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Autore: Neal C_    01/11/2011    4 recensioni
[Con la partecipazione straordinaria di David Bowie e Matt Bellamy ]
Raccolta di One-shots su Brian Molko, sprazzi di vita, pallide impressioni che affiorano da foto, video, interviste, dall’ immaginazione più o meno fervida dell’autrice e naturalmente dalla musica.
Filo conduttore: il cambiamento.
Ch-ch-Changes
Just gonna have to be a different man
Time may change me But I can't trace time
Genere: Generale, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Brian Molko, Un po' tutti
Note: Cross-over, Raccolta | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
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Dundee 1984

 

“Brian!
Ma mi stai ascoltando?!”

Eloise arriccia le labbra in un’espressione corrucciata e sbuffa come uno di quei stalloni da corsa che hanno fiato da vendere.
Il suo amichetto non la sta affatto ascoltando, è troppo concentrato su uno stupido manuale di scienze mentre segue il segno con un dito e legge velocemente, ogni tanto sbadiglia e strizza gli occhi come se non volesse addormentarsi sul più bello.
Probabilmente non l’ha ascoltata nemmeno prima, mentre lei si dava da fare per spiegare quanto fosse bello il locale nuovo che avevano aperto poche strade più in là.
Stasera c’era l’inaugurazione e lei voleva esserci.
Alla fine lei gli si avvicina e gli assesta un paio di schiaffetti sul braccio che sorregge la testa mezza addormentata dalla noia.
Il ragazzino si irrigidisce e ritira il braccio, d’istinto; alza lo sguardo sulla seccatrice, le sopracciglia aggrottate, palesemente irritato.
Lei di contro piagnucola, quasi petulante:

“Brian!”
“Che vuoi?”
“Uffa, era ora che ti accorgessi di me!”
“Sai com’è sono a casa tua, è difficile che non mi accorga di te.”
“Intendo dire…non mi stavi proprio ascoltando!”
“Forse perché mi stavi raccontando un mucchio di stronzate?”

Lei non sembra particolarmente ferita o seccata dal tono ironico e strascicato dell’amico, come se gli costasse anche solo aprire la bocca.
Anzi, sembra abbastanza soddisfatta di aver finalmente attirato la sua attenzione.
Incurante delle occhiate infastidite che lui le manda,  Eloise continua a punzecchiarlo sul braccio con insistenza.

“Allora stasera vieni?”
“Dove?”
“Lo vedi che non mi stavi ascoltando?!”
“…”
“Allora non sei curioso di sapere?”

Brian alza gli occhi al cielo e spinge via il manuale di scienze che cade giù dal letto e si apre in due.
Si sistema meglio sulla pancia appoggiando la testa fra le mani, i gomiti puntati sul piumone colorato del letto.
Dopodiché finalmente le concede la sua attenzione, puntandole gli occhi addosso.
è abbastanza sgradevole e inquietante essere fissati in quel modo e Brian lo sa, ma lui lo fa sempre. Crea uno strano disagio nelle persone che in genere tendono a distogliere lo sguardo, a non rispondere, a troncare la conversazione, oppure nella peggiore delle ipotesi si risentono per quella provocazione e quell’arroganza e reagiscono in malo modo.
Non è una persona simpatica, Brian.
Non è solare, non è più un bambino dalle guancia pienotte e dal caschetto liscio, bruno e biondiccio. Tutto di lui è più scuro, più sottile e affilato.
La ragazzina ridacchia, una risatina un po’ stupida e commenta, con leggerezza:

“Tu sei strano forte…fai paura.”
“Allora?”
“Allora stasera c’è l’inaugurazione del London Nightclub.
 Mark Callway ha detto che mi porta, insieme al suo gruppo.”
“Buon per te.”
“Tu non hai mai conosciuto Mark? È uno del quarto anno, però lo scambiano sempre per un universitario perché è altissimo.”
“E io che c’entro?”
“Vuoi venire?”
“Devo studiare.”

Lo dice senza nessuna convinzione, anche se la ragazzina non se ne accorge.
Ha una voce neutra, osserva con grande attenzione i manifesti di due star del momento a caso, Madonna e Cindy Lauper sulla parete di fronte, con un po’ troppo interesse, conoscendo il tipo.
Pensa che non vuole passare la serata con quel Callway del quarto anno, lo ha visto un paio di volte, è un ragazzotto alto e ben piazzato che ama mettersi addosso maglie nere aderenti per sfoggiare qualche pettorale in via di sviluppo, i pantaloni a vita alta con una cintura che lo strizza in vita e un chiodo di pelle. Non è un mistero quanto sia appassionato di Grease e le ragazze lo amano anche per questo.
Pensa che si sentirebbe il ragazzino della situazione e non gli sta bene.
Lui vuole attirare l’attenzione, in un modo o nell’altro, vuole far parlare di se;
se c’è una cosa che odia è essere ignorato.
Non si accoderà mai ad un gruppo, semmai ci va da solo.

“Eddai! Non te ne è mai fregato niente dello studio, Brian!
Non conosco nessuno! Per piacere!”
“Perché non lo chiedi alle tue amichette?”
“Perché i genitori non le mandano e se si imbucano di nascosto le sorelle le riconosceranno e spiffereranno tutto!”
“Anche mio fratello va.”
“Ma tuo fratello non fa la spia! Tu non le conosci quelle due! Sono delle stronze!
L’altra volta hanno spifferato anche a mia madre che ci eravamo imbucate alla festa di Mark e ha raccontato che ci eravamo truccate ‘come delle troiette da marciapiede’ ! Parole testuali! ”
“Non mi va.”
“Secondo me ti vergogni.”
“Mettici più impegno, non sei convincente.”
“Eddai, Brian!”
“Ti ho detto che c’è mio fratello.
 Non ho nessuna intenzione di farmi beccare da lui.”
“Ma non ti riconoscerà mai!”
“Difficile, visto che mi conosce da dodici anni.”
“E allora…ti travestirai!”

Questa volta Eloise è riuscito a prenderlo di sorpresa.
Con sua grande soddisfazione può vedere gli occhi del compagno spalancarsi, la sua bocca aprirsi, come per dire qualcosa e poi richiudersi lentamente, senza parole.
Perché non ci ha pensato prima?
Eppure sembra una pazzia, una vera pazzia.
Travestirsi da cosa poi?
La domanda sorge spontanea, e per un attimo a Brian sembra di avvertire un tremolio nella voce che non  gli piace neanche un po’.

“In che senso?”
“Uff, non lo so, qualcosa con cui non ti riconoscerebbe mai!”
“Puoi mettermi un lenzuolo in testa e giocare a fare la strega e il fantasmino, la notte di Hallowen.”
“Ci sto pensando, d’accordo? Non fare lo stronzo!”
“…”
“Allora, intanto potrei truccarti! Tuo fratello non penserebbe mai che quello sei tu.”
“Si, se vado con la stessa maglia con cui sono andato a scuola.”
“Beh, allora ti devi cambiare!”
“…”
“Puoi mettere una delle mie!
Abbiamo anche la stessa taglia!”

Le labbra di Brian per poco non si incurvano in un sorriso divertito.
Gli eventi stanno prendendo una piega davvero inaspettata.
Improvvisamente questo non sembra un altro dei grigi pomeriggi passati ad ascoltare le chiacchiere infinite di una delle sue amiche di infanzia.
La famiglia di Elizabeth Brown, detta per qualche strana ragione Eloise, è sempre stata grande amica dei Lancer Farrel.
Kate Molko, che all’epoca era a Brussels, incinta del minore, fu la prima a sapere che la sua cara amica d’infanzia, Charlotte si era scoperta incinta di tre mesi e aveva dovuto sposare Walter Brown di grande urgenza.
E, un anno dopo, Kate era tornata in Scozia per vedere la piccolissima Elizabeth e per riabbracciare la  “Zia Charlotte” , come era conosciuta in casa Molko.
Tutto sommato Eloise era una cara ragazza, entusiasta della vita, sapeva fare la stupida quando serviva ma non lo era affatto., era una ragazzina che si adattava bene ad ogni situazioni, alle volte con un pizzico di ingenuità, alle volte con straordinaria maturità.
Per un attimo Brian cerca negli occhi della compagna tracce di malizia ma non ne trova.
Lei gli sorride, divertita dallo stesso gioco che si apprestano a portare avanti, come se si trattasse di organizzare qualcosa per una festa di carnevale.

“Mi stai proponendo di vestirmi…da donna?”
“No, assolutamente no!
è ovvio che sceglierò una delle magliette più maschili che ho!”

Smette di pungolargli il braccio di botto, e si alza dal letto per precipitarsi all’armadio.
Comincia a tirare fuori decine e decine di maglie, camicette, pezze varie dai colori più disparati.
Brian non può fare a meno di stupirsi di quanti impicci hanno le ragazze nei loro armadi, alcune sottratte ai guardaroba sterminati delle madri, delle zie, altri presi in prestito dalle cugine e mai restituite, altre ancora scambiate con le compagne del proprio gruppetto.
C’è un’incredibile varietà nell’armadio di una ragazza, molta più di quanta ce ne sia nel cassetto di un ragazzo.
E lì pensò alle sue magliettone a maniche corte, bianche, nere, con qualche slogan, al pullover di lana, alle tre camicie bianche, al suo unico paio di jeans, al completo da sera e alla grigia uniforme scolastica, tutti ordinatamente ripiegati in un cassetto, assieme alla biancheria.
Pensa quanto è invece affascinante, la mattina, prima di uscire, decidere cosa mettere, che colori sfoggiare, come presentarsi al resto del mondo, ogni volta con una veste diversa perché questo non possa mai prevedere chi saresti stato quel giorno.
Ma quando Eloise tira fuori  una maglietta a mezze maniche bianca tutta spiegazzata, con uno scollo a barca , il ragazzo storce il naso.

“Provati questa.”
“Mi sta male.”
“Ma non l’hai nemmeno provata!”
“Non mi piace.”
“Questo passa il convento.”

La ragazza si arrende e incrociando le braccia al petto, brontola indicando con il mento la porta dell’armadio di ciliegio alle sue spalle.
Brian è costretto ad alzarsi e a rovistare personalmente in quell’armadio che lo lascia abbastanza deluso. Non è colorato, spumeggiante, esagerato come se lo era immaginato.
Per un attimo, nella sua mente, aveva pensato di trovare i colori psichedelici, i tagli stretti e aderenti, i costumi cangianti pieni di lustrini di David Bowie, le piume di Marc Bolan, il maculato di Rod Stewart.
Si rimprovera per essere stato così stupido e replica infastidito, con un moto di stizza:

“Ma cosa vi mettete voi ragazze per andare in discoteca?
L’uniforme scolastica?”
“I vestiti”
“Questa roba nera la chiami vestito?
Io la chiamo tenda.”
“E comunque non sono cazzi tuoi!
Tu certo non ti puoi mettere un vestito!
Anzi, a pensarci bene non ce li ho nemmeno dei pantaloni per te…”
“E allora fammi provare una gonna.”

Adesso è il turno di Eloise di rimanere a bocca aperta.
Lo guarda come se fosse improvvisamente impazzito, come se le avesse detto che il genere umano sta per estinguersi come i dinosauri.
Anzi, forse in quel caso, si sarebbe ripresa prima.
Il ragazzo aggiunge velocemente, sfrontato:

“Facciamo una scommessa.
Mi presenterai a Marc Callway come una tua amica.
E vediamo se Barry o qualcuno del locale non mi scambia per una ragazza.”
“Brian, sei pazzo?”
“No, solo annoiato. Allora, scommettiamo?”
“E va bene! Scommettiamo cinque sterline!”
“Ok, allora se perdo dovrai aspettare fino alla fine del mese, lo sai vero?”
“Si, si tranquillo.”
“Però a patto che mi aiuterai ad essere una ragazza perfetta.”
“Affare fatto!”

********************

Lo scherzo per Brian  era diventato una sfida.
Voleva essere scambiato per una ragazza, voleva vincere questa scommessa, voleva ridere dei ragazzi che lo guardavano con interesse.
Non era mai successo e la cosa lo eccitava, lo faceva sentire importante, desiderato.
Era da tantissimo tempo che non si divertiva così.
Quando lui ed Eloise avevano finito era assolutamente irriconoscibile.
Il caschetto castano era stato vivacizzato a colpi di spuma e phon, le sopracciglia erano state spuntate e ridotte a due sottili linee scure , il volto era un maschera di fondotinta con una spolverata di fard, trucco pesante intorno agli occhi fra ripetute pennellate di mascara, passate di matita, ombretto scuro e eyeliner  glitterati ma le labbra erano stato il capolavoro di Eloise.
Disegnate da una vistosa matita rossa e riempite da strati e strati di rossetto e lucido si erano inturgidite, gonfie e carnose come lui non le aveva mai viste.
Quando avevano incontrato Marc Callway e il suo gruppo Eloise l’aveva presentato come Michelle, una sua cara amica francese, venuta a farle visita.
Brian era dovuto rimanere in silenzio, soffocando le risate e accontentandosi di lanciare degli sguardi intensi, con un velo di malizia, e increspare le labbra in sorrisi accennati.
Sapeva che se avesse aperto bocca avrebbe rotto l’incantesimo.
Quella sua voce nasale, aspra e palesemente maschile non doveva uscire, ma rimanere confinata in gola, dove nessuno l’avrebbe mai sentita quella sera.
Per precauzione ora tutto il gruppetto pensava che la misteriosa ragazza francese fosse muta.
Marc li aveva introdotti nel locale garantendo per tutto e dichiarandosi un più che ventenne e, come era previdente nessuno si prese la briga di controllare.
Il locale, inaugurato da poco, aveva quattro stanzoni in cui si affollavano schiere e schiere di universitari, in jeans e camicia larga, pullover colorati, su cui si riflettevano i lampi di luce psichedelica del locale della pista. Il resto del locale era avvolto nel buio.
La musica era ritmata,  frastornante tanto era alta, e la pista pian piano si andava riscaldando, mentre le persone sfilavano, passando dalla pista al bancone che serviva pinte di birra e anche qualche alcolico dai colori psichedelici per i più coraggiosi.
Per un attimo Brian aveva cercato suo fratello fra i ragazzi del locale e lo aveva trovato, appartato, con la sua ragazza, Leah. 
Poi era stato distratto da un ragazzotto della banda, un tale Steve che distribuiva pillole in busta e gliene stava agitando una davanti al naso.

“Ehi, piccola, vuoi provare?”

Brian aveva sfoderato la più innocente delle espressioni, scuotendo il capo in un debole rifiuto, ma quello non si era lasciato ingannare da quella finta ritrosia.

“Ti piacerà, è una favola.
C’est magnifique.
As tu compris? ”

Parlava un francese rozzo, masticato, e si era mangiato le finali delle parole tanto che il suo interlocutore aveva dovuto sforzarsi per ricostruire le sue parole.
Ma il ragazzo non aveva aspettato nemmeno conferma e aveva afferrato Brian per il polso;
con fare sbrigativo gli aveva cacciato nel palmo una bustina di plastica con la pillola grigiastra, e gli aveva chiuso le dita perché questi la stringesse , quasi temesse  che “la ragazza francese” l’avrebbe gettata per terra.

“Prova”

E Brian non se l’era fatto ripetere. Aveva estratto la pillola dalla busta e l’aveva messa in bocca.
Grattava sulla lingua come una normale mentina ed  aveva un retrogusto amaro.
Poi era stato richiamato da Eloise che per poco non aveva rovinato tutto, pronunciando il suo nome, per poi correggersi con un mezzo colpo di tosse soffocato.
Ma c’era troppo fracasso per attirare davvero l’attenzione.

 


È  più di un’ora che stanno là dentro e Brian è costretto ad appoggiarsi ad una parete di cartongesso.
I tacchi gli stanno martoriando i piedi, sente le gambe sudate, i collant  gli irritano la pelle sulle cosce che la gonna a balze blu è troppo corta per coprire come si deve, le ruches della camicetta bianca sembrano appiccicarsi al petto e sopra la giacca bombata argentea sembra opprimerlo ancora di più, ma non osa toglierla per paura che il sudore riveli il petto liscio e maschile.
Chiude gli occhi per un attimo: strane immagini, colori accecanti gli ballano davanti agli occhi, lo abbagliano e non trova pace nemmeno con le palpebre serrate.
Dopo un po’ sembra abituarsi ai fari luminosi che lo investono e le luci si fanno più tenui.
Apre gli occhi e intorno a lui ci si sono centinaia di persone che si tengono per mano, che ballano freneticamente.
Stira le labbra in un sorriso beato mentre cerca di rimettersi saldo in piedi.
Ma le caviglie lo tradiscono e cade per terra atterrando con un tonfo sul pavimento.
Si morde a sangue la lingua mentre pensa di essersi smascherato davanti a tutto il locale.
Ma il grido strozzato che ha lanciato prima di atterrare di peso a terra non sembra essere stato udito da nessuno.
Non riesce ancora a rimettersi in piedi, non ci prova neppure mentre vede lampi di luce che investono le persone nella sala e improvvisamente una di queste sembra venire verso di lui, a passo sostenuto, come allertata da qualcosa.
Attorno a quello che si rivela essere un uomo Brian crede di vedere una nuvola dorata, un luccichio che lo lascia conquistato, come se stesse ammirando una creatura divina, come una Madre Teresa in piena estasi.
Risuona, amplificata la voce di quell’uomo, roca e grattata, Brian non sa se ha capito ma non gli importa. Si lascia sollevare per i fianchi da quell’angelo sconosciuto e si aggrappa a lui cercando di rimanere saldo sulle gambe.
L’uomo gli carezza il viso, dicendogli qualcosa, con un sorriso più simile ad un sogghigno ma Brian ormai non riesce più a vedere le cose come stanno. Quel sogghigno è per lui il sorriso più luminoso, caldo e sensuale che abbia mai visto e così anche lui risponde stirando le labbra timidamente, allungando il collo come una preda che, in un momento di follia, offre la giugulare scoperta al suo cacciatore.
Sente il calore inondarlo mentre la mano dell’uomo lo carezza sulle gambe magre, risale le sue cosce sudate e imprigionate nel nylon della calza.
L’uomo  scosta quasi distrattamente alcune ciocche sudate che si erano appiccicate al lucido delle labbra e poi preme con decisione la sua bocca su quella di Brian.
I due corpi arretrano verso il muro, la giacca e la camicia del ragazzino sono incollate fra la schiena e il cartongesso, mentre quell’uomo gli si spalma addosso cercando di infilare le mani sotto la gonna.
Poi in un attimo Brian si vede strappare via il suo angelo di dosso che finisce dritto, disteso sul pavimento, battendo la schiena per terra.
Le guancie gli si infiammano mentre mani forti, grosse, gli schiaffeggiano violentemente il volto.
Un urlo ferisce le sue orecchie ma ancora una volta lui non riesce o non vuole sentire le parole.
Quelle stesse mani lo tirano su, in braccio e lo portano in mezzo ai corpi, decine e decine di corpi rosso-arancioni, enormi, altissimi che torreggiano sulla figura piccola, fragile e spezzata di Brian.
Viene depositato in lungo sul sedile di un’automobile mentre il proprietario di quelle mani raggiunge il posto di guida, sedendosi accanto ad una bionda ossigenata.
Le immagini continuano a galleggiare, gli sfondi cambiano colore, la sensazione di stordimento e straniamento è sempre più forte, quasi piacevole.
Brian appoggia la testa sul sedile e sorride, beato.

********************

Quando Barry Molko varca la porta di casa, alle due di notte, è ben attento a non svegliare la madre e il padre che ormai sarà rientrato per la notte.
Trasporta il fratello minore in braccio, semiaddormentato, che ogni tanto solleva la testa, apre gli occhi ma il suo sguardo è più vacuo che mai.
Dietro di lui entra in casa Leah che chiude a chiave la porta di casa e segue il suo ragazzo ancora sconvolta dalle scene a cui ha assistito nemmeno un quarto d’ora fa.
Barry sale al piano di sopra e appoggia sul letto, con delicatezza quello sciagurato fratello conciato in quel modo vergognoso, strafatto di chissà quale schifezza che per poco non diventava la puttanella della serata di uno dei depravati che girano per locali.
Barry non vuole pensarci e sembra irritarlo l’occhiata sconsolata e scandalizzata che gli lancia la sua ragazza, mentre osserva quel ragazzino dal trucco sbavato, con quelle labbra sensuali semi-aperte, che ha rovinato la sua serata.

“Ma come...”
“Sta’ zitta. Andiamo a letto.”
     
  

Angolo dell’Autrice

Glossario: è magnifico. Hai capito?

Ovviamente i personaggi di Eloise con tutta la famiglia Brown, i vari Marc e gruppetto e Leah, sono beatamente inventati come lo è anche l’episodio.
Dundee è la cittadina della Scozia in cui la famiglia Molko si è trasferita dopo il soggiorno in Libano e lì Brian ha vissuto circa un paio di anni.
è invece vero che Brian ha cominciato a truccarsi all’età di dodici anni (ennesima intervista su placeboworld.co.uk) anche se questo non centra molto con le scene che ho immaginato io.
Diciamo che dovrebbe valere come una sorta di iniziazione ad un Brian che ricorderà tantissimo quello di “The Rerum Natura”  a cui non posso fare a meno di ispirarmi, condividendone in tutto e per tutto la costruzione del personaggio.
Credo sia intuitivo che le allucinazioni sono dovute ad un acido e per ricostruire più o meno l’ambiente primi anni ’80 (pallidamente abbozzato) ho dato un’occhiata all’aria che si respira nel primo quarto d’ora di “Christiane F., noi e i ragazzi dello zoo di Belino” visto da poco.
Ringrazio tutti quelli che eventualmente si fermano a leggere, specie nainai che segue la raccolta.
Quando volete fatevi vivi: non mordo! *_*

Misa

  
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