scossi ma non sembrò riscuotersi.
“Draco!” urlai alla fine, scuotendolo con più forza e lui allora
spalancò gli occhi.
DRACO
La prima cosa che vidi aprendo gli occhi fu Ginny
che mi fissava con uno sguardo pericolosamente simile a quello di Molly quando
fissava gli amati gemelli dello scherzo. Mi diceva qualcosa, magari che dovevo
smetterla di farmi seghe e cominciare a trovarmi un lavoro da babbano o da mago.
La osservai, come si fa con le immagini del televisore in mute, la scrutavo per analizzarla. Era
affascinante fissarla senza sentirla. La continuai ad osservare con fare
critico come facevo oramai da un po’.
I suoi capelli erano sfibrati ma sempre di
quel rosso che avevo paragonato a un tramonto e che Hermione aveva tanto preso
in giro. Quel rosso intenso che poco si accordava con la pelle pallida che
sembrava risplendere, avevo parlato anche di quella in una mia poesia.
Era la sposa più bella che avessi mai visto.
Ora la vedevo e non potevo riconoscerla perché ho capito che anche il
dolore, col tempo, si trasforma. Come l’amore e l’amicizia. E Lei era cambiata
ancora e nuovamente, o forse non era mai stata diversa da quel giorno e da
quelli che li seguirono, solo che adesso non aveva più
alcuno ostacolo e la vedevo per quella che era davvero.
Una sposa. Una bellissima sposa. Ma solo una sposa.
“Mi vuoi consumare?” lei aveva capito che non mi interessava
quando l’avevo invitata a ballare il giorno delle nozze e le avevo fatto le
congratulazioni per aver appena ucciso la sua vita sessuale. Lei aveva riso
commentando che almeno lei ne aveva una. Avevo riso
anche io e mi ero staccato da lei.
Credevo che la fine di un amore così grande e duraturo come il mio non ricambiato amore per Ginevra sarebbe
durato per anni portandosi dietro imbarazzanti silenzi
e inviti a cena di amici mancati. Ma non era stato
così.
“Temo ci pensi già tuo marito” lei ghignò soddisfatta della mia
repentina risposta, finalmente soddisfatta di avermi riscosso dal mio sogno.
“Oh sapessi come è divertente, infatti proprio
l’altra sera, era in cucina tutta intenta a pelar le patate quando Harry è
arrivato da dietro..”
“E io mi fermo qui, vorrei poter ancora entrare in quella cucina e poter mangiare le tue deliziose patate senza dover pensare a termini come
arrivare e da dietro” lei rise di gusto e io mi sentì
fiero di esserci riuscito.
“Come siamo maliziosi, credo sia tempo di cambiar acqua al pesciolino”
“Oh Ginny, non è possibile averla vinta con
te! Vivere con quattro fratelli maschi ti ha reso una
donna davvero abile dei doppi sensi” la sentì nuovamente sogghignare e alzarsi
dal divano.
“Forza è ora di andare Sir. Malfoy” scossi il
capo e mi alzai, cercando il mio giaccone. Dove
diavolo lo avevo messo?
“Passeggiata giornaliera?” annuì, lei, Harry e Ron si davano il cambio
ogni giorno per portarmi a cambiar aria,
avevo smesso di resistere due settimane prima, rendendomi conto che li rendeva felice. Chi ero io per intristirli?
Dove diavolo era finito il mio
giaccone?
“Se stai cercando la giacca è lì sul divano appoggiato allo schienale”
disse Ginny le sorrisi grato
e sollevai la giacca ma nel farlo mi resi conto che sotto di esso spiccavano
quattro piccoli fori anneriti.
“Non ti sarai messo a fumare” sussultò Ginny
avvicinandosi al divano, ma io presi a tremare nuovamente. Non erano sigarette
spente. Erano stretti fori di dita scheletriche provenienti dall’inferno.
“Andiamocene, subito”
EHI TU!
Quando ero piccola avevo immaginato tanti avvenimenti diversi che
potevano succedervi ma mai avrei creduto di ritrovarmi
così. Sbattei ripetutamente la schiena contro la sacchetta
nera della spazzatura.
Una sacchetta, anzi due sacchette,
come poltrona, mentre fissavo rapita un frammento che doveva appartenere a un vecchio specchio. Riuscivo a
osservare una parte del mio viso alla volta.
Decisamente non me
l’ero immaginata così la mia vita.
Per un certo periodo della mia vita volevo diventare un
esploratrice dei mondi sconosciuti. Immergermi nelle paludi o sparare a creature terribile ma mia mamma aveva bloccato sul nascere
quell’ipotesi di vita.
“Non ci sono più terre inesplorate”
“Ma madre, non sappiamo con certezza se ci
sono terre inesplorate o meno se nessuno le ha mai esplorate”
“E’ così e basta” non si poteva dire che sua
madre non avesse il dono della sintesi, la democrazia soffriva di gravi
mancanze effettivamente.
E così si era dovuta trovare un'altra vita da vivere
ma nessuna di quelle che poteva seguire l’attirava. Voleva arrampicarsi
sulle montagne più alte del mondo o inabissarsi negli oceani più neri. Voleva
conoscere i nomi di tutte le stelle e sapere il cognome di tutte le piante.
“E’ sciocco” la rimbottava sua madre “Finirai
come una fallita e io non muoverò un dito per fermarti nel tuo tracollo” ed
effettivamente mentre la vita sceglieva per lei questa strada così poco
edificante, sua madre non aveva mosso un dito. Certo era momentaneamente
occupata ad essere morta però avrebbe potuto indicarle
la strada desiderata prima.
“Ehi tu, passami quella sacca” mi voltai stancamente e tenendo lo
specchietto in equilibrio con la mano destra avevo afferrato
la sacca e l’avevo tirata a quello che mi stava quasi di fronte.
L’amico di quello che mi stava di fronte approfittando della mia disattenzione aveva afferrato il mio specchietto.
“Ridammelo” avevo urlato scioccata, non era
mio, niente in quel posto e con quella gente mi apparteneva se non quella vita
che non mi ero scelta.
“Ehi tu, stà zitta che qui si cerca di
dormire” aveva risposto quello a cui avevo passato la sacca che aveva sbattuto
sotto la guancia e aveva chiuso gli occhi.
No, non avrei mai scelto da sola la strada della barbona
ma era l’unica cosa che mi rimaneva prima di togliermi la vita in modo
definitivo. Quella e lo specchietto.
Il mio nome non contava più, mi avevano ribattezzato Ehi tu, se avessi
passato con loro almeno un anno avrei avuto l’onore di poter scegliere un
sopranome e se mi andava proprio bene avrei avuto un
posto fisso dove poter dormire nella spazzatura.
No, non era quella la vita che sognavo da bambina.
“Tienitelo il tuo specchietto del cazzo,
tanto non funziona” lo riafferrai subito, indispettita. Il mio specchietto non
aveva niente che non andava.
“Sei tu che non sai come si usa” avevo replicato continuando a
stringerlo al petto.
“Eh tu, io so cosa dico,” poi aveva dato una
spinta a quello che provava a dormire con la sacco sotto al mento “Frank” ah! Il privilegio di un nome proprio di persona lo prendevi dopo i tre anni “Frank,
io non ho gli occhi chiari?” Frank aveva alzato la
faccia dalla sacca per lanciare uno sguardo truce al ladro di specchietti.
“Naso a pippa hai degli stramaledetti occhi chiari ma cosa cazzo mi svegli a
fare per chiedermi dei tuoi occhi” sbuffò sonoramente e si lasciò cadere sulla
sacca per poi mollare una pedata a Naso a
pippa che aveva osato il sacrilegio.
“Ehi tu, hai sentito? Io ho gli occhi chiari” e si alzò
per dirigersi al suo di posto, più in disparte, e ora mi dava le spalle.
“Bravo” risposi
sarcastica
“Se guardi invece nello specchietto vedi
invece degli occhi neri” lo fissai scioccata, occhi neri? Occhi neri nello
specchietto? Cominciai a tremare, lo specchietto era proprio
sopra il mio cuore e ora?
Tremando lentamente lo staccai da lì e fissai il frammento con sguardo
timoroso. Possibile che Naso a pippa avesse trovato dell’alcool e fosse ubriaco? Poi
fissai meglio lo specchietto e sbiancai.
No, Naso a pippa non era ubriaco.
“Buonasera Signorina da quanto tempo”
DRACO
Passai un bel pomeriggio con Ginny, era piacevole girare per i parchi e incontrare babbani ignari o maghi più che consapevoli di incrociare Sir. Malfoy e
Dopo la passeggiata Ginny mi costrinse ad
andare a cena da loro, quando finalmente mi piegai alle sue insistenze informò
subito Harry che fu un gravissimo errore.
Harry quando arrivammo a casa era attorniato non solo da Ron, Lavanda e
annessa famiglia come mi ero arreso a pensare, ma da
almeno un’altra ventina di persone, di cui sei erano sicuramente ragazze single
e in cerca di marito.
In quel momento pensai di poter concludere il
lavoro cominciato da un certo tizio senza naso, ma non volli rendere vedova Ginny prima del tempo così sorrisi forzatamente e gli
strinsi in modo energico la mano me l’avrebbe pagata cara.
Tre ore, e quattro ragazze respinte più o meno
sensibilmente, dopo varcai la porta del mio appartamento. Era notte fonda e mi
appariva modificato in qualcosa.
Mi chiusi la porta alle spalle e feci un passo in avanti verso il
piccolo salottino.
In che cosa era mutato quel dannato appartamento?
L’odore.
Dolce e amaro insieme saturava l’aria.
Ma cosa diavolo...
L’abajur
si illuminò all’improvviso, costringendo il mio cuore
ad uno spasmo e i miei piedi a balzare all’indietro facendo sbattere
dolorosamente il mio polpaccio contro il tavolino in ferro e vetro che
fremette.
La luce si diffuse per la stanza rompendo la quiete e l’ignoranza che
le tenebre avevano coperto e mi ritrovai a fissare nuovamente il mio incubo.
Il salotto era perfettamente ordinato tranne che per due piccoli
particolari. Il primo era il maledetto specchio senza più
la protezione del drappo e la seconda era naturalmente lei. Mi voltai in cerca del secondo incubo ma
non lo trovai. Peccato stasera mi sentivo di buon cuore,
avrei offerto da bere per tutti!
Clap, Clap
un rumore basso intervallato da un rumore di vetro scocco. Due occhi lucidi ma perfettamente allenati per scorgere anche il
più piccolo movimento. Dannazione ogni volta che la vedevo
quei dannati occhi erano sempre più belli e gelidi.
“Cosa ci fai tu qui?” forse
anche lei si stava stancando di
sentirmi ripetere quella frase tutte le volte.
Seduta sulla poltrona, sguardo affilato e mani congiunte che
stringevano una bottiglia, sedeva un Hermione Granger molto differente da
quella del pomeriggio. Sembrava la stessa che avevo dimenticato a scuola, qualche tempo fa.
“Ma bravo ti ricordi di me” posò la bottiglia
sul tavolino dove era la lampada, il mio
tavolino di legno di frassino da poco ritirato dall’antiquario e divaricò le
braccia facendo segno a qualcuno, mi fissai intorno per vedere anche lui, ma lui sembrava non esserci… ancora.
Poi le richiuse d’improvviso in modo che le mani battessero fra loro,
in un terzo derisorio applauso.
“Signori applaudite al mio caro
amico!” la voce si trascinava lenta, strascicata come se l’incubo stavolta non
avesse la sua solita voce ad effetto ma che avesse ingogliato
qualcosa che la facesse biascicare. Afferrò nuovamente la bottiglia e bevve
avida come faceva Barty Crouch Jr. quando si era infiltrato nella scuola al
Torneo Tre Maghi per uccidere Harry. Ma non era Pozione Polisucco,
mi ritrovai ad arricciare il naso, si sentiva una forte
puzza di vino rosso tendente all’aceto, vino di pessima qualità.
“Applaudite a Draco, come ti chiami? Si
ora ricordo, Lucius
Malfoy, un ex mezzosangue imbranato che io ho reso bello, elegante e
spregiudicato!” gli incubi non avevano mai parlato così, cosa cavolo avevo
mangiato stasera e dove cazzo mi ero addormentato?
Sperai di non trovarmi nessuna di quelle ragazze al fianco la mattina dopo.
Pausa ad effetto, o solo per bere ancora.
“Applaudite a questo Assassino che mi ha consegnato al mio Carnefice per poi correre ad aiutare la gente che lo aveva sempre
disprezzato. Voi. E adesso passeggia per i parchi
londinesi e lo chiamano Sir. Passeggia per i parchi
londinesi con la sua amante e novella sposa di Potter.
La sua Ginevra dai capelli di tramonto” no, decisamente
nessuno incubo che avevo mai fatto era così dannatamente reale come quello che
stavo facendo ora. Quell’Hermione sembrava proprio Hermione. Non osai crederlo, la prima volta ero corso ad abbracciarla per
poi trovarmi davanti il niente.
Fece un’altra pausa per bere.
“Se sei qui, non sono un assassino” risposi
all’improvviso folgorato, volevo che continuasse quel maledetto incubo, era il
più veritiero che avevo mai fatto.
“Se fosse per te, sarei carbonizzata o comunque
cotta a puntino come lo scheletro che hai visto nel tuo incubo oggi pomeriggio”
la fissai sconvolto, ora facevo anche incubi in serie? Non era mai successo
nemmeno quello, segui la corrente Draco,
continuiamo questo maledetto incubo.
“E allora chi devo ringraziare per il fatto
che sei ancora viva?” lei mi ghignò
in faccia, quella bellissima bocca, in questo maledetto incubo, era come la
ricordavo, con quelle labbra dischiuse in un sorriso velenoso.
“Oh devi ringraziare il Signor. Black
naturalmente!” come chiamato apparve la sua figura allampanata all’interno del
riquadro e mi sorrise con quel sorrisino malizioso che mi metteva i brividi.
“Joe? Che cosa sta
succedendo?”
“Oh la signorina non dice il falso. Sono stato io a
salvarla dal Bagno dei Prefetti” lo fissai con la bocca aperta. Eravamo
ancora nella mia testa? Oddio.
“E il Signorino?” chiesi senza fiato e mi beccai un
occhiata omicida dalla fu
signorina Granger.
“Non lo meritava” rispose Hermione
“Non ho fatto a tempo” rispose Joe.
Ok stavo decisamente
impazzendo, forse era meglio far compagnia al mio incubo e versarmi un po’ di
whisky, mi avvicinai al mobiletto dei liquori e presi la bottiglia, la studiai
attentamente stringendo il bicchiere di cristallo e lo posai nuovamente sulla
mensola. Svitai la bottiglia e ingurgitai un sorso. E
tornai al centro del soggiorno, continuando a stringere il whisky nella mano
sinistra.
“Va bene, fatemi capire come Lei”
indicai Hermione che continuava seduta sulla mia poltrona a sorseggiare la
bottiglia di vino senza controllare i sorsi e alcune gocce cadevano sulla mia
poltrona macchiandola. Una fortuna che fosse tutto un
dannato sogno. “ si è salvata da quell’inferno e come Lei” stavolta indicai l’immagine dello specchio
“l’ha miracolosamente salvata.
“Oh, niente di miracoloso Sir, ero in un
angolo del Bagno totalmente alla mercè di quel pazzo e mi sono voltata a
fissare uno specchio che era sulla mia destra, mi sono detta Meraviglioso, morirò
guardandomi allo specchio! Ma all’improvviso sono sbucate due mani e mi
hanno tirato fuori dall’inferno e mi sono ritrovata
nella mia stanza. Il Signor. Black mi ha curato dalle
ferite e da alcune bruciature e poi mi ha trasportato attraverso il mio
specchio in quello di casa mia. Ho preso alcune cose e poi sono passata per la
tua soffitta per poi rifugiarmi in un posto sicuro.”
Sgranai gli occhi chiedendomi come la mia mente fosse arrivata a fare delle ipotesi così fantasiose e a farle partorire alle
labbra fallaci di quella bambola delle fattezze di Hermione.
“E tu lo sapevi Joe?”
“Certo Signorino, le ho fatte insieme con lei
queste cose”
“Ma tu eri tanto contrariato che l’avessi
uccisa”
“Non ho mai detto di essere contrariato per averla uccisa, bensì per il
suo comportamento nei suoi confronti” spalancai la bocca, uno psicologo avrebbe
detto che questo incubo era la mia reazione al lutto
ma mi sentivo davvero spiazzato.
Hermione sorseggiò ancora dalla bottiglia prima di lasciarla cadere, ci
fissavamo e la bottiglia crollava lentamente verso il mio tappeto, i suoi occhi
con quello sguardo di sfida. Mi mancava quella lotta
continua, mi mancavano le sue parole crudeli e la sua voglia di sfidare
la vita. Non credevo di poterlo dire ma lei mi
mancava.
La bottiglia si infranse sul pavimento,
spalancai maggiormente gli occhi ma non mi svegliai. Perché
Hermione rimase seduta lì dov’era a fissarmi con quello sguardo soddisfatto di
una bambina dispettosa.
Non mi importava più interrompere quel sogno,
feci pochi passi e le fui di fronte.
“Smettila Granger, non sei a scuola, non sei
più la regina, non sei più nemmeno una purosangue. Non sei più nulla” Hermione
si alzò dalla mia poltrona, riuscendomi a non sfiorare e alzò il suo sguardo su
di me. Anche ora che era in piedi e cercava di mantenere un
certo contegno costretta com’era ad allungare il collo per potermi
guardare in viso. Era, infatti,più bassa di me di una
decina di centimetri. La vidi fremere e quasi ringhiò.
“Sarò sempre più di te, sangue o non sangue, io resto sempre una strega
migliore di te” aveva ancora quell’espressione orgogliosa che le ricordavo sul viso e malgrado il pungente odore di vino
sentivo ancora quel suo odore di donna che mi aveva sempre mandato in
confusione. E lo ero anche adesso, quel sogno doveva
finire.
“Sei soltanto una donna morta” la sua espressione divenne di fuoco e i
suoi incisivi pungolarono il labbro inferiore poi fece qualcosa che non potevo
credere fosse possibile: mi colpì con uno schiaffo.
“Questo lo può fare una donna morta?” intrappolai la sua mano fra le
mie, il bruciore lo avevo già dimenticato preso
com’ero dallo stupore che quella donna piombata nel mio appartamento stava
producendo su di me.
Scossi la testa totalmente asservito a
quello sguardo così caldo. La mano che stringeva la sua divenne improvvisamente
di fuoco e l’elettricità passò attraverso le mie mani.
“Credi che una donna morta possa fare questo” avvicinò il suo viso al
mio e vi posò le labbra, erano bellissime e sentì qualcosa spezzarsi mentre che
le mie mani la stringevano intensamente.
Non esisteva più il tempo, non esisteva più lo spazio e insieme
esistevano ancora, più ingombranti di prima come il tavolino dove mi fece
sbattere la mezzosangue o la poltrona dove io la feci
risedere, lei rise e io mi ritrovai a ridacchiare.
Era davvero viva e mi voleva ancora.
Le presi la mano delicatamente e la feci
alzare dalla poltrona, ricordavo ancora quello che mi aveva detto la prima
volta, sembrava passata un’eternità da quella notte.
“Mi concedi questo ballo?” lei sorrise consapevole della mia frase ma
scosse piano la testa.
“Non c’è la musica e non ho le scarpe adatte” le sorrisi ancora mi
sentivo un idiota a sorridere così tanto, non lo
facevo davvero da troppo tempo.
“Non importa” la avvicinai al mio corpo e la strinsi ancora “la musica
può stare nella tua testa e le scarpe…nemmeno io ho quelle adatte” la sentì
ridere sul mio petto e le sue mani strusciare lungo le mie spalle a cingermi la
vita.
Era bello il mondo…
“Oh Hermione, la mia Hermione
Granger” lei si bloccò nell’atto di restituire il bacio e mi chiesi cosa le
avessi detto di sbagliato.
“Hermione Granger è morta” la fissai allarmato
e strinsi la sua vita sottile, non volevo vederla sparire nuovamente, maledissi
la mia mente annebbiata.
“Tu hai detto…” lei scosse ancora il capo.
“Io ti ho detto che non sono una donna morta
ma non ti ho detto che Hermione Granger, non lo sai? Hanno celebrato il mio
funerale un mese e mezzo fa” si allontanò da me e
incrociò le mani sul petto, aveva il viso pensoso e notai una stanchezza nuova.
“Allora tu chi sei?” lei si voltò nuovamente a guardare, aveva gli
occhi di cristallo tanto erano sottili e facili al
pianto. Il silenzio ricadde piano.
“Non lo so” era un mugugno, una preghiera, mi sembrava così fragile e
così poco cattiva che mi chiesi se lo fosse mai stata
realmente.
“Nemmeno io” si avvicinò nuovamente a me e riprese a baciarmi con un
trasporto tutto nuovo e io non era da meno. Un
trasporto così intenso che lo si poteva definire
disperazione e bisogno estremo di un’anima in cui versare il proprio tormento
fino a perdersi per poi ritrovarsi insieme. Due punti interrogativi in quel
mondo di punti esclamativi.
Due incognite in un mondo di certezze.
“Che cosa mi hai fatto mezzosangue?” eravamo nella mia stanza da letto e io
non sapevo nemmeno come ci eravamo arrivati, potevamo anche esserci materializzati
al suo interno. La fissai intensamente, la stanza aveva
smesso di girare e anche lei mi fissava di rimando guardandomi
intensamente poi feci qualcosa che non avevo mai fatto; presi l’iniziativa.
Strinsi le mani a coppa sulle sue guance e la cominciai a baciare,
sentì le sue piccole mani artigliarmi le spalle per poi accarezzarmi tutta la
schiena.
Le mie mani scesero sulle sue spalle e le spinsi via il capotto che rotolò a terra. Lei mi fissò nuovamente con
quegli occhi maledettamente affascinati e che mi erano tanto mancati.
“Dimmi cosa mi hai fatto … Dimmelo!” era un
ordine? Non lo sapevo, la voce con cui l’avevo
pronunciato non la si poteva definire una voce imperiosa. Sembrava quasi che la stessi implorando, ma di fare cosa? Rompere l’incantesimo
o continuare e dannarmi per la vita.
“Non lo so” tartagliò Hermione.
La stavo spogliando? Ero davvero io?
“Te lo dico io piccola strega…” ma me ne
rimasi in silenzio, come inebetito, le avevo tolto tutti i vestiti e ora la
contemplavo nuda, mia…almeno per le prossime ore. E
all’alba? Mi avrebbe cacciato di nuovo in malo modo?
E che tipo di vita insieme avremmo mai potuto
condurre insieme?
Nascosta nel mio appartamento perché per tutto
il resto del Mondo Magico era considerata morta. Morta
per causa mia.
Eppure lei era nel mio appartamento, continuava a volere me, ritta con
quello sguardo preoccupato negli occhi mentre i miei
occhi la fissavano con ansia.
“E’ follia?” provò a dire vedendo che non continuavo a parlare.
Lei era lì per me, pronta a giacere con l’assassino e il ladro della
sua identità, le dovevo un minimo di sincerità, sospirai lentamente e mi
avvicinai nuovamente a lei, non volevo che la mia piccola volpe si
raffreddasse.
“Peggio” aggiunsi, gli occhi che ammiravano ciò che le mani volevano toccare,
ma continuavo a rimanermene immobile, le mani lungo i fianchi che non la
sfioravano, continuando a fissare il suo corpo.
Meritava le parole che stavo per dirle? Fissai
il suo viso; l’espressione esasperata, poi sorpresa e dopo confusa. Gli occhi liquidi di desiderio trattenuto. Le labbra socchiuse come
preparata al rifiuto.
“E’ amore” risposi in fine, uscito sconfitto dalla mia battaglia
interiore.
Ero totalmente e incondizionatamente innamorato di lei ma di quegli
amori che non rendono felici perché sono al di là della
gioia e del dolore, sono così, protesi verso il sublime, verso l’immensamente
bello e contemporaneamente l’enormemente brutto.
Io l’amavo non c’era da aggiungere
nient’altro.
Fine
Ed eccomi giunta alla fine, non è l’ultimo capitolo, fra due settimane
da oggi pubblicherò l’epilogo di questa storia. È
sempre triste dire “addio” ad un racconto, i personaggi continuano a vivere
intorno a me e dare una vera e propria fine non è mai stato il mio forte.
Questa lettura, chi di voi è riuscita a compierla dall’inizio alla fine è figlia di una riflessione psico
– sociale che divide gli addetti ai lavori da molti anni.
La personalità di un individuo come si crea?
Una persona “cattiva” è cattiva perché non ne può fare
a meno o per quello che gli si crea attorno, il suo backgraund,
i suoi rapporti.
Il titolo “Bad Girl – Cattive compagnie”
racchiude un’ambiguità di forma.
La cattiva compagnia chi è? Hermione per Draco o il contrario?
Vi lascio questa domande, sperando in una
considerazione finale di tutti coloro che hanno letto questa storia.
Note
1. La citazione è di
Alessandro Baricco
2. Nugae è il nome della
raccolta di poesia di un autore latino, Catullo, dedica interamente
all’amore. Con questo termine i latini indicavano le “sciocchezze”. L’amore per
i Romani naturalmente era una sciocchezza che rendeva l’uomo debole e non più
degno del genere maschile.
3. Il nome di Benijamin
o Benjamin, entrambi vengono
utilizzati per Beniamino è il vero nome di Joe Black,
qui figlio dell’inquietante proprietario di Magie Sinistre, personaggio della Rowling. Ma sia Benijamin che Joe sono invece personaggi di
fantasia: la mia.
4. Avvinti nella morte come non lo erano mai stati nella vita. Frase che sovente la si
trova come iscrizione funebre. Non mi sono riferita ad una in particolare ma sicuramente questa ricalca qualche più simile
iscrizione tombale.
5. “No, Malfoy, non era una stupida la nostra piccola. Sapeva quel che voleva. Solamente voleva delle cose impossibili”
citazione più o meno colta fregata a una pagina di Facebook, che ringrazio, cercate: A Midsummer
Night’s dream.
L’Epilogo sarà on line il giorno 14 Novembre
2011
Martina